tag:blogger.com,1999:blog-75541744308606859642024-02-20T02:52:46.202-08:00sinistracosmopolitauno spazio pubblico per attivisti/e che lavorano per la pace, il disarmo, i diritti umani, la giustizia sociale, economica ed ecologica globale, la resistenza alle politiche neoliberiste, il riconoscimento del debito ecologico e sociale.Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.comBlogger325125tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-72343718222849261522022-07-10T00:26:00.001-07:002022-07-10T00:26:07.158-07:00ANTROPOCENE, PARLAMENTO GLOBALE E DIRITTI DELLA MADRE TERRA<p><span style="font-size: large;"> </span></p><p><span style="font-size: medium;"><span style="font-family: Calibri, sans-serif;"><br /></span></span></p><p><span style="font-family: Calibri, sans-serif;">Di Francesco Martone (*)</span><span style="font-family: Calibri, sans-serif;"> </span></p><p><span style="font-family: Calibri, sans-serif;"><br /></span></p><p><span style="font-family: Calibri, sans-serif;">(pubblicato su: "Il risveglio del mondo. Testimonianze sul Parlamento Mondiale. A cura di Mario Capanna, MIMESIS, 2022) </span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Nel suo splendido “ <i>Nel tempo delle catastrofi – resistere alla barbarie a venire</i>” <a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn1" name="_ftnref1" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[1]</span></span></span></a><o:p></o:p></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Isabelle Stengers sottolinea come a seguito della crisi ecologica (quella che lei definisce l’irruzione di Gaia) l’umanità si trovi in “<i>tempi strani, sospesi tra due storie che parlano entrambi di un mondo globale</i>”. C’è chi parla di crescita che ha “<i>chiaro ciò che esige</i>” e chi ha chiaro ciò che accade ma è “<i>oscura la risposta da elaborare</i>”. Nella fase attuale, che alcuni definiscono Antropocene, altri Capitalocene per porre enfasi sulla causa madre della crisi ambientale, siamo probabilmente già oltre <i>l’inter-regnum</i> di gramsciana memoria, e l’orizzonte appare in parte determinato dalle ricadute nefaste del modello di sviluppo dominante ed in parte da un quadro meno evidente e delineato di resistenza diffusa ed iniziativa “<i>dal basso</i>” che ha in sé i semi di futuri possibili. Ed il tema della crisi attraversa anche i sistemi di governo globale, il multilateralismo ed i suoi simili. Indubbiamente le questioni urgenti riguardano il cosa, la sfida che ci troviamo dinnanzi, ma anche il tema stesso della rappresentanza, della sua portata e significato, del protagonismo dei popoli che va oltre la cornice tradizionale degli stati-nazione, e che quindi pone in crisi - o per lo meno in discussione - i meccanismi tradizionali di governo , delega, rappresentanza e <i>governance</i>. <i>Governance</i> che ha preso da tempo il sopravvento, sostituendo ai valori alti della politica quelli della “tecnica”. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">In questo contesto si inserisce a mio parere la proposta di un Parlamento globale, che aiuta a fare chiarezza sulla “<i>risposta da elaborare</i>”, ma che per far ciò non può non fare i conti con la crisi, ecologica, di civiltà, di sistema. E questo a maggior ragione quest’anno nel quale si celebra il 50esimo anniversario della Conferenza di Stoccolma sullo sviluppo sostenibile e a 30 anni da quella di Rio su Sviluppo ed Ambiente. Due tappe importanti nella costruzione del multilateralismo del secolo scorso, due pietre miliari nella costruzione di un assetto di governo e di partecipazione della società civile nelle questioni ambientali, architettura di gestione e elaborazione, partecipazione degli stati, elaborazione dei <i>global public goods</i>. Ciononostante, se da una parte le proposte “istituzionali” relative all’ambiente mostrano tutta la loro inadeguatezza, scontrandosi quotidianamente con la prevalenza dell’interesse nazionale o con la primazia del mercato e della crescita, dall’altra questa inadeguatezza è anche e non solo espressione dell’obsolescenza e dell’inadeguatezza dello stesso modello multilaterale. Ne è un esempio la Conferenza ONU sul Clima, invischiata nelle logiche di realpolitik, snaturata nel suo mandato in conferenza sul commercio di tecnologie, carbonio e finanza e dall’altra sempre più chiusa alla partecipazione esterna, dei movimenti e della società civile e “sequestrata”- come il resto del sistema ONU - dall’agenda delle imprese e del mercato. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">La proposta di Parlamento globale serve indubbiamente a mettere l’accento sul difetto di rappresentanza e rappresentatività delle istituzioni globali, ed allo stesso tempo ad immaginare un nuovo assetto di governo del Pianeta. A tal riguardo giova ricordare come nei dibattiti passati ed attuali su quali possano essere i modelli di governo globali di fronte alla sfida ecologica si contrappongono due approcci. Uno è quello dei beni pubblici globali che presuppone una sorta di “leviatano” globale dedicato a regolare l’uso e l’accesso a tali beni, e quindi ad avere anche una forte capacità coercitiva. Ad esempio, per quanto riguarda il clima, il compito di questo leviatano sarebbe quello di fungere da autorità sovranazionale con capacità di monitorare e disciplinare in maniera autoritaria la produzione, consumo e scambio di carbonio. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Per contro, una visione fondata sui “<i>commons</i> “ privilegia il decentramento, la partecipazione e protagonismo dei “<i>commoners</i>”, comunità che resistono e curano i “<i>commons</i>” intesi anche come ecosistemi con i loro diritti e cicli di riproduzione e rigenerazione. La prima proposta è essenzialmente “stato-centrica” e prefigura una autorità globale, mentre la seconda riprende la visione del Nobel per l’Economia Elinor Ostrom e segue un approccio ecocentrico, nel quale il sistema di “governo” è definito dall’ecosistema e non dalla comunità politica. Ad un “monocentrismo” contrappone un “policentrismo” nel quale ogni luogo decisionale (ad ogni livello) è autonomo ed indipendente dall’altro, ma entra in cooperazione. Trasferendo questa dualità tra “centralità” e “decentramento”, e tra “antropocentrismo” ed “ecocentrismo” alla proposta di Parlamento globale risulta evidente come tale proposta non debba fornire occasione per ribadire un concetto antico di delega. E questo anche in considerazione della diffusione ed importanza dei movimenti globali o locali che essi siano, e della loro capacità di incidenza e messa in rete, che costituisce già uno spazio “altro” di rappresentanza e di proposta politica e culturale. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Questi soggetti transnazionali, movimenti, organizzazioni di base, comunità in resistenza, luoghi di pratica alternativa, di “altra economia” (il cosiddetto “pluriverso” <a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn2" name="_ftnref2" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[2]</span></span></span></a>zapatista), praticano l’“obiezione alla crescita”, e popolano spazi di “<i>frizione</i>” dal capitalismo, come li definisce la antropologa statunitense Anna Lowenhaupt Tsing <a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn3" name="_ftnref3" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[3]</span></span></span></a>. Ed allora come dar loro rappresentanza, semmai sia ciò di cui sentono la necessità ed il bisogno visto che - in quanto pratiche performative e prefigurative - si rappresentano da sole? Certo è, per dirla con Stengers, che “<i>non possiamo lasciare a chi è responsabile dei disastri che si annunciano il compito di rispondervi. Sta a noi creare una maniera di rispondere per noi ma anche per le innumerevoli specie viventi che stiamo trascinando nella catastrofe</i>”. Già, per noi umani e per le innumerevoli specie viventi che stiamo trascinando nella catastrofe. Ne consegue l’urgenza imprescindibile di passare da una visione antropocentrica ad una ecocentrica che riconosca accanto ai diritti umani anche i diritti della Natura. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Una visione che può rappresentare la condizione necessaria verso la creazione di un sistema di “istituzioni” del “comune” e del “vivente”, che proceda di pari passo alla rielaborazione del concetto, della portata e della pratica di rappresentanza e delega che sottende alla proposta di un Parlamento mondiale. Ed in ultima istanza di una Costituzione della Terra, che apparrebbe tuttora ancorata ad una centralità dell’essere umano che, come detto in precedenza, rappresenta solo una delle parti della complessità di Gaia, o delle specie animali e vegetali e degli ecosistemi che compongono la Madre Terra. Movimenti per il riconoscimento dei diritti della natura fioriscono ormai in ogni parte del mondo. <a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn4" name="_ftnref4" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[4]</span></span></span></a> Precedenti giurisprudenziali importanti contribuiscono ad elaborare accanto al diritto internazionale dei “popoli” un diritto internazionale della Madre Terra, presupposto essenziale per poter poi ragionare su nuove istituzioni e le strutture di rappresentanza e governo. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Alcune costituzioni come quella ecuadoriana già riconoscono i diritti della Natura, che diventano così strumento di iniziativa popolare, trasformando la Corte Costituzionale ed i tribunali locali in luoghi dove la Madre Terra trova rappresentanza. Nel mondo sono almeno 36 i paesi che in un modo o nell’altro riconoscono o hanno affrontato a livello istituzionale la questione, e decine le cause intentate presso il Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura. Quest’ultimo è un tribunale d’opinione dove la Madre Terra trova rappresentanza attraverso i rappresentanti di comunità che ne sono guardiane e che chiedono il rispetto dell’integrità di quegli ecosistemi di fronte alle minacce rappresentate dallo sviluppo e dall’estrattivismo. E così facendo mettono in discussione anche gli assetti istituzionali del governo globale dell’ambiente. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">Ad oggi il percorso è in itinere ed in questa sede basta porre la questione, non solo del come dare rappresentanza, ma del chi o cosa rappresentare. Ossia di come riconoscere la Madre Terra come soggetto di diritto e dove e come rappresentarla, e come giustamente sottolinea Bruno Latour, quale politica mettere in atto per poter “<i>ri-presentare</i>” la questione superando il sistema centrato sullo stato-nazione.<a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn5" name="_ftnref5" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[5]</span></span></span></a> Alla luce di ciò un Parlamento globale (non tanto nella struttura ma nella portata delle sue deliberazioni) dovrebbe essere “immateriale”, non solo “umano” ma decentrato, policentrico, rizomatico per dirla in altra maniera. Parlamento che si compone e si materializza dove umani e Madre Terra rientrano in armonia, dove altri mondi possibili sono in costruzione o già avviati. Non si tratta certamente di provare a tradurre in pratica la fantastica e splendida suggestione dell’<i>Assemblea degli Animali </i>di Filelfo, anche perché nel nostro contesto il precedente più eclatante di tale possibilità rischierebbe di evocare lo scenario rappresentato dal modello distopico della Fattoria degli Animali di George Orwell. E dei pericoli insiti in un nuovo “Leviatano” si è già accennato in precedenza. Semmai si tratterebbe di pensare a quali strumenti “istituzionali” siano necessari per dar corpo ed esigibilità ai diritti della natura e - così facendo - riconoscerla come soggetto plurale di diritto e quindi con diritto di essere rappresentata. </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"><br /></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;">In questo ci vengono in aiuto i giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura <a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftn6" name="_ftnref6" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="IT">[6]</span></span></span></a>. Questi ultimi, richiamandosi alla dichiarazione adottata alla Conferenza dei Popoli sui Cambiamenti Climatici ed i Diritti della Madre Terra nell’aprile del 2010 (non a caso sullo sfondo dei negoziati dell’UN Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) hanno rilanciato l’appello per la creazione di un “organismo legale internazionale che “<i>protegga e sanzioni i crimini climatici ed ambientali che violano i diritti della Madre terra e dell’umanità”,</i> ossia un Tribunale Internazionale per la Giustizia Climatica e la Natura che possa disporre della capacità legale di prevenire, giudicare e sanzionare stati, imprese e persone che per commissione o omissione danneggino i cicli vitali della vita, vilando i diritti umani e quelli della Natura. Una proposta che, come potrebbe rappresentare il primo passo per “<i>dare rappresentanza</i>” alla Madre Terra accanto ad altre proposte che appaiono principalmente centrate sulla rappresentanza dell’ “umano”. In passato ci aveva pensato con lungimiranza il Barone Rampante di Italo Calvino con il suo “<i>Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d’Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe”. </i>Oggi è l’urgenza della sfida a richiederlo. <o:p></o:p></span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm; text-align: left;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p><p class="MsoNormal" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p><span lang="IT" style="font-family: Calibri, sans-serif;"><span style="font-size: medium;">(*) membro e coordinatore dell’assemblea dei giudici del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura con sede </span></span><div><span style="font-size: medium;"><br clear="all" /></span><hr align="left" size="1" width="33%" /><div id="ftn1"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref1" name="_ftn1" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[1]</span></span></span></span></a><span lang="IT"> Isabelle Stengers, “Nel tempo delle catastrofi. Resistere alla barbarie a venire”, Rosenberg&Sellier, 2021<o:p></o:p></span></span></p><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span lang="IT"><span style="font-size: medium;"> </span></span></p></div><div id="ftn2"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref2" name="_ftn2" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[2]</span></span></span></span></a><span lang="IT"> A. Kothari, A. Salleh, A. Escobar, F. Demaria, A. Acosta , (a cura di), “Pluriverso. </span><span lang="EN-US">Dizionario del post-sviluppo, Ortothes, 2021;<o:p></o:p></span></span></p></div><div id="ftn3"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref3" name="_ftn3" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[3]</span></span></span></span></a><span lang="EN-GB"> Anna Lowenhapupt Tsing, “Friction, an ethnography of global connection”, Princeton University Press, 2005. </span><span lang="IT">Si veda anche il suo più recente lavoro: Feral Atlas, con la Stanford University: https://feralatlas.supdigital.org<o:p></o:p></span></span></p></div><div id="ftn4"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref4" name="_ftn4" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[4]</span></span></span></span></a><span lang="EN-GB"> </span><span lang="EN-GB"><a href="http://www.garn.org/" style="color: #954f72;"><span lang="EN-US">www.garn.org</span></a></span><span lang="EN-US"> – Global Alliance on the Rights of Nature <o:p></o:p></span></span></p></div><div id="ftn5"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref5" name="_ftn5" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[5]</span></span></span></span></a><span lang="EN-GB"> </span><span lang="EN-US">“ <i>how do you do politics in a way that leads to a different type of work. How do you re-present the issue? How do you break down the national state system of negotiation so that you can actually build what Carl Schmitt called leagues, or lines, which are different from nations? “</i> su “<i>Diplomacy in the Face of Gaia. Bruno Latour in conversation with Heather Davies</i>” su “<i>Art in the Anthropocene. Encounters Among Aesthetics Politics Environments and Epistemologi</i>es”, edited by Heather Davies and Etienne Turpin, Open Humanities Press, London 2015 <o:p></o:p></span></span></p></div><div id="ftn6"><p class="MsoFootnoteText" style="font-family: Calibri, sans-serif; margin: 0cm;"><span style="font-size: medium;"><a href="applewebdata://05F1D313-7433-487E-B5F6-6F4B2979B7DF#_ftnref6" name="_ftn6" style="color: #954f72;" title=""><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB"><span class="MsoFootnoteReference" style="vertical-align: super;"><span lang="EN-GB">[6]</span></span></span></span></a><span lang="EN-GB"> https://www.rightsofnaturetribunal.org/petitions/international-tribunal-for-climate-justice-and-nature/</span></span><span lang="EN-US" style="font-size: 10pt;"><o:p></o:p></span></p></div></div>Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-13902188286179996482020-06-03T00:09:00.002-07:002020-06-03T00:15:51.810-07:00<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="_2cuy _3dgx" data-block="true" data-editor="5nv4n" data-offset-key="d259e-0-0" style="box-sizing: border-box; margin: 0px auto 28px; width: 700px; word-wrap: break-word;">
<div style="caret-color: rgb(28, 30, 33); color: #1c1e21; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="caret-color: rgb(28, 30, 33); clear: both; color: #1c1e21; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy3dAH8tryhcUlFgY2vJ1xc36XixKoAR2wLmsZFI5DGYFaR0Hb8o-HayRgnR1KOpEWawzvYxzHnh78LNG3gLPWLCsZdyBTU_3PLk3pmzt3P03FI6vpo5kPlm814L2G3IilCWFLbjq1DFM/s1600/IMG_9741.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1200" data-original-width="1600" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhy3dAH8tryhcUlFgY2vJ1xc36XixKoAR2wLmsZFI5DGYFaR0Hb8o-HayRgnR1KOpEWawzvYxzHnh78LNG3gLPWLCsZdyBTU_3PLk3pmzt3P03FI6vpo5kPlm814L2G3IilCWFLbjq1DFM/s320/IMG_9741.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="caret-color: rgb(28, 30, 33); color: #1c1e21; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: inherit;"><br /></span></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">COVID19 CHRONICLES 0304052020</span></span><br />
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></span></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Una mano di bimbo traccia con il gesso </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>il volto di un nemico invisibile, </i></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: inherit;"><i>che lo ha </i></span><i>costretto in casa per mesi, </i></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>lontano dai sui amici ed amiche, </i></span><br />
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>compagni e compagne </i><i>di scuola. </i></span><br />
<i><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></i>
<i><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">Una mano che lascia una traccia sul </span></i><br />
<i><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">pavimento di un marciapiede, </span></i><br />
<i><span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></i></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>quasi un segno di riappropriazione di uno spazio pubblico, </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>fino ad allora chiuso ermeticamente. </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><br /></i></span>
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Potrebbe essere il simbolo della fase 3, dopo settimane </i></span></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>e mesi scanditi da cifre, ordinanze, riflessioni, paure e speranze. </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><br /></i></span>
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Credo sia l’immagine migliore per introdurre questa raccolta </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>di pensieri e riflessioni che si sono snodate </i></span></div>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>nel corso di questi mesi di pandemia </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><br /></i></span>
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>una sorta di cronaca non quotidiana attraverso il COVID19. </i></span><br />
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><br /></i></span>
<span data-offset-key="d259e-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>Una mappa senza orizzonti o piste tracciate. </i></span></div>
</div>
<div class="_2cuy _3dgx" data-block="true" data-editor="5nv4n" data-offset-key="5gv3a-0-0" style="box-sizing: border-box; color: #1c1e21; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
<div class="_1mf _1mj" data-offset-key="5gv3a-0-0" style="direction: ltr; position: relative; text-align: justify;">
<span data-offset-key="5gv3a-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i>3 giugno 2020</i> </span></div>
</div>
<div class="_2cuy _3dgx" data-block="true" data-editor="5nv4n" data-offset-key="45b44-0-0" style="box-sizing: border-box; margin: 0px auto 28px; width: 700px; word-wrap: break-word;">
<h4 style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;">EPILOGO</span></h4>
<div style="color: #1c1e21; font-size: 17px; text-align: justify; white-space: pre-wrap;">
</div>
<div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span data-offset-key="45b44-0-0"></span><br /></span>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Out of joint.</span></b><span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">In queste lunghe settimane di quarantena, da pochi giorni </span></span><br />
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">ormai nella fase “2” ho avuto occasione per mollare gli ormeggi e riflettere, </span></span><br />
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">rimettere a fuoco, scandagliare, mettere in discussione, esplorare. </span></span><br />
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Esplorare territori nuovi, quelli del transfemminismo, o meno nuovi </span></span><br />
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">ma con altre prospettive, come quelli dell'ecologia decoloniale. </span></span><br />
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Ho colto l'occasione </span></span><span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">per mettermi in crisi, un privilegio raro, credo. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Fatto yoga e provato a allenare l'unico muscolo che non può </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">soffrire distanziamento fisico o sociale e che è chiuso nella scatola cranica. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Mi sono interrogato sull'altro, io che ero affascinato da Levinas </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">e dal suo "io sono l'altro" ed oggi che l'altro significa minaccia </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">ed io minaccia per l'altro. Sul mio privilegio. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">E poi sul concetto riduttivo di universalismo, dando corpo al concetto </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">nuovo di Pluriverso, sulla frattura ecologica e coloniale della modernità. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Ho provato a cogliere questa occasione per sperimentare il piacere di </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">mettermi "fuori squadra" nei confronti di ciò che sapevo, avevo </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">studiato e praticato fino a "prima". Io bianco, ecologista, già messo </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">in crisi nella mia frequentazione quotidiana con popoli indigeni, </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">(più o meno un decennio), ed ora le cose iniziano a sedimentarsi, </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">le scoperte di quel decennio iniziano a formare altro modo di </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">intendere la maniera nella quale si abita nel mondo. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Ne parlavo ieri con una cara amica ecofemminista boliviana, </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">mentre ci scambiavamo qualche riflessione sul COVID, e sul fatto che non esista un prima, un durante ed un dopo, Ma esiste l'adesso, senza fasi prima, </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">durante e dopo. E che questo debba portarci a rivedere </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">profondamente molte categorie, analisi, concetti e pratiche. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Che questo è il segno finale di una crisi di civiltà. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Civiltà umanista, universalista, bianca, patriarcale. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">"Fuori Squadra" quindi, ed immaginavo </span><span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">come praticare l'"out of joint" </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">di Amleto oggi. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Grazie ad una splendida mostra alla Galleria Nazionale qua a Roma </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">scoprii come il tempo sia fuori squadra. </span><span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Amleto diceva</span></div>
<span data-offset-key="45b44-0-0" style="font-family: Verdana, sans-serif;">
</span>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span data-offset-key="45b44-0-0"><span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">"Time is out of joint<o:p></o:p></span></span></div>
<span data-offset-key="45b44-0-0"><span style="font-family: Verdana, sans-serif;">
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">O cursed spite. That ever I was born set it right”<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">“Il tempo è fuor di squadra<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Che maledetta noia essere nato per rimetterlo in sesto”.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Che maledetta noia appunto provare a rimetterlo in sesto senza </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">mettersi in discussione. E mi sono visto altrove, spostato d'un tratto </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">dal mio luogo di appartenenza culturale e politica semmai ce ne fosse stato </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">uno io che ho sempre praticato la transumanza nella politica e nell'attivismo </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">che sia nella società civile o nei movimenti. Da tempo avevo in testa </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">di provare a scrivere un libro sul virus della rivolta, sul demone della rivolta </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">come lo chiamava Bakunin. Un virus contagioso e pericoloso, ed invece oggi </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">mi trovo a fare i conti come tutta l'umanità con altro virus, sconosciuto ed </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">inatteso. Spiazzarsi totalmente, insomma. E mi sono detto: e se ad </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">un certo punto davvero facessi un salto in altro luogo, voltassi pagina </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">per leggerne di nuove? Spesso mi sento come un navigatore solitario, </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">senza mappa, alla ricerca di terre inesplorate, o semmai scrutate all'orizzonte. </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Magari alla fine non troverò nulla, come Guido Gozzano nella sua isola </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">mai trovata (sta canzone di Guccini da tre giorni ce l'ho in testa). </span><br />
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">O forse navigherò solo perché non si può fare altrimenti.<o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<h3>
<b><span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">COVID19 Chronicles </span></b></h3>
</div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">12 maggio. La memoria</span></b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">. Quel giorno avevo intenzione, tutta l’intenzione di andare. I giorni prima avevo dato una mano ai radicali per organizzare la manifestazione, i volantini freschi di stampa. Mi ero avvicinato ai radicali per i referendum contro il nucleare, l’obiezione di coscienza e l’antimilitarismo, il diritto all’aborto ed alla scelta sul proprip corpo. Andavo alle manifestazioni femministe senza essere intimorito da quelle mani tirate per aria che mimavano la forbice. Andavo a quelle di piazza, un po’ da cane sciolto. Quel giorno ero pronto a tornare in piazza. Esco dalla mia lezione di inglese dietro l’ambasciata americana e mi dirigo alla fermata del bus. Poi ad un certo punto mi scoppia un malessere e decido di tornare a casa dove trovo mia madre pallida come uno straccio. Mi dice e vedo quel che stava accadendo. Scontri e polizia che spara ad altezza d’uomo. Un delirio di violenza e abuso di potere. Il gjorno dopo mi ritrovo sotto il Senato (manco a farlo apposta qualche decina di anni dopo ci sarei entrato da inquilino privilegiato e sarei stato li’ sotto assieme ai pacifisti a protestare contro il commercio di armi, facendo entrate di soppiatto Alex Zanotelli che poi sventolo’ dal balcone di Palazzo Madama una bandiera della pace) a chiedere verita’ e giustizia per Giorgiana e per tutto il resto. Le nostre braccia in alto a mimare braccia incatenate mentre strillavamo Italia libera! Giorgiana era scesa in piazza per commemorare la vittoria del referendum su divorzio e venne assassinata con un colpo di pistola che aveva su le impronte dell’allora ministro dell’interno Francesco Cossiga. Rimane una lapide in bronzo sul lato sinistro di Ponte Garibaldi dalla parte di Trastevere, e su quella sponda del Tevere una traccia nera che e’ quel che rimane di Triumphs and Laments, splendida opera murale del grande William Kentridge. Opera che ripercorre la storia di Roma, dagli albori. Un'opera prodotta per sottrazione, lavando via lo sporco dello smog dalla parte della parete di contenimento, usando uno stencil. Una sorta di recupero di memoria storica appunto che però il tempo poi ricopre con una nuova coltre di fuliggine, Ecco perché è importante tenerla viva la memoria. E Giorgiana per la nostra generazione e’ sorella di Carlo Giuliani per quella che affrettatamente venne definita no-global e di Stefano Cucchi per quella di mia nipote diciannovenne che da quella storia inizio’ ad odiare il potere e la sua violenza.</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="font-family: "garamond" , serif;">Day 52. Blockadia</span></b><span style="font-family: "garamond" , serif;">. Secondo l’Espresso la rivoluzione verde sarà bloccata dal COVID e l’uscita dalla crisi economica che ne consegue sarà definitivamente improntata sul fossile. Se così davvero fosse , è ulteriore conferma che non c'è via d'uscita verde al capitalismo. Ancor meno a quello estrattivista. Del resto le notizie che provenivano da molti paesi già indicavano un preoccupante "rilassamento" delle normative sociali e sull'impatto ambientale da parte di governi ansiosi di lasciare la mano libera alle attività estrattive e di sfruttamento delle risorse naturali. Non a caso nei giorni scorsi il relatore speciale ONU sui diritt<span class="textexposedshow">i umani e l'ambiente aveva rivolto un accorato appello alla comunità internazionale affinché gli stati non utilizzassero il pretesto della crisi per indebolire le proprie politiche ambientali. Come fare? Con economie sull'orlo del collasso, come fare a invertire definitivamente la rotta? La scienza lo ha detto migliaia di volte, fondi di investimento del valore di svariati trilioni di dollari hanno disinvestito dal fossile, ma la transizione è ancora lontana. Il Green New Deal proposto rischia di spostare altrove il peso della conversione ecologica di paesi che più hanno contribuito finora alle emissioni, e di considerare la crisi ambientale solo dal punto di vista climatico, e ancor già solo dal punto di vista delle emissioni di carbonio, trascurando la perdita della biodiversità ad esempio. Alcuni osservatori con una punta di ottimismo sperano che il rinvio al prossimo anno della COP sul Clima prevista per il prossimo novembre possa dare tempo per fare scelte ambiziose. Sarà davvero complicato convincere i più dell'urgenza di una transizione ecologica quando in tempo di recessione la priorità di ognuno e ognuna è quella di avere lavoro. Un conflitto che speravamo in parte risolto e che rischia di riaffacciarsi con forza. Come fare allora? Rilanciare "blockadia" la comunità globale virtuale immaginata da Naomi Klein e composta da comunità locali in resistenza contro l 'estrattivismo? Proteggere i territori e gli ecosistemi tenendoli a forza fuori dal ciclo estrattivista? E proteggersi dal rischio di repressione?</span><span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: #f2f3f5; color: black; font-size: medium; line-height: 0px; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; white-space: normal;">
<span lang="EN-GB" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><a href="https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/04/27/news/economia-green-coronavirus-1.347467?ref=RHRR-BE&preview=true&fbclid=IwAR06kWGdbq5LqTc1l_DAXtIZ6pNOslm4z5YCwFjKoz67LnVx3N_L3z9rqxE" style="color: #954f72;" target="_blank"><span lang="EN-US" style="color: #385898; font-family: Verdana, sans-serif; text-decoration: none;"><o:p></o:p></span></a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: #f2f3f5; color: black; font-size: medium; line-height: 0px; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #385898; font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/04/27/news/economia-green-coronavirus-1.347467?ref=RHRR-BE&preview=true&fbclid=IwAR06kWGdbq5LqTc1l_DAXtIZ6pNOslm4z5YCwFjKoz67LnVx3N_L3z9rqxE" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">L'Europa preme per la svolta green che però è ostacolata dall’urgenza del rilancio dell'economia. E i paesi meno avanzati e diverse lobby chiedono di rinviare l’ecotransizione e dirottare altrove i sussidi previsti per la riconversione</span><span style="color: windowtext; text-decoration: none;"><o:p></o:p></span></a></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: #f2f3f5; color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: #f2f3f5; color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="background-color: #f2f3f5; color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 51.</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> Nel Medioevo, in occasione di pestilenze e epidemie, invasioni di cavallette e affini, quando non c'era altra soluzione si convocavano tribunali che procedevano ad istruire processi contro i germi, le cavallette, gli insetti e i parassiti di ogni tipo ed ogni dove. E si processavano animali anche per omicidio o furto. I poveri poi venivano giustiziati nella pubblica piazza. Una volta un avvocato in Francia riuscì a salvare degli insetti dimostrando che essendo creature di Dio non potevano far del male. Mentre i Tribunali ecclesiastici spesso ricorrevano alla scomunica degli animali, E poi c'erano le Madonne contro i virus, che con il loro mantello proteggevano la vita di ricchi e borghesi , giacché secondo tradizione popolare le epidemie erano la punizione inflitta dagli angeli incaricati di assicurare la giustizia divina.<span class="apple-converted-space"> </span></span><span lang="EN-GB"><a href="https://www.doppiozero.com/materiali/madonna-antivirus?fbclid=IwAR32vfd02PRwkcpDPmFFZYLo87P3dblHOgV_qsbNCPnlBN1NwbkReRgzdfY" style="color: #954f72;" target="_blank"><span lang="EN-US" style="color: #385898; text-decoration: none;"><span lang="EN-US">https://www.doppiozero.com/materiali/madonna-antivirus</span></span></a></span><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Ma questa è altra storia. Fatto sta che già nel Medioevo, si riconosceva in un modo o nell'altro che i non-umani erano (loro malgrado e nei fatti per affermare comunque la superiorità dell'umano) soggetti di diritto. Ci pensò poi il Barone Rampante che nei suoi ultimi giorni scrisse un "Progetto di Costituzione per la Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli, Pesci e Insetti, e delle Piante sia d'Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe". Una Costituzione simile venne approvata a Cochabamba, in Bolivia con la dichiarazione universale dei diritti della Madre Terra<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="https://2d350104-a104-42f3-9376-3197e7089409.filesusr.com/ugd/23bc2d_fdf34a2a1d61491bbfb63d868f4af513.pdf?fbclid=IwAR1KlYwHc18WEN40R4mz09cjx-TupCeupsBUkgEamYNn-T_BS91fZCn4yKE" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://2d350104-a104-42f3-9376-3197e7089409.filesusr.com/…</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Da questa nacque poi il Tribunale per i Diritti della Natura e delle Comunità<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="https://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.rightsofnature.org%2F%3Ffbclid%3DIwAR2Wu2CCt8YU1ONrruonje43Rxr7VxXcCWqcBIVA3nXYG6wojFr9meBFHw8&h=AT1aCOwKUyyspDNCR-546P3u-uEbyLRaQpXPSIrhKmgbf0O3yZGqE1AJLtcVlExtgQAKPmNPWzxpvPwYQbt2i03wgyBMF00n5hsvpS0gUUKk4aIOILSdCf9fgrW9Onv-sjTKFpGFCyAzrVN4U8ejyJrrk7Sr3WCXqw" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">www.rightsofnature.org</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Quale migliore occasione allora per ripensare oggi radicalmente il nostro modo di vivere sulla Terra? Riconoscere che noi umani siamo solo parte di una complessità di reti e di forme di vita che vanno rispettate? E protette? E magari prendere spunto da questa pandemia per avviare definitivamente un processo di riconciliazione con la Madre Terra che secoli di antropocentrismo, e sfruttamento per la ricerca sfrenata di benessere e profitto (e non per l'intera umanità) hanno portato ormai sulla soglia del collasso totale? Che proprio l'altro giorno il Segretario Generale dell'ONU ha dovuto sottolineare nuovamente che la vera minaccia all'umanità ed al pianeta è il cambiamento climatico? Una minaccia che non potrà essere contrastata se non attraverso un radicale cambiamento non solo di modelli di produzione e consumo. Attraverso appunto il riconoscimento che i diritti non si fermano all'umano. Facendo però attenzione a ricordare che la modernità presenta due fratture: quella ecologica e quella coloniale, intimamente connesse. Senza decolonizzare la mente e la pratica, senza riconoscere la pluralità del vivente non se ne esce. E stavolta non saranno Madonne col mantello a salvarci.<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://www.opendemocracy.net/es/puede-el-coronavirus-salvar-el-planeta/?fbclid=IwAR24ZzLFRt-jOeFztuh2AVdw0VNwSM1Ju9w8C-mVU_cnzRbZHMESBheLCsE" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://www.opendemocracy.net/…/puede-el-coronavirus-salva…/</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">25 Aprile – Liberazione</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">il mio 25 aprile stamattina l'ho passato in una lecture per 75 studenti della Spring School della SIOI assieme a Greenpeace, sul tema dei difensori della terra. Ho voluto chiudere la mia lecture con le parole di Berta. E sento che la nostra celebrazione della resistenza qua sia idealmente connessa a lei alla sua storia ed alla storia di chi muore per difendere la Natura, ed i diritti fondamentali.</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;"> Quindi il mio terzo fiore rosso va alla famiglia di Berta ed a Berta. E poi è da ieri che ce l'ho nella testa Berta dopo aver visto una sua foto nella stanza della "Donna elettrica", la principale protagonista di uno splendido film islandese sulla resistenza di una donna insegnante di musica contro le grandi idroelettriche che alimentano in Islanda le industrie dell'alluminio. </span><span style="font-family: "garamond" , serif;">E dopo i fiori, dopo aver ’adottato’ Alberto Di Battista partigiano 22enne , dopo aver letto e riletto con emozione la storia di Ugo Forno, ‘Ughetto’ ed aver provato ad immaginare quel pischello di appena 12 anni prender le armi per combattere contro i nazisti, aver cantato per strada Bella Ciao a squarciagola, rispettando sempre e comunque il distanziamento ‘sociale’ chiuderei il mio 25 aprile, paradossalmente forse il piu’ emozionante, quando sono andato a deporre fiori rossi davanti alla targa che ricorda Leone Ginzburg, persone affacciate alle finestre, una signora che applaude, Bella Ciao per l’appunto dei MCR a palla da un altoparlante posto fuori da una finestra, dopo aver appeso un drappo rosso sul balcone (un asciugamano, avrei anche appeso uno nero ma non avevo mollette a sufficienza), insomma chiuderei così il mio 25 aprile, che il 26 sempre antifascista sara’ come il resto dei miei giorni.</span><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; vertical-align: middle; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span lang="EN-GB" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">24 aprile; Mother Earth Day:</span></b><span lang="EN-GB" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span><span lang="EN-US" style="background-color: white; color: #1c1e21;">Buon Mother Earth Day! </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Già, non Earth Day, la terra è Madre, e non a caso. questa canzone, You can't clearcut your way to heaven qua cantata dal grande John Seed uno dei padri della Deep Ecology, mi accompagnò per anni ed anni, quando (altro che Antropocene eravamo forse nel Cenozoico!) con un manipolo di attivisti ed attiviste da mezzo mondo lottavamo per proteggere le foreste tropicali e sostene</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">re i popoli indigeni. Un inno contro l'estrazione di materiali, la distruzione degli ecosistemi, in nome del mercato e del dominio dell'umano sul resto del vivente. Allora si diceva Prima la Terra! oggi quella Terra è madre, che va curata e protetta, per le prossime generazioni. Questa Madre ha diritti tanto quanto gli umani, da riconoscere, tutelare, rispettare. Oggi questa Madre lancia l'ennesimo grido di allarme, resiste, sopravvive e si riproduce mentre noi suoi figli e figlie facciamo i conti con noi stessi e con il modo con il quale la abitiamo. </span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">23 aprile: Partizans</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">. </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Ho letto l’ultimo articolo di Wu Ming dopo aver ascoltato opinioni divergenti da persone che apprezzo e stimo. Ho letto delle ‘polemiche’ sulle celebrazioni del 25 aprile. Dell’osceno tentativo di revisionismo del concetto stesso di liberazione, da ipotetici Leviatani, dittature sanitarie, virus contro i quali si starebbe combattendo una guerra. Armi Eroi e Popoli si chiamava l’antologia sulla qua</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">le studiavo alle medie. E nonostante quello finii per innamorarmi delle eresie, delle utopie, delle bande di straccioni, dei levellers e dei diggers, di chi ammazzava re, faceva rivoluzioni e rapinava banche. </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
Di eroi veri e sconosciuti come il giovane partigiano ucciso a colpi di mitraglia dalle parti di Poggio Mirteto, ricordato da una lapide qua dietro casa, dove era nato. O Leone Ginzburg, prelevato a forza da squadracce fasciste dalla tipografia clandestina di Giustizia e Liberta’ sempre qua dietro casa. Mori’ ucciso poco dopo a Regina Coeli, ammazzato dai nazisti. Allora il 25 aprile io e mia moglie andremo, a distanza di sicurezza, e con le nostre mascherine sul naso a portare qualche garofano rosso per il giovane partigiano e per Leone Ginzburg. Sarebbe una bella cosa, anche per recuperare la memoria storica del posto in cui si vive che ognuno ed ognuna andasse in questi giorni alla ricerca di lapidi, ricordi, luoghi della Resistenza. E nel rispetto delle regole necessarie per contribuire ad evitare la diffusione della pandemia sugli anziani ed i vulnerabili, faccia il suo personale atto di resistenza. E magari lo fotografi e lo faccia circolare. Poi magari potremmo anche sparare alle 15 in punto a palla dalla finestra o dal balcone Bella Ciao, se dei MCR ancora meglio direi.</div>
</span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">DAY 36. Whose Commons Future</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">? Secondo alcuni calcoli il COVID-19 costerebbe circa 9 mila miliardi di dollari all'economia globale facendola precipitare in una recessione mai vista dal 1929. ( a occhio la cifra media spesa in meno di 5 anni per armi e affini in tutto il mondo (stando ai dati del SIPRI per il 2018 che valutava una spesa pari a 1822 miliardi di dollari). Secondo l'FMI il debito estero dei paesi meno "sviluppati" nel 2018 ammontava a 7800 miliardi di dollari, mentre i sussidi ai combustibili fossili a 4700 miliardi di dollari. Facciamoci due conti: 1822+7800+4700= 14322 miliardi di dollari in un anno contro i 9milia miliardi che costerà il COVID alle economie global, senza contare quanto valgono i mercati finanziari globali, una cifra pari a 740mila miliardi di dollari nel 2019. E poi ne riparliamo quando si ragionerà su come uscire da questa crisi attraverso soluzioni del tipo Green New Deal, senza una visione dell'ecologia-mondo, o di giustizia globale radicale, che davvero sia orientata sull'uscita dal modello capitalista, estrattivista, e su basi transfemministe e decoloniali. Che magari sto New Deal andrà bene per noi, per gli europei senza però scalfire a fondo il paradigma dominante, o le relazioni coloniali con territori che resteranno serbatoi di materie prime strategiche, Magari non il petrolio ma terre rare. O magari territori che saranno messi sotto tutela per assorbire il carbonio che produciamo qua per poi dire che stiamo andando verso le zero emissioni.<span class="apple-converted-space"> </span></span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
Per non omettere poi il fatto che un ritorno a forme stataliste quali quelle immaginate dalla proposta di Green New Deal, che richiamano diciamo formule socialdemocratiche novecentesche seppur tinte di verde rischi di chiudere la strada ad una necessaria - a mio parere - transizione dello stato a favore dei "commons", la "commons transition", che poco ha a che vedere con il concetto dei "beni comuni", anzi viene spesso e volentieri confusa. Per questo ben vengano proposte come quella di un Green New Deal ecofemminista (<a href="http://www.iaphitalia.org/dentro-e-oltre-la-pandemia-pretendiamo-il-reddito-di-cura-e-un-green-new-deal-femminista/?fbclid=IwAR2-3U-8Sg5BUJCGio1gC-exhaqE-5jNWk08_CvQvid79ZkdE0TC_i_cMa4" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">http://www.iaphitalia.org/dentro-e-oltre-la-pandemia-prete…/</span></a>) perché provano ad andare oltre, nella pratica e nell'approccio. Sarebbe interessante innervarle con un approccio che preveda appunto la "commons transition", dove lo stato non scompare ma si trasforma in piattaforma che agevoli il governo comunitario dei commons e li protegga dall'invasione del mercato e del capitale, e i cittadini/cittadine si convertano in "commoners" che praticano la "cura" del comune, (vivente, umano e non-umano).<span class="apple-converted-space"> </span><a href="https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fprimer.commonstransition.org%2F%3Ffbclid%3DIwAR13t7gcWPewcCyvt6zJRVLf4f0hVxSWsqZkEtJ2FL6qzd42SVlxk43xMng&h=AT3ObAXG2gKrTHVxPJIN7NBFqsb-wUNsyIeSRdv9J2kW3vJq57-ZK8gdfc1gwkkaYct4GKhM2bO9cv4fv2pPukIekOJ2QAtqh1IWj_bs0zRhCqWALtWCvRdYB0Bt2uhUycHnz0_cmd0qQj3OvluSN5utUO9kXPKNRA" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://primer.commonstransition.org</span></a></div>
</span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">E consiglio anche di leggere con attenzione questo commento sulla fine dell’era dello sviluppo scritto di recente da Wolfgang Sachs.</span><span class="apple-converted-space" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span></div>
<div style="color: #954f72; text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://newint.org/features/2019/12/09/long-read-age-development-obituary?fbclid=IwAR35UED9r1It-OwpTmdL4Ffej8xANQifugpMe-NIoe2kY9nGH6ud5-6mxvI" style="color: #954f72;" target="_blank"></a><a href="https://newint.org/features/2019/12/09/long-read-age-development-obituary?fbclid=IwAR35UED9r1It-OwpTmdL4Ffej8xANQifugpMe-NIoe2kY9nGH6ud5-6mxvI" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://newint.org/…/…/09/long-read-age-development-obituary</span></a></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Infine, ricordo che i primi giorni di lockdown, apologi del capitalismo verde quali Chicco Testa si misero a scagliare anatemi contro la decrescita, stigmatizzando il lockdown ed i suoi effetti appunto comparandoli alla decrescita felice. Orbene, sarebbe opportuno, con tutte le riserve che si possono avere sul concetto di decrescita se non è accompagnato da una forte accezione di giustizia ecologica e redistributiva, e ad una differente visione del ruolo e della posizione degli umani nell’ecologia-mondo, specificare cosa abbia a che fare la decrescita con il COVID-19 e semmai ricordare a chi ora sta già lavorando per usare l’occasione per promuovere forme umanizzate e salvifiche di capitalismo, che questa crisi e quella climatica sono esattamente figlie del modello dominante di crescita, verde o arancione che essa sia.<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.degrowth.info%2Fen%2F2020%2F03%2Fa-degrowth-perspective-on-the-coronavirus-crisis%2F%3Ffbclid%3DIwAR357lFd_o6pNW1WbeEmvGRzp9hgWyTDCyo4i9VOhQwjXGwRMwCt_c9_iAQ&h=AT2WQhABh3QZpMWdTs0CXw8PXLje-FN3zdC5WXEMIY2KUYrlViLqtO70r3dhz7zNL-Cfi4qRwn816mxYiGDnW4CBGNCrlGBoz516KHtXHmnzUymtkDoV_cwmLvc0rRfwA7G-KFEcWRUqMZZbKfGUWu4Fh3c-LlgExOQDsMqMadBBF9I" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://www.degrowth.info/…/a-degrowth-perspective-on-the-…/</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Credo che questo tema sia, assieme alla questione cruciale degli spazi di agibilità, organizzazione del conflitto e proposta di alternative, quello centrale per prefigurare possibili ipotesi per il “dopo”.<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">(ps, ci sarebbe anche da parlare di come settori neoliberisti radicali, assimilabili ai libertarians statunitensi, quelli che lo stato federale è come Satana, stiano cavalcando qua a casa nostra la questione democratica, scagliandosi contro le limitazioni delle libertà civili per riaffermare in fondo che meno stato c’è e meglio sarà per non imbrigliare la potenza imprenditoriale del singolo e le capacità salvifiche e taumaturgiche del libero mercato. Attenzione soprattutto a chi da sinistra resta abbagliato da questi “falsi amici”, che ne ho notati abbastanza)<o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 35. COVID, democrazia, movimenti</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">. Oggi il Transnational Institute pubblica un mio contributo su COVID-19 democrazia e movimenti, con particolare attenzione alla situazione italiana.<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://www.tni.org/en/article/italy-democracy-and-covid-19?fbclid=IwAR03s-TMu3-wdJVYYTmpQkKfJ860TMOUkGzX4n1SrS4rcNq7P3emIjvPN-c" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://www.tni.org/en/article/italy-democracy-and-covid-19</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">.<o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">"parallelamente alla narrazione ufficiale, che si basava su un mix di patriottismo alla buona, misure restrittive e governance scientifica dei processi sociali, si sono sviluppate ben altre pratiche che rappresentano un importante capitale sociale e politico per il futuro. Assemblee online, un florido dibattito teorico sul COVID-19 e le sue implicazioni a tutti i livelli, un numero crescente di iniziative da parte dei movimenti sociali, una proposta per un Green New Deal ecofemminista, campagne per migliori condizioni nelle carceri e per l’amnistia, e per un il cosiddetto “reddito minimo di quarantena“, una piattaforma recentemente pubblicata di organizzazioni della società civile e movimenti sociali che si occupano di commercio, giustizia economica e contro l’estrattivismo, e parallelamente un numero crescente di iniziative di solidarietà sono il chiaro segno di un’altra Italia che non accetta la rassegnazione o l’impotenza. E non accetta l’idea che l’unica possibilità per affrontare il virus e le sue implicazioni sia limitata al rispetto degli ordini volti a limitare, reprimere o imporre un comportamento “passivo” ed “omissivo”.<o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">I servizi di supporto per gli anziani, i più vulnerabili, quelli che vivono soli nelle loro case, offerta gratuita di alimentari, supporto e assistenza psicologica, acquisti e consegna a domicilio di medicinali sono tra le iniziative auto-organizzate più ricorrenti, che esprimono un tentativo di trasformare il concetto e la pratica femminista della “cura” in pratica politica. La società civile si trasforma in qualche modo in un’espressione del “comune”, e i suoi membri in “commoners”, che si organizzano collettivamente per favorire il rispetto e il perseguimento di beni e diritti comuni, come il diritto al cibo, alle cure, alla solidarietà.<o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fcomune-info.net%2Fla-democrazia-contaminata%2F%3Ffbclid%3DIwAR3u1A4FcNrI2yWrTHoqfANPoPElL_nv68MAOYr3J7OBKtlHjEcn9nCTL9k&h=AT3Au_so35ce3G6qPBR9a9GGO6X6tXsINCMrrEzGov-B4SHW-RH8aKHOJsXHdbF6pSuhUt_1N3Yz1TdyV1r2EnFl-tYgOwO67ahVSe_0dsAGV3o4gdrdpO1V4Rj85dl5PrwxXW56edBvbsiQ566WJn2KHbWt7Eu1AA" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://comune-info.net/la-democrazia-contaminata/</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 32. L'isola non trovata</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">. Atlantide, Mu, O l'ultima Thule. O Iperborea? Anarres, Macondo, Eldorado, Lemuria, Agarttha, Brocelandia, Alamut, Utopia, Città del Sole, Bensalem, Christianopolis, Uqbar, Cospaia, Minerva, Oilean Thoraig, Redonda, Ladonia, Kugelmugel, Lizbekistan, Uzupis, Cihangir, Kalakuta, Elleore, Akhzivand, Bosgattia, Molossia, Talossia, Atlantium, Mapsulon, Gospodariato di Meltenia, Celestia, Waveland, Malu Ente, Conch Republic, Liberland. E' vero, in quest<span class="textexposedshow">i giorni e settimane che sembrano interminabili è difficile leggere, entrare nelle parole altrui, tutti assorti nella nostra quotidianità da riempire, per darle senso. La fantasia corre al passato, agli istanti prima, a quel che si avrebbe potuto o dovuto fare prima, e chissà se e come sarà possibile dire o fare dopo. I miei tre preziosi compagni di viaggio sono il Manuale dei Luoghi Fantastici, L'Atlante delle Micronazioni, ed il grande Umberto Eco la sua storia delle terre e luoghi leggendari. Ogni giorno esploro un paese, una landa, un'isola, uno stato, una nazione, un'immaginazione, una utopia. Un pò come da bimbo passavo ore ed ore a scorrere con la punta del dito le strade e i fiumi i contorni dei paesi, sull'atlante, e viaggiavo di fantasia. Alla ricerca di un'isola non trovata. E nei viaggi di queste ultime settimane mi sono fermato per un pò , nel regno di Elgaland-Vargaland, fondato nel maggio 1992 da Michael I e Leif 1, regno che si estende esclusivamente nei territori di confine, geografici, mentali, digitali. Il confine tra stati, tra diversi stati mentali o percettivi, confine tra la veglia ed il sonno, tra l'alta o bassa marea. Nel regno ogni cittadino ha il diritto di disporre della propria esistenza e del proprio comando, di esistere liberamente in ogni territorio, di risiedere in ogni territorio, diritto ai propri ideali, diritto di tutto e di più, diritto del mezzo, del niente e di meno, e cos via.</span><span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="https://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.elgaland-vargaland.org%2F%3Ffbclid%3DIwAR2aXD4QlW4rNJgaE1Xfh-7REYWdayKDS0Bfe02Ka_XCV6b1S1nlDAEEoX8&h=AT0djD1YdxiOSRWEaaO1MUDcdakR2jd6QlAjoFiqxA3OzSkOnhFmS78_lGKcYfmAidK47CiKLBTE9Y6ok-gCBRSAQ5OmrFTFb_WOcBpu_xvhjrIoRNKEZicc4Jytgg8A1J5TwLHqR2OqXcXzC4ppTW3uBMq-pwJKwVqI" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; font-family: "garamond" , serif;">www.elgaland-vargaland.org</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Come spiega nel suo Atlante delle Micronazioni, Graziano Graziani "da un lato l'occupazione di confini, che essendo strumenti per separare territori e stati (fisici o mentali) sono al contempo smagliature, zone interstiziali di questo onnipervasivo sistema di tassonomia politica, sociale e mentale che regolamenta le nostre esistenze".<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Oggi spiegherò le vele alla scoperta di Alamut, il Nido del Rapace, con le parole di Umberto Eco.<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Pasqua. Parabola laica.</span></b><span style="background-color: white; color: #1d2129;"> Stamattina presto sotto casa a un signore un po’ stralunato vestito da Babbo Natale e con la mascherina di Zorro sulla sua slitta piena di uova di pasqua da regalare a mezzo mondo con messaggi d’amore e resistenza, tenerezza e speranza, inquilini cuochi alla bisogna hanno lanciato olio bollente dalle loro fortificazioni invece che pezzi di soffice colomba, un runner agile ma con pessima mira e calzamaglia improbabile e puzzolente di naftalina ha sputato addosso mancandolo per un pelo, quasi veniva investito da un signore affannato ed attempato in triciclo con sulle spalle uno zaino quadrato di plastica gialla e verde (l’unico che si fermo’ per chiedergli se aveva bisogno di una mano), un altro lo stava per bastonare con un giornale arrotolato. Dicono le cronache che fosse un tortore artigianale composto di Libero, Giornale, Tempo e Secolo d’Italia. Un nerboruto e palestrato giovanotto con un tatuaggio di Paperino invitava il nonno arzillo e con la lucida dentiera ad inveire che quasi gli stava uscendo un eia eia alala’. Un bravo ed azzimato padre di famiglia tirato a lucjdo stava rjfornendo il pargolo di freccette acuminate. Una vecchietta fragile e lenta gli stava aizzando contro il suo sanguinario mastino napoletano. Una ragazzina con le cuffiette alle orecchie stava cercando di attaccare bottone, un’altra scattava selfie a raffica, un’’altra ancora si esercitava al lancio del sacchetto della monnezza. Tanti altri dalle finestre gli strillavano ‘daje’ , uno, sperando invano che altri lo seguissero, ‘daje all’untore’ . Eppoi c’e’ chi mise su a palla Bella Ciao. Chi l’inno alla gioia chi Venceremos. Nel mentre arrivo’ la polizia e per suo grande sollievo se lo porto’ via. Lo caricarono su un trenino pieno zeppo di tantissimi altri babbi natale e befane. Di tutti i colori, eta’, lingue, costumi e tradizioni. Tutti rossi come il sangue e tutte nere come la pece. Pareva un’enorme bandiera che attraversava la citta’ con dietro una scia interminabile di slitte e di scope. Ci ha promesso che domani tornera’. E stavolta mica da solo. Parlava una lingua strana, pareva arabo con accento palestinese. Si era dimenticato di firmare l’autocertificazione, nulla di grave. Dice. </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
<span style="background-color: white;">Buona Pasqua, amore e forza a noi che non ci rassegnamo.</span></div>
</span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 30. Il primo mese</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">. Il mio primo pensiero al risveglio oggi. </span><span lang="EN-US" style="background-color: white; color: #1c1e21;">Where are you? Donde estas? Donde carajo estas mi hermano, mi hermana? Where the hell are you my brother? </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">My sister? dove sei? Dove sei tu che ogni giorno con la mano tesa ed un sorriso mi chiedi una monetina per mangiare? O che mi dai il "cinque" chiamandomi fratello e provi a vendermi un libro. Magari mi chiedi se ho paura dell'uomo nero e io gli dico "fraté non ho paura di te ma quel libro davvero non mi inter</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">essa" E magari gli chiedo da dove viene e come sta, ma tra me e me e penso: "eccollollà te pareva, ma che ho la calamita?" O che da lontano mi punti per poi provare a vendermi due pedalini? Dove sei tu ragazzina rom, che guardo sempre con gran simpatia, mentre chi ti sta intorno teme per il suo portafoglio come se foste tutte così, vi avesse visto danzare o giocare gli passerebbe la paura. Ricordando quella ragazzina in braccia alla madre che un giorno venne incontro alla mia, per abbracciarla, che lei era la "figlia dei farmacista degli zingari?" Da allora, da quel sorriso di mia madre, non ho potuto non amare quel popolo. Dove sei tu madre con un bimbo al collo che ramazza la strada in mucchietti improbabili di foglie che il vento si porterà di nuovo via, come un novello mito di Sisifo? Dove sei? Dove siete? Dove siete voi che "i barconi", l'invasione? I portatori di virus e terrorismo? Dove siete voi che eravate il nemico, il reietto, il selvaggio, il ladro, l'invasore, l'altro da bersagliare, offendere, deridere, condannare. Non certo spariti o sparite nel nulla, come i miracoli di un prestigiatore, di un Houdini o tornati con il teletrasporto a casa vostra, nei vostri villaggi, alle vostre radici. Mica stiamo a Star Trek. Magari! Che forse ci farebbe comodo anche a noi il teletrasporto ora che siamo qua chiusi in casa, come animali in uno zoo planetario. Dove sarete ora che non potete uscire, confinati in baracche fatiscenti, o stabili abbandonati, senza un minimo di che vivere, nel mani di delinquenti senza scrupoli. Vi starete indebitando fino al collo per poi essere di nuovo scaricati per strada per ripagare il debito. E voi che non potete entrare, attraversare le frontiere, magari sotto le bombe di qualche signore della guerra, o nelle mani di qualche tagliagole. E voi bambini e bambine rom, che mai vi hanno voluto dare una casa, in campi senz'acqua, luce, in condizioni igieniche drammatiche? "Environmental racism" razzismo ambientale, lo ha chiamato, riferendosi alla situazione dei Rom ai tempo del COVID-19 in Europa, l'European Environment Bureau. Ecco dove siete. Lontano dai occhi, lontano dai nostri cuori, invisibili, reietti, lontani dalle grinfie e dagli insulti di poveri mentecatti. Che staranno già in cerca di un altro nemico. E noi così angustiati dall'orizzonte chiuso di quattro mura, stiamo forse autoamputando parte della nostra coscienza?</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span lang="EN-US" style="font-family: "garamond" , serif;">Day 29: Mors tua vita mea.</span></b><span lang="EN-US" style="font-family: "garamond" , serif;"> </span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">"Finalmente, i dati segnano un calo, nonostante ci siano ancora oltre 600 morti." La Repubblica, ore 1824 7 Aprile. In quel nonostante mi pare ci sia tutto il significato o la mancanza di significato di questa tragedia collettiva. Nonostante oltre 600 famiglie oggi piangano i loro cari. Morti senza nome, ma sappiamo che sono i nostri anziani, nonni e nonne, di bimbi e bimbe in quattro mura. Ma finalmente c'è un calo. Tra poco potrete tornare a distanza di sicurezza alla vita fuori casa. Però attenti e mica come sperate eh. E di loro esseri umani soli, confinati in un letto di ospedale. senza neanche la possibilità di una morte degna, di essere accompagnati dall'amore dei loro parenti, figli, mogli, mariti resterà solo un nonostante. Non ho parole. Di questo passo nonostante altri 10mila morti forse arriveremo al plateau. Gli altri 15mila che hanno lasciato questa terra restano un nonostante. Ma dove finisce l'umanità? Nel mors tua vita mea? <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="font-family: "garamond" , serif;">Day 26. </span></b><b><span lang="EN-US" style="background-color: white; color: #1d2129;">Domenica delle Palme</span></b><span lang="EN-US" style="background-color: white; color: #1d2129;">. Working class heroes. </span><span style="background-color: white; color: #1d2129;">A chi è curvo su una catena di montaggio, con un’altra curva che non si piega, a chi cura e chi è curato, a chi solcava mari verso la speranza e chissà dov’è, a chi sbarcava il lunario che non chiedeva mica la luna, a chi condannato da sempre ad essere nomade tira a campare abbandonato in un campo, a chi rischia la fame dopo aver avuto stipendi da fame, a chi inforca una bicicletta per portare cibo non certo per fare il giro d’Italia, a chi vede il sole a scacchi e si sta giocando la partita più pericolosa, a chi faceva saltare in aria persone con la corona, e chi combatte questo corona. A chi sudava per raccogliere pomodori, e chi ora chissà dov’è. A chi è invisibile. A chi è clandestino, agli amori clandestini che non possono essere, a chi ama ed è lontano, ai nascosti, irraggiungibili, a chi lotta solo in un letto di ospedale. A chi è a Lesvos, Gaza, Aleppo afferrato con le unghie ed i denti alla propria sopravvivenza. Ad Hamilton Gasca Ortega ed alla sua famiglia ennesime vittime della furia omicida contro leader comunitari in Colombia, che la macchina della morte mica si arresta. Ai miei fratelli e sorelle indigene, chiusi nei loro territori, con la loro saggezza ancestrale, che già troppe volte la storia ha colpito con virus, con la croce o la spada. A chi resta a casa, esiste, resiste e persiste. A noi che sembriamo navigatori in solitaria nelle nostre barchette, in un mare sconosciuto, tracciamo la rotta minuto per minuto, ora per ora, giorno per giorno. L'unica cosa che vediamo è l'orizzonte, Oltre chissà. Magari Anarres, o Macondo, Godot o Shangri Là</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">Day 24: Madre Tierra, Hermanita Anarquia</span></b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">. Sul numero di aprile di A - Rivista anarchica, il mio primo contributo sulle rivolte popolari ed indigene in America Latina. (...) <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1c1e21; font-family: Verdana, sans-serif;">"Queste rivolte, alimentate da alleanze inedite tra “esclusi”, popoli indigeni sindacati, studenti, organizzazioni popolari, movimenti transfemministi ed ecologisti non sembrano avere un carattere puramente “rivendicativo” bensì rappresentano da una parte l’espressione diretta e immediata della rabbia e del disincanto, della disperazione dettata dalla marginalità, dall’esclusione e dalla povertà, e dall’altra il tentativo di occupare lo spazio pubblico rivendicandolo come luogo di conflitto ed auto-organizzazione dal basso , anche con modalità inedite, inclusa la performance artistica (basti pensare al flashmob organizzato dalle femministe cilene e che ha fatto poi il giro del mondo) che prefigurano nei fatti il modello di società e di trasformazione che si vuole conseguire. Chi resiste per proteggere i territori e la Madre Terra crea nessi e connessioni con i movimenti transfemministi che lottano contro il patriarcato ed il femminicidio, affermando i diritti della Natura come strumento di lotta e contrasto al modello capitalista dominante e non come pura elaborazione accademica. Mutuo soccorso, solidarietà, auto-organizzazione, modelli decisionali assembleari, autoproduzione, sono quindi le caratteristiche centrali di questi movimenti che riprendono parola, e trasformano lo spazio pubblico soprattutto nelle aree urbane in “bene comune”, e le comunità ed i territori nelle “periferie” in luogo di pratica, convivenza, resistenza collettiva allo stato".<o:p></o:p></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 23. La beffa, la rabbia.</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;"> Allora diteci se ci state prendendo per i fondelli una volta per tutte perche’ co’ tutta questa retorica bellica che ci state propinando su tutti i canali sta’ cosa di un nuovo contratto della Marina per nuovi sommergibili (due ora e due dopo) marca Finmeccanica davvero grida vendetta, ora, con milioni di persone sul lastrico. E non mi si venga a dire che e’ per tutelare posti di lavoro che con quel miliardo di euro piu’ o men</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">o, si possono fare un sacco di cose, tipo iniziare a ragionare una volta per tutte sulla conversione dell’industria bellica. O magari pensate di fermare il virus a silurate? O eventuali ‘barconi’ che potrebbero arrivare con presunti invasori? Il signor Presidente del Consiglio batta un colpo! Il contratto sembra sia ancora in fase di perfezionamento quindi avete ancora la possibilità di dare un segnale serio alla nazione e d'autorità bloccare tutto. Anche se poi come dice il Sole24ore, sarebbe in ballo anche un nuovo appalto per fornitura per due miliardi di euro di fregate FREMM all'Egitto che la Farnesina avrebbe autorizzato a negoziare. Oltre l'inganno pure la beffa. Ovviamente i cantieri navali per fabbricare strumenti di guerra non navi ospedale saranno tra i primi a riaprire vero?</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 22. Parole</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">. Come cambiano le parole? Molto bella questa iniziativa dell'Alfabeto Pandemico. (e grazie<span class="apple-converted-space"> </span></span><a href="https://www.facebook.com/marcotru?__tn__=K-R&eid=ARBgdbUIANmJp_yQ1lWR2jnVcToDHbJuGOxtqFG73dQq_0Z9VColugtIuAhfyC-1vKG8akBAKbPJchS0&fref=mentions&__xts__%5B0%5D=68.ARC8YYofMfBD9Slmk-TWQQTgANspRZZjw0FtFswN59cX-OudDr7ZnBe9DXqN6fcVaG4jYCmTmPOAzdicu2lkLnd4_1yUmDS03I0S4DuqzVMkse0rRVExFpqPsFXZfmOMNtKms1oI31KlYkKyGzyPiAAMa4xltq35T6jztENNeGtW3KRNhOm7qlnRzcevT8LKaef9ggO_cbI4G7Hbaw" style="color: #954f72;" title="Marco Trulli"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">Marco Trulli</span></a><span class="apple-converted-space"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">per averla segnalata ed aver dato un contributo) . A me viene da pensare ai barbari. Quelli che aspettavamo nelle rime splendide di Costantino Kavafis. A quei barbari che pensavamo arrivassero, come a dare un senso. Ed invece è arrivato altro, inatteso, a sconvolgere il lessico, le pratiche, le abitudini, le certezze. Le parole hanno bisogno di maturare, di attraversare la mente, l’anima, plasmare pensieri, ripercorrere ricordi, aprire opportunità. Devono stare lì per un po’, acquattate, prima di prender forma, come vibrazioni di un suono, o appese alla punta di un polpastrello. Maggior responsabilità ha chi usa le parole oggi, in quella che viene definita l’era della “post-verità” nella quale tutto ciò che è falso è vero, e tutto ciò che è vero viene accuratamente rimosso, nascosto, come un ospite sgradito. O ignorato. Parole derelitte e marginali, suoni sordi o abitudinari, frenetico ticchettio su una tastiera consunta. Eppure le parole sono anche ricettacoli di memoria, visto che oggi sono il risultato dell’utilizzo frequente protratto nel tempo e nella storia, Quindi si portano dietro anche un pezzo di memoria. Si trasformano, riflettono memoria. E quando alzi gli occhi, sei travolto da un turbinìo di parole, che rievocano ideali antichi, prospettano futuri migliori, gravitano sospese nell’oggi, senza sapere come interpretarlo, scandagliarlo, per aprire la porta alla speranza. Eravamo arrivati a pensare che le parole fossero ormai obsolescenti, vuote, finite. E invece...<o:p></o:p></span></span></div>
<div style="margin: 4.5pt 0cm;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
Che aspettiamo , raccolti nell'agorà?</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Oggi devono arrivare i barbari</span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
- perché è così inoperoso il Senato? E perché siedono senza far leggi i senatori?<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Perché oggi arrivano i barbari.<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Che leggi devon fare i Senatori?</div>
<div style="text-align: justify;">
Quando verranno, faranno leggi i barbari</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">- perché l'Imperatore s'è alzato così presto</span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
e sta alla porta maggiore della città solenne</div>
<div style="text-align: justify;">
in trono, e indossa la corona?<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Perché oggi arrivano i barbari</div>
<div style="text-align: justify;">
E l'Imperatore aspetta di ricevere</div>
<div style="text-align: justify;">
il loro capo, Anzi ha disposto</div>
<div style="text-align: justify;">
di offrirgli una pergamena, sulla quale</div>
<div style="text-align: justify;">
gli ha scritto molti titoli e nomi</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">- Perché stamani i due consoli e i pretori sono usciti con toghe rosse ricamate?</span><span class="apple-converted-space" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
Perché indossano bracciali colmi di ametiste e anelli con smeraldi splendidi e lucenti?<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Perché oggi impugnano le preziose mazze<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
dai raffinati ceselli d'argento e d'oro?</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Perché oggi arrivano i barbari;</span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
e queste cose abbagliano i barbari.<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
- Perché i valenti retori non vengon come sempre<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
a fare i loro discorsi a dire le loro cose?<span class="apple-converted-space"> </span></div>
<div style="text-align: justify;">
Perché oggi arrivano i barbari, e</div>
<div style="text-align: justify;">
hanno a noia concioni ed eloquenza.</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">- Perché questa inquietudine, d'un tratto,</span><span class="apple-converted-space" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
questo scompiglio (Come si sono fatti seri i volti.)</div>
<div style="text-align: justify;">
Perché si svuotano in fretta strade e piazze</div>
<div style="text-align: justify;">
e tutti tornano a casa pensierosi?</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm 0.0001pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Perché si è fatta notte, e non son venuti i barbari.</span><span class="apple-converted-space" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
Messaggeri son giunti dai confini</div>
<div style="text-align: justify;">
e han detto che non ci sono più i barbari</div>
<div style="text-align: justify;">
E ora, senza barbari, che sarà di noi?</div>
<div style="text-align: justify;">
Era una soluzione, quella gente. "</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: black; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
<b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 21 . Hunger.</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;"> stiamo entrando nella quarta settimana. Tra curve che si flettono, curve che rientrano, dati che lasciano un sottile spazio alla speranza. C'è un'altra cifra che mi ha lasciato agghiacciato. E' mai possibile che in questo paese oggi ci siano due milioni e mezzo di persone che rischiano letteralmente di fare la fame? 2,7 milioni di persone, quasi quanto l'intera città di Roma, fatevi due conti. E prima di mr COVID-19 questi milioni di persone dov'erano? Invisi</span><span style="color: #1c1e21;">bili come chi oggi tiene in piedi questo sistema monco, amputato, chi sta nelle sale macchine? La solidarietà è la tenerezza tra i popoli, diceva un signore che portava la bandiera sbarcata qualche giorno fa assieme a decine di medici a Milano. Ma la solidarietà non basta. L'obbligo di assicurare il diritto alla salute per tutti è anche obbligo di assicurare una vita degna, un lavoro decente, una casa, cibo, acqua, aria pulita. Chiunque si interroga sul "dopo" dovrà farci i conti. La fame. Che bussa alle nostre porte, attraversa confini, materiali e immateriali. La peste nera, e la carestia. A volte mi pare di vivere un secondo Medioevo.</span></div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 19. Ora legale</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">. O il tempo giusto che si trasforma, scorre, muta. Secondo convenzioni o seguendo il corso del pensiero. O dell'anima. Torna indietro per proseguire. Sospeso. Irreale, La conta dei minuti, dei giorni a ritroso per ricordare il prima, la spunta dei minuti dinnanzi, per respirare.</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span lang="EN-US" style="font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
<span lang="EN-US"><b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Day 15, scrivere, pensare</span></b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">. "To sleep, to die, maybe to dream". </span></span><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Se c'é qualcosa che decreti e ordinanze non possono fermare, la mano e la mente. Ma voi ce la fate? A leggere i libri che affastellano le librerie? A mettere nero su bianco qualcosa che non sia la sensazione, la riflessione di un istante? E che è già è obsoleta l'istante dopo? Da tempo le parole avevano iniziato a perdere significato, contorno, memoria. Oggi provano a farsi di nuovo strada come un rito collettivo del racconto, della ricerca. Adeguate a catturare l'istante ma forse non a prefigurare il dopo. L'ignoto, o il domani che lentamente, attimo dopo attimo inizia a definirsi in giochi d'ombre ancora a noi intellegibili. Il tentativo di immaginare il dopo. Già il dopo. C'è chi si affida alla virtù taumaturgica della crisi, confidando che tutto cambierà nel meglio, una sorta di atteggiamento fideistico per esorcizzare forse il male. Chi ipotizza scenari distopici o apocalittici, chi si affida alle proprie certezze e teorie. Chi semplicemente fa i conti con l'essenziale. Svuota le parole per poi ricostruirle, abbandona gesti per poi ridargli senso. Il dopo sarà determinato anche da come si vive l'ora, come si prova ad abitare, cercare senso di questo tempo espanso, dilatato ed allo stesso tempo compresso in quattro mura. Un pò come i nostri passi, lenti, per guadagnare qualche minuto d'aria concesso o rubato, veloci quando si tratta di sfuggire alla possibile contiguità fisica con la minaccia che incombe. Passi leggeri come se si volesse per un attimo evaporare, innalzarsi per vedere dall'alto, vederci. E poi rientrare a casa.</span></div>
</span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 13 o 12? . PTSD.</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> Che quando si parla di salute si dovrebbe avere un approccio più ampio, "olistico", non esclusivamente delegato agli esperti sanitari, con le loro cifre, le loro curve. Si dice che questa crisi stia politicizzando gli esperti a scapito della politica. Lo abbiamo già visto questo film nel quale in passato economisti neoliberisti dettavano le priorità della politica. In effetti a pensarci bene da come viene comunicata la situazione il dato di fatto appare evidente. Ogni giorno viene trasmesso bollettino di guerra delle 18 lasciato in mano alla Protezione Civile ed all'Istituto Superiore di Sanità, che ci tempestano di dati, statistiche, possibili curve. Dobbiamo stare a casa, lo abbiamo capito. E quando siamo a casa, cosa ne è di noi. Leggevo un articolo sulle ricadute psicologiche della applicazione del modello "cinese" a Wuhan, e di una nuova curva crescente quella del numero di casi di PTSD, (disordine da stress postraumatico). Avete presente quello che colpisce chi torna dalla guerra? La salute non è solo questione di numeri e curve quindi, riguarda aspetti molto più complessi, che dovrebbero essere presi in considerazione. Non per allentare scelte che in alcuni casi (si veda ad esempio la necessità di chiudere le fabbriche) sono arrivate colpevolmente in un secondo tempo. Riguarda il dopo, lo stato di salute mentale collettiva, che farà la differenza sul cosa potrà rinascere da questa crisi: il dopo sarà di un popolo di lobotomizzati o in preda a stress post traumatico? Stressati e sospettosi verso chiunque? Pronti ad accettare un stato di emergenza permanente? Anche chi ammazza il tempo nella caccia all'untore, o sminuisce la serietà delle conseguenze di una quarantena (per lo più persone che si ritengono 'sane') ci rifletta bene, e legga qua:<span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><span lang="EN-US" style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">"Before shaming others for going to the park or labeling staying indoors as a “minor inconvenience,” as has happened on Twitter, know that medical quarantine, and isolation in general, is associated with serious mental health effects. A recent review of research, published in The Lancet, found that quarantine is linked with post-traumatic stress disorder (PTSD) symptoms, confusion, and anger, with some research suggesting these effects are long-lasting. Given that the coronavirus crisis is likely to be with us for some time, the mental health implications can’t be dismissed."<span class="apple-converted-space"> </span></span></i><a href="https://qz.com/1818798/coronavirus-quarantine-has-serious-mental-health-implications/?fbclid=IwAR0kGZE4G6p75YhWSlFZyI3-xzB3bE55jqum0HnUnutQaaaKGARz5u_19cY" style="color: #954f72;" target="_blank"><i><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://qz.com/…/coronavirus-quarantine-has-serious-mental…/</span></i></a><i><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></i></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Forse andrebbe creata - come hanno fatto in Cina - una task force di esperti psichiatri, psicoterapeuti, psicologi, che lavorino anche su questo, e non lascino questo aspetto (quello dell'assistenza e cura psicologica) solo al volontariato o ai familiari. Che per lo meno indichino alcune modalità di sostegno per prevenire quello che è accaduto a Wuhan. Magari quando gli esperti ci snocciolano i loro dati, a noi impotenti e incapaci di poter far altro se non starcene tappati in casa che si mandino in sovrimpressione i contatti di una linea di aiuto psicologico centralizzata, dico io. Nel frattempo chi ha la buona sorte di poter ricorrere alla meditazione, al tai chi o allo yoga (come me che lo pratico da oltre 5 anni), quando fa la sua pratica, dedichi parte delle sue energie migliori a chi sta lottando per la vita. Oggi, grazie alla possibilità di rompere barriere fisiche che ci dà la rete, ho fatto una classe di yoga con mia nipote Helguita da Quito, come faccio quando sono là, ed è una gran sensazione quella di affidarsi ai nostri nipoti affinché ci aiutino a mantenere la barra dritta in questo momento così difficile. E ad affidare a chi lo sta vivendo direttamente in prima persona le nostre energie migliori.<o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Day 11. Aforisma.</span></b><span style="background-color: white; color: #1d2129;"> A forza di camminare in tondo intorno all'isolato finisce che ci ritroveremo come in un castello medioevale, con un fossato che ci separa dal resto del mondo.</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="font-family: "garamond" , serif;">Day 11. Solstizio di primavera. Extraction</span></b><span style="font-family: "garamond" , serif;">. Sarebbe cosa buona e giusta provare a leggere questa crisi drammatica che stiamo vivendo anche secondo epistemologie differenti. Non a caso oggi nelle cosmologie andine si celebra il Pawkar Raymi, solstizio di primavera, la celebrazione del nuovo tempo, il giorno della fioritura, per ringraziare la Pacha Mama dei doni che da agli esseri umani. Una celebrazione che inizia a gennaio e culmina proprio oggi 21 marzo. Vista dal cosiddetto Sud del mondo questa crisi difficilmente rappresenterà un’opportunità per ridefinire il modello economico o di sviluppo. Anzi. I segnali che arrivano dall’America Latina ci dicono che l’estrattivismo, piuttosto che ridursi, come logica vorrebbe visto che questo virus è stato originato proprio dalla distruzione degli ecosistemi e della biodiversità, aumenterà in maniera esponenziale. La necessità di valuta per ricostituire le casse statali già erose dal crollo del prezzo del petrolio per economie dipendenti dal petrolio, porterà ad un allargamento delle attività di prospezione e estrazione. Non a caso le imprese transnazionali del settore hanno già dedicato centinaia di milioni di dollari alla prospezione ed esplorazione e difficilmente torneranno indietro. E la Cina la farà da padrone, vera incontrastata “survivor” del COVID19. Le curve di crescita di estrazione di materiali previste dalle Nazioni Unite, in un contesto di capitalismo estrattivo continuerebbero così la loro crescita. L’estrazione di materiali è causa dell’80% di perdita della biodiversità e di oltre il 50% delle emissioni di anidride carbonica senza contare poi quelle emesse dalla combustione di combustibili fossili. Dal 1970 la velocità di estrazione di risorse naturali dal pianeta è triplicata. Oggi si estraggono 92 miliardi di tonnellate di materiali l’anno con una crescita del 3,2% annuo. Dal 1970 l’estrazione di combustibili fossili è passata da 6 a 15 miliardi di tonnellate, quella di altri minerali da 9 a 44 miliardi, la rimozione di biomassa dal 9 a 24 miliardi di tonnellate. Se non si decide di disaccoppiare la crescita dal consumo di materiali la domanda di risorse raddoppierà per arrivare a 190 miliardi di tonnellate l’anno, e le emissioni di gas serra aumenteranno del 40%. Inoltre, Le grandi mobilitazioni popolari come quella in Cile che forzarono il presidente a convocare un’assemblea costituente per le prossime settimane sono ormai svanite, e le votazioni per la nuova costituente slittate all’autunno. E poi non facciamoci illusioni: anche un Green New Deal qua, nel Nord, senza che venga preso in considerazione l’aumento della domanda di minerali strategici e terre rare ed il conseguente impatto sociale ed ambientale, sarebbe un Green Deal per la parte della popolazione mondiale che più ha contribuito all’esaurimento delle risorse naturali. Questo impone un netto cambio di visione, di giustizia ecologica radicale e decoloniale . Malcom Ferdidand nel suo splendido “Une ecologie decoloniale – penser l’ecologie depuis le monde caribeen” che sto leggendo proprio ora, invita a superare l’antropocene “bianco” ed a recuperare il rapporto degli umani con il non-umano, con la questione decoloniale e con un’ecologia del mondo nella quale la Terra non sarà nostra casa ma la “matrice del mondo”. Oltre alla teoria andrà praticata anche una scelta politica chiara: sostenere le comunità ed i movimenti che resistono e resisteranno ancora all’avanzata della frontiera estrattiva, qua ed altrove. Sostenerli e far in modo di rafforzare le loro capacità di difesa e protezione dalle minacce che derivano dalla corsa all’accaparramento delle risorse presenti nei loro territori. Sarà una guerra senza esclusione di colpi nei territori marginali, nuove colonie del post COVIC19. E sarà per noi ancor più complicato per varie ragioni: la prima che per mesi gli spazi tradizionali di agibilità politica verranno compressi. Compressi, giacchè per governi ed imprese sarà urgente assicurare il libro svolgimento delle attività imprenditoriali, di produzione di materiali e di estrazione di risorse ad essa connesse, in una fase di emergenza economico-finanziaria. La seconda che a fronte dell’urgenza di ricostruire economie devastate dalla recessione, si rafforzerà ancor di più il conflitto tra lavoro ed ambiente. Insomma, aspettiamo a cantar vittoria. La crisi del sistema capitalista andrà prodotta attivamente non attendendo per default che ci pensi il COVID19. Si dovrà pensare ad una cancellazione totale del debito per iniziare, e allo stesso tempo praticare resistenza e riconnessione con la Madre Terra proprio come si fa oggi nelle celebrazioni dell’Pawkar Raymi e come fanno da sempre popolazioni indigene che oggi temono, come ai tempi della Conquista, che un virus arrivi alle loro porte per sterminarli. Per questo del virus loro hanno deciso di non parlare, per non evocare la loro possibile fine. <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 10. La fede di chi non ha fede.</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;"> </span><span lang="EN-US" style="background-color: white; color: #1c1e21;">The Faith of the Faithless. </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Una lecture del mio filosofo preferito Simon Critchley, su resistenza, utopia, arte politica e comunità, basato sul suo "Infinitely Demanding: Ethics of commitment, politics of resistance": esattamente quello di cui abbiamo bisogno ora. Una etica dell'impegno, ed una politica di resistenza. Simon fonda parte del suo approccio sulla visione dell'altro di Emmanuel Levinas, altro grande filosofo ispirato al Talmud e</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">d alla cultura e tradizione ebraica. Sulla sfida al potere, ed allo stato (memorabile il botta e risposta sul potere e la conquista del potere con Slavoj Zizek) sul ricorso all'ironia ed all'humor. Proprio ispirato dall'humor il suo libro sulla "Dead Philosophers Society" una sorta di Spoon River dei filosofi di ogni tempo, dove racconta come hanno abbandonato questa vita e che il loro pensiero in un certo modo lo avesse prefigurato. Oggi cercherò la mia bandiera della pace e se riesco a trovarla la esporrò dal mio balcone, per la prima volta. Un pò perché mi va, un pò perché credo sia la migliore risposta al patriottismo fine a sé stesso ed alla retorica della guerra che pare permeare ogni forma di comunicazione, perché in ogni parte del mondo siamo nella stessa barca. Per rifiutare la logica del nemico e della delazione e immaginare un futuro senza armi, eserciti, bandiere, stati, autorità. Stay tuned, stay safe</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 4.5pt;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1c1e21; font-family: Verdana, sans-serif; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: black; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
<span style="font-weight: bold;"><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">Day 9. La cura. <span style="font-weight: normal;">“Je suis l’autre</span></span></span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">” diceva il grande filosofo Emmanuel Levinas. Io sono l’altro, vale ancor di più oggi, in questo tempo sospeso. Una sfida che ci chiama ad essere responsabili nei confronti dell’altro, anche attraverso pratiche, che possono non essere confinate dietro le mura di casa. Pensare, riflettere, condividere, aiutare a creare relazioni, reti, mettere in connessione, sostenere per quanto possibile pratiche di cura e solidarietà.<span class="apple-converted-space"> </span> Abitare la crisi, abi<span class="textexposedshow">tare l’emergenza significa vivere questi tempi senza rassegnarsi all’impossibile. In un suo interessante articolo “Habitar la excepcion. Pensamientos si cuarantenas”</span><span class="apple-converted-space"> </span>. Il filosofo spagnolo Amador Fernandez Savater ci dice che trasformare significa far apparire da un’altra prospettiva nuove domande e risposte, nuove maniere di pensare ed agire, nuove logiche di pensare e fare, riguardo ai problemi. (…) Abitare, essere presenti, non solo spettatori o consumatori o vittime di decisioni altrui, sentire, pensare, creare a partire da ciò che accade, dargli valore, condividerlo. E superare la dicotomia imposta del “è così”, o “obbedienza o morte”. Che sia insomma occasione per affinare l’autonomia del pensiero, e dell’azione, delle reti e dei saperi. Che sia contro nessuno, ma neanche sottomessa a nessuno.<span class="apple-converted-space"> </span> Savater offre elementi fondamentali per fare i conti con le proprie abitudini, rivedere i propri stili di vita, riscoprire l’essenziale, ed il valore fondamentale del restare umani, della costruzione del “comune”.<span class="apple-converted-space"> </span> Scoprire il valore ed il significato della cura come pratica dirompente e politica e di mutualismo “dal basso”.</span></div>
</span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="font-family: "garamond" , serif;">Day 9. La delazione.</span></b><span style="font-family: "garamond" , serif;"> </span><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">due righe che oggi sono uscito per andare a fare la spesa. E sono tornato turbato. Dalla scena di una "pantera" o come diavolo si chiama dei Carabinieri che da lontano punta un signore con a borsa della spesa e correndo contromano inchioda alle sue spalle. I due militi dell'arma scendono e lo circondando intimandogli di far vedere i documenti. Ed io mi sono sentito un criminale fino a prova contraria. Insomma ci sono modi e modi per assicurare il rispetto delle regole. I</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">nvece pare di essere tutti agli arresti domiciliari. E che dire del solerte amministratore del mio condominio che ad un certo punto, informato da altrettanto solerte "delatore", (ah dimenticavo, nel mio condominio quando mi sono trasferito anni fa ho appreso che c'era pure il "caposcala", cosa che richiama a storie passate e oscure del nostro paese) chiude di punto in bianco il giardino interno. E pensare che avrei voluto scrivergli per proporgli di mandare una lettera circolare a tutti i condomini per capire chi fosse in stato di necessità di aiuto e raccogliere disponibilità dei condomini. Ed invece a norma del DCPM secondo lui 4 bambini giocando facevano assembramento. Andiamo bene andiamo. Mi iniziava ad intenerire il gridare di quei bimbi finalmente liberi di giocare lontano dai loro cellulari o tablet. Allora scendo e chiedo alla mamma, e lei intimorita mi fa, ma guardi possiamo mandarli a due a due. E io gli faccio signò, ma le pare il caso io ero sceso per capire perché diamine lo hanno chiuso, E leggo cartello" in ottemperanza di DPCM tal de tali". Lei mi fa meno male che c'è qualcuno sensibile, mo che finisce sta storia andiamo a prenderci un dolce da Natalizi, qua dietro l'angolo. E uno dei bimbi: Aho io scavalco. Gli faccio, pisé lassa perde che poi te fai pure male....Insomma.<span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;"><o:p></o:p></span></span></span></div>
<div style="margin: 0cm 0cm 4.5pt;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif; font-weight: bold;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: black; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
<b style="font-weight: bold;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;">Day 8. Evasione</span></b><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><b>. </b>Letteratura d'evasione, evasioni celebri, programmi d'evasione. Il pensiero va a chi è privato della libertà per anni, decenni., alle loro giornate vuote, uguali. Allo sforzo di evadere con la mente oltre le sbarre. Ai calendari vuoti, giorni, mesi, anni. Questo mi rimaste scolpito nella mente dopo una visita alla sezione ergastolani di Bad E' Carros, carcere di massima sicurezza di Nuoro. All'urgenza di svuotare quei luoghi, spesso in condizioni estreme e precarie, con provvedimenti logici, e riprendere "dopo", la questione della "penalizzazione", dell'allargamento della sfera del diritto penale ad una sempre crescente casistica di reati. E penso alle evasioni, alle grandi evasioni che da adolescente mi affascinavano, come le storie di comunità eretiche, o i bombaroli che facevano fuori re e tiranni, o alle grandi rapine in banca. Agli indiani pellerossa. Ai pirati e corsari. Non siamo certo agli arresti domiciliari, anche se la sottile distinzione tra invito a restare a casa ed obbligo a restare senza poter camminare fuori, dimostra che il margine è molto labile, poroso.<span class="apple-converted-space"> </span> Un paio di cose mi hanno fatto riflettere sul rischio dell'arbitrio di chi ha oggi un potere discrezionale sulle nostre vite. Il carabiniere o vigile di turno che da dietro la sua divisa pensa di ritenere l'acquisto di un giornale o di materiali di cancelleria come acquisti non necessari. E' come quando si decide di togliere la libertà di pensare, di elaborare, di immaginare, di disegnare, di scrivere. Di alimentare la mente oltre che il corpo. E questo non è possibile farlo solo attraverso l'uso compulsivo dei social. (anche se su questo rito di sublimazione o metabolizzazione collettiva ci sarà da riflettere, magari un altro giorno) E pensavo a quei carcerati in regime di isolamento, una forma di tortura, di morte civile, senza poter leggere, sempre sotto il controllo vigile di un secondino o di una telecamera. Stiamo vivendo la fine dell'interregno, questo ci dicevamo l'altro giorno con un caro amico di Quito, Alberto. E come Gramsci insegna, questa fine può portare cose fino a ieri inimmaginabili. Nel bene, ma anche nel male. Cosa ciò sarà dipenderà anche da come impareremo a vivere, abitare l'emergenza e la crisi (ricordo che milioni di esseri umani da chissà quanto lo fanno). Non ci sono state sbarre a ingabbiare la testa di Antonio Gramsci o di Nelson Mandela. Abdullah Ocalan dal carcere dove è sepolto vivo, ha trovato le forze, le energie per ripensarsi, per rivedere radicalmente le sue convinzioni, capovolgerle, e offrire al mondo un modello possibile. Uno scambio epistolare con uno dei miei punti di riferimento politico, Murray Bookchin.<span class="apple-converted-space"> </span></span></div>
</span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><a href="https://www.nybooks.com/daily/2018/06/15/how-my-fathers-ideas-helped-the-kurds-create-a-new-democracy/?fbclid=IwAR0Ld-nXd3SJPUa-7Hc2SogZMSk39JtVhnQwbnoR2vNyLMV1fXIvXadL4jQ" style="color: #954f72;" target="_blank"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">https://www.nybooks.com/…/how-my-fathers-ideas-helped-the-…/</span></a><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 4.5pt 0cm; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;">Sarebbe bello iniziare a scambiarci epistole, ragionare sul possibile e l'inimmaginabile. Molti lo stanno facendo attraverso riflessione pubblicate su vari blog e siti, soprattutto provando a scandagliare ed offrire una lettura del "qua ed ora". Sarà il momento anche del "dopo". E nel frattempo per un attimo, sognare, mettersi nei panni del grande Steve McQueen, mica quello delle corse in moto, o della vita spericolata di Vasco, quello di Papillon. Mica cazzi.<o:p></o:p></span></div>
<div style="margin: 4.5pt 0cm;">
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<span style="color: #1d2129; font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
<b>Day 7: diritti e doveri.</b> Quando diciamo di essere responsabili anzitutto ma anche vigilanti sui diritti umani anche nella situazione drammatica che stiamo tutti vivendo forse una ragione c'è. Che questa situazione rischia di tramutarsi in stato di emergenza permanente, prima pandemica, poi economica e poi sociale, e non se ne esce. Anzi rischia di farsi strada la convinzione che a fronte dell'irresponsabilità dei cittadini, e dell'incapacità della politica di essere efficace ed efficiente, si dovranno rivedere alle fondamenta alcuni pilastri dello stato di diritto. Importante quindi la presa di posizione di vari relatori speciali ONU sui diritti umani, tra cui lo Special Rapporteur sui Difensori dei Diritti Umani Michel Forst che avevamo invitato con la rete<span class="apple-converted-space"> </span><a href="https://www.facebook.com/indifesadi/?__tn__=%2CdK-R-R&eid=ARChLL8iURwWGpx0I2lXHDnjNS4BI-Q9j52kTLbRwrCTW9ciVIEKXxiPV6WENx0dEL3eDpP_KQidB7tC&fref=mentions" style="color: #954f72;"><span style="color: #385898; text-decoration: none;">In Difesa Di</span></a><span class="apple-converted-space" style="color: black; font-family: "times new roman" , serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"> </span></span>in visita accademica a Roma ai primi di aprile anche per discutere della protezione degli spazi di agibilità civica e dei difensori dei diritti umani nel nostro paese. Discussione che oggi pare di lana caprina ma che invece non potrà essere trascurata. Anche perché qua in Italia non esiste una autorità nazionale indipendente sui diritti umani che possa svolgere funzione di monitoraggio e verifica. Ad esempio, chiedendo che il governo notifichi immediatamente agli organismi ONU per i diritti umani tutti gli atti restrittivi delle libertà personali, al fine di assicurare trasparenza e monitoraggio indipendente. Visto che queste misure sono al momento imposte attraverso decreti del Presidente del Consiglio senza alcun voto parlamentare che ne autorizzi la conversione in legge. </div>
</span><br />
</span><div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Day 6. Ecocidio</span></b><span style="background-color: white; color: #1d2129;">. Sono giorni che ci ripenso, che il ricordo fa capolino, ma finora non sapevo come metterlo a fuoco, rileggerlo alla luce dell’attuale. Poi leggo che oggi di qualche anno fa, dopo un tremendo tsunami, saltò in aria la centrale nucleare di Fukushima, una catastrofe annunciata. Un po' come Chernobyl, uno spartiacque della storia, del prima e di quello che avrebbe dovuto essere il dopo. Oggi, la paura dell’invisibile ammanta come una cappa l’aria. Si respira, il silenzio, la stasi, come vivere in una camera stagna, in uno spazio sospeso. Fluttuare nell’aria. Il ricordo torna a due eventi della mia vita passata, delle mie vite passate. Quando era credo il 1979, andammo a fare una marcia antimilitarista per mezza Europa, contro la NATO ed il Patto di Varsavia e capitammo in un luogo dove il pericolo, invisibile, si percepiva anticipato nei tempi, a pelle, Gorleben sul cui territorio s’era deciso di stoccare scorie nucleari, la punta estrema di un dito di terra della Germania occidentale conficcato come un cuneo nel territorio della DDR. Fare i conti con l’invisibile, l’infinitesimamente piccolo. Scoria di un paradigma dominante. E poi anni dopo 24 per l’esattezza, a bordo della Rainbow Warrior II, nave ammiraglia di Greenpeace, io guerriero dell'arcobaleno imbarcato a Vladivostok per un mese di tour nell’Estremo Oriente russo. Là l’odore asfissiante della paura e della morte lo percepii davvero quel giorno, quando si decise di entrare avventurosamente in una base navale russa, Chazma Bay, uno slalom tra unità navali ancorate al largo, in attesa di essere vendute ai cinesi. Chazma Bay era una base di sommergibili nucleari nella prossimità di un villaggio. Anni prima era esploso un sommergibile nucleare, con conseguente fall-out radioattivo. Decidiamo di andare a fare rilevamenti con il contatore geiger per poi informare, per la prima volta la popolazione, dir loro la verità sempre fino ad allora nascosta. Camminiamo tra prati morti, alberi morti, qua e là mucchi di terreno radioattivo. Sappiamo di non poter rimanere esposti più di qualche manciata di secondi. I contatori geiger iniziano a impazzire ed è il momento di correre via. Per poi improvvisare più tardi dalla plancia della Rainbow un’assemblea con la popolazione, che fino ad allora era stata tenuta all’oscuro di tutto. Ne nacque una mezza rivolta contro il comandante della guarnigione militare che chiese rifugio nelle sale della nave. Poi ce ne andammo, prima che una nave militare potesse trainarci via a forza. Quella sensazione, quell’odore impercettibile, quella presenza invisibile dello sconosciuto, dell’invisibile, del rischio la provo ora, nei rari momenti nei quali metto il naso fuori dalla finestra. Chernobyl e Fukushima erano chiari segnali di allerta, di allarme, a quali si rispose senza però mettere in discussione alla radice il modello economico, energetico, produttivo, l’architettura stessa delle nostre vite. Oggi questo sarà uno dei compiti del “dopo”. Quando questo sarà, dovrà essere. Nel frattempo pensando a quegli irresponsabili che ora intasano treni e strade per tornare, o che “la vita continua come sempre, che tanto è un’influenza”, o che hanno affollato sprezzanti del rischio strade e piazze incapaci di rinunciare alla loro socialità compulsiva mi viene in mente Fukushima. Quando uno dei funzionari della TEPCO per mostrare che non c’era pericolo, bevve – se non ricordo male - acqua radioattiva. E lo immaginavo tramutarsi poco dopo in pesce. Ed a chi gli chiedeva impaurito, ma si rende conto? Lui rispondeva: Ma come era fin da quando ero bambino che sognavo di diventare pesce. Mentre chi provava a salvare vite umane restava contaminato a suo rischio e pericolo, esseri umani venivano contaminati e morivano. Proprio come ora nelle corsie degli ospedali di mezza Italia. Namaste</span><span style="font-family: "garamond" , serif;"><o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
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<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: black; font-size: small; white-space: normal;"><div style="text-align: justify;">
<b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 5 cronaca diaria:</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;"> un giro di window shopping su Pinterest, un'occhiata alle Hawaii su google earth, una punta per aperiskype coll'amichi nel pomeriggio. La lettura minuziosa della rassegna stampa quotidiana. la mia signora sbracata sul divano in preda al jet-lag, (meno male che è riuscita a tornare ieri sull'ultimo volo dall'Ecuador). Rientrato dopo essere andato come un cacciatore-raccoglitore Dayak a cercare cibo e beni di prima necessità con una sporta militare sulle spall</span><span style="color: #1c1e21;">e. Tra un pò andò a fare cicoria a villa Borghese. Tra una che "sbrocca" per strada (tranqui lo fa sempre mi dice il fruttivendolo sotto casa) e file sotto la pioggerellina. Il "capitano", simpatico bengalese, (ci chiamiamo così comandante e capitano - lui sa bene che ambedue i capitani - quello giallorosso e quello verde - non fanno per me quindi evitiamo di entrare nei dettagli) dal suo shop dal quale facciamo rifornimento di avocados (rigorosamente politicamente corretti che lui quelli da Israele anche no anzi guarda ad aprile mi arrivano avocados italiani, seee mo chissà quando) mi sorride da sotto la mascherina: "da domenica me sa che chiudo eh. Se torni domani mattina alle 10 trovi i tuoi avocados". Due parole scambiate al volo nella ricerca di un farmaco omeopatico che dovrebbe aiutarci a difenderci dal mostro invisibile. La gentile farmacista dalla lunga chioma rossa oggi è meno sorridente del solito, gli occhi stanchi da dietro la immancabile mascherina. E poi mi fornisco del kit per le mascherine fai-da-te, improbabile rito per scongiurare il peggio. Carta da forno (già introvabile), elastici che mi strapperanno quei pochi peli della barba e graffette. Sono indeciso se aprire o meno le finestre oggi alle 18 e dare sfogo alla mia musicalità repressa, che una volta va pure bene, poi si rischia il melodramma, Un pò come mentre facevo la fila per comprare saponi e affini accompagnato da Toto Cutugno ("sono un italiano vero!"), sparato a palla dal mercato dei saponi. Mi torna un leggero rigurgito antipatriottico. La mascherina mi fa mancare l'aria. Fine dell'uscita dalla navicella. Gli asteroidi stanno bene, mandano tanti saluti al pianeta Terra.</span></div>
</span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">Day 4. La grana delle cose,</span></b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;"> così è stata tradotta una raccolta di poesie di uno dei miei poeti preferiti, Gary Snyder. La grana delle cose che oggi e per qualche tempo dovremo abituarci a scoprire, o a riscoprire, in una sorta di eremitaggio forzato, dietro quattro mura. Come monaci zen, che si ritirano dal mondo, dalle sue seduzioni materiali, per tornare all’essenziale. Un esercizio spirituale per riscoprire l’essenza stessa dell’essere. Ed allora fai i conti anche con la t<span class="textexposedshow">ua quotidianità, provi a sforzarti a riconfigurarla. A riscoprire piccoli gesti che la furia dei giorni ti facevano sembrare così ovvii, banali. A capire quanto sia possibile eliminare il superfluo. In arte si dice “less is more”, un po' come lo scultore che sottrae materia per far emergere la bellezza. Ed oggi mentre mettevo in ordine le mie cose, le mie camicie da "worker" americano che tanto mi piacciono, una macchia azzurra in un nero dominante che ho scelto da tempo come mio colore mi chiedevo se alla fine possa essere possibile stare semplicemente con una t-shirt nera come sto ora. Un paio di jeans vecchiotti e comodi, a piedi nudi con un cappellino da "trucker", ascoltando il blues di John Prine, che io abituato a lavorare e vivere in casa da ormai dieci anni, ho dovuto darmi delle regole, prima fra tutte quella di vestirmi in casa come se dovessi andare fuori, passeggiare, o andare al lavoro o con gli amici. Come possa essere possibile fare a meno, come alleggerire il nostro carico. E’ da tempo che stiamo ragionando qua a casa sul tornare alla grana, alleggerirci delle cose, tornare alla terra. Per un po' forse questo secondo proposito dovrà aspettare, ma intanto ci si può attrezzare per il resto. Che gli eventi hanno accorciato il tempo della scelta. Tornare alla grana delle cose, quella che dovremmo imparare a scorgere in filigrana ora, giorno per giorno, ora per ora. Messi all’angoletto da una Madre, la Madre Terra, che non mi rassegno a immaginare matrigna, e che forse dopo tanti avvertimenti ne ha abbastanza di figli e figlie che non la rispettano. E possiamo arrabbiarci del destino che ci è caduto sulla testa, provare a far finta di nulla, come se nulla fosse, resta il fatto che la grana delle cose è riconnettersi con lei, sforzarsi di capire come farlo. Per il resto mi affido ai versi di Gary che condivido volentieri.</span><span class="apple-converted-space"> </span><o:p></o:p></span></span></div>
<div style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 4.5pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="color: #1c1e21; font-family: Verdana, sans-serif;">“Un poeta della Mente</span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: justify;">
Rimane in casa.</div>
<div style="text-align: justify;">
La casa è vuota</div>
<div style="text-align: justify;">
E non ha pareti.</div>
<div style="text-align: justify;">
La poesia</div>
<div style="text-align: justify;">
È vista da ogni lato,</div>
<div style="text-align: justify;">
Dovunque,</div>
<div style="text-align: justify;">
In un unico momento.”</div>
<o:p></o:p></span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;">Day 3: la serrata.</span></b><span style="background-color: white; color: #1c1e21;"> Da affrontare in maniera zen, non c'è altra maniera. Solo un pensiero allora stamattina, forse perché uno degli incontri più belli del mio passato politico è stato quello con una di loro e con un'altra che si batteva con coraggio per dar loro sostegno e conforto e da allora questa vicenda mi è rimasta stampata nella memoria. A voi genitori che dovete gestire figli e figlie irrequieti, che scalpitano o strepitano per vedere gli amici, farsi due passi, anda</span><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">re in piazzetta o al muretto. Fategli conoscere la storia dei "bambini nascosti", quelle decine, migliaia di bimbi e bimbe figli e figlie di emigrati italiani in Svizzera, costretti a restare chiusi al buio in una stanza per anni, ed uscire solo di notte per farsi due passi, senza fiatare, con il rischio di essere espulsi dal paese a seguito di assurde leggi migratorie. Per anni. Non per 15 o 30 giorni che siano. E senza tante chiacchiere su autocertificazioni, permessi da interpretare alla bisogna. E noi che tanto ci battiamo per la libertà di Julian Assange, mettiamoci nei suoi panni. Anni chiuso in una stanza, con un unico contatto possibile con il mondo esterno, la rete, proprio come noi, che comunque possiamo uscire per comprarci cibo e beni di prima necessità. (anche su questo ci sarà da ragionare, su altri "nascosti", chi nonostante tutto dovrà lavorare in condizioni di continua precarietà e rischio, per portarci a casa cibo e generi di conforto, o chi il lavoro lo ha perso, lo perde restando chiuso a casa. O chi è forzato alla contiguità, illegale per noi, obbligata per chi è rinchiuso in un carcere o un centro di detenzione per migranti o in un campo profughi in una mitica isola greca). <o:p></o:p></span></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; white-space: normal;">
</div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><i><span style="background-color: white; color: #1d2129;">Day one . Yuri, Napoleone o Robinson</span></i><span style="background-color: white; color: #1d2129;">. Non so se provare ad immedesimarmi, qua solo a casa, con la mia metà dall'altro capo del mondo, in un astronauta chiuso in una navicella spaziale in orbita, che ne so un Yuri Gagarin (essendo in zona rossa mi pare una </span></span></div>
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><span style="color: #1d2129; font-family: "garamond" , serif;"><div style="text-align: left;">
<span style="background-color: white; background-position: initial initial; background-repeat: initial initial;">pregevole combinazione), oppure Napoleone a Sant’Elena, o al limite, se non avesse estremi connotati coloniali, Robinson Crusoe, ma senza Venerdì. O ancor meglio in uno scienziato solitario confinato per mesi in una base antartica. Come pensavano ogni mattina di affrontare la giornata. Napoleone con il suo servo: “vestimi lentamente che vado di fretta”, Yuri che osservava dall’alto il pianeta Terra o Robinson che cotto dal sole doveva inventarsi mille espedienti per tirare a campare. Lo scienziato che iniziava il suo ennesimo giorno di amore con il ghiaccio ed i suoi segreti. Io in cucina ad osservare stupito la fioritura dell'orchidea che avevamo dato per spacciata 4 anni fa. E che è li a ricordare che Madre Natura ha memoria, vive, sopravvive anche a quel che noi umani immaginiamo. Ah, no, c’è anche il classico soldato giapponese nella giungla, che pensava di fare la guerra dopo che la guerra era finita da decenni. Solo, confinato in una foresta ostile che imparò ad abitare. La guerra, per noi pacifisti e antimilitaristi non è solo un tabù, ma il male estremo. Fa specie allora notare quanto leggermente si usi il termine guerra in questi frangenti. Fa riflettere perché denota una pulsione alla forza, alla virulenza, alla potenza, in questo caso contro un nemico invisibile, minuscolo che sta fiaccando ogni linea di difesa ed ogni certezza. Non è una guerra questa, è una missione collettiva, comune per proteggere i deboli, gli esclusi, i vulnerabili ed i vulnerati. Restare a casa diventa così non una privazione, ma un atto d'amore. Per custodire la memoria collettiva, prenderci carico. Come fanno da millenni gli indigeni di ogni parte del mondo. Con lo sguardo verso il passato, quello degli antenati, e verso le generazioni future, che ogni azione di oggi andrà ragionata rispetto all’effetto che avrà sulle prossime sette generazioni. Guerra di cifre, di proclami, richiami allo stato di guerra, all’esercito per le strade, sospensione del Parlamento, maxicommissari. Ieri alla radio – ero uscito per portare la spesa ad una amica cara che è meglio che resti a casa – mi sono imbattuto in una trasmissione dove c’era uno che come un ossesso, come quel tipo della serie Homeland (che tra l’altro ha ripreso ieri per mio sommo conforto) urlava contro tutti, come per aizzare gli ascoltatori, chiedendo il pugno di ferro, che lo sapete altrove agli evasi gli sparano addosso. La nausea ha preso il sopravvento. Questa è la guerra. E poi chi pensa che i 20mila soldati USA arrivati per esercitazioni previste da tempo siano una forza di invasione. Chi pensa che il virus sia un’arma batteriologica. Ma voi siete così amanti della guerra da invocarla ogni istante? C’è chi fa la guerra per accaparrarsi l’ultimo rotolo di carta igienica, e chi nelle corsie di ospedale in silenzio senza tanti clamori combatte per salvare vite, con quel che ha, proprio come Robinson. Oggi credo che proverò a fare yoga nel salotto, per riprendere contatto con il mio corpo, respirare. Dipanare la confusione che i momenti gravi e solenni portano con sé, di un’era dove quelli che pensavamo essere i “watershed moments” quelli che chiudono un ciclo per aprirne un altro, si susseguono uno dietro l’altro. Le Twin Towers, Fukushima, il crack finanziario, ed ora il Coronavirus con una velocità unica. E provando a far luce, - come dice Leonard Cohen, in ogni cosa c’è una crepa attraverso la quale passa la luce, intravvedo altro. Come se ci fosse una realtà parallela, silente, operosa. Quella di decine di persone che come me la mattina si alzano e che – non per narcisismo ma per spirito di servizio. Condividono in questa piazza virtuale idee, riflessioni, stimoli per tenere allenata la mente. Ce ne sono tanti, uno dei miei compagni preferiti di viaggio </span><span lang="EN-GB" style="color: black; font-family: "calibri" , sans-serif;"><a href="https://www.facebook.com/Comuneinfo/?__xts__%5B0%5D=68.ARD90v6MYJHoy637Z2XM0al8XMHauiDSBvwMraTYqzGD8w5n_d-2BPkz-i-ssQxD4Xg4JpNIKqVvfJnFOndrt4l3OZeojKEp-HQ4gGQ0D_J4fmIcC2O1dVE4IglQrR_oxXLkm_FL_l1nP4PtpV0cur6guvCFXdu8POoE3D_YbJAOIhFNcJmpL9CzkXF7WXepiZ1nU8FYMIJpBw&__xts__%5B1%5D=68.ARD8E0LvpED2UDnWjlvQT0tj5Z_jmS-CSEBCOVG6SyXX-pgb4aZScyjc786EXud_oOd9a3fHdUS0Dyeo4jBwYMGqCzsptYwUX0MGyadUE_mn6IKnqgj3SLhFUSX6H5jFeQNbeNd_rvRJQL6TGfUuKkj-Tyy1sdedJgctZCtjrUn2EaiGBiuqiouKtpAnahjsJeCWDsAl95NVEA&__tn__=K-R&eid=ARAKpZjpFMHiPIW1GVjom0KQVClLNlcYY4GK1dVfD42mtwAipzlPlxI-dk06NV-kjXdst23AiMMWjkIr&fref=mentions" style="color: #954f72;"><span lang="EN-US" style="color: #385898; font-family: "garamond" , serif;"><span lang="EN-US">Comune-inf<span lang="EN-US">o</span></span></span></a></span><span style="background-color: white;"> sta raccogliendo decine di contributi, scritti, memoria ai tempi del virus. Ed è come se nello spazio virtuale si stia costruendo uno spazio di condivisione, ci si scambiano link, si commenta, si discute con persone che magari neanche conosci. Alla ricerca collettiva di un significato. Ci viene chiesto di non fare assembramenti, bene lo faremo, ma non qua. Questo luogo virtuale possiamo prendercelo, occuparlo, agirlo. Con lo scambio di idee, e con lo scambio di informazioni su come aiutare gli altri/e. Un foglio di carta con il tuo nome o interno da appiccicare all’ingresso del condominio per offrire aiuto. Gruppi di acquisto per farmaci, assistenza a distanza per gli anziani o i malati a casa. Il passaparola. Ne stanno spuntando a decine di iniziative simili. Allora se davvero si vuole parlare di guerra, la guerra tenetevela come un feticcio voi che la volete fare, o che pensate di contrastarla chissà come, che c’è un esercito di straccioni, senza armi, senza divise, un po' come gli Zapatisti, che reagisce alla guerra con la testa ed il cuore. Che guarda oltre l’ostacolo.</span></div>
</span><br />
</span><div class="MsoNormal" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 0.0001pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><br /></span></div>
<div class="has-drop-cap" style="color: black; font-size: medium; margin: 0cm 0cm 15pt; text-align: justify; white-space: normal;">
<span style="font-family: Verdana, sans-serif;"><b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;">Day Zero:</span></b><span style="color: #1c1e21; font-family: "garamond" , serif;"> </span><span style="color: #111111; font-family: "garamond" , serif;">Un sottile velo di carta o garza sul naso e la bocca come ultima frontiera. Questo viene da pensare oggi, dopo giorni di martellante informazione, di interessanti analisi ed elaborazioni sulla crisi del momento, quella del Coronavirus. Una crisi che ci sta mettendo in crisi come null’altro, poiché si abbatte o rischia di abbattersi sui nostri stessi corpi. Accantoniamo definitivamente le narrative della catastrofe, visto che da tempo – come ci dicono spesso inascoltati gli studiosi ed intellettuali decoloniali – gran parte dell’umanità vive in stato di apocalisse spesso anche a causa delle ricadute del nostro modello di vita. Su questo filo di carta o garza si gioca il destino, si snodano le questioni e le contraddizioni della biopolitica. Non c’è riuscito il climate change, che in fondo in fondo i nostri corpi non ne hanno ancora sofferto le ricadute. O meglio, qualcuno certo che le ha sofferte. Eccome. Dagli anziani che muoiono per il caldo, ai popoli impoveriti che muoiono senz’ acqua, o cibo, le loro terre sommerse dall’innalzamento dei mari, o nei territori abbandonati e marginali, ecosistemi che si sgretolano sotto il peso del fango o delle piogge inusuali. E’un tema di giustizia e biopolitica quello del climate change come anche questo COVID. Non a caso oggi i più vulnerabili sono proprio gli anziani, i malati. Guarda caso non nel Sud del mondo, ma comunque egualmente gli esclusi che la logica del mercato e della competizione dimentica giacché non “sani” o “produttivi”. Disposed o disposable lives direbbe Judith Butler, che devono fare i conti con un altro effetto nefasto del modello liberista, proprio come quegli anziani o esseri umani che muoiono di caldo o quei territori saccheggiati dalla legge dell’estrazione di profitto e della speculazione.Territori fisici, ecosistemi da una parte, zone di protezione, cura e rifugio dall’altra. Quelle della sanità pubblica che sconta il passaggio nefasto della logica dell’efficienza e del pareggio dei conti. Quel sottile velo di carta vorrebbe proteggerci, difendere il nostro corpo, ed invece è lì a dimostrare la nostra impotenza. Su questo aspetto sarà opportuno riflettere. Quando c’è una crisi di questa entità nei fatti si crea uno stato di eccezione dovuto all’eccezionalità della situazione. Non forse quello annunciato da Giorgio Agamben, in un suo articolo che – dato forse positivo in questo momento complicato e complesso – ha innescato un dibattito filosofico, politico e culturale di alto livello e del quale – secondo il principio orientale del fare della crisi una opportunità – si dovrebbe far tesoro. Non uno stato di eccezione à la Agamben però certo una situazione nella quale entrano in gioco vari livelli. C’è quello della scienza e dei “tecnici” che vengono chiamati in causa per informare le scelte della politica. C’è la questione dell’affidamento a quei protocolli, che forse nel nostro caso, quello di un virus sconosciuto e insidioso, lasciano un po’ il tempo che trovano. C’è l‘urgenza di proteggere anzitutto i più deboli e vulnerabili, cercando di contenere l’allargamento dell’infezione che andrebbe a mettere a dura prova un sistema sanitario fiaccato da anni di tagli e privatizzazioni. C’è la questione di una presa di responsabilità collettiva. Ma ci sono altre cose che in questi giorni attraversano la mente ed i pensieri, persi come siamo in una quotidianità anfibia, nella quale cerchiamo di mantenere il nostro essere esseri sociali, che si occupano e preoccupano dell’esistente, mentre quel che ci viene chiesto è di rinunciarci, di chiuderci in noi stessi. Senza abbracci, senza gesti di affetto e simpatia. Aggiungendo un’ulteriore frontiera tra i nostri corpi e gli altri, tra noi e gli ecosistemi fisici, culturali, immateriali che danno senso a quel che siamo. Come far tesoro di questa nostra quotidianità allora e di una situazione che rischia di protrarsi per mesi? Continuiamo solo ad affidarci agli esperti? Andrebbe forse letto o riletto uno splendido saggio di Ivan Illich , dal titolo “Medical nemesis” sulla medicina e su come provare a restare pazienti emancipati, nonostante i protocolli e le terapie. Allora se volessimo adattare l’intuizione di Illich al nostro corpo o ai nostri corpi ora, lo scarto tra ciò che va doverosamente fatto e ciò che può essere comunque fatto risulta evidente. Va contenuta certo la diffusione del virus anzitutto per proteggere i più vulnerabili, ma questo presuppone esclusivamente l’ordine calato dall’alto di NON fare determinate cose? Di rinunciare al nostro essere persone che si relazionano con l’altro? Per salvare l’altro ci dobbiamo rinchiudere in noi stessi, nell’angustia delle nostre case, delle nostre paure? Questo mi pare il bivio che potrebbe fare di questa crisi una opportunità inedita, o di trasformarla nel colpo definitivo assestato dall’individualismo, ed alla perdita del senso dell’altro. Per far si che il secondo aspetto prevalga sul primo però c’è bisogno di un netto cambio di passo. Andrebbe recuperato, o per lo meno riconosciuto il contributo in “positivo” che ognuno di noi può dare soprattutto verso i più vulnerabili. Andrebbe, se non incentivato direttamente, per lo meno agevolato il lavoro di “cura”, il recupero del senso politico della “cura”, la riappropriazione della cura non come protezione calata dall’alto, ma come pratica che dia senso all’essere umani. E’ quello che Donna Haraway, grande filosofa femminista chiama “making kin”, ricostruire nessi di familiarità allargata.Non è questo lo spirito che riflettono gli atti d’urgenza del governo. Nessuna possibilità viene contemplata se non quella di non fare determinate cose, di accettare la dissoluzione di spazi di socialità e di relazionalità, piuttosto che offrire anche la possibilità di essere soggetti agenti e non recettori passivi di ricette e soluzioni calate d’alto. La crisi non dovrebbe tradursi in cancellazione della nostra “agency”, sia nel preoccuparci e occuparci dell’altro, che nella possibilità di occupare con i nostri corpi spazi pubblici come atto politico e di rivendicazione. Ed allora o questo verrà agevolato o dovremo riprendercelo, appropriarcene con intelligenza e responsabilità. Toglie l’aria dai polmoni la sequela di eventi, iniziative, manifestazioni cancellate d’un colpo, mobilitazioni per cause giuste vengono di fatto annullate dall’imperativo della sicurezza. Che sia l’orrore dell’uso di altri corpi, migranti come arma di guerra sulla frontiera greco-turca, o la detenzione di un corpo dissidente, in Egitto, di Patrick Zaky che lotta per il riconoscimento del diritto alla diversità. Ed è paradossale che proprio l’atto politico più importante per riaffermare la centralità della cura, lo sciopero transfemminista di Non Una di Meno, venga proibito proprio per prevenire rischi a chi dovrebbe essere “curato”. Però un punto resta, sul quale è necessario essere vigilanti, proprio per non consegnarci come sudditi nelle mani di chi governa. La tensione tra diritto alla salute e diritti civili non ci permetterà – a noi “sani” – certo di scegliere tra uno e l’altro giacché il primo imprescindibile da rispettare riguarda i più vulnerabili (e non solo) però autorizza a non accettare supinamente il tentativo, più o meno consapevole, di toglierci non solo spazio fisico, ma anche politico e sociale. Giacché la storia insegna quanto sia facile per il potere rosicchiare spazi e quanto sia difficile poi tornare indietro. I militari che ancora presidiano mitra alla mano obiettivi critici e stazioni della metro, per vigilare contro nemici immaginari sono là a dimostrarlo in maniera forse paradossale se non grottesca. Ovviamente toccherà essere creativi ed intelligenti per contribuire a contenere il diffondersi del virus come quegli spagnoli che per aggirare la ley Mordaza ed il divieto di manifestare fecero una manifestazione virtuale proiettandola per strada con una sorta di ologramma. O come hanno fatto i Fridays for the Future e Non Una di Meno venerdì scorso a Roma, connettendosi materialmente e simbolicamente con un filo fucsia a rigorosa distanza di sicurezza. Questa tensione va coltivata, orizzontalmente e verticalmente, nel rapporto non acritico e non passivo verso lo stato, elaborando anche pratiche responsabili di attivismo e mobilitazione, ed orizzontalmente, provando a costruire opportunità di “cura”, di attivazione di relazioni, di produzione del “comune”. E poi apriamo la mente all’inimmaginabile. Immaginiamo cosa potrà essere il dopo, Nulla sarà come prima si dice, Allora pensiamo che sia un destino ineluttabile, o il nulla come prima ci porterà – se sapremo cogliere questa occasione attraverso la scelta di essere soggetti agenti ed allo stesso tempo responsabili – ad una possibile uscita da quello che il pianeta pareva dovesse essere prima? Il fatto che le città si svuotino di turisti va visto solo come una maledizione o anche come la prova che rallentando o interrompendo cicli di estrazione di valore, possa riaffiorare un’altra città, a misura d’uomo? Il fatto che si rallenti la capacità produttiva, o la velocità nella quale siamo abituati a vivere, o anche gli stessi consumi, e si riducano le emissioni di gas-serra non potrebbe essere occasione per rimettere in discussione il paradigma dominante? In tempi di crisi ci si organizza, si crea solidarietà, mutualismo si sperimentano formule fino ad allora impensabili. Che questa crisi, che sta rallentando il sistema produttivo, economico e finanziario porti con sé l’opportunità per un futuro migliore? Può darsi che questo possa essere o non sarà, ma l’atto di maggior responsabilità oggi è senz’altro quello di non lasciare spazio alla rassegnazione o al pessimismo. Iniziando a strapparci dal viso quell’ inutile maschera immateriale che ci nasconde e divide da noi stessi e dagli altri. <o:p></o:p></span></span></div>
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Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-92101844238821324592018-05-30T02:11:00.002-07:002018-05-30T02:11:41.011-07:00Democrazia dal basso e diritti umani altro che mercato o patria sovrana<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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Eppure, eppure, volete sapere come la penso su come uscire da "sinistra" quella vera, radicale da sto guazzabuglio? Sarà che ieri vedendo un bellissimo documentario su due storiche ambientaliste brasiliane, Magda Renner e Graciela Castro, due signore azzimate che si scagliavano come furie contro la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale mi sono tornati alla mente pezzi importanti della mia storia. E che era vi confesso il mio sogno nel cassetto qualora fossi stato eletto presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, cosa ahimè mai avvenuta illo tempore per mosse e contromosse tattiche e strategiche, ossia di fare un'indagine conoscitiva sulle ricadute della Finanziaria sui diritti umani. Vabbé acqua passata. </div>
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Sarà ma forse invece di cianciare o commentare su piani fantasmagorici, tipo facciamo schizzare lo spread attraverso l'aumento della spesa, senza copertura, per sostenere flat tax e reddito di inserimento, e di conseguenza portare de facto il paese fuori dall'Eurozona, che poi a quanto pare quello era l'obiettivo (e chissà chi ci guadagna alla fine eh, bastava sentire ieri sera quella mammoletta di Steve Bannon, che si è insediato in una stanza di hotel da qualche parte nel Belpaese, insomma una sorta di Luttwak del terzo millennio) , ci sarebbe qualcos'altro da poter fare a mio modesto avviso. </div>
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Primo impegnarsi immediatamente per rimuovere il vincolo del pareggio di bilancio dalla Costituzione. C'è una campagna di raccolta firme dal basso, ma forse in troppo pochi lo hanno percepito. </div>
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Per rinfrescarci la memoria:<br /><a data-ft="{"tn":"-U"}" data-lynx-mode="origin" href="https://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.coordinamentodemocraziacostituzionale.it%2Fportfolio-items%2Fproposta-di-legge-costituzionale%2F&h=ATMUlRsj-UrMa7VvKLNmub_X_Gllfn-4bFP0vTgtoRE2-4QKMmd4Z32HMYQSUHRVim4dvnciXajlk0cUjD0rXAaS4STSTRebLDCLPaCFEpz8qN8yhFG2Tgu_81UEbSywqG2nA86z" rel="nofollow" style="color: #365899; cursor: pointer; font-family: inherit; text-decoration: none;" target="_blank">http://www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it/…/prop…/</a></div>
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Secondo, fare un audit del debito del paese per capire la composizione, e la storia pregressa, condizione necessaria per il terzo passo. Quello di un "orderly debt workout" ossia, una sorta di negoziato arbitrale nel quale si decide cosa non pagare e cosa invece va pagato.<br />Attac Italia ne parla da anni. In Grecia si istituì una Commissione sul Debito, perché qua no? </div>
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E poi si va alle Nazioni Unite, precisamente al Consiglio ONU sui Diritti Umani e si dice: noi ci impegnamo a non intaccare la spesa pubblica che vada ad assicurare i diritti fondamentali dei cittadini e di chi vive nel paese. bianchi o neri che siano. Non invece a favorire i ricchi con la flat tax. Che proprio voi Nazioni Unite avete detto che il servizio del debito o dei vincoli macroeconomici non può andare a discapito dei diritti umani fondamentali. E poi sarei andato alla Corte Europea di Giustizia ad aprire il contenzioso. </div>
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Ossia, io così avrei fatto, e detto, e questo proporrei come approccio ed uscita "da sinistra" non mettendo davanti o giustificando un vecchio trombone come sto Savona, colluso con poteri forti in passato. E che lo lasciamo ai populisti di destra il tema del debito? Essù.<br />Proverei a trarre ispirazione dalle proposte e dalle pratiche che vengono dai movimenti sociali, quelli veri. Non quelli virtuali dei social. E ciliegia sulla torta inviterei in visita ufficiale in Italia l'esperto indipendente del Consiglio ONU sui Diritti Umani ed il debito, perché fornisse proposte di lavoro sulla scorta di quanto già deciso ed approvato dall'Assemblea Generale dell'ONU. E che guarda caso proprio di recente ha presentato le sue proposte per affrontare le ricadute delle politiche macroeconomiche e di austerità sui diritti umani fondamentali, ma pare che sia sfuggito a sti soloni della patria sovrana da destra e da sinistra. </div>
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Questo significa rivendicare uno spazio di agibilità nazionale (come si chiama "fiscal space"), con un impatto globale, di contributo ad un riequilibrio dei rapporti di forza tra debitori e creditori e per uscire dalla gabbia dell'approccio macroeconomico e finanziario nella gestione del debito pubblico. Una sorta di recupero di uno spazio di agibilità nazionale ma con connotazioni globali e solidali, non di chiusura negli angusti spazi dello stato nazione, o per contrasto di fede illimitata negli equilibri macroeconomici dell'Eurozona. Provare per credere: </div>
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Allora compagni e compagne, invece di prendersela con Mattarella, o con Cottarelli o con chi di turno, e partecipare a questa commedia degli errori, si è disposti a fare un salto ed uscire dalla cornice culturale e tecnica propria del liberismo e spostare tutto su un altro piano? E promuovere una vera mobilitazione dal basso per riappropriarci del tema del debito, della finanza e dei diritti fondamentali? Boh io modestamente farei così. Altro che Fronti Repubblicani di tutela della costituzione (che alla fine sto pareggio di bilancio là sta eh) , gazebo, marce su Roma o altro. Alle persone comuni, quelle che sono spaventate e che oggi sono attratte dai faccioni di Salvini e Di Maio, che si sentono insicure si deve dire che un altro modo per uscire dalla paura è possibile, mettendole al centro, non pretendendo di agire per loro conto. Mettendo al centro i loro ed i nostri diritti non la nazione, la patria, la sovranità, un'Europa che non ancora esiste buona o matrigna o chessoio.</div>
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Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-86467294399362235432017-10-01T01:38:00.000-07:002017-10-01T01:38:03.461-07:00Politica dello spettacolo e le sottotracce della resistenza civile<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">Sono appena rientrato da due giorni intensi, prima a
Ferrara, dietro le quinte del Festival di Internazionale, per condividere
riflessioni e proposte di lavoro sul tema della criminalizzazione della
solidarietà assieme a Medici senza Frontiere. E prima, incontrato i miei amici
di Survival International, ed il loro “ospite”, un rappresentante di una comunità
tribale indiana, minacciata, guarda caso, da progetti di conservazione della
natura. Ho osservato con silenzio, cercato di capire cosa si stesse muovendo in
quella città quei giorni. Uno scambio fertile di idee, di storie, di
iniziative, da quelle ahimè inaccessibili per me arrivato all’ultimo momento,
avrei ascoltato assai volentieri Erri de Luca ad esempio. Non tanto Varoufakis
che tanto so già che dirà. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">La soluzione di ripiego non è stata meno intensa.
Nei sotterranei del castello Estense era in programma un documentario sulle
migranti latinoamericane negli States, e la violenza sessuale. Vado
incuriosito, immagino di vedere un documentario, ed invece gli schermi neri,
riportavano solo la traduzione del sonoro. Una sorta di audiodocumentario, con
le voci spezzate delle donne violate, la voce narrante che offre informazioni
di contesto. La scelta di non dar volto, per far sì che quelle storie non restino
ancorate a persone specifiche ma raccontino la violenza e l’abuso cui sono sottoposte
le donne, latinoamericane, in questo caso, (e non solo oltrefrontiera) ma non
solo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Dietro le quinte del potere e
della violenza di sistema. Donne che vengono violate nei corridoi del potere,
negli anfratti, una violenza che si insinua nei luoghi nascosti. E in un luogo
nascosto, un sotterraneo, viene raccontata. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">Ho sempre amato seguire gli eventi
che fossero Forum Sociali, o incontri del tipo di quello di Ferrara seguendo le
sottotracce, cercando di immaginare un codice narrativo che non fosse
necessariamente quello proposto dal programma “ufficiale”. Per me ultimo
arrivato, non avvezzo all’evento, resta certo il rimpianto di non aver
ascoltato Angela Davis, o altre star. Ma resta solo tale, un rimpianto che
potrò superare facilmente. Invece è interessante esplorare il dietro le quinte.
Ero molto incuriosito di ascoltare Amitav Gosh, intervistato da una grande
giornalista ed amica di decenni, Marina Forti, ed invece sono rimasto fuori.
Anche lì seppur fuori dal “pubblico” dalla “platea”, ad ascoltare parole
importanti, senza che alle parole corrispondesse un volto. Ero solo, chi non è
riuscito ad entrare se n’era andato, confondendo lo stare in platea con l’ascoltare.
Tant’èm <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Gosh ci ha regalato, mi ha
regalato, seppur attraverso un altoparlante collocato fuori in cortile, parole
importanti, giustizia climatica, migrazioni, decolonialità. Ci ha ricordato che
i migranti nono sono vittime ma soggetti che si imbarcano con coraggio in un
percorso migratorio, ed il paradosso della tecnologia moderna che estrae valore
dalla terra, produce effetto serra, ed allo stesso tempo innesca in chi decide
di lasciare il proprio paese una crisi del “desiderio”. Regala immagini
artefatte di una realtà ambita e che in fin dei conti li tratterà come uomini e
donne di scarto. Di questo ho sentito parlare nelle sottotracce, nei luoghi
senza volto, o nei sotterranei dell’evento principale. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">Con MSF abbiamo discusso
di come oggi chi soccorre esseri umani viene considerato un criminale, un’altra
vita di scarto, tra legalità e legittimità di atti di disobbedienza. Judith
Butler le chiama “disposable lives”, vite che possono essere scartate, usa e
getta. Vite i cui diritti sono considerati scarto dalla realpolitik, dagli
interessi geopolitici e strategici. Lo dice assai bene Naomi Klein nel suo
intervento al congresso del Labour Party pubblicato oggi da Il Manifesto, la
chiama “gig-economy” (che tratta gli esseri umani come fonti di ricchezza da
esaurire per poi scartarli) e la connette giustamente alla “dig-economy quella
che trivella, estrae combustibili fossili, e altera gli equilibri climatici. Nè
più e né meno quel che ci diceva Amitav Gosh che si interroga sul perché il “climate
change” non è un tema trattato da chi scrive e fa cultura. E resto convinto che
sia in questi sottotraccia che si costruiscono le fondamenta della politica, e
dell’impegno. Nel lavoro paziente, difficile, silenzioso di chi quotidianamente
opera per i diritti umani, nello sforzo di comprendere, articolare, offrire una
contronarrazione, a quella che vuole vederci ossessionati dalla paura dell’altro,
dalla prevalenza del nostro interesse rispetto alla dignità delle persone. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">Questo il sottotraccia del workshop di Amnesty International al quale ho
partecipato con il piacere e l’emozione di trovarmi a casa mia (il prossimo
anno segnerà un trentennale, quello del mio inizio del percorso di attivismo
che mi ha portato qua dove sono, tra Greenpeace ed Amnesty International
appunto).<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Persone, esseri umani, che
mettono a disposizione il loro tempo e le loro energie migliori. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times New Roman",serif; mso-ansi-language: IT;">Non posso non
riflettere su un punto. E l’ispirazione me l’ha data un denso articolo che sto
leggendo su La Linea del Fuego, un sito di politica e cultura latinoamericana, ed
in particolare dell’Ecuador. L’articolo riguarda la teatralità del potere e
della politica. La messa in scena, la spettacolarità della politica. Dice “ un
progetto condannato al fallimento consiste nel montare una messa in scena, con
la plasticità e forza sufficiente non solo per convincere ma anche per illudere
gli spettatori”. Ed ho pensato alla noiosa e scontata pletora di dichiarazioni
controdichiarazioni, passi avanti , passi indietro, teatri, assemblee, palchi e
contropalchi, platee, pubblico, interviste, ritorni in scena, feste e
iniziative che si susseguono nei mille rivoli di quella che ci si ostina a
chiamare sinistra. Ed a pelle continuo a sentire uno scarto insopportabile, tra
il mondo del sottotraccia, quella linfa vitale di resistenza e “ribellione”, orfana
di rappresentanza, o forse ormai convinta di non averne bisogno , e la buccia
esterna del dibattito politico. Spettacolare, anche se dice di non esserlo. O
forse “immagine senza sostanza”, “imago sine re”. <o:p></o:p></span></div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-57370932761329120522017-09-16T01:29:00.001-07:002017-09-16T01:30:23.766-07:00Oltre la linea di trincea<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br /><div class="entry" style="border: 0px; color: #444444; font-family: 'Open Sans', Arial, sans-serif; font-size: 16px; line-height: 1.5em; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
<div style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
L’innalzarsi delle acque che travolge tutto, storie, vite, passioni, e sforzi. <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Pioggia battente che sferza e condanna intere comunità a restare sospese tra la terra e il cielo.</strong></span> Tra la terra ed il cielo, in quello spazio liminale scandito da secondi interminabili si rimescolano priorità, <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">scompaiono le differenze, l’essere umano è nudo di fronte alla forza della grande Madre.</strong></span></div>
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
Ero solo un paio di settimane fa in Florida, nei luoghi colpiti da Irma, Naples, Marco Island, le Keys, <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Miami</strong></span>, e rivedere quei luoghi prima vivi ora sott’acqua desta una certa impressione. Non che non faccia impressione vedere le devastazioni causate da altri fenomeni climatici estremi nei Sud del mondo. <span style="border: 0px; color: #333333; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">È che esserci stato, e vedere ora quelle strade sferzate dal vento, dall’incombente minaccia, del prima e di ciò che sarà dopo, fa venire a pensare. </span>Quello spazio infinitesimale tra il livello delle acque che salivano e il soffitto di un sottoscala dove viveva una famiglia di <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Livorno</strong></span>.</div>
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: #333333; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Uno spazio che separa il prima dal dopo. </span>La sempre lucidissima Rebecca Solnit, nel suo ultimo editoriale per Harpers dice che<span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"> l’oggi è per definizione</strong> <strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">l’istante tra il “non ancora” e il “già” un attimo insidioso come una corda tesa.</strong></span> A pensarci bene oggi noi stiamo vivendo su una corda tesa. Tesa dalle circostanze, dalle primordiali volontà politiche, dalle pulsioni quasi medievali, contro l’altro, qualsiasi altro esso sia, una donna, un uomo da un altro paese, una trans, un altro qualsiasi. <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Camminiamo, esitando su una corda tesa tra il non ancora e il già.</strong></span></div>
</div>
<div class="_39k5 _5s6c" style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">
<div style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">
<div style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">
<br /></div>
<div style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Quel confine sottile</strong><span style="border: 0px; color: #333333; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">, come il vetro di un’ampolla, il margine ultimo</span><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"> oltre il quale entriamo nel già.</strong></span> Già siamo una società abituata al razzismo? Già viviamo una condizione di solitudine disperante, nella quale l’<em style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">hate speech</em> e le false verità aizzano, plasmano, creano consenso intorno a quel “non ancora”, sempre più drammaticamente prossimo? <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Forse siamo già oltre, forse alle promesse disattese di benessere e felicità del liberismo e del consum<span style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">o</span></strong><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">, si è andato via via sovrapponendo uno strato immondo di odio, di risentimento,</strong></span> di feroce mancanza di rispetto per l’altro. E per la Madre Terra, che oggi di nuovo ci presenta un salatissimo conto.</div>
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Quelle acque che oggi debordano e sommergono tutto e tutti sembrano essere le acque che lentamente, con un processo certosino di taluni media<span style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">,</span></strong><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><em style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">spin-doctor</em> dell’odio, uso sapiente e diffuso dei social network, meme, troll, hanno riempito il contenitore svuotato delle false illusioni</strong></span>. Già siamo oltre il livello limite, come se a un certo punto, quest’estate, con le vite annegate in mare, fosse annegata anche la linea rossa, che pensavamo invalicabile. O forse speravamo lo fosse.</div>
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
Dov’è oggi quel limite? Come far rientrare il genio nella bottiglia? Lavorando di retroguardia, provando a tamponare la falla, accettando però che ormai tale linea invalicabile possa essere dimenticata? Abbassando così ulteriormente il livello del limite? <span style="border: 0px; color: #ff6600; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;"><strong style="border: 0px; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">Oggi siamo già oltre, e ci affanniamo a cercare di ricostruire un senso per provare ad allungare e proteggere quel non ancora. Questa è oggi la linea di trincea.</strong></span></div>
</div>
<div style="border: 0px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 1.2em; outline: 0px; padding: 0px 0px 0px 5px; vertical-align: baseline;">
<span style="border: 0px; color: white; margin: 0px; outline: 0px; padding: 0px; vertical-align: baseline;">.</span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-22764378177918686342017-08-29T02:50:00.001-07:002017-10-01T01:50:27.130-07:00Il labirinto, i barbari e Bob Dylan<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
<div style="text-align: justify;">
<br />
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
<span lang="IT" style="font-family: "calibri" , sans-serif; font-size: 14pt;">I</span><br />
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<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">In un paese dove </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">se senti strillare per strada giù le mani dai bambini pensi, </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">beh stanno </span><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">chiedendo giustizia per i bimbi del coro di Ratisbona ed invece</span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">ti trovi di </span><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">fronte ad una masnada di fanatici anti-vax, a chi salva vite </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">umane si dà</span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"> </span><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">del criminale fino a prova contraria, che brucia in continui </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">autodafé Costituzione, diritto e </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">diritti, che brucia per il climate change, </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">che Maduro ce l'ha più duro, o che </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">stiamo con i “democratici” foraggiati </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">dalla CIA, che al popolo si deve </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">dare in pasto carne sempre più fresca, che quando il saggio indica la </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">luna tutti guardano dall'altra parte, manco più al dito, che i vecchi e nuovi </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">fascismi avanzano, e le sinistre si accapigliano in </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">sinistrissimi discorsi di </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">architetture improbabili, geometrie variabili, che una ragazzina muore </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">fulminata dall'MDMA e migliaia di ragazzi e ragazze un pò più cresciutelli </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">se ne vanno via da questo paese in cerca di fortuna, che migliaia di</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">ragazzi e ragazze cercano di arrivare in Europa in cerca di miglior sorte, che
pensa ancora di essere un paese di eroi, navigatori, guerrieri e santi, perché
sennò ci si continua ad armare fino ai denti, che nega il diritto di
cittadinanza a chi ci nasce e cresce, paese di sempre più poveri e sempre
più ricchi i ricchi, insomma uno scenario quasi medievale, si deve fare uno
sforzo per ritrovare senso. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Forse anche </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">guardando a ritroso, affidandosi alle parole, ai versi, alle storie</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">piuttosto che alle ideologie. </span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Nei giorni </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">scorsi due brani mi hanno particolarmente colpito, a parte il titolo di un</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">saggio su Bakunin "Il demone della rivolta" che da tempo mi interrogo
su quel demone, quel diavoletto che continua a covare in molti e molte di noi,
che ricacciamo dentro forse per paura o convenzione, e che forse oggi è
assai necessario, non una rivolta di sangue, ma di cuore e testa, di atti
e fatti. </span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Il primo è un </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">brano da un racconto di Emma Goldman, "The Maze!" pubblicato su</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Harper's nel dicembre 1934, il labirinto nel quale lei - anarchica - arriva in
America come tanti altri ed altre migranti, arriva nella terra promessa e
scopre tutte le sue contraddizioni, la democrazia di facciata, la fede
incondizionata in una Costituzione che non impedisce a quel paese di fare
guerre in giro per il mondo. “The Maze” si chiude con una sorta di appello alle
giovani generazioni</span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">" </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">I giovani non hanno ancora imparato che i problemi che li affliggono possono</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">essere risolti solo da loro stessi, ed andranno risolti sulla base di una
libertà economica e sociale in cooperazione con le masse in lotta per il
diritto ad avere voce in capitolo ed alla gioia nella vita. Considero
l'Anarchismo la filosofia più bella e pratica finora immaginata nella sua
espressione individuale, nella relazione che stabilisce tra l'individuo e la
società. Inoltre, sono certa che l'Anarchismo sia troppo vitale e prossimo
alla natura umana per morire. Credo che la dittatura, sia essa di destra o di
sinistra, non potrà mai funzionare, non ha mai funzionato e la storia lo
proverà ancora come è stato finora. Da questo punto di vista, è assai probabile
una recrudescenza di idee Anarchiche nel futuro prossimo. </span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Quando </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">ciò accadrà, credo che l'umanità per lo meno lascerà il labirinto</span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">nel quale si è persa ed inizierà un cammino verso un vivere sano e verso </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">la propria rigenerazione attraverso la libertà". </span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">E poi Costantino </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Kavafis, quello di Itaca, quello che ha provato a riscrivere la storia, quella </span><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">dei miti e delle epopee dalla parte degli ultimi, dei vinti, dei re un pò</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">“sfigati”, si direbbe oggi. Una poesia in particolare mi ha colpito assai:
"Aspettando i barbari"</span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">che aspettiamo , raccolti nell'agorà?</span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Oggi devono arrivare i barbari</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">- perché è così inoperoso il Senato? E perché siedono senza far leggi i senatori?
</span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">oggi arrivano i barbari. </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Che </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">leggi devon fare i Senatori?</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Quando </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">verranno, faranno leggi i barbari</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">- </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">perché l'Imperatore s'è alzato così presto</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">e </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">sta alla porta maggiore della città</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">solenne</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">in trono, e indossa la corona? </span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">oggi arrivano i barbari</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">E </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">l'Imperatore aspetta di ricevere</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">il </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">loro capo, Anzi ha disposto</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">di </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">offrirgli una pergamena, sulla quale</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">gli </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">ha scritto molti titoli e nomi</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">- Perché stamani i due consoli e i pretori sono usciti con toghe rosse ricamate? </span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">indossano bracciali colmi di ametiste e anelli con smeraldi splendidi e</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">lucenti? </span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">oggi impugnano le preziose mazze </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">dai </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">raffinati ceselli d'argento e d'oro?</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">oggi arrivano i barbari;</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">e </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">queste cose abbagliano i barbari. </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">- </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché i valenti retori non vengon come sempre </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">a </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">fare i loro discorsi a dire le loro cose? </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">oggi arrivano i barbari, </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">e</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">hanno a noia concioni ed eloquenza.</span></i><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">- </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché questa inquietudine, d'un tratto, </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">questo </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">scompiglio (Come si sono fatti seri i volti.)</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">si svuotano in fretta strade e piazze</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"><br /></span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">e </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">tutti tornano a casa pensierosi?</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Perché </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">si è fatta notte, e non son venuti i barbari. </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Messaggeri </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">son giunti dai confini</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">e </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">han detto che non ci sono più i barbari</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">E </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">ora, senza barbari, che sarà di noi?</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Era </span></i><i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">una soluzione, quella gente.</span></i><span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;"> "</span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">E last but not
least, finalmente ho comprato Blood on Tracks del premio Nobel per la
letteratura, affascinato soprattutto dalla splendida "Simple Twist of
Fate", ma anche da "Tangled up in Blue", che chiosa con questi
versi: </span><span lang="IT" style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">"All the people we used to know</span></i><span style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">They're an illusion to me now</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Some are mathematicians</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Some are carpenters' wives</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Don't know how it all got started</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">I don't know what they're doin' with</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">their lives</span></i><span style="font-family: -webkit-standard, serif; font-size: 14pt;"><o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">But me, I'm still on the road</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Headin' for another joint</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">We always did feel the same</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">We just saw it from a different point</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Of view</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i><span style="font-family: sans-serif, serif; font-size: 14pt;">Tangled up in blue"</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
<div style="margin: 0cm 0cm 0.0001pt;">
</div>
</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-29885528030161532372017-08-29T02:49:00.001-07:002017-10-01T01:39:18.978-07:00Dalla parte del mondo <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Credo che mai come ora il termine "biopolitica" sia adeguato a rappresentare le sfide che ci troviamo dinnanzi. Veniamo continuamente sollecitati dagli eventi, certamente non casuali, su scala globale a prenderne atto. Stavo pensando a come la politica si debba ricostruire intorno agli elementi centrali della biopolitica, del diritto alla dignità ed all'avere diritto, per ogni essere vivente. Che paradosso quello di un mondo che blinda ancor di più le frontiere alle persone, e che ogni giorno viene sconvolto dagli effetti dei mutamenti climatici, che travalicano le frontiere degli stati! </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Eppure quest'è. L'Antartide che si scioglie in acqua, e le acque del Mediterraneo che sempre più assomigliano ad una muraglia impenetrabile. C'è molto di più della questione dei rifugiati ambientali o climatici. C'è la trasformazione di una delle fonti della vita stessa, in minaccia, in arma di deterrenza, ultima frontiera dopo la sua mercificazione. La terra, l'aria, l'acqua, dapprima merci diventano ora minaccia, fronti di guerra, guerreggiata o meno. Stavo rileggendo alcuni brani di scritti di Alex Langer, e la prima cosa che mi è passata per la testa è quella di evitare che anche il suo pensiero e le sue pratiche diventino oggetto di commemorazione. Che il suo ricordo resti quello di un sognatore o di un illuso. Invece in quelle tracce credo si possa scoprire qualche indizio importante sulle due urgenze che la politica dovrebbe far proprie. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Quella appunto delle migrazioni, di come esseri umani attraversano frontiere e di come quelle stesse li attraversano, il tema della nuda vita, da rivestire progressivamente degli abiti dei diritti e della dignità. Del diritto inalienabile alla mobilità, dell’umanità come matrice attorno alla quale ridisegnare società giuste, processi di convivenza pacifica e dolce, le stesse relazioni internazionali, ed il significato stesso di stato-nazione, abbandonando tristi e tragiche suggestioni securitarie, per garantire il rispetto dei diritti di tutti e tutte, di ognuno alla cittadinanza, ad una vita degna. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
E quello della giustizia ambientale e climatica. Forse siamo al punto di non ritorno, o poco prima, allora anche in questo caso, la questione climatica non può essere un annesso, un emendamento a qualsivoglia proposta politica, ,ma dev'essere centrale, paradigmatica, deve essere la matrice intorno alla quale rimodellare processi produttivi, stili di vita, la relazione tra umani e la Madre Terra, la decentralizzazione, la rivendicazione e riconoscimento dei "commons", superare il modello estrattivista e spingere il mercato al margine delle priorità. Si parli prima di questo e poi di lavoro, lasciandosi dietro linguaggi e approcci che mi sembra appartengano davvero al secolo scorso. Si metta prima al centro la nostra stessa sopravvivenza per poi disegnare attorno a questo possibili strategie. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Insomma, ciò a cui la politica dovrebbe contribuire è un nuovo patto di coabitazione dolce tra umani e tra umani e la Madre Terra. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Mi piacerebbe tanto ascoltare questo tipo di ragionamenti, invece di leggere noiosissime e scontatissime discussioni, sul calcolo numerico o l'analisi del sangue di platee, fori, processi, eventi, teatri, piazze. Su coalizioni o nuovi soggetti. Poi certo ci si mette un tocco di verde che tanto non guasta, magari ci si può addirittura riciclare un modello capitalista fallito e fallimentare. O parlare di migranti, che ormai bene o male ne parlano tutti. Sono quelle parole passe-partout che se non le poni del giusto contesto perdono il loro significato profondo, in inglese si definisce "lip-service", sono argomenti, non urgenze. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Nel frattempo da queste parti, a 80 kilometri dalla frontiera con la Corea del Nord, ha preso il volo un missile . si dice intercontinentale - una ipotetica minaccia agli Stati Uniti, forse una possibile "pistola fumante" per qualche altra folle avventura militare. O alla fine della fiera più banalmente un gioco del gatto al topo.</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-5611156601631609512017-08-29T02:48:00.001-07:002017-08-29T02:48:41.372-07:00giochi di guerra atti di pace<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in alcune vecchie foto, in bianco e nero, scattate nel lontano 1979, avevo poco più di diciotto anni, ed ero assieme ad un gruppo di pacifisti, antimilitaristi e nonviolenti che decisero quell’estate di attraversare l’Europa e protestare contro la NATO ed il Patto di Varsavia. Partimmo da Bruxelles, facendo una catena umana intorno al quartier generale della NATO e dopo varie tappe attraverso basi NATO in Belgio, Olanda e Germania arrivammo a Berlino. C’era ancora il muro, e ci sedemmo a cavallo della linea che separava Berlino Est da Berlino Ovest per bloccare - formando un enorme simbolo della pace (che poi significa Disarmo Nucleare in verità) - il Checkpoint Charlie. Ci sono voluti una manciata di minuti per i Vopos, la polizia di frontiera della Germania Est, e la Military Police degli Stati Uniti per prenderci e trascinarci via senza tanti complimenti. Eravamo fisicamente e non solo stretti tra due fuochi. Gli anni sono passati, sono passate guerre, da quella nei Balcani, eravamo sdraiati dietro al Colosseo per protestare contro i bombardamenti NATO, quella del Golfo, quasi sembrava ci volessero sparare addosso gli addetti dell’ambasciata irakena quando con un manipolo di attivisti di Greenpeace in tuta bianca e maschera antigas avevamo aperto uno striscione contro la guerra. La guerra in Afghanistan, eravamo andati fino a Washington per fare – sotto una tormenta di neve - un’ispezione di “popolo” in una base USA dove erano stoccate armi chimiche, e quella in Irak, milioni di persone in piazza. E poi la Siria, e tutte quelle guerre che non hanno mai smesso di uccidere. E la Libia, a quarta guerra italiana in Libia che la prima addirittura ci fecero un gioco da tavolo.</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Gli anni sono passati, e con loro fiumi di inchiostro per catalogare, definire, spiegare, giustificare la guerra, per fare la radiografia di questo o quel movimento. Quel muro sul quale avevo pisciato non c’è più, ma le armi nucleari restano anzi aumentano, e dopo la crisi ucraina il rischio di una nuova guerra fredda è lì dietro l’angolo. Ad un certo punto però si pensò si immaginò un dividendo di pace, il disarmo avrebbe liberato enormi quantità di denaro per la pace e lo sviluppo del pianeta. Non è stato così, anzi la distruzione degli ecosistemi, l’aumento delle diseguaglianze, e delle violazioni dei diritti umani va di pari passo con l’aumento della spesa militare ed il moltiplicarsi dei conflitti. Un tragico bilancio di sangue che i social media oggi portano drammaticamente nella nostra quotidianità, in maniera compulsiva, ripetitiva, quasi a volerci dare assuefazione. La realtà ci sembra insormontabile, per noi costruttori di pace e di ponti, nemici della violenza e degli eserciti. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Sono passati gli anni e così mi sento, ancora tra due fuochi, tra la narrazione dominante che ci parla di guerra – addirittura si torna a ipotizzare un conflitto nucleare! – o di scontro tra potenze imperialiste vecchie e nuove, e chi non sa come reagire. E ci si interroga su dove sia finito il movimento pacifista come se fosse qualcosa di altro, esterno rispetto a quel che dobbiamo fare e dire. E si reagisce con le parole di sempre, appelli alla mobilitazione, parole forse stanche, ma necessarie per tentare di rompere la consuetudine. Fatto sta che mi trovo, come credo tanti e tante nel mezzo. Stanco di parole, preoccupato per gli atti ed i proclami, pieno di orrore per la sofferenza di popoli come quello siriano. E della Palestina non ne parli? E del Sud Sudan? Non so mi pare che a forza di provare a prenderci sulle spalle i mali del mondo siamo finiti per perdere la forza, e speriamo di ritrovarla in appelli alle coscienze buone o al passato. Quel vuoto tra le due fuochi oggi ci dice però qualcosa. Anzitutto ci suggerisce di fare i conti con noi stessi, con i nostri limiti e le nostre capacità. Con l’urgenza di apprendere a coltivare la “trasversalità” come ci dice la grande Angela Davis, l’intersettorialità delle vertenze e delle mobilitazioni, delle piattaforme che sembrano così distanti, ma che invece sono assolutamente connesse ed interdipendenti. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Quel vuoto ci dice poi che non sarà possibile mettere in crisi l’ingranaggio della guerra se non si decolonizzano e si disarmano le nostre menti. E per mettere in crisi l’ingranaggio della guerra ci toccherà fare la nostra parte, gettare manciate di sabbia in quell’ingranaggio che ci è più vicino, piuttosto che guardare lontano ed immaginare di poter cambiare le sorti del mondo. Decolonizzare le nostre menti oggi significa apprendere che nella guerra non ci sono solo vittime e carnefici, ma ci sono popoli che cercano di scardinare quella logica con la costruzione di sentieri di pace, riconciliazione, dialogo, verità e giustizia. Significa allora un primo passo prettamente “politico”, quello di offrire loro sponda. Rompere la logica della guerra che li vede vittime da commiserare o da soccorrere con altra guerra. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Disarmare le nostre menti, significa respingere la possibilità che paradossalmente la guerra finisca per essere l’elemento che dà significato al nostro agire, anche contro di essa. Come se la guerra temuta o attesa finisca per diventare una ciambella di salvataggio. Significa assumere che oggi non sarà possibile alcuna pace senza diplomazia popolare e dal basso, quella dei corpi civili di pace, e senza azioni di disturbo, di disobbedienza – ricordate quella splendida campagna contro l’invio di armi via rotaia, la campagna Trainstopping? civile e nonviolenta. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Dobbiamo diventare portatori di speranza ed “incorreggibili disturbatori della pace”. Non pensare a manifestazioni di piazza, che ormai la piazza non tira più, è virtuale c’è niente da fare – ma ad altro. Senza generali disarmati che guidano cortei, con i loro rituali e liturgie, ma andando nei luoghi della guerra, dove la guerra si cucina, si prepara, dove ci si arma, sotto casa nostra, magari proprio dietro casa nostra, con i nostri volti e i nostri corpi per portare testimonianza, diretta e nonviolenta. Esserci per resistere, come mi raccontò una volta un prete portoricano Luis Barrios quando si fece arrestare per essere entrato nella base di Vieques per celebrare messa. Sorridendo e canticchiando magari, come ho sentito fare da Turi Vaccaro qualche giorno fa all’assemblea del Movimento Nonviolento. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Resistere alla guerra che c’è o a quella che ci sarà è un atto politico, che presuppone la messa in discussione radicale dell’esistente, degli equilibri di forza, delle alleanze dell’apparato industriale che produce armi e strumenti di morte. Significa oltre a denunciare l’aumento delle spese militari e delle esportazioni di armi, andare al cuore del problema. Dire chiaramente che esportare armi in zone di guerra è come andare a fare la guerra, e che quindi esportare armi in zone di guerra è contro la Costituzione, ed agire di conseguenza, per difendere la Costituzione. Ma non solo, significa denunciare con forza la logica aberrante secondo la quale ad esempio il fallimento possibile del progetto europeo si potrebbe evitare attraverso un’Europa forte, non quella della moneta, ma quella della spada e che il volano per il rilancio dell’economia non è più quello speculativo ma quello industrial-militare. E per portare il discorso alle estreme conseguenze: dovremmo una volta per tutte sciogliere il nodo che contrappone disarmo e creazione di posti di lavoro, ed invece rilanciare con gran forza una proposta di conversione dell’industria degli armamenti, possibile e necessaria. Ed accanto a questa chiedere che l’Italia diventi paese denuclearizzato, non solo senza centrali nucleari, ma anche senza armi atomiche. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Che paradosso quello che ci vede oggi assistere ad un minuetto tra potenze nucleari tali o sedicenti tali, mentre il nostro paese, i governo italiano, nel silenzio assoluto si permette di non sostenere il negoziato ONU sulla messa al bando delle armi nucleari. Ed anzi, si attrezza per diventare - se necessario - potenza nucleare per conto terzi, con suoi aerei da bombardamento, che siano Tornado, F16 o F35 e bombe atomiche di nuovissima generazione. Una punta di diamante per le prossime possibili guerre di Washington. Invece di gridare contro Donald Trump presidente di un paese del quale l’Italia è alleata, non sarebbe di gran lunga più efficace mettere una chiave inglese nel suo ingranaggio di guerra a cominciare proprio dallo spiegamento di armi nucleari a casa nostra, e così facendo mettere in discussione anche gli accordi con la NATO? </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Ma se vi dicessero che a qualche centinaio di kilometri da casa vostra, o forse a centinaia di metri, dalla scuola dei vostri figli ci sono bombe atomiche con potenza superiore a quella di Hiroshima, che fareste? Vi chiedereste ancora dov’è il movimento pacifista o se quelle bombe servono per mantenere sotto scacco Mosca? O prendereste l’iniziativa come si dice “dal basso”? </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Possibile che non si riesca a concentrare le nostre ahinoi poche forze su pochi obiettivi chiari, politici, di vera rottura, invece di invocare la pace delle nostre coscienze?</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-4840557973197765212017-08-29T02:46:00.002-07:002017-08-29T02:46:58.637-07:00Le parole che mancano<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Le parole hanno bisogno di maturare, di attraversare la mente, l’anima, plasmare pensieri, ripercorrere ricordi, aprire opportunità. Devono stare lì per un po’, acquattate, prima di prender forma, come vibrazioni di un suono, o appese alla punta di un polpastrello. Maggior responsabilità ha chi usa le parole oggi, in quella che viene definita l’era della “post-verità” nella quale tutto ciò che è falso è vero, e tutto ciò che è vero viene accuratamente rimosso, nascosto, come un ospite sgradito. O ignorato. Parole derelitte e marginali, suoni sordi o abitudinari, frenetico ticchettio su una tastiera consunta. E quando alzi gli occhi, sei travolto da un turbinìo di parole, che rievocano ideali antichi, prospettano futuri migliori, gravitano sospese nell’oggi, senza sapere come interpretarli, scandagliarli, per aprire la porta alla speranza. Fatti, non parole, recitava un Jingle pubblicitario di una nota casa di elettrodomestici, nel lontano 1977, quando i fatti erano nutriti dalle parole, dal pensiero critico, dall’agire quotidiano. Già ecco come le parole lasciano il loro alveo e prendono altra forma: quei fatti di allora si traducono – trasposti in un altro livello - nell’atto di raggiungere un nuovo gradino nella scala gerarchica dei consumi. La stessa che altrove in quegli anni si voleva sovvertire con i fatti e gli atti. Sono i fatti che oggi contano, nell’età della post-verità. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Gli atti e i fatti. Atti di insubordinazione come quelli di Cedric, mite contadino francese che va alla sbarra, con dignità, per rivendicare il diritto sacrosanto alla solidarietà umana. Fa pensare come oggi è in quei atti e fatti quotidiani che si misura la nostra capacità di immaginare l’altro, ed altro. Non nelle narrazioni epiche di grandi migrazioni, nei fiumi di parole spese nell’attribuire arbitrariamente significato a ciò che da sempre ha caratterizzato la storia dell’umanità. Cosa spinge migliaia di esseri umani a muoversi? Eppure nell’antichità il <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">wanderlust</span> era privilegio di uomini, e assai poco spesso donne, nobili, colte, i reietti giacevano negli antri nascosti, lontano dal potere e dalla falsa opulenza. Oggi chi si muove con un atto collettivo ci mette di fronte alla prova dei fatti. Sfida frontiere vere o simboliche, viene attraversato dalle stesse. Ma le nostre parole restano sorde, i nostri atti insufficienti, i fatti, quelli che parlano di tombe nel mare, rischiano di essere l’unico elemento che dà significato, e che trasforma quegli esseri umani in vittime fino a prova contraria. In queste ultime settimane ho molto riflettuto su questo, un pensiero che riaffiora ciclicamente, e che blocca la mia parola, e fa esitare le mie dita. Tanto che questa tastiera ora non risponde neanche più tanto a tono alle sollecitazioni tattili. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
L’obsolescenza della parola. o forse la presa d’atto che le parole sono finite. Un tarlo che continua a arrovellarmi. Eppure là fuori scorrono fiumi di parole, verbosità varie, retorica spicciola, o altisonante. Senza che ci si interroghi, appesi a quello che eravamo ieri, e incapaci di guardarci come saremo domani. Per questo oggi scrivo di meno, e magari solo per raccontare di cose concrete. Per provare a tenere stretta la relazione tra parole e azione. A chi mi dice, ma il tuo blog non è aggiornato! Non scrivi più? C’è bisogno di gente come te che studia, analizza, scrive. (NdA: Se c’è una cosa che mi manda in bestia è quando mi si chiama “esperto” ). Per questo oggi, e da un po’ ormai, prendo il mio tempo per farle maturare le parole, provando a sbucciarle una ad una della loro spessa coltre di ambiguità o opportunismo. Provare ad arrivare al cuore della parola, quel cuore fatto di atti e fatti. L’atto di cucire collettivamente una tela bianca impregnata di sangue di donne uccise a Ciudad Juarez, dita che non parlano ma tessono, raccontano la violenza subita da donne aymara in Bolivia, tessono fili di sorellanza con quelle che cadono nella quotidiana sequela del femminicidio. Fatti di generosità , di artigiane indigene che collettivamente mettono la loro conoscenza tradizionale a disposizione per raccontare una tragedia collettiva. Un atto ed un fatto di generosità e insubordinazione alle regole, sangue raffermo, macchioline brune tra ricami sfavillanti, di paillettes e punto-croce. Mentre Teresa Margolles, artista messicana ci raccontava delle sue amiche trans uccise a Ciudad Juarez, e di come lei prova attraverso i suoi atti a definire fatti veri - altro che post-verità! - a Roma si sfilava in piazza per rivendicare un’altra Europa. C’ero stato anche io prima, nello spezzone dei migranti, quello che chiudeva il corteo e che invece rappresenta ciò che può riaprire la possibilità di dar senso alle nostre parole. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Ho sfilato - per poco però forse affetto ormai da una sorta di “fatigue” da manifestazioni di piazza - che spesso mi pare rischino di finire per essere rituali di autoassoluzione – accanto a chi con loro lavora quotidianamente, perché penso che oggi l’altra Europa sia non quella che riempie le nostre parole, ma quella che alza muri. E la vera Europa (oddio forse sto anche io cadendo nella trappola vischiosa delle parole di circostanza!) è quella meticcia? In verità non so neanche cosa sia l’Europa, visto che di un’Europa possibile sembra possano parlare solo uomini e donne, di pelle bianca, di grande cultura o esperienza politica. Bianchi, come bianco era il colore della pelle di chi il giorno dopo al MAXXI condivideva ipotesi di un’Europa possibile. Ad eccezione dell’artista cubana Tania Bruguera che non a caso - ed è stata l’unica a dirlo - ha speso parole per indicare che sul tema dei migranti, dei loro diritti di cittadinanza, si gioca la dignità dell’Europa. L’atto di rivendicare un’altra Europa si scontra così con il fatto che a rivendicarla sia un pezzo di quell’Europa, che io immagino invece non definita, un insieme di culture, storie, vicende, relazioni, storia e mito che si susseguono lungo confini non stabiliti geograficamente. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
C’è tanta Asia, tanto Medio Oriente in Europa, parafrasando Edward Said. E non sono solo parole, è un dato di fatto che dovrebbe obbligarci a rivedere le nostre parole, appunto andando al cuore, separando la paglia dal seme. Così non è. Un’attivista algerina ospite in un dibattito promosso nei giorni scorsi da varie anime del movimento pacifista per discutere di Europa e Mediterraneo ad un certo punto chiese ai presenti: “ ma mi spiegate perché da voi in Italia non c’è più la capacità di indignarsi, mobilitarsi contro la guerra?” Parole che evocano atti e fatti. Alle quali non si sa rispondere, e se lo si prova a fare lo si fa con parole di circostanza. Eppure i fatti sono là a dirci che stretti tra le parole di chi condanna ipotetici imperialismi d’antan o di chi teorizza la guerra salvifica ci sono popoli che hanno parola, ai quali la stessa non va “concessa”, popoli che se la prendono ogni giorno con atti di resistenza , fatti straordinari di sopravvivenza. Le nostre parole invece li trasformano in vittime, in oggetti dell’ orrore. Parole dei media, della politica o di chi si azzarda a provare a dare loro rappresentazione, simbolica o meno attraverso linguaggi visuali. Persone alle quali non si offre altra possibilità che quella di diventare corpi morti in una messa in scena di bianche <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">body-bag</span> lungo il Tevere. Bianche <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">body bag</span>, bianche come chi ha immaginato quella performance. Siamo poi così sicuri di non rischiare di finire per contrastare la necropolitica con una sorta di necrofilia? Bianche <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">body bag</span> e un telo bianco impregnato di sangue di donne uccise a Ciudad Juarez tessuto da donne aymara vittime anch’esse di violenza , un nesso di sorellanza uscito dalla mano e dalla testa di un’ artista messicana, amica intima di trans uccise. Parole che in questo caso riprendono significato nella carne viva, non nella rappresentazione mediatica. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Le parole sono anche ricettacoli di memoria, visto che oggi sono il risultato dell’utilizzo frequente protratto nel tempo e nella storia, Quindi si portano dietro anche un pezzo di memoria. Si trasformano, riflettono memoria. La memoria è una parola che ho ascoltato spesso di recente, in alcune occasioni apparentemente lontane tra loro, ed in una terza nella quale la memoria veniva evocata, riportata a nudo. Il filo parte da una bella rappresentazione teatrale al Teatro India di qualche settimana fa , “Acqua di Colonia” si chiamava, ed era un accorto e accurato excursus nelle parole, nelle immagini della colonia, di una storia italiana che si tende spesso a rimuovere o ignorare. Parole che andavano al cuore del problema. Ossia del mancato, ma necessario, passaggio del fare i conti con il nostro passato coloniale, per provare a ridar senso alle parole. Non a caso gran parte di chi prende il mare proviene da ex-colonie italiane, o transita in una ex-colonia, oggi oggetto del desiderio di Roma e delle principali capitali europee. Eppure nonostante le quattro guerre fatte alla Libia quella presa d’atto tarda ad arrivare, non solo da parte dell’establishment ma anche dal “basso” a parte lodevoli eccezioni principalmente dal mondo accademico. Come ad esempio il convegno tenutosi la scorsa settimana all’Orientale di Napoli, altra trama di quel filo che lega pensiero critico, ricerca accademica, azione. Nelle sale barocche di Palazzo du Vesnil si è parlato tanto e bene di cartografie, memoricidio, confini e storia. Quella storia coloniale della quale non si fanno ancora i conti nelle stanze del potere e spesso anche nelle piazze di chi si mobilita e magari o si innamora delle rivoluzioni altrui o cade nella trappola della necrologio. E non si fanno i conti perché a differenza di altri paesi, qua da noi la decolonizzazione non è stata risultato di movimenti di liberazione, ma della sconfitta nella guerra. Al punto che anche l’Italia repubblicana, quella della Costituzione antifascista per anni cercò di tenersele quelle colonie. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Così in una sorta di riflesso incondizionato continuiamo a parlare di un “ambaradam” come sinonimo di “caos” quando all’Amba Aradam si consumò una delle più grandi stragi fasciste del periodo delle colonie. Dettaglio forse sfuggito al Comune di Roma che chiamerà una delle stazioni della nuova metro proprio Amba Aradam dalla strada omonima. Altrettanto interessante una <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">lecture </span>sulla correlazione tra mito fondativo della colonia nostrana, quel mito degli “italiani brava gente” che portano civiltà e progresso, scienza e conoscenza (ieri ed oggi eh, oggi magari con una grande diga o imprese ingegneristiche di alto pregio) e quello dei coloni sionisti che vanno a fertilizzare la terra promessa. Chissà come questo convegno è sfuggito all’attento sguardo censore di qualche solerte impiegato d’ambasciata del governo di Tel Aviv che di recente spesso è volentieri si è adoperata per togliere diritto di parola a chi criticasse le politiche del governo israeliano. Togliere la parola, in ossequi al principio della nondiscriminazione, un controsenso che la dice lunga sullo svuotamento delle parole. Restano gli atti ed i fatti: atti di repressione del diritto alla libertà di espressione e i fatti. Quelli del memoricidio sistematico praticato contro il popolo palestinese, anche attraverso la ricostruzione delle parole e della storia. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Quando si distrugge o si ignora la memoria si uccide la politica. Questa mi è parsa anche la traccia ricorrente dell’opera dell’artista franco-algerino Kader Attia, “<span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">Reflecting memories</span>” , nella quale l’artista affronta nuovamente il tema della ricostruzione, della riparazione, di ferite di guerra come di memoria omessa, più o meno colpevolmente rimossa. Lo fa attraverso la rappresentazione simbolica dell’arto fantasma, il “<span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">phantom limb</span>” fenomeno che in medicina sta a raccontare la sensazione di avere ancora un arto invece amputato. Sembra che hai due gambe o due braccia ma in realtà una è il riflesso della memoria di quell’arto che vorresti ancora attaccato. E’ la rimozione del dolore, o del passato, personale, o storico, politico o emozionale. Che magari riesci in parte a risarcire ma che resta nel profondo. C’è molta politica nell’arte di Attia, che con mano sapiente e delicata ha saputo rappresentare il dramma dei “desaparecidos” nel Mediterraneo ed ora lavora assieme a tanti artisti ed attivisti alla proposta di una “costituente migrante” , al tentativo di proporre i migranti come un popolo, una comunità di destino con i suoi diritti sacrosanti, in quanto soggetti e non oggetti di rappresentazione, carità o soccorso, di disputa politica, di studio o di lucro. </div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa" style="box-sizing: border-box; color: #1d2129; direction: ltr; font-family: Georgia, serif; font-size: 17px; margin: 0px auto 28px; white-space: pre-wrap; width: 700px; word-wrap: break-word;">
Tutte queste parole per dire che per poter provare a cogliere il senso del nostro agire politico, oggi dovremmo “disimparare il nostro privilegio” come ebbe a dire una grande studiosa postcoloniale, Gayatri Chakravorty Spivak in una splendida intervista a Il Manifesto di quasi un anno fa. Lei dice: “<span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">Credo sia fondamentale focalizzarsi sui privilegi, ma invece di disapprenderli, o prima ancora di imparare a disapprenderli è necessario vedere dove essi si situano, riconoscerli e “to use them”:vedere ed usare</span> <span class="_4yxp" style="font-family: inherit; font-style: italic;">il privilegio i maniera funzionale, per volgersi a nuove pratiche di apprendimento e comunicazione”.</span> Insomma per la Spivak disapprendere il privilegio deve trasformarsi in “imparare ad imparare dal basso”, e considerare tale disapprendimento come una perdita. Noi in realtà abbiamo perso qualcosa ma continuiamo a pensare che sia lì. Finché non ce ne renderemo conto … le parole continueranno a narrare di quell’arto che non c’è, l’arto fantasma di Kader Attia, ignorando ciò che fa o potrebbe fare l’arto che c’è.</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-91757944903177146872017-08-29T02:45:00.001-07:002017-08-29T02:45:26.302-07:00Piazza Indipendenza, Parigi <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Si dice, pare, riprendendo una categoria cara ad Antonio
Gramsci, che stiamo vivendo in una sorta di interregno, una situazione liminale
nella quale sai quel che lasci, ma non ancora si materializza dinnanzi ai
nostri occhi il futuro prossimo. Una fase fluida, di rimescolamento, di
sperimentazione forse, piena di ipotesi, potenzialità e rischi. Una fase nella
quale chiunque può sentirsi legittimato a osare, nel bene e nel male, a
proporre e saggiare ipotesi per il futuro. C’è chi osa disobbedendo alla legge
per aiutare un proprio simile, e così facendo sposta in alto l’assicella della
giustizia, invocando il diritto alla giustizia umana, rispetto a quella dello
stato, che inesorabile interviene condannando o stigmatizzando quella condotta
in quanto illegale o criminale. C’è chi osa, cercando, saggiando il terreno,
provando a spostare quell’assicella in basso, svuotando man mano categorie di
ieri, quella dei diritti umani ad esempio, reintepretandola a proprio uso e
consumo. La storia recente del nostro paese è fatta di questi tentativi, che sbaglieremmo
a definire solo episodici, giacché denotano il rischio di una definitiva, e
quindi drammatica, involuzione politica e culturale, i cui prodromi sono già
assai evidenti. Episodi di repressione, di diniego di diritti, di
criminalizzazione del mondo della solidarietà, di compressione temporanea o
prolungata di spazi di agibilità civica e sociale. Su tutto ciò un discorso pubbico
fatto di ostilità verso l’altro, di ossessione securitaria ed identitaria. A
Piazza Indipendenza è andato in scena un tentativo, come tanti altri, di
saggiare la fragilità o meno di quella linea rossa che demarca il terreno di
agibilità, di esercizio dei diritti di cittadinanza, di libertà. E come tutti i
tentativi, ad un certo punto, scagliata la pietra, si tenta di nascondere la
mano, o si corre ai ripari, offrendo una soluzione fino allora impensata, come
quella logica di destinare beni immobili sottratti alla mafia a chi non ha casa.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Bene, ben venga una possibile soluzione
alla questione del diritto all’abitare, ma non si perda di vista il contesto
generale nel quale quell’episodio si è verificato. Giacché altri potrebbero
verificarsi, nella fase fluida dell’interregno. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Per questo oggi come non mai spetta anche a noi porre i
termini della questione, e provare a spostare l’assicella ancor più in alto,
cercando anche noi di “saggiare” nuovi approcci ed elaborare nuove categorie.
Questo pensiero mi attraversa la mente da tempo ormai, dopo la constatazione
dell’obsolescenza delle parole, alla quale si deve rispondere con atti e fatti.
Ma forse questo davvero non basta, come non basta solo mobilitarsi. Forse
davvero dobbiamo tornare alle parole, ridar loro senso, giacché è dall’uso
della parola e delle parole che si produce oggi un brodo di coltura dell’odio, della
xenofobia, del rigetto dell’altro. Ed allora, si provi a farlo, iniziando con
il decostruire le categorie per ridar loro significato. Prendendo a spunto il
caso di Piazza Indipendenza ad esempio, e partendo dalla questione della differenza
tra diritto alla casa e diritto all’abitare. Due categorie a prima vista simili,
ma nella pratica assai differenti, giacché il diritto alla casa non prende in
considerazione il fatto che un essere umano non solo riempie le pareti di un
immobile, ma abita un contesto sociale, economico, politico, culturale nel
quale tale “luogo” dell’abitare è collocato. E sradicare quella persona o
quella famiglia da quel contesto, è eguale a quel che si fa nei paesi in via di
sviluppo quando per costruire una diga ad esempio, si obbligano comunità a
lasciare i propri villaggi, per abitazioni costruite ad arte altrove,
decomponendo così il nesso tra persona e luogo, e disarticolando reti sociali e
di comunità. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Il diritto all’abitare come diritto umano fondamentale,
ed in quanto tale indivisibile, non separabile da altri diritti umani quindi,
un diritto che - come sottolinea la relatrice speciale ONU sul diritto umano
all’abitare - deve prendere priorità rispetto ai diritti del mercato e dell’impresa.
Un diritto umano indivisibile, come tutti i diritti umani. Ed allora proprio
prendendo questo come tema, spostiamo ancora più in alto l’assicella. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Se i diritti umani sono indivisibili, e quindi non ci sono diritti umani di
seria “a” o di serie “b” - <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o meglio non
dovrebbero esserci - perché distinguere tra coloro che fuggono perché rischiano
di soffrire la violazione dei loro diritti civili, ad esempio in paesi dove
esistono dittature, e chi soffre la violazione di altri diritti, quelli
economici o quelli ambientali ad esempio? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span><br />
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Nel vertice di Parigi dei giorni scorsi, si è riaffermata
la determinazione a distinguere i rifugiati dai migranti economici e non caso. Una
distinzione che già a suo tempo Annah Arendt respinse in uno suo splendido
scritto sul tema. “Ci chiamano rifugiati, ma a noi piace chiamarci “nuovi
arrivati” o “immigranti” scrisse in apertura, Questa distinzione è anch’essa
segno di un approccio coloniale, nel quale chi ha il potere, di dare fondi, di
chiudere frontiere, di decidere chi entra e chi esce, si prende anche la briga
di spacchettare quei diritti umani fondamentali. Come se la violazione
protratta di diritti quali quello al cibo, alla salute, alla casa, che soffrono
milioni di uomini e donne d’Africa non fosse parimenti tragica della violazione
dei diritti civili. Come se questa non fosse anche risultato indotto delle
politiche economiche, commerciali, di investimento e di aiuto allo sviluppo dell’Europa
e dei suoi stati membri. O solo la prova provata del loro fallimento. <o:p></o:p></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span></div>
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Pertanto, se esiste una regola del diritto internazionale che proibisce, o
meglio proibirebbe, l’espulsione di una persona verso un paese dove rischia di
essere soggetta a tortura, o trattamento inumano o degradante, perché quella
regola non potrebbe essere applicata anche a chi se espulso verrebbe rigettato
nella miseria, ossia nella negazione sistematica dei propri diritti umani? Quell’assicella
è stata già portata in avanti dalla Corte Penale Internazionale che oggi
equipara a crimini contro l’umanità gli effetti causati da pratiche quali il
landgrabbing, e quindi amplia questa categoria in maniera inedita. È il tema
anche dei rifugiati ambientali e climatici. Lo stesso potrebbe dirsi quindi nel
nostro caso: la violazione dei diritti e della dignità delle persone indotta
dalla povertà, o meglio dall’impoverimento, equivale nei suoi effetti, ad un
crimine contro l’umanità, E rispedire quelle persone a vivere in quel contesto,
nel quale vivranno in condizioni inumane e degradanti, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>equivale a essere complici di tali crimini. Tutto
questo i capi di stato e di governo seduti al tavolo del vertice di Parigi non
hanno voluto considerarlo, anzi, il tema dei diritti umani è stato come sempre
relegato a appendice, incarico da esternalizzare a agenzie dedicate al
monitoraggio, in questo caso delle condizioni di vita nei prossimi hotspot che
verranno costruiti sulla rotta subsahariana. Una cosa che va detta come
routine. Faceva un certo senso ascoltare il presidente del Ciad Idriss Deby,
non certo un campione di democrazia e diritti umani, chiedere fondi, ed aiuti
allo sviluppo e sottolineare l’importanza dei diritti umani, seduto al tavolo
accanto al presidente di una potenza ex-coloniale (ex?) quale la Francia. O il
Presidente del Consiglio italiano accanto al presidente “designato” della
Libia. <o:p></o:p></span><br />
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span>
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Viene da pensare quindi molto alla questione dei diritti umani, se cioè nello
spazio che intercorre tra l’obsolescenza del termine, e la sua negazione, la
sua riaffermazione o uso strumentale come strumento di dominio, esista un’ipotesi
culturale, politica e filosofica che<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>possa ridargli senso. O forse no? A suo tempo Giorgio Agamben affermò la
necessità di andare oltre i diritti umani, “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Beyond
human rights</i>”, nel trattare il tema delle migrazioni. Giacché la categoria
stessa di diritti umani è incardinata nella centralità dello stato-nazione,
nella sovranità nazionale, che oggi si vorrebbe riproporre a destra e manca
come soluzione ai grandi mali dell’umanità. <o:p></o:p></span><br />
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span>
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Agamben ci dice che la novità rappresentata dal fatto che ampi settori di
umanità oggi non sono più rappresentabili all’interno del concetto di
stato-nazione, crea una condizione nella quale gli stessi fondamenti dello
stato-nazione vengono messi in discussione. E che <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“il rifugiato, una figura apparentemente marginale, disarticola la
vecchia trinità tra stato-nazione-territorio, e quindi merita di essere
considerato la figura centrale nella nostra storia politica”</i>. Figura
centrale della nostra storia politica, la nostra storia politica. (Non solo un’emergenza
di cui tener conto per essere “politicamente corretti”, ma la figura “centrale”.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Lo abbiano bene a mente coloro che si
stano ingegnando per provare a proporre un’ipotesi plausibile a sinistra). Pertanto,
“<i style="mso-bidi-font-style: normal;">il concetto di rifugiato va distinto dal
concetto di “diritti umani</i>” ed “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">il
diritto di asilo non andrà più considerato la categoria concettuale nella quale
inscrivere il fenomeno dei rifugiati. (…) il rifugiato dovrebbe essere considerato
per quello che è , cioè nulla di meno di un concetto limite che mette in crisi i
principi dello stato-nazione e apre la via ad un rinnovamento di categorie che non
è più rinviabile</i>”. <o:p></o:p></span><br />
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span>
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Rinnovamento di categorie quindi, che dall’altra parte è già in atto,
attraverso una rielaborazione delle parole, o la sperimentazione di territori
fino ad oggi sconosciuti, e che a questo punto sarà non più rinviabile anche da
questa parte, dalla parte nostra, di chi sta dalla parte della giustizia e
della dignità, della pace e della solidarietà. Forse questo potrebbe essere uno
dei risultati più importanti del nostro sdegno per i fatti di Piazza
Indipendenza. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In quella piazza, in
quelle immagini, abbiamo visto la rappresentazione di quella che Agamben chiama
la “nuda vita”, ma anche la potenzialità negata dell’accoglienza, la
disarticolazione di un esperimento di “bene comune mobile” come vengono
definite oggi quelle pratiche di costruzione di comunità di migranti e
rifugiati in zone liminali della città, ad esempio edifici come quello in via
Curtatone, che attendevano di essere immessi nel mercato immobiliare dopo in
passato di edifici “pubblici”. <o:p></o:p></span><br />
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;"><br /></span>
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<!--EndFragment--><br />
<span lang="IT" style="font-family: "Times",serif; font-size: 10.0pt; mso-ansi-language: IT;">Abbiamo anche intravisto l’ulteriore prova dell’urgenza di una profonda “decolonizzazione”
del nostro sguardo, e della nostra pratica politica, che passa certo attraverso
la riscoperta della storia, nel nostro caso nel nostro passato coloniale nei
paesi di origine di quelle persone, Eritrea ed Etiopia ad esempio, E’ paradossale
pensare al fatto che in quella piazza intitolata all’indipendenza del nostro
paese sono stati picchiati esseri umani costretti a fuggire dalle angherie di
chi, Isaias Afewerki, in Eritrea e nel mondo a suo tempo fu considerato eroe
dell’indipendenza del suo paese. Ed anche dall’assunzione della nostra “situazione
di privilegio”, per “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">disapprenderla</i>” come
ebbe a dire a suo tempo la filosofa post-coloniale Gayatri Chakravorty Spivak.
Ricordando anche che - a differenza di altri paesi - <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dove il passato coloniale fu messo in crisi
con atti di rottura e rivolta in loco, insomma dai movimenti di liberazione
nazionale, questo non è mai avvenuto nel caso dell’Italia, che perse le proprie
colonie solo per aver perso la guerra. E questo fatto ha influito non poco nell’incapacità
del nostro paese, della sua politica e la sia cultura, nel rielaborare il
proprio passato coloniale, farci i conti, decostruirlo e superarlo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Faremo bene quindi a cogliere quest’occasione
per farlo. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><o:p></o:p></span></div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-60794493508162024082017-04-18T00:08:00.003-07:002017-04-18T00:08:46.795-07:00Decolonizzare e far luce sulla potenza <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<h1 class="title">
<br /></h1>
<div class="post-meta">
<span class="author2"><a href="http://comune-info.net/autori/francesco-martone/" rel="tag">Francesco Martone</a> | </span>
<span class="post-date">28 gennaio 2017 | </span>
<span class="post-comments"><a href="http://comune-info.net/2017/01/decolonizzare-lanalisi-far-luce-sulla-potenza/#comments">3 Commenti</a></span></div>
<div class="printfriendly pf-alignright">
<a class="noslimstat" href="http://comune-info.net/2017/01/decolonizzare-lanalisi-far-luce-sulla-potenza/#" rel="nofollow"><span class="printfriendly-text2 printandpdf"><img alt="Print Friendly Version of this page" height="15" src="https://cdn.printfriendly.com/pf-print-icon.gif" style="border: none; display: inline-block; margin-right: 6px;" width="16" />Print <img alt="Get a PDF version of this webpage" height="12" src="https://cdn.printfriendly.com/pf-pdf-icon.gif" style="-webkit-box-shadow: none; border: none; box-shadow: none; display: inline-block; margin: 0 6px;" width="12" />PDF</span></a></div>
<h5>
<span style="color: #333333;"><strong>La
tormenta infuria ma nelle pieghe della società c’è vita. Una vita
complicata, spesso non riconosciuta, di resistenza quotidiana, di
paziente e tenace costruzione di altri mondi possibili. Una vita, una
miriade di vite, che sfuggono all’occhio e non possono essere rilevate
da un’analisi che non riesce a liberarsi di un’impronta di colonialità
segnata profondamente dalla presunzione di poter dirigere e classificare
i movimenti e le “masse”. Si tratta di soggetti che praticano il
“comune” e che non possono certo essere definiti facilmente, meno che
mai come “società civile”. Come possiamo contribuire a far luce su una
potenza diffusa, capillare, sotterranea, a tenere accesa la forza che
alimenta i gesti di rivolta favorendone le connessioni e la condivisione
di iniziative e analisi?</strong></span></h5>
<div class="wp-caption aligncenter" id="attachment_368396" style="width: 630px;">
<img class="wp-image-368396" height="319" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/UttarPradeshgeneralstrikeSept20.jpg" width="620" /><div class="wp-caption-text">
L’enorme sciopero di milioni e milioni di indiani contro le politiche antipopolari, foto: angryarabscommentsection.blogspot.com</div>
</div>
<span style="color: maroon;">di Francesco Martone</span><br />
Non
so a voi ma a me guardando la settimana scorsa le immagini delle
imponenti e diffuse mobilitazioni tenutesi negli Stati Uniti
all’indomani della cerimonia di investitura di Donald Trump, è venuto
assai da pensare. Da una parte sul rischio di cadere nella ricorrente e
rituale constatazione della fine dei movimenti di massa nel nostro paese
ed altrove. Dall’altra invece sulla possibilità di cogliere l’occasione
per sperimentare un approccio ed un percorso differente, che parta
dalla constatazione di ciò che esiste, e che così facendo si provi a
delineare in sommi capi ciò che dovrebbe o potrebbe già essere, non solo
oltreconfine ma anche a casa nostra. <span style="color: #ff6600;"><strong>Partiamo allora da ciò che esiste.</strong></span><br />
<span style="color: #ff6600;"><strong>Il rallentamento</strong></span> della conclusione <span style="color: #ff6600;"><strong>del negoziato</strong></span> <span style="color: #ff6600;"><strong>TTIP</strong></span>, mobilitazioni di piazza che hanno portato <span style="color: #ff6600;"><strong>a Seul</strong> </span>alla <span style="color: #ff6600;"><strong>destituzione del presidente Park Heun Hye</strong></span>,<strong><span style="color: #ff6600;"> in India il più grande sciopero di massa che la storia ricordi</span></strong>, le mobilitazioni a <strong><span style="color: #ff6600;">Standing Rock</span></strong> che hanno portato al blocco della costruzione della Dakota Access Pipeline, mobilitazioni di <span style="color: #ff6600;"><strong>donne in Polonia contro la legge antiaborto</strong></span>,<span style="color: #ff6600;"><strong> l’ascesa di Black Lives Matter</strong></span>, <span style="color: #ff6600;"><strong>una costituzione</strong> </span>adottata con il sistema <span style="color: #ff6600;"><strong>“crowdsource” in Islanda</strong></span>. <span style="color: #ff6600;"><strong>Queste
alcune delle storie di successo riportate dal Transnational Institute
di Amsterdam delle mobilitazioni che hanno attraversato il mondo nel
2016</strong></span>. A queste <span style="color: #ff6600;"><strong>vanno aggiunti mille e mille altri atti di rivolta, confronto, insubordinazione</strong></span>.
Manifestazioni di donne a Roma come a Washington, marce, blocchi,
campagne reali o virtuali. Con uno sguardo obliquo, che prova a spostare
l’asse dal nostro Nord una volta opulento, oggi in grande crisi di
identità, nel quale volenti o nolenti si vive la nostra quotidianità,
si sgrana davanti agli occhi un’altra realtà. Una realtà fatta di atti e
gesti, di movimenti che cercano di intersecare le loro vertenze. Lo ha
detto chiaramente nel suo splendido “speech” alla marcia di Washington, <span style="color: #ff6600;"><strong>Angela Davis</strong></span>, quando <span style="color: #ff6600;"><strong>ha ribadito la necessità e l’urgenza di riconoscere la trasversalità e l’interconnessione delle lotte</strong></span>.
Da quelle dei nativi, a quelle GLBQT, a quelle dei migranti, dei
latinos, a quelle degli afroamericani, a quelle per i diritti civili, e
l’ambiente. Uno sguardo trasversale, presuppone <span style="color: #ff6600;"><strong>uno sforzo di “decolonizzazione” nella nostra analisi dell’esistente</strong></span>,
di quel “sensibile comune” di cui si è molto discusso nei giorni scorsi
in splendide iniziative sul comunismo, dalla Galleria Nazionale
all’ESC.<br />
<div class="wp-caption aligncenter" id="attachment_368397" style="width: 630px;">
<img class="wp-image-368397" height="402" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/padova.jpg" width="620" /><div class="wp-caption-text">
Manifestazione in difesa della dignità delle donne a Padova</div>
</div>
Inforcando un paio di lenti diverse, quindi si può leggere la storia in altra maniera. <span style="color: #ff6600;"><strong>Nel
solo cosiddetto “sud” del mondo sono state “mappate” decine e decine di
vertenze, iniziative, e mobilitazioni della società civile e dei
movimenti sociali.</strong> <strong>Sotto le macerie della guerra civile
in Siria continuano a operare reti di organizzazioni sociali che
praticano autogestione e nonviolenza</strong></span>. <span style="color: #ff6600;"><strong>In Turchia il popolo continua a scendere in piazza</strong></span>, sperimentando altre forme di protesta. A livello europeo <span style="color: #ff6600;"><strong>stanno iniziando i preparativi per le mobilitazioni convocate da Blockupy in occasione del prossimo G20 in Germania</strong></span>.
Insomma, per evitare un forse troppo rituale appello ad un rilancio
delle iniziative dei movimenti, più nel nostro paese che altrove,
occorre dotarsi di altre chiavi di analisi ed elaborazione. Anzitutto <span style="color: #ff6600;"><strong>riconoscere che nelle pieghe della società c’è vita</strong></span>.
Una vita complicata, spesso non riconosciuta, di resistenza quotidiana,
di costruzione di altri mondi possibili. Una vita, una miriade di vite,
che sfuggono all’occhio, che non necessariamente trovano
rappresentanza, né nella “politica” né nella cosiddetta società civile.
Sono <span style="color: #ff6600;"><strong>soggetti che praticano il “comune” e che non possono essere definiti “società civile”</strong></span>. <span style="color: #ff6600;"><strong>Quello sguardo “decolonizzato”</strong></span> che ci permette di leggere quel che accade nel mondo in altra ottica, <span style="color: #ff6600;"><strong>dovremmo quindi applicarlo anche a noi, alla nostra realtà</strong></span>.
Ed allora? Che dire ad esempio della miriade di iniziative, attività,
occupazioni, in sostegno a migranti e rifugiati? O alle decine di
migliaia di italiani di seconda generazione che non mollano l’osso, e
continuano a mobilitarsi per i loro diritti di cittadinanza? O l’Italia
che innova, produce altraeconomia, che resiste sui territori? Di quella
che costruisce “comune”, l’Italia dei “comuneros?”<br />
<div class="wp-caption aligncenter" id="attachment_368398" style="width: 630px;">
<img class="wp-image-368398" height="349" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/582cdb739971b-Marchas-contra-Trump-1024x576.jpg" width="620" /><div class="wp-caption-text">
marcia antirazzista contro Trump</div>
</div>
Lungi
dal voler tracciare un “archivio” o “atlante” della resistenza
nostrana, esercizio che anch’esso presuppone uno sguardo trasversale al
quale forse dovremo più esercitarci, resta un punto. Lo dice assai bene
Georges Didi-Huberman, curatore di una mostra assai interessante
tenutasi al Jeu de Paume a Parigi, dal titolo “Soulevements”,
insurrezioni, Seppur anche lui avesse peccato in un certo qual modo di
un’eccessiva “occidentalizzazione” dello sguardo sulle forme di
resistenza ed insurrezione, in un certo senso ci lascia un messaggio
importante. <span style="color: #ff6600;"><strong>La storia dell’umanità è fatta di atti e gesti di insubordinazione, di rivolta. “<em> Sono i nostri</em></strong></span><em><span style="color: #ff6600;"><strong> figli che insorgono</strong></span>:
Zero in Condotta! Non era Antigone per caso anch’esso un figlio? Che
sia nelle foreste del Chiapas o sulla frontiera tra Grecia e Macedonia,
in qualche posto in Cina, in Egitto o a Gaza o nella giungla delle reti
informatiche considerate “vox populi”, ci saranno sempre figli che
salteranno il muro”. </em><span style="color: #ff6600;"><strong>Chi sono
questi figli e queste figlie, come parlar loro, dove incontrarli ed
incontrarle, dovrebbe essere la nostra sfida. Senza cadere nelle
suggestioni immaginifiche di grandi movimenti di massa o globali, da
catalogare, categorizzare, e forse in parte pensare illusoriamente di
poter dirigere</strong></span>. Ecco quindi che affiorano <span style="color: #ff6600;"><strong>tre elementi imprescindibili per cercare di costruire un nesso</strong></span>
tra le lotte e le vertenze in atto e forse tentare un percorso di
convergenza mirato sia chiaro a sostenere e rafforzare tali lotte
mettendole in relazioni con altre, cercando punti comuni e strumenti
condivisi di iniziativa e analisi . Il primo quello di <span style="color: #ff6600;"><strong>riconoscerne l’esistenza</strong></span>, il secondo quello di <span style="color: #ff6600;"><strong>coltivare l’interdipendenza e l’interconnessione</strong></span>.<br />
Su
quali basi ad esempio poter sviluppare anche qua da noi relazioni tra
chi oggi lotta contro il patriarcato e chi si adopera per la protezione
della Madre Terra? Chi pratica forme di mutualismo dal basso e chi sfida
le leggi del capitalismo estrattivista? Chi rivendica il diritto alla
conoscenza, al reddito, al “comune” ed ai beni comuni, e chi già pratica
innovazione? <span style="color: #ff6600;"><strong>C’è poi il terzo elemento, quello della speranza</strong></span>.
Il mondo andrà avanti anche senza di noi, forse in peggio o forse in
meglio , a prescindere dai tentativi di capire cosa accade a quei
movimenti sociali, forse continuando con una certa nostalgia a
categorizzarli rifacendosi ad un articolo del New York Times, che definì
i movimenti la seconda potenza globale. <span style="color: #ff6600;"><strong>Forse il punto sul quale fare luce riguarda proprio il concetto di potenza, diffusa, capillare, sotterranea,</strong></span>
piuttosto che evidente, leggibile, “di massa”, o catalogabile secondo i
nostri criteri o bisogni. Giacché sempre ci sarà un Antigone, e magari
anche una Ippazia, ce ne saranno mille e mille.<br />
Che non chiedono
rappresentanza, anzi si autorappresentano, e che rivendicheranno anzi la
loro autonomia dalla “politica”. A maggior ragione da quella “politica”
che si vorrebbe più prossima, e che oggi come il potere che si vuole
sfidare, è un “muro” con tutta la sua incapacità di cogliere le
trasformazioni epocali non solo nella cosiddetta “fase” storica, ma
anche nella capacità di azione e iniziativa dei soggetti sociali. <span style="color: #ff6600;"><strong>Come
contribuire a tenere accesa la forza che alimenta quei gesti di rivolta
verso l’esistente, come metterli in connessione, questo potrebbe essere
il nostro compito.</strong></span> Se non ora, quando?<br />
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-29859551118882009512017-04-05T07:49:00.001-07:002017-04-05T07:49:10.807-07:00Le parole dell’era in cui ogni falso è vero <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<h1 class="title">
<br /></h1>
<div class="post-meta">
<span class="author2">http://comune-info.net/2017/04/le-parole-dellera-cui-falso-vero/</span><span class="post-date"></span></div>
<div class="entry">
<div class="pf-content">
<h5>
Le
parole per plasmare pensieri e aprire opportunità e le parole
derelitte, marginali, come il suono sordo e abitudinario di una tastiera
consunta, dell’era in cui tutto quello che è falso è vero e tutto ciò
che è vero viene accuratamente rimosso. Si fa largo, dunque,
l’obsolescenza della parola, o forse la presa d’atto che le parole sono
finite. Sono i fatti che contano. Eppure i fatti sono là a dirci anche
che ci sono popoli, cui la parola non sarebbe concessa, che invece se la
prendono ogni giorno con atti di resistenza, con fatti straordinari di
sopravvivenza. Le nostre parole, purtroppo, li trasformano in vittime,
in oggetti dell’orrore. Per cambiare davvero, forse, bisognerebbe
“disimparare il privilegio”, vivendolo come una perdita. Se non
riusciremo a rendercene conto, le nostre parole continueranno a
raccontare qualcosa che non c’è, come l’arto fantasma di Kader Attia</h5>
<div class="wp-caption aligncenter" id="attachment_371352" style="width: 630px;">
<img alt="" class="wp-image-371352" height="413" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/Kader-Attia-Senza-Titolo-2017.-Courtesy-the-artist-Galleria-Continua-San-Gimignano-Beijing-Les-Moulins-Habana-1024x683.jpg" width="620" /><div class="wp-caption-text">
Kader Attia, foto tratta da http://www.artribune.com</div>
</div>
<span style="color: maroon;">di Francesco Martone</span><br />
Le
parole hanno bisogno di maturare, di attraversare la mente, l’anima,
plasmare pensieri, ripercorrere ricordi, aprire opportunità. Devono
stare lì per un po’, acquattate, prima di prender forma, come vibrazioni
di un suono, o appese alla punta di un polpastrello. <span style="color: #ff6600;"><strong>Maggior
responsabilità ha chi usa le parole oggi, in quella che viene definita
l’era della “post-verità” nella quale tutto ciò che è falso è vero, e
tutto ciò che è vero viene accuratamente rimosso, nascosto, come un
ospite sgradito. O ignorato.</strong></span> Parole derelitte e
marginali, suoni sordi o abitudinari, frenetico ticchettio su una
tastiera consunta. E quando alzi gli occhi, sei travolto da un turbinìo
di parole, che rievocano ideali antichi, prospettano futuri migliori,
gravitano sospese nell’oggi, senza sapere come interpretarli,
scandagliarli, per aprire la porta alla speranza. Fatti, non parole,
recitava un Jingle pubblicitario di una nota casa di elettrodomestici,
nel lontano 1977, quando i fatti erano nutriti dalle parole, dal
pensiero critico, dall’agire quotidiano. Già ecco come le parole
lasciano il loro alveo e prendono altra forma: quei fatti di allora si
traducono – trasposti in un altro livello – nell’atto di raggiungere un
nuovo gradino nella scala gerarchica dei consumi. La stessa che altrove
in quegli anni si voleva sovvertire con i fatti e gli atti. Sono i fatti
che oggi contano, nell’età della post-verità.<br />
Gli atti e i fatti.
Atti di insubordinazione come quelli di Cedric, mite contadino francese
che va alla sbarra, con dignità, per rivendicare il diritto sacrosanto
alla solidarietà umana. <span style="color: #ff6600;"><strong>Fa pensare
come oggi è in quegli atti e fatti quotidiani che si misura la nostra
capacità di immaginare l’altro, ed altro. Non nelle narrazioni epiche di
grandi migrazioni, nei fiumi di parole spese nell’attribuire
arbitrariamente significato a ciò che da sempre ha caratterizzato la
storia dell’umanità.</strong></span> Cosa spinge migliaia di esseri umani a muoversi? Eppure nell’antichità il <em>wanderlust</em>
era privilegio di uomini, e assai poco spesso donne, nobili, colte, i
reietti giacevano negli antri nascosti, lontano dal potere e dalla falsa
opulenza. Oggi chi si muove con un atto collettivo ci mette di fronte
alla prova dei fatti. Sfida frontiere vere o simboliche, viene
attraversato dalle stesse. Ma le nostre parole restano sorde, i nostri
atti insufficienti, i fatti, quelli che parlano di tombe nel mare,
rischiano di essere l’unico elemento che dà significato, e che trasforma
quegli esseri umani in vittime fino a prova contraria.<br />
L’obsolescenza
della parola. o forse la presa d’atto che le parole sono finite. Eppure
là fuori scorrono fiumi di parole, verbosità varie, retorica spicciola,
o altisonante. Senza che ci si interroghi, appesi a quello che eravamo
ieri, e incapaci di guardarci come saremo domani. Per questo oggi scrivo
di meno, e magari solo per raccontare di cose concrete. Per <span style="color: #ff6600;"><strong>provare
a tenere stretta la relazione tra parole e azione, prendendoci il
tempo per farle maturare le parole, provando a sbucciarle una ad una
della loro spessa coltre di ambiguità o opportunismo. Provare ad
arrivare al cuore della parola, quel cuore fatto di atti e fatti.</strong></span>
L’atto di cucire collettivamente una tela bianca impregnata di sangue
di donne uccise a Ciudad Juarez, dita che non parlano ma tessono,
raccontano la violenza subita da donne aymara in Bolivia, tessono fili
di sorellanza con quelle che cadono nella quotidiana sequela del
femminicidio. Fatti di generosità, di artigiane indigene che
collettivamente mettono la loro conoscenza tradizionale a disposizione
per raccontare una tragedia collettiva. Un atto ed un fatto di
generosità e insubordinazione alle regole, sangue raffermo, macchioline
brune tra ricami sfavillanti, di <em>paillettes</em> e punto-croce.
Mentre Teresa Margolles, artista messicana ci raccontava delle sue
amiche trans uccise a Ciudad Juarez, e di come lei prova attraverso i
suoi atti a definire fatti veri – altro che post-verità! – a Roma si
sfilava in piazza per rivendicare un’altra Europa. C’ero stato anche io
prima, nello spezzone dei migranti, quello che chiudeva il corteo e che
invece rappresenta ciò che può riaprire la possibilità di dar senso alle
nostre parole.<br />
Ho sfilato – per poco però forse affetto ormai da una sorta di “<em>fatigue</em>”
da manifestazioni di piazza – che spesso mi pare rischino di finire per
essere rituali di autoassoluzione – accanto a chi con loro lavora
quotidianamente, perché <span style="color: #ff6600;"><strong>penso che oggi l’altra Europa sia non quella che riempie le nostre parole, ma quella che alza muri.</strong> <strong>In
verità non so neanche cosa sia l’Europa, visto che di un’Europa
possibile sembra possano parlare solo uomini e donne, di pelle bianca,
di grande cultura o esperienza politica.</strong></span> Bianchi, come
bianco era il colore della pelle di chi il giorno dopo al MAXXI
condivideva ipotesi di un’Europa possibile. Ad eccezione dell’artista
cubana Tania Bruguera che non a caso – ed è stata l’unica a dirlo – ha
speso parole per indicare che sul tema dei migranti, dei loro diritti di
cittadinanza, si gioca la dignità dell’Europa. L’atto di rivendicare
un’altra Europa si scontra così con il fatto che a rivendicarla sia un
pezzo di quell’Europa, che io immagino invece non definita, un insieme
di culture, storie, vicende, relazioni, storia e mito che si susseguono
lungo confini non stabiliti geograficamente.<br />
<span style="color: #ff6600;"><strong>C’è tanta Asia, tanto Medio Oriente in Europa, parafrasando Edward Said.</strong></span> E non sono solo parole, <span style="color: #ff6600;"><strong>è un dato di fatto che dovrebbe obbligarci a rivedere le nostre parole</strong></span>,
appunto andando al cuore, separando la paglia dal seme. Così non è.
Un’attivista algerina ospite in un dibattito promosso all’Università da
varie anime del movimento pacifista per discutere di Europa e
Mediterraneo ad un certo punto chiese ai presenti: “ ma mi spiegate
perché da voi in Italia non c’è più la capacità di indignarsi,
mobilitarsi contro la guerra?” Parole che evocano atti e fatti. Alle
quali non si sa rispondere, e se lo si prova a fare lo si fa con parole
di circostanza. Eppure i fatti sono là a dirci che stretti tra le parole
di chi condanna ipotetici imperialismi <em>d’antan</em> o di chi
teorizza la guerra salvifica ci sono popoli che hanno parola, ai quali
la stessa non va “concessa”, popoli che se la prendono ogni giorno con
atti di resistenza , fatti straordinari di sopravvivenza. Le nostre
parole invece li trasformano in vittime, in oggetti dell’ orrore.<br />
<span style="color: #ff6600;"><strong>Parole
dei media, della politica o di chi si azzarda a provare a dare loro
rappresentazione, simbolica o meno attraverso linguaggi visuali</strong></span>. Persone alle quali non si offre altra possibilità che quella di diventare corpi morti in una messa in scena di bianche <em>body-bag</em> lungo il Tevere. Bianche <em>body bag</em> per richiamare l’attenzione sulla strage di migranti nel Mediterraneo, bianche come chi ha immaginato quella <em>performance</em>. Siamo poi così sicuri di non rischiare di finire per contrastare la necropolitica con una sorta di necrofilia? Bianche <em>body bag</em>
e un telo bianco impregnato di sangue di donne uccise a Ciudad Juarez
tessuto da donne aymara vittime anch’esse di violenza, un nesso di
sorellanza uscito dalla mano e dalla testa di un’ artista messicana,
amica intima di trans uccise. <strong><span style="color: #ff6600;">Parole che in questo caso riprendono significato nella carne viva, non nella rappresentazione mediatica.</span></strong><br />
<div class="wp-caption aligncenter" id="attachment_371356" style="width: 630px;">
<img alt="" class="wp-image-371356" height="465" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/kader_attia_ghosts_4.jpg" width="620" /><div class="wp-caption-text">
Po(l)etical utopia, Kader Attia. Immagine tatta da: http://www.domusweb.it</div>
</div>
<span style="color: #ff6600;"><strong>Le parole sono anche ricettacoli di memoria</strong></span>,
visto che oggi sono il risultato dell’utilizzo frequente protratto nel
tempo e nella storia, Quindi si portano dietro anche un pezzo di
memoria. Si trasformano, riflettono memoria. La memoria è una parola che
ho ascoltato spesso di recente, in alcune occasioni apparentemente
lontane tra loro, ed in una terza nella quale la memoria veniva evocata,
riportata a nudo. Il filo parte da una bella rappresentazione teatrale
al Teatro India , “<em>Acqua di Colonia</em>” si chiamava, ed era un
accorto e accurato excursus nelle parole, nelle immagini della colonia,
di una storia italiana che si tende spesso a rimuovere o ignorare. <span style="color: #ff6600;"><strong>Parole che andavano al cuore del problema</strong></span>. <span style="color: #ff6600;"><strong>Ossia
del mancato, ma necessario, passaggio del fare i conti con il nostro
passato coloniale, per provare a ridar senso alle parole.</strong> </span>Non
a caso gran parte di chi prende il mare proviene da ex-colonie
italiane, o transita in una ex-colonia, oggi oggetto del desiderio di
Roma e delle principali capitali europee.<br />
Eppure nonostante le
quattro guerre fatte alla Libia quella presa d’atto tarda ad arrivare,
non solo da parte dell’establishment ma anche dal “basso” a parte
lodevoli eccezioni principalmente dal mondo accademico. Come ad esempio
il convegno tenutosi un paio di settimane fa all’Orientale di Napoli,
altra trama di quel filo che lega pensiero critico, ricerca accademica,
azione. Nelle sale barocche di Palazzo du Vesnil si è parlato tanto e
bene di cartografie, memoricidio, confini e storia. Quella storia
coloniale della quale non si fanno ancora i conti nelle stanze del
potere e spesso anche nelle piazze di chi si mobilita e magari o si
innamora delle rivoluzioni altrui o cade nella trappola della
necrologio. E non si fanno i conti perché a differenza di altri paesi, <span style="color: #ff6600;"><strong>qua da noi la decolonizzazione non è stata risultato di movimenti di liberazione, ma della sconfitta nella guerra.</strong></span> Al punto che anche l’Italia repubblicana, quella della Costituzione antifascista per anni cercò di tenersele quelle colonie.<br />
Così in una sorta di riflesso incondizionato continuiamo a parlare di un “<em>ambaradam</em>”
come sinonimo di “caos” quando all’Amba Aradam si consumò una delle più
grandi stragi fasciste del periodo delle colonie. Dettaglio forse
sfuggito al Comune di Roma che chiamerà una delle stazioni della nuova
metro proprio Amba Aradam dalla strada omonima.<br />
Altrettanto interessante una <em>lecture</em>
sulla correlazione tra mito fondativo della colonia nostrana, quel mito
degli “italiani brava gente” che portano civiltà e progresso, scienza e
conoscenza (ieri ed oggi eh, oggi magari con una grande diga o imprese
ingegneristiche di alto pregio) e quello dei coloni sionisti che vanno a
fertilizzare la terra promessa. Chissà come questo convegno è sfuggito
all’attento sguardo censore di qualche solerte impiegato d’ambasciata
del governo di Tel Aviv che di recente spesso e volentieri si è
adoperata per togliere diritto di parola a chi criticasse le politiche
del governo israeliano. <span style="color: #ff6600;"><strong>Togliere
la parola, in ossequi al principio della nondiscriminazione, un
controsenso che la dice lunga sullo svuotamento delle parole. Restano
gli atti ed i fatti: atti di repressione del diritto alla libertà di
espressione e i fatti.</strong></span> Quelli del memoricidio
sistematico praticato contro il popolo palestinese, anche attraverso la
ricostruzione delle parole e della storia.<br />
<span style="color: #ff6600;"><strong>Quando si distrugge o si ignora la memoria si uccide la politica</strong></span>. Questa <span style="color: #ff6600;"><strong>mi è parsa anche la traccia ricorrente dell’opera dell’artista franco-algerino Kader Attia, “<em>Reflecting memories</em>”
, nella quale l’artista affronta nuovamente il tema della
ricostruzione, della riparazione, di ferite di guerra come di memoria
omessa, più o meno colpevolmente rimossa.</strong></span> Lo fa attraverso la rappresentazione simbolica dell’arto fantasma, il “<em>phantom limb</em>”
fenomeno che in medicina sta a raccontare la sensazione di avere ancora
un arto invece amputato. Sembra che hai due gambe o due braccia ma in
realtà una è il riflesso della memoria di quell’arto che vorresti ancora
attaccato. E’ la rimozione del dolore, o del passato, personale, o
storico, politico o emozionale. Che magari riesci in parte a risarcire
ma che resta nel profondo.<br />
C’è molta politica nell’arte di Attia, che con mano sapiente e delicata ha saputo rappresentare il dramma dei “<em>desaparecidos</em>”
nel Mediterraneo ed ora lavora assieme a tanti artisti ed attivisti
alla proposta di una “costituente migrante” , al tentativo di proporre i
migranti come un popolo, una comunità di destino con i suoi diritti
sacrosanti, in quanto soggetti e non oggetti di rappresentazione, carità
o soccorso, di disputa politica, di studio o di lucro.<br />
Tutte queste parole per dire che <span style="color: #ff6600;"><strong>per poter provare a cogliere il senso del nostro agire politico, oggi dovremmo “disimparare il nostro privilegio”</strong></span> come ebbe a dire una grande studiosa postcoloniale, Gayatri Chakravorty Spivak in una splendida intervista al <em>manifesto</em>
di quasi un anno fa. Lei dice: “Credo sia fondamentale focalizzarsi sui
privilegi, ma invece di disapprenderli, o prima ancora di imparare a
disapprenderli è necessario vedere dove essi si situano, riconoscerli e “<em>to use them</em>”:vedere
ed usare il privilegio i maniera funzionale, per volgersi a nuove
pratiche di apprendimento e comunicazione”. Insomma per la Spivak <span style="color: #ff6600;"><strong>disapprendere
il privilegio deve trasformarsi in “imparare ad imparare dal basso”, e
considerare tale disapprendimento come una perdita</strong></span>. Noi
in realtà abbiamo perso qualcosa ma continuiamo a pensare che sia lì.
Finché non ce ne renderemo conto … le parole continueranno a narrare di
quell’arto che non c’è, l’arto fantasma di Kader Attia, ignorando ciò
che fa o potrebbe fare l’arto che c’è.</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-64685867281487213042016-10-18T11:09:00.000-07:002016-10-18T11:09:33.389-07:00Quella domanda infinita di libertà <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<div style="text-align: right;">
<i>"let us not forget the impact of Tahrir Square and the Occupy movement all over the world. And (...) let us not forget the Taksim Gezi Park protesters. Oftentimes people argue that in these more recent movements there were no leaders, there was no manifesto, no agenda, no demands, so therefore the movements failed. But (...) There is a difference between outcome and impact. Many people assume that because the encampments are gone and nothing tangible was produced, that there was no outcome. But when we thin about the impact of these imaginative and innovative actions, and these moments when people learned how to be together without the scaffolding of the state, when they learned to solve problems without succumbing to the impulse of calling the police, that should server as a true inspiration for the work that we will do in the future to build these transnational solidarities. Don't we want to be able to imagine the expansion of freedom and justice in the world (...) in Turkey, in Palestine, in South Africa, in Germany, in Colombia, in Brazil, in the Philippines, in the US?</i></div>
<div style="text-align: right;">
<i>If this is the case, we will have to do something quite extraordinary. We will have to go at great lengths. We cannot go on as usual. We cannot pivot the center. We will have to be willing to stand up and say no with our combined spirits, our collective intellects, and our many bodies" </i></div>
<br />
<div style="text-align: right;">
Angela Y. Davis, Transnational Solidarities" Speech as Bogazici University, Istanbul, Turkey, (January 9, 2015) su A. Y Davis, "Freedom is a constant struggle - Ferguson, Palestine and the foundations of a movement", 2016. </div>
<div style="text-align: right;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
NOTA: Quella che segue è l'introduzione che ho scritto per il libro "Rivoluzioni violate. Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa" a cura di Osservatorio Iraq e Un Ponte Per.. che verrà presentato il 30 ottobre a Roma al salone dell'Editoria Sociale. </div>
<h3 style="text-align: center;">
<span style="color: #333399;"> </span>
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<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">I dati e i casi presentati in questa
pubblicazione forniscono ulteriore riprova che nei Paesi del Medio Oriente e
del Nord Africa qui analizzati lo spazio<i style="mso-bidi-font-style: normal;"> </i>per
la società civile si sta restringendo, o forse in alcuni non si è mai davvero aperto.
Uno spazio materiale ed immateriale di agibilità democratica ed iniziativa
politica che intercorre tra il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">demos</i> e
chi governa. Una crepa aperta nel sistema dell’autoritarismo e della
cleptocrazia, del malgoverno popolato da <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tortura, arresti arbitrari, persecuzioni di
varia foggia. Il quadro globale è allarmante, e fa il pari con quello che si
registra in questa regione attraversata 5 anni or sono dalle rivolte arabe, e
15 anni fa, in parte, dall’irrompere della guerra globale al terrorismo. Primo
intento di questa nostra pubblicazione è pertanto quello di offrire un quadro
ed una mappa della situazione relativa ai difensori dei diritti umani in alcuni
Paesi della regione, prioritari per le relazioni internazionali dell’Italia ma
anche per l’azione dell’associazione “Un ponte per…” che da 25 anni opera per
costruire ponti di solidarietà con popolazioni vittime di guerra o di occupazione<u>
</u>militare. Pensiamo ad esempio all’<b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Iraq</b>
di oggi, che con i suoi conflitti inter-religiosi manovrati ad arte da chi
governa, le violazioni dei diritti umani, l’appropriazione delle leve del
potere da parte di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">élites</i> vecchie e
nuove, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>stride con la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mission</i> che giustificò <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la guerra dopo l’attacco alle Torri Gemelle.
Una <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mission</i> inizialmente mirata a
evitare l’uso di armi di distruzione di massa - mai trovate - da parte di
Saddam Hussein, e poi , in pieno delirio <i style="mso-bidi-font-style: normal;">neo-con</i>,
a disarticolare il tessuto sociale e politico per ricostruire un modello di
democrazia di stampo occidentale. Il tutto condito con la retorica del rispetto
e della tutela dei diritti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>umani, come
se fosse possibile garantirla <i style="mso-bidi-font-style: normal;">manu
militari.</i> In alcuni dei Paesi della regione la guerra è stata ed è tuttora
il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">leitmotiv</i> con il quale confrontarsi,
con le sue conseguenze immediate o di lungo periodo. Lo sanno gli attivisti
iracheni che guardano oltre, attraverso il lavoro paziente di costruzione di
reti quali il Forum sociale iracheno, e lo sanno le associazioni internazionali
che con noi li sostengono nell’Iniziativa di solidarietà con la società civile irachena
(Icssi). Questa guerra è combattuta dagli eserciti o - giorno per giorno - <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dalle polizie, dai servizi di sicurezza degli
stati, dalle organizzazioni terroristiche o dai gruppi paramilitari. Restringe
gli spazi di agibilità, li comprime in un permanente stato di eccezione, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>spoglia le persone della propria dignità e dei
propri diritti con legislazioni di emergenza, <i style="mso-bidi-font-style: normal;">securizzazione</i> di ogni spazio, militarizzazione dell’ordine
pubblico. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Una guerra che per il popolo palestinese, in
realtà, c’è sempre stata. L’attacco sistematico ai difensori dei diritti umani
in <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Palestina</b> ed <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Israele</b> permea ormai la politica di stato, si fa legge. Basti
pensare alle decisioni del Parlamento israeliano volte a perseguire le
organizzazioni che si occupano di diritti umani e delle violazioni che
conseguono all’occupazione, utilizzando anche il pretesto della lotta al
terrorismo. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Guerra</i> e <i style="mso-bidi-font-style: normal;">terrorismo</i>, allora, sono i due poli tra
i quali si comprime oggi lo spazio di agibilità delle società civili. Lo sa
bene la<b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> Siria</b>, teatro di un
conflitto agghiacciante che si protrae da anni scalzando un moto legittimo di
libertà e democrazia, nel quale si è inserito <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Daesh</i> .Lo spazio che occorre tenere aperto, in questo caso, è anche
nelle nostre menti, per permetterci di leggere gli eventi e di cogliere gli
sforzi e le pratiche di autodeterminazione e rivendicazione di diritti e
dignità oltre la visione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">mainstream</i>.
Il caso siriano è emblematico dell’urgenza di un cambio di passo nella visione
del mondo e delle cose, uno sguardo che sia finalmente ‘decolonizzato’. Che
riconosca cioè quella che la sociologa Judith Butler definisce come <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“agency”,</i> la capacità dei soggetti di
essere artefici dei propri processi di liberazione ed emancipazione. All’immagine
della Siria in frantumi si contrappongono allora le migliaia di organizzazioni,
associazioni, cooperative locali, iniziative per la difesa dei diritti umani e
radio comunitarie che resistono, e tentano di tenere aperto un altro spazio:
quello che andrà popolato nella Siria del domani. Un luogo di comunità,
dialogo, rispetto, convivenza.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">E poi, quale spazio possibile nella <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Libia</b> di oggi? Le cronache ci raccontano
di un paese sull’orlo della spartizione, attraversato da mille rivoli di
violenza e sopraffazione, da <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Daesh</i>,
dai disegni strategici contrapposti delle fazioni politico-militari di Tripoli
e Tobruk. Quali spazi si possono tenere aperti allora per i difensori dei
diritti umani in un paese verso il quale il solo interesse delle cancellerie
mondiali sembra essere la sicurezza delle frontiere per prevenire nuovi flussi
di migranti o l’approvvigionamento di petrolio? La <i style="mso-bidi-font-style: normal;">realpolitik</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>sfrutta ad arte
– con le ambiguità e gli opportunismi del caso - la retorica dei diritti umani.
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Come si spiegherebbe altrimenti l’uso
strumentale fatto in Libia del principio della “responsabilità di protezione”
dei civili, preso a pretesto per un’operazione militare volta a rimuovere con
la forza il regime? Il <i style="mso-bidi-font-style: normal;">vulnus</i>
persiste, e dimostra la fallacia di qualsiasi dottrina mirata a costruire la
democrazia dall’alto, a tavolino o per mano armata, come se la società fosse un
luogo asettico, un laboratorio di sperimentazione. Che però riguarda persone in
carne ed ossa, come quelle che 5 anni fa hanno occupato piazza Tahrir al <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Cairo,</b> scintilla di un sussulto di
rivolta che ha attraversato in varie intensità tutta la regione. Per un po’ i
media e la vulgata ufficiale pareva si fossero dimenticati di quel fermento, di
quella legittima aspirazione di libertà. Non per errore, ma per deliberata
decisione, si è deciso di chiudere uno spazio di visibilità per interesse o
calcolo. Oggi il regime egiziano di Al-Sisi è un fido alleato dell’Occidente nella
lotta al terrorismo, nella tutela della <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“pax
americana”</i> di Camp David, nella guardia alle immense risorse petrolifere. E
poco conta la sistematica persecuzione di attivisti, sindacalisti, intellettuali,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>giornalisti, avvocati. Uno spaccato che la vicenda
di Giulio Regeni ha riportato all’attenzione, ma che rischia di sparire nuovamente
nei meandri degli opportunismi di rito. Nella vicina <b style="mso-bidi-font-weight: normal;">Tunisia</b> l’onda lunga delle rivolte arabe sembrava avesse attecchito
più che altrove. Ma la navigazione nelle acque dell’autodeterminazione è <i style="mso-bidi-font-style: normal;">una domanda infinita</i>, per parafrasare
uno splendido saggio del filosofo inglese Simon Critchley. La crepa che si apre
è come un rompighiaccio, ma si rischia di restare schiacciati come il vascello
di Schackleton. E su quel vascello ci siamo anche noi. “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Freedom is a constant struggle</i>”, questo il titolo di una raccolta
di interviste e saggi di Angela Davis, che spiega i paralleli tra la recente
rivolta degli afroamericani di Ferguson, negli Stati Uniti, e la Palestina. <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Una lotta costante</i>. Anche per tante
associazioni che in Italia, assieme a “Un ponte per…”, stanno lanciando una
campagna per la protezione dei difensori dei diritti umani sulla scia di quanto
chiesto dalle Nazioni<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Unite ai Paesi
dell’Unione Europea. Per provare a tenere aperto uno spazio di visibilità e
protezione, e permettere loro di lasciare i propri Paesi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>se minacciati. Questa pubblicazione è dunque uno
strumento di informazione e mobilitazione che vogliamo offrire a chi si adopera
per sperimentare percorsi di lavoro comune<i style="mso-bidi-font-style: normal;">,</i>
giacché se quello spazio si chiude non lo fa solo per i cittadini e le
cittadine del Medio Oriente e del Nord Africa. Rischia di chiudersi anche per
noi. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<h3 style="text-align: center;">
<span style="color: #333399;"><i> </i></span></h3>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-18807163391405521622016-10-18T07:09:00.003-07:002016-10-18T07:09:46.591-07:00Le rivolte di ieri, quelle di oggi, quelle di domani.<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<i> </i><div class="">
<div class="_42ef _8u">
<div class="_3uhg">
<i><span class="_4_mf"><span></span></span></i></div>
</div>
</div>
<div class="_39k5 _5s6c">
<div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<i>(nota per il lettore: questa nota va letta integralmente, assaggiando passo per passo gli ipertesti video inseriti nel testo, oltre che il videoclip alla fine.....Bon Voyage) </i></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
<br /></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
“They say ev’rything can be replaced
Yet ev’ry distance is not near
So I remember ev’ry face
Of ev’ry man who put me here
I see my light come shining
From the west unto the east
Any day now, any day now
I shall be released”</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
B.Dylan</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
Sono appena rientrato da Parigi, dopo quasi tre settimane di viaggio attraverso l'Europa ed il mondo. Tre settimane intense, iniziate a Berlino, città magnifica, dove aleggia lo spirito di libertà e rivolta, la Berlino del passato, di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DwDazX9meUw8&h=wAQH1Mye7&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=wDa...</a></div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
</div>
<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
quella di Kreuzberg e degli squatters, della dissidenza e dell'autonomia. Ci ero stato per la prima volta a Berlino nel lontano 1979 quando c’era ancora il Muro - ci pisciai sopra, ricordo - e le prendemmo di santa ragione dagli uni e dagli altri, mentre cercavano di bloccare pacificamente il Check Point Charlie chiedendo l’abolizione della NATO e del Patto di Varsavia. Abbiamo parlato di repressione, di movimenti sociali, di disarmo, e mi sono lasciato andare ad una "dérive", attraverso il Tiergarten, che mi ha portato nella storia di quella città e dell'Europa. Sono tornato a Roma per pochi giorni, per accompagnare nella sua tappa romana Bertita Caceres Zuniga, figlia di Berta Caceres, da lei ho imparato la tenerezza della resistenza, la determinazione nel chiedere giustizia. E il mio cuore e la mia mente sono andati al Centroamerica, a quei popoli indigeni che resistono da 500 anni, quegli stessi popoli indigeni di Nicaragua, Filippine, Kenya con in quali ho poi lavorato per cinque giorni a Song-Do, in Corea per chiedere il rispetto ed il riconoscimento dei loro diritti all'autodeterminazione, nell'uso di fondi per i cambiamenti climatici. Song-Do città che incarna la presente e futura distopia del capitalismo finanziario, la costruzione di zone urbane asettiche che sono solo contenitore di speculazioni ed investimenti. <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DeEVA6drR3ms&h=RAQEex3k2&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=eEV...</a></div>
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<div class="_2cuy _3dgx _2vxa">
Torno a Roma per ripartire per Parigi. Ed a Parigi, forse perché l'ultima volta che sono stato, alla COP21, ho passato tanto tempo con persone, indigeni del "Nord"- dal Nordamerica all'Oceania - ho assaporato il gusto del dissenso, della radicalità, della necessità di de-colonizzare e de-colonizzarci. Forse perché era quella la Parigi che avevo nella mente, e che ho dovuto abbandonare allora anzitempo per correre accanto alla mia mamma che stava lasciando questa Terra. Era la Parigi di pochi giorni dal Bataclan, e della legislazione di emergenza, della determinazione a riprendere comunque la piazza e la parola. Lì a Parigi si tracciò una “red line” una linea rossa invalicabile per proteggere la Terra. Quella linea che oggi è tracciata a Standing Rock in Nord Dakota ad esempio. <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DAeUIyI83b7g&h=PAQH6PN2r&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=AeU...</a> Forse c’è era ancora qualcosa che Parigi aveva in serbo per me. E così stavolta Parigi si è fatta leggere in altra maniera. Ossia, questo virus mi era entrato da qualche tempo, e non ha trovato anticorpi o resistenza. Forse era un'influenza che covava da tanto, (non credo fosse effetto collaterale del jetlag che pure ferocemente colpiva quando meno te lo aspettavi) e che ho provato a curare per un pò con la medicina allopatica della "politica", ma il virus è stato più forte. </div>
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Ed allora devi conviverci e fare di necessità virtù. Allora già a Montreal al Forum Sociale Mondiale e nella comunità Mohawk di Kahnawake <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DW9QWq-DM1Gw&h=SAQFVxJXc&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=W9Q...</a> questo virus ha ripreso ad uscire con forza, per poi entrare nella mente e nella mia retina e farmi leggere i luoghi sotto altro sguardo. Così a New York mi apparivano, come d'incanto, dalla superficie della città di ogni giorno, piccole tracce di resistenza, nelle librerie, nella street-art, nelle aule della New School, nelle opere di Bruce Conner <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3D1ZOokEZKEps&h=7AQHXdFUG&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=1ZO...</a> al MoMa. O a Washington, tra i murali della U Street, e la sua storia, quella dei movimenti per i diritti civili, quella di Malcolm X e di Martin Luther King, di James Baldwin, di Black Lives Matter. <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3D-JIp9_IIV3s&h=wAQH1Mye7&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=-JI...</a> Proprio a Washington tanti anni fa ebbi la sorte di essere al Mall, assieme ai partecipanti della One Million Man March, quella immortalata dal grande Spike Lee. Ancora ricordo la retorica infuocata del Reverendo Farrakhan. <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DU8UB-shmJfQ&h=dAQGzFLok&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=U8U...</a> Sarei stato poi di nuovo a New York, a Black Harlem qualche anno dopo ad alcune iniziative del Brotherhood of Islam, ospite sconosciuto ma accolto a braccia aperte. E là ho ascoltato le storie di chi era accanto a Malcolm X, quelle parole che ho riascoltato anni dopo ancora ad Oakland, in California, patria dei Black Panther, in occasione di un “re-enactment” di uno dei più famosi discorsi di Angela Davis contro la guerra in Vietnam. <a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3Ddg8SQCTTTM8Insomma&h=6AQE0yEQC&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=dg8...</a> un virus che covava, che era apparso per poi acquietarsi, per poi farsi sentire ancora e che a Parigi ha preso il sopravvento. Così i miei piedi e la mia mente hanno voluto andare a Père Lachaise, a ripercorrere la memoria della Comune, e della resistenza antifascista. Ho saputo solo dopo che a Père Lachaise si combatté la battaglia più sanguinosa della Commune.<a href="https://www.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3Dy65-eONEaKk&h=KAQH_Aksb&s=1" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=y65...</a> Per poi finire al Jeu de Paume, perdendosi nella narrazione fantastica che Georges Didi-Huberman fa della rivolta, dei segni, delle parole. <a href="http://l.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fsoulevements.jeudepaume.org%2F&h=rAQHy55XI&s=1" rel="nofollow" target="_blank">http://soulevements.jeudepaume.org/</a></div>
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Eppoi ho capito la natura di questo virus, che le parole di Didi-Huberman descrivono meglio di ogni altra cosa. </div>
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<i><span class="_4yxp">"La "potenza" sopravvive al "potere", Freud disse che il desiderio era indistruttibile. Anche quelli che sapevano di essere condannati - nei campi, nelle prigioni - cercano ogni modo per trasmettere una testimonianza o lanciare un appello. Come evocato da Joan Mirò in una serie di opere intitolate "La speranza di un uomo condannato in omaggio allo studente anarchico Salvador Puig I Antich, giustiziato dal regime di Franco nel 1974. Una rivolta può finire con le lacrime delle madri sui corpi dei figli morti. Ma queste lacrime non sono un fardello: possono ancora dare “potenza” per le rivolte, come nelle “marce della resistenza” delle madri e delle none a Buenos Aires. Sono i nostri</span> <span class="_4yxp">figli che insorgono: Zero in Condotta! Non era Antigone per caso anch’esso un figlio? Che sia nelle foreste del Chiapas o sulla frontiera tra Grecia e Macedonia, in qualche posto in Cina, in Egitto o a Gaza o nella giungla delle reti informatiche considerate “vox populi”, ci saranno sempre figli che salteranno il muro” </span></i></div>
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<i><span class="_4yxp"> </span></i> </div>
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Come dice Angela Davis in un suo recente libro, la libertà è una lotta costante, che accomuna chi scende in piazza a Ferguson per rivendicare che le vite dei neri hanno importanza, “Black Lives Matter”, e chi resiste a Gaza. E, aggiungo io, chi resiste sotto le macerie di Aleppo, o in una piccola strada romana, parlo del Baobab per intenderci, per accogliere rifugiati, o in una fabbrica recuperate ed autogestita, parlo ad esempio di RimaFlow , o nella Jungle di Calais, ed in Rojava, o chi resiste con piccoli gesti di ogni giorno, quei gesti, quel braccio alzato, quella parola detta, quel desiderio che, come cerca di farci capire Didi-Huberman, è quello che accomuna e ci accomuna. Ci fa diventare un pò tutti “<i>comuneros</i>”, o “comunardi” dei nostri tempi. </div>
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(ps. Ovviamente la notizia del Nobel al grande Bob Dylan, oltre a riempirmi di gioia, ha avuto una qualche influenza sul rafforzamento della resistenza del virus a improbabili medicine o ineffabili anticorpi. <a href="https://www.youtube.com/watch?v=rKXnL46CSC0" rel="nofollow" target="_blank">https://www.youtube.com/watch?v=rKX...</a>) </div>
</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-45297011046377744772016-10-13T00:42:00.001-07:002016-10-13T00:42:14.243-07:00Yemen, bombe italiane e crimini di guerra<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Per il Manifesto, 15 ottobre 2016</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT"> La vicenda delle bombe italiane e dei crimini
di guerra in Yemen solleva alcuni pesanti interrogativi. Il primo:<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>inviare<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>bombe all’Arabia Saudita equivale a <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fare la <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>guerra per interposta persona <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>contro il DAESH in Yemen? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Che l’invio di armi a paesi in conflitto fosse
considerato una “soluzione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">win-win</i>”
per la quale da una parte si partecipa alla guerra senza inviare “scarponi sul
terreno” e dall’altra si privilegia la crescita del settore industriale degli
armamenti, è chiaro. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Un<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>’articolo uscito
nel luglio scorso sul </span><span lang="IT" style="mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">New Inquirer ed intitolato “<i>Recoil
operation</i>”<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>approfondisce la
questione del commercio legale ed illegale di armi leggere negli States . “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">La reticenza a livello nazionale ad inviare
“scarponi sul terreno” fa il pari con gli impegni a livello nazionale per la
crescita del settore occupazionale legato all’industria delle armi, e rende
ancor più appetibile l’opzione di armare alleati stranieri invece di andare noi
di persona a combattere</i>” si legge. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel
nostro caso <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>invece di<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>mandare aerei <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o
soldati sul terreno, si mandano bombe, ma non è come se<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a combattere partecipasse anche il nostro
paese? <i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i><span style="mso-bidi-font-style: italic;">E chi partecipa potrebbe essere ritenuto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>corresponsabile di eventuali crimini di guerra
commessi da chi viene sostenuto<i>? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></span></span><span lang="IT"> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Interessanti al riguardo alcune importanti notizie dagli Stati Uniti riportate
nei giorni scorsi dalla Reuters e dalla BBC. Non che il tema dell’eventuale
chiamata a correo dell’amministrazione USA per il sostegno dato all’Arabia
Saudita per complicità in crimini di guerra fosse una novità. Da tempo ormai le
organizzazioni per i diritti umani statunitensi sollevano questo pesante
interrogativo. Le ultime notizie però sono confortate <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>da una serie di documenti ottenuti grazie al
Freedom of Information Act (FOIA) e raccontano un’altra storia, i cui dettagli meritano
di essere approfonditi anche in riferimento al protratto invio di bombe
italiane a Riad. Va detto che, a differenza del nostro paese, gli USA
collaborano in tre modalità a sostegno dell’Arabia Saudita, ovvero attraverso operazioni
di rifornimento in volo, acquisizione di bersagli con drone, e fornitura di
bombe. Per questo da tempo l’amministrazione USA si era impegnata a a fornire
ai sauditi una lista di obiettivi “santuarizzati” al fine di evitare vittime
civili. A nulla è valso visto che, come specificato in uno dei documenti desecretati
ed ora accessibili al pubblico, i Sauditi non hanno esperienza e addestramento
necessario per evitare vittime civili, e molti rappresentanti
dell’Amministrazione americana erano assai scettici sulla loro capacità di
bombardare gli Houthi senza uccidere civili o danneggiare infrastrutture
critiche. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT"> Quindi chi autorizza l’invio di bombe italiane ai Sauditi – al netto
delle considerazioni circa il rispetto o meno della 185/90 che vieta l’invio di
armi a paesi in guerra - sa o non sa?<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Se
sai puoi essere corresponsabile, se non sai hai commesso una grave omissione
che potrebbe corrispondere a corresponsabilità? I documenti citati dalla Reuters
ci raccontano di una discussione interna per meglio comprendere le eventuali
ricadute legali del sostegno di Washington a Riad. Anche se poi gli avvocati
del governo conclusero di non avere elementi sufficienti per affermare che
sostenere Riad equivalesse ai sensi del diritto internazionale, essere
considerati come co-belligeranti. In realtà – e a Washington lo sanno bene – la
definizione di co-belligerante, e con essa di eventuali corresponsabilità in
crimini di guerra, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>oggi è assai ampia.
Non c’è bisogno di partecipare direttamente al crimine in questione, basta
fornire assistenza pratica, incoraggiamento e appoggio morale. Questo determinò
la Corte Penale Internazionale nel caso di crimini di guerra commessi
dall’ex-presidente della Libera Charles Taylor. Viene da pensare allora a casa
nostra. Autorizzare ed inviare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>bombe ai
sauditi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>potrebbe equivalere <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a dare
assistenza pratica? Incontrare<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nei
giorni scorsi il ministro della difesa Saudita potrebbe essere una forma<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di incoraggiamento? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Quando <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’Italia venne chiamata a ratificare il
Trattato di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale ci si limitò ad
accogliere solo le parti che riguardavano la collaborazione con la Corte, ma
non ad integrare nel proprio codice penale le fattispecie di crimini contro
l’umanità previste dal Trattato. Potrebbero però bastare le norme già previste
dal LOAC, (Law Of Armed Conflict) le norme di diritto internazionale di guerra.
Lo sapeva bene . come ci dice una e-mail desecretata - il vicesegretario alla Difesa
Anthony Blinken che nel gennaio 2016 convocò i suoi per capire meglio come
evitare che gli Stati Uniti potessero essere perseguiti per il loro sostegno
alla guerra saudita in Yemen. Una bomba ad orologeria che rischia di scoppiare
nelle mani dell’amministrazione americana e non solo. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-37003621355156052392016-10-10T07:28:00.003-07:002016-10-10T07:30:21.021-07:00Masters of War <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<style>@font-face {
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}@font-face {
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font-family: "Cambria";
}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal { margin: 0cm 0cm 10pt; font-size: 12pt; font-family: Cambria; }p.MsoFootnoteText, li.MsoFootnoteText, div.MsoFootnoteText { margin: 0cm 0cm 0.0001pt; font-size: 12pt; font-family: Cambria; }span.MsoFootnoteReference { vertical-align: super; }a:link, span.MsoHyperlink { color: blue; text-decoration: underline; }a:visited, span.MsoHyperlinkFollowed { color: purple; text-decoration: underline; }span.TestonotaapidipaginaCarattere { }span.textexposedshow { }span.st { }.MsoChpDefault { font-family: Cambria; }.MsoPapDefault { margin-bottom: 10pt; }div.WordSection1 { }</style>
<br />
<br /><div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: EN;">Come you masters of war<br />
You that build all the guns<br />
You that build the death planes<br />
You that build the big bombs<br />
You that hide behind walls<br />
You that hide behind desks<br />
I just want you to know<br />
I can see through your masks</span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="EN" style="font-size: 16.0pt; mso-ansi-language: EN;">(B.Dylan, 1963) </span></i></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Di Francesco Martone
(*)</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">per Alternative per il Socialismo </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Ottobre 2016 </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br />
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">15 anni sono passati
dall’11 settembre 2001, dall’attacco alle Torri Gemelle che ha rappresentato un
vero e proprio spartiacque nelle relazioni internazionali, con l’avvento della
guerra globale permanente al terrorismo. Strategia elaborata per <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>riaffermare il dominio statunitense in un
mondo che alla caduta del Muro di Berlino sembrava sempre più orientato verso
una sorta di unipolarismo a stelle e strisce. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Erano i tempi nei quali l’ideologo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">neocon </i>Robert Kagan beffeggiava l’Europa
per la sua ritrosia nel sostenere la teoria e la dottrina della guerra
preventiva, tranquilla com’era quella Venere nel vivere la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">pax kantiana</i> sotto la copertura armata di Marte, del Pentagono. <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn1" name="_ftnref1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[1]</span></span></span></span></a></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">La stessa Europa che
oggi si vuole trasformare in Marte nell’illusoria ricerca di un antidoto alla
propria crisi di identità e “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">mission</i>”. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">A Washington ci s'illudeva <span style="mso-spacerun: yes;"></span>allora di poter plasmare con la guerra un’
intera regione, quella Medio-Orientale e di prossimità, disfacendo confini ed
assetti statuali per ricomporli a seconda degli interessi delle potenze di
turno. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Per poi risvegliarsi in uno stato
di “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">sindrome da stress postcoloniale”</i>
che impedisce di leggere gli eventi in altra ottica, e pertanto determina
risposte e reazioni a tali eventi e crisi che finiscono per perpetuarle queste
crisi, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>piuttosto che contribuire a
risolverle. Un tragico effetto domino. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Insomma se una cosa
l’onda lunga dell’11 settembre ha dimostrato, è stato che la storia non è
certamente finita, per parafrasare Francis Fukuyama, anzi, si è nuovamente
trasformata in storia di conflitti, corsa al riarmo convenzionale e nucleare,
focolai di guerre latenti o guerreggiate, per procura o dall’alto dei cieli.
Con l‘invio di truppe speciali, spesso sotto copertura, o l’addestramento di
truppe altrui, con l’uso della forza aerea, bombardieri d’alta quota o drone, o
con l’invio di armi. Con l’adozione di legislazione e strategie contro il
“terrorismo” che hanno aperto pericolose crepe nello stato di diritto, e nella
cornice di riferimento fissata dal diritto internazionale. Con l’avanzare di
uno scenario da guerra fredda di confronto tra Russia e Stati Uniti che si
pensava ormai relegato negli anfratti della storia passata. Ad un conflitto
possibile i cui prodromi si stanno ripresentando con frequenza e continuità
allarmante si accompagnano le guerre guerreggiate, quelle che mietono migliaia
di vittime civili, sotto le macerie di Aleppo.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>O insanguinano le periferie del Sud Sudan, nei deserti del Mali, o negli
altopiani d’Afghanistan o nelle regioni del Nord Iraq.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Guerre d’occupazione, sapientemente
mascherate da operazioni di ordine pubblico, come in Palestina,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o guerre che covano sotto le ceneri, come il
conflitto mai sopito tra India e Pakistan in Kashmir, o quello tra popolo
Sahrawi e Marocco. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Guerre di egemonia in
un Medio Oriente squassato alle fondamenta, nei suo confini postcoloniali ed
assetti statali e di governo. Guerre per il controllo di risorse strategiche o
per riaffermare il proprio controllo su aree storicamente sotto il proprio cono
di influenza, come le guerre francesi contro DAESH nel Sahel, o la guerra di Vladimir
Putin a fianco di Assad <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e del suo regime
in Siria, chiave di volta per un rientro di Mosca in un Medio Oriente ormai
marginale nelle priorità strategiche di Washington. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Guerre che vengono
combattute dagli altri, e quindi spesso rimosse dalla percezione e
dall’attenzione dell’opinione pubblica. Certamente i fallimenti derivanti dalle
operazioni in Iraq ed Afghanistan hanno portato ad una certa cautela nel
mandare repentinamente “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">boots on the
ground”,</i> si veda ad esempio il caso della Libia. In questo caso però le
esitazioni sono state superate con un ipocrita ricorso al operazioni di forze
di sicurezza “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">undercover</i>”, o con la
retorica “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">umanitaria</i>” alla quale il
governo di Matteo Renzi in particolare ha fatto ricorso per giustificare l’invio
di un contingente di paracadutisti a Misurata.<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn2" name="_ftnref2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[2]</span></span></span></span></a>
</span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Retorica “umanitaria”
o della lotta al “terrorismo” a parte, la logica della guerra rimane la stessa:
al venir meno delle ragioni della politica si fa avanti la logica delle armi.
Come spiegare altrimenti le proposte fatte dall’Alto Rappresentante dell’Unione
Europea Federica Mogherini, riprese in certa maniera da Francia e Germania, di
un rilancio dell’industria della difesa europea, di un comando unificato, di
investimenti massicci e una più forte presenza di truppe europee nei teatri di
guerra come possibile antidoto alla crisi di identità e legittimità dell’Europa
politica? <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Va a tal riguardo rammentato
come<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la strategia di sicurezza europea
ed il portato del trattato di Lisbona sulla politica europea di sicurezza e
difesa siano state determinate dalla forte pressione delle lobby delle
industrie degli armamenti. <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn3" name="_ftnref3" style="mso-footnote-id: ftn3;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[3]</span></span></span></span></a> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Già
il rapporto <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Lobbying warfare: the arms
industry role in building a military Europe</i>” del Corporate Europe
Observatory del settembre 2011 <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn4" name="_ftnref4" style="mso-footnote-id: ftn4;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[4]</span></span></span></span></a><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>dimostra come le lobby dell’industria della
difesa europea non solo determinano le linee di politica industriale ma anche
le strategie di politica estera e di difesa.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Per non parlare del recentissimo rapporto del Transnational Institute di
Amsterdam intitolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“Border Wars</i>”
che documenta<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>come l’industria europea
della difesa si sta riadattando alla domanda di sistemi di sorveglianza e
monitoraggio delle frontiere. <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn5" name="_ftnref5" style="mso-footnote-id: ftn5;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[5]</span></span></span></span></a></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Nel 2015 solamente l’Unione Europea ha speso
ben <span class="st">203.143 miliardi di euro nel comparto difesa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un <i style="mso-bidi-font-style: normal;">trend</i>
destinato a crescere anche attraverso nuovi corposi sussidi pubblici .</span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn6" name="_ftnref6" style="mso-footnote-id: ftn6;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[6]</span></span></span></span></a><span class="st"> Insomma si assiste al passaggio da “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">welfare europeo</i>” a “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">warfare europeo</i>”
di cui parlava a suo tempo Christian Marazzi. </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn7" name="_ftnref7" style="mso-footnote-id: ftn7;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[7]</span></span></span></span></a><span class="st"> Altro che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">quantitative easing
for the people</i>”, </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn8" name="_ftnref8" style="mso-footnote-id: ftn8;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[8]</span></span></span></span></a><span class="st">soluzione possibile e necessaria da contrapporre al modello di
austerità al quale l’industria militare sembra essere immune ed immunizzata. </span></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Gli elementi e i
fattori critici si incrociano, si sovrappongono. E’ quella che Jean Baudrillard
ha definito assai argutamente nel suo saggio “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Power Inferno, requiem per le Torri Gemelle”</i>, scritto all’indomani
delle Torri Gemelle, <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn9" name="_ftnref9" style="mso-footnote-id: ftn9;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[9]</span></span></span></span></a>
guerra come “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">continuazione
dell’inesistenza della politica con altri mezzi”</i>. Eppure ad un certo punto
pareva che i movimenti pacifisti potessero rappresentare un contropotere, forti
com’erano nello sfidare il potere della menzogna e della prevaricazione
unilaterale che permeava l’avventurismo neocoloniale delle “potenze”
occidentali in Iraq ed Afghanistan. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La
terza potenza mondiale la chiamò il New York Times, assimilando alla politica di
potenza di chi faceva la guerra, il potere, la <i style="mso-bidi-font-style: normal;">puissance</i>, dei movimenti, due elementi assai distinti. E’ la
distinzione fra “potere” e “potenza” che va messa a nudo? O forse <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>è il termine stesso “guerra” che non aiuta a
leggere le tracce, e identificare le modalità con le quali la politica estera
di potenza si esplicita e pertanto ad individuarne e mettere in campo i
necessari anticorpi? </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Le guerre sono
economiche, commerciali, telematiche e nel cyberspazio, guerre al terrore o al
terrorismo, guerre sotterranee, guerre di posizionamento e guerre per le
risorse. Guerre alimentate dalle risorse e dal loro sfruttamento e commercio
illegale, o per controllare risorse scarse. Qualche anno fa le Nazioni Unite
calcolavano che almeno 1/5 dei conflitti armati nel mondo avessero a che fare
con le risorse naturali. O per assicurare il proprio controllo, o perché alimentate
dal loro contrabbando (Repubblica Democratica del Congo, il Ruanda e la regione
dei Grandi Laghi ne sono l’esempio più evidente), o perché il loro sfruttamento
indiscriminato ha portato ad un reazione armata da parte delle popolazioni
impattate. Il caso del MEND prima e dei <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Niger
Delta Avenger</i> nel Delta del Niger, gruppi armati che si opponevano alle
attività di imprese petrolifere, inclusa l’AGIP, a causa del devastante impatto
socio-ambientale delle loro attività, sono lì a dimostrarlo. Le prossime guerre
saranno per il controllo di risorse scarse, quali l’acqua o scatenate dagli
effetti nefasti dei mutamenti climatici.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>Guerre <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“paradigmatiche”</i>
insomma, strettamente connesse ai costi sociali ed ecologici del modello
dominante di sviluppo, quello del capitalismo “estrattivo”. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Ci sono le guerre
contro Al Qaeda prima ed il DAESH ora. Guerre in regioni già provate da forti
trasformazioni, o che si sono definite nelle crepe aperte dagli interventi
unilaterale del dopo 11 settembre. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>A
differenza del passato, però, quella che pareva essere una maledizione o una
salvezza per altri popoli, oggi entra dentro la nostra quotidianità. Lo fa
attraverso legislazioni di emergenza, la militarizzazione dell’ordine pubblico,
la securitizzazione di sempre più ampi spazi pubblici e privati. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Varie sono state nel
corso della storia le analisi e le strategie che si sono sviluppate intorno
alla guerra, “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">una forza che ci dà
significato</i>” diceva nel 2004 in un suo saggio il giornalista investigativo
Chris Hedges. <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn10" name="_ftnref10" style="mso-footnote-id: ftn10;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[10]</span></span></span></span></a> Analisi
volte a giustificarne il ricorso, che fossero “sante” o giuste”, a scagionare
talune potenze rispetto alla tragedia di taluni popoli, a cercare di
disinnescare il potenziale di nuove guerre, o portare a termine quelle in
corso. Antagonisti della guerra e fautori della guerra in un modo o nell’altro
hanno adottato schemi di analisi equivalente, che siano quelli della
geopolitica o della realpolitik, della primazia dei diritti umani e
dell’esportazione della democrazia, con o senza armi. Forse il punto centrale
nel tentare di proporre un quadro di riferimento politico e concettuale per
disinnescare la miccia della guerra va trovato altrove, in una nuova
prospettiva strategica e concettuale. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Identificando dapprima i nessi e le
correlazioni, a partire dal nostro “punto di enunciazione”, e del ruolo che
l’Italia svolge nella logica e nella pratica della guerra. Ed in seguito elaborando
un quadro di riferimento teorico, politico e concettuale che possa
rappresentare un valido paradigma alternativo per la politica estera del paese,
ispirato al rifiuto netto della guerra ed al concetto ed alla pratica della
“neutralità attiva”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Oggi l’Italia, il
sistema Italia, derubricato come pura formalità il ripudio costituzionale alla
guerra, la guerra la fa per interposta persona o partecipando direttamente, si
attrezza per la guerra, si adatta alle nuove modalità di guerra, con uso di
drone armati e forze speciali. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Vende armi in giro
per il mondo, e aumenta la propria spesa militare: secondo il Documento di
Programmazione Economica per il 2016-2018 solo nel 2016 l spesa militare
italiana ammonterà a 13.36 miliardi di euro, che, considerate anche le spese
per le missioni e lo sviluppo e produzione di sistemi d’arma, arrivano ad un
totale di 17,7 miliardi. Le vendite ed esportazioni di armi italiane <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn11" name="_ftnref11" style="mso-footnote-id: ftn11;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[11]</span></span></span></span></a>
sono triplicate nel 2015 raggiungendo un valore totale di 54 miliardi di euro. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Accettando <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il dispiegamento sul suolo nazionale di bombe
atomiche americane di ultima generazione si offre <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una volta ancora come la portaerei della NATO,
nella nuova allarmante fase di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un confronto con la Russia di Vladimir Putin che
sta portando ad una ripresa del riarmo nucleare. <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn12" name="_ftnref12" style="mso-footnote-id: ftn12;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[12]</span></span></span></span></a></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Come strappare
quindi<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la maschera dei “mercanti della
guerra”? </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Dal punto di vista
della strategia necessaria per resistere alla guerra, andrà anzitutto
riconosciuto che la guerra non si può fare senza armi. Pertanto è nell’industria
delle armi, con il suo volume impressionante di fatturato globale che va
cercata la soluzione, ossia nel disvelare l’intreccio tra la stessa e le scelte
di politica estera. Ed avviare un’iniziativa globale per la riduzione delle
spese militari (che secondo le stime del SIPRI per il 2015 ammontano oggi a
oltre 1.7 trilioni di dollari<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn13" name="_ftnref13" style="mso-footnote-id: ftn13;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[13]</span></span></span></span></a>)
assieme alla conversione dell’industria bellica ed <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il disarmo, come proposto in un importante
conferenza su Disarmo e pace tenutasi a settembre scorso a Berlino ed
organizzata <i style="mso-bidi-font-style: normal;">dall’International Peace
Bureau.</i> <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn14" name="_ftnref14" style="mso-footnote-id: ftn14;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[14]</span></span></span></span></a></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Uno degli ambiti da
quali partire per evidenziare tali nessi e immaginare possibili vie d’uscita
riguarda la relazione tra produzione e vendita di armi e politica estera. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Premessa essenziale è il riconoscimento del
fatto che la politica estera oggi ha un carattere multidimensionale, riguarda
non solo relazioni tra paesi, tramite alleanze, o la cessione di sovranità ad
ambiti multilaterali , ma anche ed in misura crescente le relazioni
commerciali, industriali, la commistione tra interessi di impresa,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>economici, strategici- geopolitici.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">A ciò va aggiunto che
nella genesi della politica estera, da quella tradizionalmente improntata sulla
realpolitik, a quella di potenza, a quella “etica” dell’ingerenza umanitaria <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e dell’esportazione della democrazia e dei
diritti umani, si è andata ormai affermando una visione di politica estera<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">securitizza”</i>
ogni suo aspetto, dalla cooperazione allo sviluppo, alle relazioni
diplomatiche, a quelle commerciali. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Questo
punto appare ormai imprescindibile in ogni analisi relativa alla politica
estera visto che ne è l’elemento centrale, e non solo per una scelta politica consapevole
di abdicazione alle ragioni del diritto e della diplomazia. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">C’è poi un elemento
che richiama quella che Seymour Melman a suo tempo definiva la<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;">permanent
war economy</i><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"> <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn15" name="_ftnref15" style="mso-footnote-id: ftn15;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><b style="mso-bidi-font-weight: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[15]</span></b></span></span></span></a></b>,
o più semplicemente l’esistenza<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di un
apparato industrial-militare che determina le relazioni e i nessi causa effetto
tra interessi del settore difesa e la definizione ed implementazione della
politica estera di un paese.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">In tale contesto, anzitutto
va evidenziato il ruolo sempre crescente del Ministero della Difesa e
dell’Industria nella definizione delle linee strategiche del paese e della
proiezione del paese vero l’esterno ed allo stesso tempo depositario ed attore
di primo piano nella diplomazia industrial-militare. A ciò va aggiunta la
proliferazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>di accordi bilaterali di
cooperazione tecnico-industriale nel settore militare, volàno per <span style="color: red;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span>la cooperazione
nel settore degli armamenti e dell’industria.<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">L’Italia così continua
a vendere armi all’Egitto e ad altri paesi che violano di diritti umani, e ad
inviare bombe all’Arabia Saudita, dove di recente si è recata in pompa magna il
Ministro Pinotti <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn16" name="_ftnref16" style="mso-footnote-id: ftn16;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[16]</span></span></span></span></a>,
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>impegnata in una guerra sanguinosa e
brutale contro le milizie DAESH in Yemen con enormi costi in termini di vittime
civili. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="color: red;"></span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">Portando il discorso
alle estreme conseguenze si potrebbe affermare che l’invio di armi in paesi in
conflitto equivale a partecipare (seppur indirettamente) a quella guerra. E
quindi ad essere corresponsabili dei crimini di guerra commessi.<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn17" name="_ftnref17" style="mso-footnote-id: ftn17;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[17]</span></span></span></span></a>
Ad un aumento delle esportazioni di armi in zone di conflitto da una parte
(quindi una sorta di guerra per procura, all’interno della coalizione contro il
DAESH ad esempio, senza però l’invio di “scarponi sul terreno” visti gli alti
rischi ed i possibili costi “politici” di un’eventuale operazione)
corrisponde<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’aumento delle
collaborazioni industriali con paesi che offrono maggiori opportunità di
affari, dall’Asia, agli Emirati, all’Africa, all’America Latina. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">A questo punto va
detto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>chiaramente che inviare armi in
zone di conflitto è una scelta politica di guerra, seppur per procura, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>implica il sostegno alla guerra come modalità
per risolvere controversie internazionali, e per esteso violerebbe l’articolo
11 della Costituzione. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">C’è poi la
partecipazione diretta alle operazioni militari, alle guerre, sotto la guisa di
operazioni di pace. Il nostro paese in particolare è attivo negli scacchieri
dell’Iraq e dell’Afghanistan, oltre che in Libia, nel tentativo di mantenere in
ruolo di partner in tavoli negoziali ed aree geostrategiche di grande
rilevanza. In Iraq attraverso il sostegno alla coalizione anti-DAESH, sia con
forze armate per l’addestramento di milizie peshmerga kurde, che più di recente
con l’invio di un contingente di centinaia di militari a presidio del cantiere
dell’impresa Trevi presso la diga di Mosul <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn18" name="_ftnref18" style="mso-footnote-id: ftn18;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[18]</span></span></span></span></a>,
in un’area di grande rilevanza tattica nell’offensiva finale conto DAESH da tempo
annunciata. In<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Iraq l’Italia è seconda
solo agli Stati Uniti in termini di numero di truppe sul terreno. In
Afghanistan il ritiro delle truppe italiane è stato via via rinviato, e ad oggi
, a fronte di una situazione in continuo deterioramento per quanto concerne la
sicurezza, la presenza è aumentata a 750 soldati <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>tra Kabul e Herat per compensare il ritiro
degli effettivi spagnoli. Resteranno, secondo quanto deciso quest’anno al
vertice NATO di Varsavia,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>almeno fino al
2017 nel quadro della missione “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Resolute
Support</i>”. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>In Libia , a Misurata,
prima dell’annuncio dell’invio di paracadutisti della Folgore a protezione di
un ospedale da campo, per la prima volta sono state inviate truppe speciali
senza il necessario voto in Parlamento. Ciò è stato possibile grazie ad un
articolo inserito in un decreto missioni che lascia nelle mani del Presidente
del Consiglio il potere di dare ordini a forze speciali per intervenire in
operazioni di “lotta al terrorismo” </span><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 16.0pt;">concedendo<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>alle forze speciali (incursori, commandos
etc) gli stessi poteri degli agenti dei servizi segreti. Quei corpi speciali,
qualora autorizzati direttamente dal Presidente del Consiglio, potranno operare
quindi in condizioni di assoluta impunità da possibili reati commessi e
segretezza sia in Italia che all’estero. Operazioni </span><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 18.0pt;">undercover</span></i><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 16.0pt;"> quindi, che fanno il pari con la scelta di armare i
drone italiani per uso in teatri di guerra. Dopo due anni il Congresso di
Washington ha infatti approvato la configurazione di drone <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Reaper </i>italiani di stanza a Sigonella e la vendita di armi che
possono essere così installate ed usate dagli stessi. Secondo quanto reso noto
si tratterebbe di <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>156 missili AGM-114R2
Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, 20 GBU-12 (bombe a guida laser),
30 GBU-38 JDAM.<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn19" name="_ftnref19" style="mso-footnote-id: ftn19;" title=""><span style="mso-special-character: footnote;"><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 16.0pt;">[19]</span></span></a></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">[1]</span><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 16.0pt;"> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Secondo <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>il sito
<i style="mso-bidi-font-style: normal;">KnowDrones</i> <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la decisione di armare drone italiani, oggetto
di anni di dibattito negli Stati Uniti, rientrerebbe nella strategia USA in
Africa. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn20" name="_ftnref20" style="mso-footnote-id: ftn20;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "times"; font-size: 16.0pt;">[20]</span></span></span></span></a></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;"></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">La subalternità a
Washington risulta evidente non solo per l’Iraq, l’Afghanistan o la Libia ma
anche nel caso della partecipazione agli accordi di condivisione nucleare della
NATO.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Con questo accordo di <i style="mso-bidi-font-style: normal;">“nuclear sharing”</i><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>l’Italia permette la presenza di decine di
testate nucleari USA sul territorio nazionale, nella base USA di Aviano e
quella dell’Aeronautica Militare Italiana di Ghedi. Finora le bombe stoccate
nei bunker sotterranei erano per lo più un pegno di fedeltà all’amicizia
transatlantica, vecchie, obsolete e forse mai effettivamente utilizzabili. In
virtù di un programma di ammodernamento degli arsenali nucleari americani a
quelle bombe verranno sostituiti <i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></i></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">micidiali
ordigni riconfigurati per attacchi tattici di grande precisione, e non si dovrà
aspettare la consegna degli F35 adatti allo scopo.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Una
volta installate sugli F35, cacciabombardieri “invisibili” e rifornibili in
volo e quindi con un raggio di azione che arriva fino a Mosca <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn21" name="_ftnref21" style="mso-footnote-id: ftn21;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[21]</span></span></span></span></a>,
queste bombe da tattiche diventerebbero strategiche, con una potenza di
distruzione pari a 4 volte quella della bomba atomica di Hiroshima. Alcuni
Tornado in dotazione sono ora in <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fase di
riconfigurazione del proprio software (un'operazione che richiederà un paio di
anni) per trasportare le nuove bombe B61-3 e 4 a gravità <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>con un sistema di orientamento nella coda che
gli USA stanno rimodernando a costi elevatissimi. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn22" name="_ftnref22" style="mso-footnote-id: ftn22;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[22]</span></span></span></span></a>Fece
scalpore la notizia dei costi associati alla messa in sicurezza dei bunker dove
verranno stoccate le bombe: si parla di almeno 1 miliardo di dollari mentre per
la messa in sicurezza se ne spenderanno altri 154 milioni circa, dopo che
un'indagine interna dell'US Air Force effettuata nel 2014 mostrò gravi carenze.
Altri 100 milioni di dollari verranno poi spesi ogni anno dagli USA per il
dispiegamento delle nuove bombe. Ignorando se non violando gli accordi
internazionali sul disarmo nucleare e la non-proliferazione l'Italia aumenta
così <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>la sua capacità nucleare in quanto
firmataria dell'accordo di condivisione nucleare NATO con gli Stati Uniti. E <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>contribuisce ad alimentare la corsa agli
armamenti in uno scenario di Guerra Fredda 2.0 nei confronti della Russia<span class="textexposedshow">. </span></span><span class="textexposedshow"><i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;"></span></i></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span class="textexposedshow"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Ecco
quindi che il tema del disarmo nucleare si accompagna all’urgenza di
un’iniziativa globale per la riduzione delle spese militari ed il disarmo
convenzionale. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>La questione che rimane
aperta però è se ciò sia possibile in un quadro nel quale il paese, e l’Europa
sono inserite in un sistema di alleanze<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>e<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>patti di sicurezza collettiva, quali
la NATO. </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<span class="textexposedshow"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">Si
manifesta così l’esigenza di un approfondimento del possibile quadro di
riferimento concettuale nel quale riprogrammare e rielaborare le pratiche e le
proposte dei movimenti pacifisti ed antimilitaristi. Ciò potrebbe essere
possibile recuperando e riadattando la proposta e la pratica di neutralità
attiva. </span></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn23" name="_ftnref23" style="mso-footnote-id: ftn23;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[23]</span></span></span></span></a>Un’utopia
concreta che<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>può<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>essere presa a riferimento per<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>delineare un’ipotesi di politica estera<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>fondato su disarmo,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>pace e nonviolenza. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Che faccia cioè tesoro della storia, quella
non raccontata negli annali di guerra, o nei libri “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">mainstream”</i>, assai avvezzi a rappresentare la politica estera e la
storia come campi di battaglia armata o meno, tra deliri o strategie di
potenza, di impero, di sfruttamento, e assai meno capaci di leggere la storia
“altra”. Quella di paesi che invece avevano ed hanno rinunciato alla politica
di potenza, alla guerra, alle armi, ma che non rinunciano a cercare di
contribuire alla costruzione della pace. Insomma neutrali ma attivi, neutrali
dagli schieramenti delle potenze vecchie e nuove, ad esempio la NATO, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>ma attivi e partecipi con gli strumenti della
diplomazia o della forza “disarmata” nella gestione,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>prevenzione e risoluzione delle controversie
internazionali. La proposta di neutralità attiva è stato rilanciata da Un Ponte
per nel suo documento “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">L’opzione per una
neutralità attiva in Libia</i>”,<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn24" name="_ftnref24" style="mso-footnote-id: ftn24;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 16.0pt;">[24]</span></span></span></span></a></span><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;">[1]</span></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"> nel quale si propongono una serie di
passi, quali la <i>de-escalation</i> della logica di guerra e di uso della
forza , la neutralità<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>rispetto alle
fazioni che si opponevano al governo di Al Serraj. <span style="mso-bidi-font-weight: bold;">Neutralità attiva</span> significa creare le
condizioni per un ruolo terzo di mediazione che prevede l’abbandono di ogni
opzione militare, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>assieme al sostegno ad
attività di <i>peacebuilding</i>.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Recuperare in questo contesto le ragioni di
una pratica o un’idea di neutralità è cruciale per dimostrare come sia
possibile<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>lavorare per la pace e la
costruzione di relazioni pacifiche tra i popoli senza necessariamente
provvedervi attraverso l’uso dello strumento militare o aderendo in tutto o in
parte alle strategie delle alleanze o dei sistemi internazionali di sicurezza. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Facendo tesoro dell’esperienza, della storia e
delle varie iniziative attivate dalle varie realtà e soggetti del movimento
pacifista ed antimilitarista italiano potrà essere rielaborata una cultura della
pace. Neutralità attiva significa non ritrarsi nella ridotta
dell’isolazionalismo, bensì <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>adoperarsi
per <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>una ridefinizione della neutralità
come abbandono della politica di potenza e della guerra in favore di una
politica estera attiva, disarmata, nonviolenta. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span><span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Ed
è<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>proprio da questa prospettiva di
neutralità<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>generata dal ‘basso” e che si
alimenta<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>delle pratiche e delle
iniziative della società civile e presuppone una sorta di “ingerenza” positiva
e di taglio pacifico e nonviolento,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che
vale la pena di partire. Con l’obiettivo elaborare proprio “dal basso” assieme
a coloro che nel nostro paese lavorano per la pace, il disarmo, la nonviolenza,
un approccio ed una proposta concreta, politica, di paradigma alternativo per
la politica estera del nostro paese. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div align="center" class="MsoNormal" style="text-align: center;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span style="font-family: "calibri"; font-size: 16.0pt;"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";"><br />
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
<div class="MsoNormal">
<i style="mso-bidi-font-style: normal;"><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-fareast-font-family: "Times New Roman";">(*) , già Senatore della Repubblica, membro del Comitato
nazionale e responsabile advocacy di Un Ponte Per… www.sinistracosmopolita.blogspot.com</span></i></div>
<div class="MsoNormal" style="margin-bottom: .0001pt; margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div style="mso-element: footnote-list;">
<br clear="all" />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref1" name="_ftn1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[1]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/northamerica/usa/1423535/Americans-are-from-Mars-Europeans-from-Venus.html</span></div>
</div>
<div id="ftn2" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref2" name="_ftn2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[2]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://comune-info.net/2016/09/la-guerra-mediatica-del-carciofo/</span></div>
</div>
<div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref3" name="_ftn3" style="mso-footnote-id: ftn3;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[3]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Per tornare a casa nostra,<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>si veda ad esempio anche in Italia la
relazione stretta tra Finmeccanica e think tank quali lo IAI o l’ISPI<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>, o Aspen <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>nei cui <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Board siedono rappresentanti di Finmeccanica, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>o viceversa exviceministri degli esteri e
autorevoli teste pensanti di Aspen Institute che vengono mandati nel board di
Leonardo-Finmeccanica. </i></span></div>
</div>
<div id="ftn4" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref4" name="_ftn4" style="mso-footnote-id: ftn4;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[4]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://corporateeurope.org/sites/default/files/publications/ceo_armslobby_en-v2.pdf">http://corporateeurope.org/sites/default/files/publications/ceo_armslobby_en-v2.pdf</a></span></div>
<div class="MsoFootnoteText">
<br /></div>
</div>
<div id="ftn5" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref5" name="_ftn5" style="mso-footnote-id: ftn5;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[5]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="https://www.tni.org/en/publication/border-wars">https://www.tni.org/en/publication/border-wars</a></span></div>
<div class="MsoFootnoteText">
<br /></div>
</div>
<div id="ftn6" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref6" name="_ftn6" style="mso-footnote-id: ftn6;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[6]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.disarmo.org/rete/a/43549.html</span></div>
</div>
<div id="ftn7" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref7" name="_ftn7" style="mso-footnote-id: ftn7;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[7]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://www.deriveapprodi.org/2002/04/capitale-linguaggio/">http://www.deriveapprodi.org/2002/04/capitale-linguaggio/</a>
</span></div>
</div>
<div id="ftn8" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref8" name="_ftn8" style="mso-footnote-id: ftn8;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[8]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://effimera.org/un-quantitative-easing-for-the-people/">http://effimera.org/un-quantitative-easing-for-the-people/</a></span></div>
<div class="MsoFootnoteText">
<br /></div>
</div>
<div id="ftn9" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref9" name="_ftn9" style="mso-footnote-id: ftn9;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[9]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.raffaellocortina.it/scheda-libro/baudrillard-jean/power-inferno-9788870788143-938.html</span></div>
</div>
<div id="ftn10" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref10" name="_ftn10" style="mso-footnote-id: ftn10;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[10]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> “Chris Hedges, “Il Fascino oscuro della guerra”, Laterza, 2004 </span></div>
</div>
<div id="ftn11" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref14" name="_ftn14" style="mso-footnote-id: ftn14;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[14]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> https://www.ipb2016.berlin/action-agenda-of-the-international-peace-bureau-october-2016/</span></div>
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<br /></div>
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref16" name="_ftn16" style="mso-footnote-id: ftn16;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[16]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.disarmo.org/rete/a/43629.html</span></div>
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<div id="ftn17" style="mso-element: footnote;">
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref17" name="_ftn17" style="mso-footnote-id: ftn17;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[17]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> Lo spiega chiaramente un’eccellente pezzo di inchiesta del New
Inquirer “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Recoil operation</i>” sul
commercio legale ed illegale di armi leggere negli States. “<i style="mso-bidi-font-style: normal;">Domestic distaste for “boots on the ground”
dovetails with domestic commitments to arms-related manufacturing jobs making
it even more attractive to arm foreign allies instead of doing the fighting
ourselves”.</i></span><span lang="IT" style="font-size: 16.0pt;"> </span><span lang="IT">http://thenewinquiry.com/essays/recoil-operation/</span></div>
</div>
<div id="ftn18" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref18" name="_ftn18" style="mso-footnote-id: ftn18;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[18]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.huffingtonpost.it/francesco-martone/liraq-litalia-e-la-guerra-sbagliata_b_8893402.html</span></div>
</div>
<div id="ftn19" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
<div id="ftn20" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref20" name="_ftn20" style="mso-footnote-id: ftn20;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[20]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.huffingtonpost.it/francesco-martone/lelefante-nella-stanza-storia-di-droni-italiani-diritti-e-zone-grigie_b_8661726.html</span></div>
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref21" name="_ftn21" style="mso-footnote-id: ftn21;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[21]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://nukewatch.org/B61.html</span></div>
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<div id="ftn22" style="mso-element: footnote;">
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref22" name="_ftn22" style="mso-footnote-id: ftn22;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[22]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://ilmanifesto.info/verso-litalia-le-nuove-atomiche-usa/</span></div>
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<div id="ftn23" style="mso-element: footnote;">
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<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref23" name="_ftn23" style="mso-footnote-id: ftn23;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: "cambria"; font-size: 12.0pt;">[23]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> Transform! Italia 2016, atti del Convegno su “Neutralità Attiva. Un
possibile approccio per una politica di pace, disarmo e diplomazia popolare per
l’Italia” Roma, 10 settembre 2015<span style="mso-spacerun: yes;"> </span><a href="https://neutralitaattiva.wordpress.com/concept/">https://neutralitaattiva.wordpress.com/concept/</a>
- per la registrazione integrale del convegno:<span style="mso-spacerun: yes;">
</span><a href="https://neutralitaattiva.wordpress.com/tutto-il-convegno-in-video/">https://neutralitaattiva.wordpress.com/tutto-il-convegno-in-video/</a></span></div>
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Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-33029460038308831892016-10-09T22:07:00.001-07:002016-10-09T22:07:17.332-07:00Troppe morti e devastazioni per avere l'energia "pulita"<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="entry-content" itemprop="articleBody">
Il Manifesto, 7 ottobre 2016 <br />
<br />
<br />
Bertha è stata uccisa perché si opponeva al progetto
idroelettrico di Agua Zarca, sul fiume Gualcarque, tra le regioni di
Intibucà e Santa Barbara, nei pressi di un’area protetta, uno dei 13
progetti idroelettrici previsti nel territorio del popolo Lenca, di cui
Berta era leader riconosciuta a livello internazionale.<br />
<br />
Agua Zarca venne approvato nel 2013-2014 e prevede una concessione di
20 anni per produrre 21.3 MW per alimentare il comparto minerario del
paese, un settore in grande espansione soprattutto da quando l’allora
presidente Zelaya venne deposto con un colpo di stato, nel 2009. Come
tanti altri impianti idroelettrici viene proposto come investimento per
la produzione di energia “pulita” e quindi come contributo alla
cosiddetta «mitigazione» dei cambiamenti climatici, e come modalità per
la riduzione delle emissioni di carbonio nel quadro del Meccanismo di
Sviluppo Pulito, il Clean Development Mechanism o Cdm. Un approccio di
mercato riaffermato con forza nell’accordo sul Clima di Parigi
recentemente entrato in vigore e che non prevede norme vincolanti per il
rispetto dei diritti umani e dei popoli indigeni.<br />
<br />
Agua Zarca è parte di un progetto regionale di integrazione, il Plan
Mesoamerica sostenuto dall’Alleanza per la Prosperità del Triangolo
Nord, promossa da Barack Obama e dall’amministrazione Usa. Fin
dall’inizio il popolo Lenca si è opposto al progetto, che rischia di
intaccare irreversibilmente gli ecosistemi del fiume Gualarque, un fiume
sacro per il popolo di origine Maya, che lo considera il lascito del
Cacique Lempira, capo della resistenza alla colonizzazione spagnola.<br />
<br />
L’omicidio di Bertha segue quello di altri tre attivisti Lenca che si
opponevano alla diga costruita dalla Desa, impresa con forti legami con
l’esercito. In passato il progetto era sostenuto anche dalla Banca
Mondiale, che poi si ritirò in seguito ai rischi per i popoli indigeni e
l’ambiente, e da Sinohydro. Quest’impresa cinese opera in varie parti
del mondo, compresa l’Etiopia, in progetti assai controversi e che
spesso generano una spirale drammatica di repressione quali la diga di
Gibe III, assieme all’italiana Salini.<br />
<br />
Le grandi dighe stanno lasciando in America Centrale e altrove una
tragica scia di sangue e repressione. In Guatemala, dove il ricordo del
massacro di centinaia di Maya Achiì per far spazio alla diga di Chixoy è
ancora vivo, ed altri attivisti indigeni sono stati uccisi o
perseguitati in seguito all’opposizione a impianti idroelettrici.<br />
<br />
Emblematico il caso della diga di Santa Rita, registrato come
progetto Cdm e funestato da gravi violazioni dei diritti dei popoli
Q’eqchies di Cobán, Chisec and Raxruha. O nella vicina Panama dove il
popolo Ngabe Bugle, si oppone alla diga di Barro Blanco , finanziata
anch’essa, come Agua Zarca, dalla Fma olandese e anch’esso registrato
come progetto Cdm. Barro Blanco, sbarrerà le acque del fiume Tabasarà
inondando le loro terre legalmente riconosciute, obiettivo nel maggio
scorso di un assalto delle forze di polizia nel corso del quale vennero
arrestati 90 tra donne, giovani e bambini.<br />
Si calcola che una gran parte dei 59 popoli indigeni del
Centroamerica viva oggi sotto la minaccia delle forze di sicurezza a
causa della loro opposizione a progetti di sviluppo infrastrutturale,
sfruttamento di idrocarburi e risorse minerarie.<br />
<br />
L’ultimo rapporto di global Witness sui crimini contro i difensori
della terra pubblicato nel marzo scorso ha registrato un bilancio
drammatico in tutta la regione.<br />
Dal 2010 al 2015 in Honduras sono stati assassinati 109 difensori
della terra, 33 in Messico, 32 in Guatemala, 1 in Salvador, 15 in
Nicaragua, 2 in Costarica.<br />
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-71558912674030704542016-10-09T22:04:00.003-07:002016-10-09T22:04:33.704-07:00Bertita alla ricerca della giustizia <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="entry-content" itemprop="articleBody">
Il Manifesto, 7 10 2016 <br />
<br />
«Credo che di fronte alla richiesta di giustizia proveniente da
ogni parte del mondo per l’assassinio di mia madre Bertha, sia
importante per me essere in Italia per raccontare in prima persona
quello che stiamo vivendo in Honduras, rafforzare i vincoli di
solidarietà e collaborazione per far sì che alla richiesta di giustizia
seguano azioni concrete», Bertita parla con voce sottile, lo sguardo
penetrante e profondo incorniciato da capelli neri. Studia storia e
cultura dell’America Latina in Messico, dopo aver passato cinque anni di
studi a Cuba. Ormai però la stragrande maggioranza del suo tempo la
passa in giro per il mondo, per rappresentare il proprio popolo, il
popolo Lenca e l’organizzazione di cui fa parte, il Copinh (Consejo
Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras), di cui la
mamma Bertha era co-fondatrice e leader riconosciuta.<br />
<br />
Sette mesi sono passati da quando Bertha ha trovato la morte sotto i
proiettili di qualche sicario mandato da chi voleva mettere a tacere la
sua voce e quella di chi si oppone al progetto della diga Agua Zarca, a
Rio Blanco.<br />
<br />
La storia di Bertha, dell’impunità e della mancata collaborazione del
governo honduregno nell’accertare le responsabilità e punire i mandanti
ed esecutori materiali del delitto, è la storia di tanti attivisti.<br />
<br />
Bertita porta sulle sue forti spalle un’importante eredità. È in giro
per l’Italia da una decina di giorni. Dopo il Festival di
Internazionale a Ferrara, la incontriamo a Roma in occasione della tappa
organizzata con il sostegno del Cica, Collettivo Italia-Centro America.
Ha voluto visitare la tomba di Antonio Gramsci, come fece a suo tempo
la mamma quando venne a Roma per incontrare Papa Francesco in occasione
del primo incontro da lui convocato con i movimenti indigeni e sociali
di mezzo mondo. E ha finalmente avuto occasione di parlare faccia a
faccia con Vicky Tauli Corpuz, la tenace e combattiva relatrice speciale
Onu sui Diritti dei Popoli Indigeni, donna indigena Igorot delle
Filippine. Era tempo che si rincorrevano. Vicky aveva visitato il sito
della diga assieme a Bertha madre, attivandosi fin da subito.<br />
<br />
Immediatamente dopo il suo omicidio, si è mossa con tutti gli
strumenti a sua disposizione, contrapponendo i suoi dossier a quelli
menzogneri e inaffidabili prodotti dal governo dell’Honduras,
dall’impresa e dagli organismi finanziari che sostengono il progetto:
Fmo olandese, FinnFund finlandese e la Banca centramericana di
integrazione economica (Bcie).<br />
È dei giorni scorsi la pubblicazione di un suo rapporto sull’Honduras
e il progetto di Agua Zarca al centro delle denunce del Copinh, stilato
dopo una missione sul campo, che le ha permesso di constatarne in prima
persona la veridicità.<br />
<br />
Bertita ha incontrato nuovamente Inka Artjeff rappresentante del
Parlamento Sami che vive a Roma e che si è attivata da tempo – dopo
essersi conosciute ad Helsinki – per convincere il governo finlandese a
recedere dal finanziamento della diga. All’inizio il progetto era
sostenuto dalla Banca Mondiale e da Sinohydro, che decisero di ritirarsi
in seguito all’indignazione internazionale conseguente l’assassinio di
un attivista della comunità Lenca.<br />
<br />
In Italia da tempo esiste una rete di solidarietà con il Copinh che
si è immediatamente attivata per accogliere Bertita. In molti si sono
spontaneamente mobilitati. Da Un Ponte Per alla Fondazione Lelio Basso e
il Tribunale Permanente dei Popoli, che anni or sono convocò Berta tra i
testimoni di una sua sessione sulle imprese europee e sui diritti umani
in America Latina.<br />
A loro ha chiesto sostegno: «Vogliamo una commissione indipendente di
inchiesta sull’omicidio di mia madre, che venga immediatamente
cancellato il progetto, e che si ponga fine al clima di impunità che il
mio popolo e tutti i popoli indigeni stanno soffrendo nel nostro paese».
Ha anche incontrato gli attivisti di Amnesty International, che ha
rilanciato una campagna nazionale per chiedere giustizia per Berta e
pubblicato un importante dossier sui crimini contro i difensori della
terra in America Centrale. Greenpeace si è attivata da tempo con i suoi
uffici nella regione andina e in Italia, mettendo a disposizione anche
la Rainbow Warrior. Tutto questo per offrire uno spazio di protezione e
informazione sulla situazione di un popolo e di un paese che,
dall’indomani del golpe che depose l’allora Presidente Zelaya, vive una
ulteriore drammatica escalation della repressione e l’aumento
esponenziale di omicidi contro i difensori della terra e dei diritti
umani.<br />
<br />
Non che la situazione fosse migliore prima, anzi. «Esiste da sempre
un forte nesso tra la spirale di violazioni, la criminalizzazione dei
movimenti sociali ed indigeni, l’avanzata della frontiera estrattiva e
la costruzione di grandi infrastrutture destinate a produrre elettricità
per la trasformazione delle risorse minerarie. A maggior ragione in un
contesto di illegalità e illegittimità come quello dell’Honduras del
dopo Golpe» accusa Bertita.<br />
<br />
È evidente che quella dei diritti è questione essenzialmente
politica, con migliaia di storie di resistenza. Se ne è parlato a
Berlino, in occasione di un recente incontro promosso dal Transnational
Institute, in concomitanza con il «summit» dei movimenti pacifisti e
dell’International Peace Bureau, dedicato al disarmo. Lo sanno bene gli
attivisti che, a breve, si riuniranno a Ginevra in occasione del secondo
incontro del gruppo di lavoro open ended del Consiglio ONU sui Diritti
Umani, incaricato di discutere gli elementi essenziali di un Trattato
vincolante per le imprese transnazionali e altri attori economici. Una
sfida importante, necessaria, che attualmente non viene sostenuta da
importanti attori economico-commerciali, quali l’Ue.<br />
<br />
Bertita ha parlato anche all’Onu a Roma, di fronte a delegati
indigeni, della società civile e delle agenzie Onu in occasione di un
evento organizzato da Fao, Ifad e International Land Coalition. Con il
suo linguaggio semplice e diretto ha puntato il dito contro il governo
honduregno, l’impresa Desa ed i finanziatori europei. Una catena di
corresponsabilità che va messa a nudo e perseguita attraverso la
solidarietà internazionale, la costruzione di reti e vertenze comuni.<br />
<br />
Va rotto il recinto dell’impunità – è di qualche giorno la notizia
del trafugamento in Honduras dei fascicoli dell’inchiesta sull’omicidio
di Bertha – e dell’oblio, unendo le forze, entrando ovunque, fin dentro
le aule della camera. Invitata in audizione dalla presidente del
Comitato diritti umani della commissione Esteri della camera Pia
Locatelli, Bertita ha chiesto «un impegno chiaro» nei confronti del
governo dell’Honduras (con il quale l’Italia ha un accordo per la
promozione degli investimenti, ndr), e «verità e giustizia e il rispetto
dei diritti umani e dei popoli indigeni. Sarebbe anche importante
sollecitare i Parlamenti finlandese e olandese affinché si interrompano i
finanziamenti a Agua Zarca».<br />
Bertita esorta il parlamento italiano a seguire l’esempio di altri
paesi, come gli Stati Uniti, dove è al vaglio un progetto di legge, il <em>Bertha Caceres and Human Rights Act</em>,
che prevede l’interruzione di ogni forma di aiuto militare all’Honduras
fintantoché non si risolva il caso di Bertha, e si persegua questo e
gli altri crimini contro difensori di diritti umani nel paese, e si
indaghino casi di corruzione che vedono coinvolte le sfere militari.
«Prima di tornare in Messico e poi in Chiapas, chiudo il mio viaggio
italiano a Mondeggi, luogo di un’importante operazione di recupero e
autogestione dove mi incontrerò con i movimenti italiani per condividere
la mia esperienza e conoscere le loro lotte».<br />
<br />
Saluta con un sorriso,
Bertita, e riparte con il suo zaino in spalla.<br />
<br />
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-40775505039122921812016-09-27T01:21:00.001-07:002016-09-27T01:21:29.066-07:00Referendum, democrazia reale, buen vivir<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
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<br />
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Sto riflettendo sul referendum di dicembre e
non posso non pensare a quello purtroppo fallito contro le trivelle, o meglio
sarebbe stato definirlo e gestirlo come referendum per la giustizia ecologica.
Vabbé tant’è. Ma vedo le due cose ben connesse. Credo infatti che i due
pilastri sui quali si debba rielaborare un progetto ed una pratica di
giustizia, che sia sociale, economica ed ecologica siano il buen vivir inteso
come trasformazione radicale del modello produttivo, ed il riconoscimento dei
diritti della natura, la fuoriuscita dalla trappola del petrolio, e la
democrazia reale. Il rapporto diretto e stretto tra cittadini e cittadine, e
chi si offre per il governo della cosa pubblica. Sono due elementi
profondamente intrecciati tra loro quello del contrasto al capitalismo
estrattivista e quello della trasformazione dei processi democratici verso
forme d democrazia diretta e partecipativa, di prossimità, di municipalismo
libertario da una parte e ricostruzione del “demos” e del “nomos” europei. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Insomma, credo che oggi sia fondamentale
rivedere i luoghi dell’agire politico, e del conflitto, ripensare il livello
nazionale, e cercare invece di consolidare le forme di municipalismo “virtuoso”
e di ricostruzione di uno spazio comune e transnazionale a livello europeo. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Per far questo però è necessario un doppio
passaggio: da una parte tenere aperto lo spazio di agibilità per permettere di
“approfondire” i processi e le pratiche democratiche, appunto prendendo atto <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>della crisi della “rappresentanza” a livello
nazionale, per costruire altre forme dirette, aperte, inclusive ed includenti.
E dall’altro praticarle, e metterle a sistema. Questo spazio deve rimanere
aperto, per questo credo che oggi il tema del referendum costituzionale vada
visto in una prospettiva più ampia. Non può essere visto come un referendum
contro una persona o contro un partito, per quanto io non condivida
nell’essenza cosa quel partito sia o le linee politiche interpretate dal
premier<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>e dalla sua maggioranza. In
quanto atto costituzionalmente riconosciuto di democrazia diretta, insomma un
piccolo mattoncino di quella democrazia reale che vorremmo, quello strumento è
a disposizione di tutti e di nessuno. Dei cittadini e delle cittadine
anzitutto, e non di singoli partiti politici. E un’eventuale vittoria del No,
non può essere messa a disposizione di nessuno se non dei cittadini e delle
cittadine che avranno votato NO. E che ahimé non rappresentano in maggioranza
la mia idea di società o di politica. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Ora, credo che la Costituzione non possa essere
intesa come un monoblocco intangibile, impermeabile alle trasformazioni
sociali, ma neanche può essere intesa come un menu à la carte, da rivedere e
correggere alla bisogna ed in ossequio ad interessi particolari. Giacché dietro
il pretesto di efficienza e efficacia, di good governance e certezza della
legge, di lotta alla casta ed agli sprechi, ingredienti che infarciscono la
retorica renziana, si cela il vero obiettivo. Ovvero una torsione che accentra
potere nelle mani del premier e indebolisce gravemente le prerogative del
Parlamento, cancella luoghi di democrazia di prossimità, e quantomeno sposta il
confine che si vorrebbe spingere ancor più in avanti verso la democrazia reale,
drammaticamente indietro. E fa di ciò<span style="mso-spacerun: yes;">
</span>uno dei pilastri dello stato, come si fece con l’inserimento del
pareggio di bilancio in Costituzione. Che guarda caso è legato a doppio filo a
questa trasformazione della “governance” che la riforma costituzione vorrebbe
imprimere. Allora, è ovvio che schierarsi per il NO oggi significa anche
contrastare un modello non solo politico ma anche economico, che prevede
appunto il restringimento degli spazi di democrazia reale, in ossequio ad un
principio di “efficacia” ed “efficienza” elementi essenziali per attrarre
investimenti e agevolare gli interessi d’impresa.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Spazi che sono di tutti e tutte, e vanno
difesi con le unghie ed i denti, con lo sguardo e la prospettiva rivolte in
avanti. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-17816473772854225432016-09-21T03:24:00.000-07:002016-09-21T03:24:03.410-07:00La sfida della neutralità attiva <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
l mio contributo sul tema della neutralita' attiva per ArciReport di settembre<br />
<br />
15 anni sono passati dall’11 settembre, evento che ha suggellato la
fine del millennio e l’inizio di una fase di guerra globale permanente,
con le tragiche conseguenze dal punto di vista politico ed umano, Da
allora il ricorso alla guerra si è sempre più ammantato di una coltre
etica, che sia ingerenza umanitaria o esportazione della democrazia manu
militari. “Se non sei con me sei contro di me”,<span class="text_exposed_show">
e “se sei con me non puoi esserlo senza avallare il ricorso alla forza
armata contro il terrore, a difesa di popolazioni civili”. Una vera
chiamata alle armi, di sapore neocoloniale. La fine del bipolarismo, e
l’irrompere di altre potenze e soggetti non statuali, rende poi il
quadro ancor più complesso. “O sei con me o sei con DAESH o con una
potenza geopolitica contrapposta”. La Siria insegna. Un gioco a somma
zero nel quale chi lavora per la pace, fondata sulla giustizia e sul
ruolo centrale dei popoli, come attori principali del proprio destino
rischia di rimanere all’angolo. Anche per mancanza di un quadro di
riferimento che possa essere altro rispetto alla realpolitik, o alla
geopolitica. E che recuperi la tradizione e le elaborazioni sulla
neutralità attiva che hanno attraversato la storia dei movimenti sociali
e pacifisti e caratterizzato l’azione e la scelta politica di vari
paesi. Tra questi Svizzera, Costa Rica, Irlanda, Svezia o Austria che
in vari modi hanno scelto in passato e parte nel presente, di non essere
parte di conflitti o di schieramenti contrapposti. Anche se spesso da
una posizione di neutralità ci si è via via spostati verso un avallo più
o meno marcato dell’opzione militare. Evocare la neutralità attiva
potrebbe così sembrare un paradosso, giacché ogni paese è interconnesso
ad alleanze ed organizzazioni internazionali, Così non è: la neutralità
può rappresentare la prospettiva di un percorso di progressivo
sganciamento dalle opzioni di guerra e dalle alleanze che la teorizzano e
la fanno, per aspirare a stare nel mondo con la forza attiva della
ragione, della mediazione, del disarmo, della nonviolenza, della
diplomazia popolare. Approfondire il tema, come propone Transform!
Italia , anche sulla scorta di una proposta di neutralità attiva per la
Libia lanciata a suo tempo da Un Ponte Per… può servire così a vari
scopi. Immaginare una cornice comune di riferimento dei movimenti
pacifisti ed antimilitaristi, ed ipotizzare un percorso di lavoro che ne
accomuni le esperienze, campagne ed approcci. Giacché la neutralità non
può essere appannaggio degli stati e dei governi, ma è il risultato
finale di ciò che la società civile ed i movimenti pacifisti riescono a
mettere in campo e costruire, Insomma una sfida urgente e necessaria.</span><br />
<div class="text_exposed_show">
<a href="http://www.arci.it/files/7314/7395/7178/Arcireport_n_28_-_2016.pdf" rel="nofollow" target="_blank">http://www.arci.it/…/7…/7395/7178/Arcireport_n_28_-_2016.pdf</a></div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-41905743946273527902016-09-19T12:29:00.000-07:002016-09-19T12:29:02.280-07:00La lotta senza tempo dei Mohawk<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT"> per QCODE magazine, settembre 2016 </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT"><br /></span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">E’ un giorno d’agosto di pioggia intensa,
battente. A Montreal si teneva il Forum Sociale Mondiale, il primo mai fatto in
un paese del cosiddetto “Nord” del mondo, come se una categoria geografica
ormai consunta possa esaurire la portata di dinamiche e i meccanismi di
inclusione, ed esclusione, di sfruttamento e invasione che caratterizzano ormai
l’assalto ai <i>“commons”</i> ed ai diritti
dei popoli in ogni parte del mondo. Nella città francofona <span> </span>i<span>
</span>movimenti studenteschi <span> </span>fecero la
storia, quando - sulla scia di “Occupy”n e dei<span>
</span>movimenti degli Indignados e delle Primavere Arabe - lanciarono la loro
di primavera dell’”acero”, la “Maple Spring” che portò decine di migliaia di
persone in piazza. Una rivolta <span> </span>nel nord
algido del Canada, paese che oggi ci vorrebbe agganciati attraverso un accordo
commerciale quale il CETA, e che proprio a Montreal vede il fulcro delle
attività ed il cervello pensante delle strategie delle principali
multinazionali del settore petrolifero<span>
</span>mondiale. Un’enorme auditorium ed un parco a tema ambientalista
sponsorizzato dalla Rio Tinto Zinc ce lo ricordano. Un Sud di decine e decine
di “homeless”, distrutti dall’alcol, che vengono dalla gelida Nunavut, il paese
degli eschimesi, gli Inuit. E poi loro, i <span class="il">Mohawk</span>,
discendenti di un popolo guerriero,
spesso e volentieri sul piede di guerra per difendere le loro terre.
Ieri da un
progetto di campo da golf, ieri l’altro per proteggere le acque del San
Lorenzo dagli sversamenti tossici delle fogne di Montreal, oggi per
interdire la
strada ad un oleodotto. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">A separare Montreal dalla comunità <span class="il">Mohawk</span> di Kahnawake è
un ponte eretto in ricordo del governatore del Quebec, Honoré Mercier. Opera di
ingegneria che suggella la collaborazione tra i <span class="il">Mohawk</span> e i costruttori
canadesi. Un ponte che unisce, ma che può anche separare, quando viene occupato
dalle comunità dell’altra sponda per far valere i propri diritti. Attraversiamo
il Mercier Bridge ed arriviamo dall’altra parte, una lingua di terra percorsa
da un rettilineo lungo il quale si affacciano innumerevoli botteghe, le insegne
fluorescenti di marche improbabili di sigarette. E’ la produzione di sigarette
una delle<span> </span>principali fonti di entrate
per la comunità, assieme al lavoro di manutenzione del ponte, essendo i <span class="il">Mohawk</span> <span> </span><span> </span>espertissimi ed abilissimi edili. Si narra che
possano camminare sule travi di acciaio sospese nel vuoto senza soffrire di
vertigini, appollaiati su scheletri di grattacieli che costellano la “skyline”
di Manhattan. La storia di Kahnawake e della <span> </span><span> </span>comunità “sorella” di Kahnatasake <span> </span><span> </span>affonda
le radici nel passato coloniale, e si ripropone come segno tangibile di una
lotta millenaria per l’autodeterminazione e la dignità. Una schiera di
villette<span> </span>smontate di sana pianta e
ricostruite al di là della strada che al di qua i canadesi decisero di punto in
bianco di cementificare la sponda del fiume, cacciando via chi da tempo
immemorabile ci viveva e ne viveva. Poi gli edifici delle istituzioni di
governo della comunità, quelle imposte dal governo canadese, fredde, e
squadrate, senza anima, e la <i>longhouse,</i>
di legno, quella che rappresenta la vera anima della comunità. All’interno, le
luci soffuse, una schiera di panche ad est ed una ad ovest, insegne <span class="il">Mohawk</span>, e
stendardi delle nazioni Iroquois, una scritta dedicata a Deganawida, il grande
pacificatore e fondatore della comunità di Kanonsonnionwe, la società perfetta,
senza eguali.<span> </span>Un drappo <span> </span><span> </span>riporta
la seguente scritta <i>:”Resisteremo in ogni
modo ad ogni aggressione e violazione dei trattati, ed ogni interferenza verso
il libero uso e godimento della nostra terra, ogni usurpazione della nostra
sovranità, invasione o oppressione. Ci impegniamo a far sì che il clamore venga
sentito da una parte all’altra del mondo”. </i> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">In piedi al centro, la nostra
“guida”, <span> </span>Kenneth Deer, <span> </span>inizia il suo racconto. Ci spiega che le donne
nella comunità hanno un ruolo di gran rilievo. A prescindere dal fatto che
secondo i nostri parametri, è permesso loro l’’ingresso dall’entrata
posteriore, <i>“ad ovest dove sorge la Luna,
non entrata secondaria”</i> - ci tiene a sottolineare - mentre gli uomini
entrano dall’entrata ad est, dove sorge il sole. La <i>longhouse</i> è divisa a metà, esattamente la stessa parte per le donne
e per gli uomini, che la comunità e divisa in sei<span> </span>clan tre per gli uomini tre per le donne,
quello della tartaruga, quello dell’orso e quello del lupo.<i><span> </span></i>“<i>Le donne sono quelle che hanno l’autorità di ogni clan. Nella longhouse
una “tartaruga” non può spostare un’ altra “tartaruga”, ma non importa chi sia
il padre il bambino apparterrà al clan della madre. <span> </span>Tu sei ciò che è tua madre.”</i> E le “madri
dei clan” hanno un potere straordinario, sono loro a decidere - se dovesse
morire uno dei capi dei clan maschili - il suo successore, visto che <i>“sono loro che vedono i bambini crescere e
sanno chi ha le migliori caratteristiche per essere chief. Quindi giocano un
ruolo molto importante. Se il capo non ascolta le persone la clanwoman lo
ammonisce e se continua a non ascoltare lei lo ammonisce ancora e se continua
la donna ha l’autorità per rimuoverlo e rimpiazzarlo”. </i>Nel villaggio esiste
una precisa distribuzione dei compiti, alle donne spettava originariamente la
scelta del logo dove costruire il villaggio, la coltivazione del terreno, il
raccolto. Sono le vere responsabili della terra, mentre agli uomini spettava la
caccia, la ricerca del cibo, i viaggi, la diplomazia, la difesa e la sicurezza.
<span> </span> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Ci racconta poi di come vengono prese le
decisioni, il loro sistema deliberativo, essenzialmente diverso da quello
“occidentale”, rappresentato dalle istituzioni elettive imposte a suo tempo dal
governo canadese, e che di fatto quasi nessun “nativo” riconosce come
legittime. Nella <i>longhouse </i>vige il
principio del consenso, come obiettivo e come valore intrinseco nella necessità
e fine di tenere compatta e coesa la comunità. Non si vota, ma si decide
attraverso il dialogo e la negoziazione tra clan se il tema riguarda i clan, se
riguarda la comunità interna, va alla discussione nella “<i>longhouse</i>” dove inizia la discussione tra due clan, finché questi
non raggiungono un accordo, per poi passare la mano al terzo clan che fino ad
allora osservava la discussione. Se non si arriva al consenso, la questione
viene “seppellita”, o i membri della comunità “ci dormiranno sopra” per poi in
caso rimetterlo in discussione. “E’ il popolo che ha il potere, “<i>People have the power” – </i>sorride Ken<i> – spesso siamo stati in conflitto con il
Consiglio eletto, che è espressione del sistema di governo dello stato
canadese, perché alla fine sono le persone nella comunità che decidono. Il
consiglio elettivo ad esempio voleva costruire qua a casa nostra un casinò, noi
siamo contro, e non abbiamo votato nel referendum proposto, semplicemente ci
siamo opposti, e del casinò non se ne parla”.<span>
</span></i>Le tracce della colonizzazione e della resistenza emergono in ogni
aspetto della vita <span> </span>e delle relazioni con
le autorità “statuali”, dalla delegittimazione dei Consigli elettivi , imposti
dopo la firma di un trattato tra Canada e popoli Iroquois, e attraverso
l’Indian Act, nel tentativo di rimpiazzare con la forza la loro lingua e
cultura e sostituire la forma tradizionale di governo<i>. “Così oggi ci sono due sistemi di governo, il consiglio eletto e
quello tradizionale, e la gente sa dov’è il vero potere. Oggi solo il 25 percento
dei nostri vota il sistema elettivo gli altri fanno riferimento al sistema di
governo tradizionale. Nella comunità nativa più grande del Canada, quella delle
Six Nations, solo il 5 percento vota per il sistema elettivo. Sappiamo
benissimo dov’è il potere”. <span> </span></i>Ed è un
contropotere che si esprime anche nel sistema giudiziario che tra i <span class="il">Mohawk</span> è
fondato sul risarcimento piuttosto che sulla pena.<span> </span> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Oggi, il nuovo primo ministro Justin Trudeau
ha dichiarato come uno dei primi atti del suo mandato, di voler imprimere una
svolta alla politica di governo rispetto alle “First Nations” canadesi, ed alla
questione dei diritti dei popoli indigeni in generale, invertendo la posizione
che vedeva il Canada tradizionalmente contrario al riconoscimento della
Dichiarazione ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni (UNDRIP). Un’apertura vista
con favore, che però cozza con la determinazione con la quale il governo
intende perseguire la costruzione di “pipeline” e estrarre combustibili
attraverso il fracking. Una di queste condutture, la “<i>Transcanada pipeline”</i><span>
</span>passerà a nord di Kahnawake, attraverso la terra dei <span class="il">Mohawk</span> di Kahnatasake,
che hanno già espresso la loro netta opposizione. “<i>Anche noi la pipeline non la vogliamo”</i>, spiega Ken, <span> </span>un atto di solidarietà che ricorda quello del
lontano 1990, quando la storia della resistenza <span class="il">Mohawk</span> fece il giro del mondo.
Allora la comunità di Kahnatasake era in rivolta contro il piano di
allargamento di un campo da golf ad Oka, luogo sacro, dove era sepolto il capo
<span class="il">Mohawk</span> Kanawatiron, al secolo Joseph Gabriel, che nel 1911 si mise a capo della
resistenza degli Irochesi cotro la costruzione di u na ferrovia che doveva
attraversare la loro riserva. <i><span> </span></i>L’11 luglio 1990 la polizia arrivò ed
attaccò, le donne in prima fila, le barricate ad Oka. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Ken continua a raccontare
<i>“Decidemmo di fare qualcosa e bloccammo a
prima mattina il Mercier Bridge, paralizzando l’intera Montreal. Arrivò una
SWAT team e ci furono tafferugli, ci attaccarono con granate assordanti, i
<span class="il">Mohawk</span> reagirono, un poliziotto fu ucciso”.</i> Con le loro barricate tennero
il ponte per 56 giorni, fin quando <span> </span><span> </span>su richiesta del governatore del Quebec arrivò
l’esercito. Arrivarono anche osservatori internazionali dalla Svizzera e dalla
Francia. A Ken fu chiesto di fare da negoziatore. “<i>Ci misi un giorno per arrivare a Montreal per incontrare il ministro
per gli affari indiani del Canada. <span> </span>Ricordo di aver fatto una passeggiata, tra i
pini, e le fortificazioni, i guerrieri <span class="il">Mohawk</span> in mimetica, e potevo riconoscere
le loro<span> </span>voci. Erano miei studenti quando
lavoravo in liceo venti anni prima, quindi mi conoscevano tutti. E rimasi così impressionato
dal fatto che persone normalissime fossero pronte a difendere con le armi la
loro terra”</i><span> </span>Al governo canadese
chiesero come condizione per i negoziati una amnistia, che il governo non
accettò, i negoziati fallirono e Ken fu inviato <span> </span>a Ginevra alle Nazioni Unite per sbloccare la
trattativa. Prese la parola alla cerimonia d’apertura del gruppo di lavoro
delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni a nome della<span> </span><span class="il">Mohawk</span> Nation,<span> </span>accolto con una <i>standing ovation</i>. <i>V</i>enne
anche in Italia a Bologna <span> </span>e Verona su
invito dei Verdi. Ken continua il suo racconto, che si intreccia con l’epopea
di Daganawida, il grande pacificatore che venne inviato dal Creatore, per
portare la pace tra i <span class="il">Mohawk</span>, guerrieri nati. “<i>Venne e parlòd i pace, di mettere da parte odio e vendetta. Gli Onaida
accettarono e poi arrivò da noi attraversando le cascate del Niagara. Restò con
noi ben 5 anni per insegnarci la pace, poi tornò dagli Onaida e riuscì a far
finire la guerra</i>.” Dovettero comunque riprendere le armi quando i Francesi
, alleandosi con gli Huron, tentarono di annientare la confederazione degli
Iroquois per avere libero accesso alle vie di trasporto delle pellicce. Non
riuscirono nell’intento. Huron e francesi vennero sconfitti ed i primi fuggirono
fino alle frontiere dell’Oklahoma. <i>“ Ci
provarono tante volte a distruggerci, facendo come <span> </span>i conquistadores con gli Aztechi, tagliano le
teste, uccidendo i capi. Ma noi avevamo le nostre donne pronte a sostituire i
capi con altri capi” . </i> </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Una comunità senza paura quella dei <span class="il">Mohawk</span> di
Kahnawake. Ogni tanto sul Mercier Bridge spunta una bandiera <span class="il">Mohawk</span>, o arrivano
marce autoconvocate come quella degli studenti della Kahnawake Survival School,
la scuola di sopravvivenza fondata da Ken.<span>
</span>A novembre dello scorso anno, decisero di punto in bianco di alzarsi
dalle loro aule, uscire e marciare per bloccare una delle rampe del ponte per
protestare contro un piano del comune di Montreal per sversare milioni di
galloni di reflui tossici nelle acque del San Lorenzo. Lo stesso fiume che tra
gli anni ’50 e ‘70 venne contaminato dai rifiuti tossici della General Motors,
della Aluminium Company of America e la Reynolds Metal, distruggendo gli stock
di pesca, necessari per la dieta quotidiana dei <span class="il">Mohawk</span> che da allora iniziarono
a dipendere da cibo prodotto industrialmente con conseguente aumento dei casi
di obesità e diabete.<span> </span>Ci salutiamo poco
prima dell’imboccatura del Mercier Bridge sotto la pioggia battente. Kenneth di
l a poco avrebbe iniziato ad insegnare politiche dello sviluppo alla Mc Gee
University, teatro in quei giorni delle iniziative del Forum Sociale Mondiale. <span> </span>Ed aspetta ora la risposta dal Vaticano alla
missiva da lui consegnata in persona a Papa Francesco qualche mese fa a Roma,
nella quale i rappresentanti dei popoli nativi condannano la “dottrina della
scoperta”, che servì da pretesto per la evangelizzazione forzata dei loro
popoli. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Noi torniamo a Montreal, per gli ultimi giorni di Forum Sociale
Mondiale. <span> </span>Di lì a poco centinaia di “<i>indian americans”</i> popoli nativi
nordamericani<span> </span>si sarebbero<span> </span>accampati nei pressi di un cantiere<span> </span>in Nord Dakota<span> </span><span> </span><span> </span>assieme ai loro fratelli e sorelle di Standing
Rock. Uniti nella più grande protesta nativa che si ricordi contro un oleodotto
che minaccia le sorgenti di acqua potabile.<span>
</span>Una mobilitazione destinata a fare storia, sostenuta da ogni parte del
paese, da movimenti quali Black Lives Matter, a organizzazioni locali,
ambientaliste e non.<span> </span>Anche in Canada si
assiste ad un risorgimento indigeno. <i>“Idle
no more</i>”,<span> </span>è lo slogan del movimento
che nato in Saskatchewan per bloccare una legge che avrebbe limitato la
sovranità dei popoli nativi si<span> </span>è
allargato a macchia d’olio in tutto il Canada diventano il più grande movimento
indigeno della storia del paese.<span> </span>Storie
perenni di resistenza (non di protesta - ci tengono a dire - ma di protezione
della terra, dell’acqua, dell’aria. “<i>We
are protectors , not protestors</i>”) , di occupazioni, e di rivendicazione di
diritti e sovranità, nei vari “sud” che esistono e resistono nel “nord”
geografico di un pianeta sempre più piccolo e vulnerabile, <span> </span><span> </span>sempre
più imprigionato nell’era dell’Antropocene. </span></div>
<span>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<i>
</i><div class="MsoNormal">
<span lang="IT"><i>(lavorando per anni con popoli indigeni, ho
imparato un sacco di cose, tra cui la regola delle sette generazioni, “ogni
volta che fai una cosa pensa a cosa potrebbe accadere alla settima
generazione”. E visto che credo che questa regola possa applicarsi anche alla gratitudine
e ricooscenza, ecco una postilla doverosa. Ho conosciuto Ken forse venti anni
fa a Bruxelles, a casa di una cara persona, allora lavorava per i popoli
indigeni al Parlamento Europeo. Mardoeke mi ha aperto la strada verso quel
mondo. In quel salotto, in una fredda sera d’inverno venni a sapere di Oka e
del lavoro di Ken. Poi l'ho rivisto a Parigi, l’anno scorso, alla COP20 in
occasione delle mobilitazioni per la giustizia climatica. Lo ringazio per
avermi accolto nella sua terra, come ringrazio chi ho incontrato in questi
anni, e che ora resiste – o forse meglio “protegge” la Terra, <span> </span>in Canada come negli Stati Uniti. Ben,
Clayton, Tom, Dallas, Alberto, Rochelle, Wahleah, Andrea, Ken, Kim, Nicole, Crystal e
tanti altri e tante altre)</i>. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT"><br /></span></div>
</span></div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-52550566671582135582016-09-19T12:26:00.001-07:002016-09-19T12:26:05.436-07:00Proteggere i difensori dei diritti umano ovunque. Oltre la realpolitik<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
articolo per newsletter Un Ponte Per... Settembre 2016<br />
<br />
<style>@font-face {
font-family: "MS 明朝";
}@font-face {
font-family: "MS 明朝";
}@font-face {
font-family: "Cambria";
}p.MsoNormal, li.MsoNormal, div.MsoNormal { margin: 0cm 0cm 10pt; font-size: 12pt; font-family: Cambria; }p.MsoFootnoteText, li.MsoFootnoteText, div.MsoFootnoteText { margin: 0cm 0cm 0.0001pt; font-size: 12pt; font-family: Cambria; }span.MsoFootnoteReference { vertical-align: super; }a:link, span.MsoHyperlink { color: blue; text-decoration: underline; }a:visited, span.MsoHyperlinkFollowed { color: purple; text-decoration: underline; }span.TestonotaapidipaginaCarattere { }.MsoChpDefault { font-family: Cambria; }.MsoPapDefault { margin-bottom: 10pt; }div.WordSection1 { }</style>
<br />
<div class="MsoNormal">
<span lang="IT">Le continue notizie di omicidi, sequestri,
incarcerazioni illegittime, processi non equi, torture, e vessazioni di ogni
tipo contro <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>associazioni per la tutela
dei diritti umani, e attivisti in Egitto sono solo la punta di iceberg di
un’emergenza globale . L’attacco contro i difensori dei diritti<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>umani, intesi nella loro accezione più ampia
(si va dagli attivisti per i diritti delle donne e GLBQT; a chi lotta per
difendere l’ambiente e la terra, chi si attiva per la tutela dei diritti
civili, la libertà di stampa , l’accoglienza, lo stato di diritto) miete infatti
decine e decine di vittime <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn1" name="_ftnref1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[1]</span></span></span></span></a>..
Un sottotraccia che raramente incide nei rapporti tra governi <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>centrati sull’interesse nazionale, e la
realpolitik.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Tutto ciò in fondo rappresenta
la <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>vicenda dell’assassinio di Giulio
Regeni, una tragedia compiutasi sullo sfondo di un paese teatro di continue
violazioni dei diritti umani, <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>che mette
in discussione anche e soprattutto l’uso retorico e spesso strumentale dei
diritti umani e ci interroga sulla qualità della politica estera del nostro
paese.<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Questo il senso della campagna
promossa da <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un Ponte Per, assieme ad
altre ONG dell’Associazione delle Organizzazioni di cooperazione e solidarietà
internazionale italiane<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>(AOI) in difesa
dei difensori dei diritti umani in Egitto <span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-spacerun: yes;"> </span><a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn2" name="_ftnref2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[2]</span></span></span></a></span>
e per una profonda rimodulazione della politica estera italiana verso quel
paese. Accanto al sostegno a iniziative per la verità e giustizia per Giulio
Regeni, ed alle richieste di embargo della cooperazione militare ed il blocco
della vendita di armi all’Egitto, avanzate da Retedisarmo, chiediamo un impegno
chiaro da parte del governo italiano <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a
protezione dei difensori dei diritti umani in quel paese. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Un’urgenza che non può però essere confinata all’Egitto.
Giovano infatti ricordare in tale contesto le attività di Un Ponte Per assieme
alle organizzazioni di donne che difendono i diritti umani,<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn3" name="_ftnref3" style="mso-footnote-id: ftn3;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[3]</span></span></span></span></a>
<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>a Baghdad - un’emergenza evidente
anche<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>altrove nella regione <a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftn4" name="_ftnref4" style="mso-footnote-id: ftn4;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[4]</span></span></span></span></a>
- che rappresentano <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>un versante
imprescindibile di lavoro accanto ad una proposta di campagna nazionale sui
Difensori dei Diritti Umani sulla quale attivare <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>organizzazioni della società civile ed ONG
italiane. Per dar maggior forza al lavoro di campo sarà infatti urgente
chiedere al Parlamento ed al governo italiano di seguire l’esempio di altri
paesi europei quali Irlanda, Spagna, Olanda che si sono dotati di procedure e
strumenti per monitorare la situazione dei difensori dei diritti umani nei
paesi nei quali sono presenti loro rappresentanze diplomatiche dando così
attuazione agli orientamenti della UE in proposito. Una strategia di pressione
sui decisori politici che non può prescindere da iniziative di accompagnamento
ed informazione capillare verso i media e l’opinione pubblica , e di
sensibilizzazione<span style="mso-spacerun: yes;"> </span>delle amministrazioni
locali che potrebbero attivarsi per accogliere chi oggi rischia la propria vita
per difendere i diritti umani. <span style="mso-spacerun: yes;"> </span>Passi
questi necessari per far sì che l’imperativo del rispetto dei diritti umani
venga sottratto alle grinfie degli interessi geopolitici e strategici,
restituito alla solidarietà internazionale e ad una politica estera centrata
sul diritto internazionale e sui diritti dei popoli. </span></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<div style="mso-element: footnote-list;">
<br clear="all" />
<hr align="left" size="1" width="33%" />
<div id="ftn1" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref1" name="_ftn1" style="mso-footnote-id: ftn1;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[1]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://www.unponteper.it/diritti-umani-allarme-mondo/">http://www.unponteper.it/diritti-umani-allarme-mondo/</a></span></div>
</div>
<div id="ftn2" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref2" name="_ftn2" style="mso-footnote-id: ftn2;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[2]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> http://www.ong.it/per-un-ruolo-diverso-dellitalia-su-diritti-umani-e-democrazia-in-egitto-2/</span></div>
</div>
<div id="ftn3" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref3" name="_ftn3" style="mso-footnote-id: ftn3;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[3]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://www.unponteper.it/donne-e-diritti-umani-un-programma-di-protezione-delle-attiviste-irachene/">http://www.unponteper.it/donne-e-diritti-umani-un-programma-di-protezione-delle-attiviste-irachene/</a><span style="mso-spacerun: yes;"> </span></span></div>
</div>
<div id="ftn4" style="mso-element: footnote;">
<div class="MsoFootnoteText">
<a href="https://www.blogger.com/blogger.g?blogID=7554174430860685964#_ftnref4" name="_ftn4" style="mso-footnote-id: ftn4;" title=""><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT"><span style="mso-special-character: footnote;"><span class="MsoFootnoteReference"><span lang="IT" style="font-family: Cambria; font-size: 12.0pt; mso-ansi-language: IT; mso-ascii-theme-font: minor-latin; mso-bidi-font-family: "Times New Roman"; mso-bidi-language: AR-SA; mso-bidi-theme-font: minor-bidi; mso-fareast-font-family: "MS 明朝"; mso-fareast-language: JA; mso-fareast-theme-font: minor-fareast; mso-hansi-theme-font: minor-latin;">[4]</span></span></span></span></span></a><span lang="IT"> <a href="http://www.gc4hr.org/news/view/1268">http://www.gc4hr.org/news/view/1268</a></span></div>
</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-7819259716360491872016-09-14T23:45:00.002-07:002016-09-14T23:45:40.402-07:00i tre 11 settembre che hanno fatto la storia <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
Oggi 11 settembre, nel 1973 veniva soffocato nel sangue il sogno di un
Cile socialista e democratico, ne seguirono anni di dolore, morte,
persecuzione. Il mio ricordo sbiadito in bianco e nero delle immagini di
un aereo che bombardava la Moneda. Oggi 11 settembre 2001, tre aerei
vennero scagliati a bomba contro le Torri Gemelle, e sul Pentagono ,
fecero migliaia di morti, suggellarono la fine del millennio e l'inizio
di una nuova era, la guerra globale permanente, della quale a milioni
continuano a soffrirne le conseguenze. Oggi 11 settembre 2003 a Cancun
fallì il negoziato dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, il Doha
Round. Insomma il segno che il mito del libero scambio stava segnando il
passo. Una serie di fili conduttori legano questi tre eventi, ognuno a
loro modo ha segnato anche la vita e le scelte politiche di moltiudini
di persone. I Chicago Boys del 1973 erano i padri di chi sedeva dietro
scrivanie di Wall Street, presa a simbolo di un mondo da distruggere con
una folle crociata, i padri forse di chi solertemente negoziava le
sorti di milioni di poveri e lavoratori di ogni parte del mondo nell'
amena località balneare nello Yucatan. Oggi osserviamo come le
esperienze delle sinistre in America Latina sono entrate in crisi, per
varie ragioni, esterne ed intrinseche che andranno vagliate e studiate a
fondo, migliaia di civili sono intrappolati ad Aleppo, o in altri
teatri di guerra tra Afghanistan, Siria, Irak, mentre il sogno di
qualcuno di creare la più grande zona di libero scambio tra USA e UE sta
naufragando. Il Cile di allora ha animato la resistenza di migliaia di
cileni e cilene, e un'ondata di solidarietà internazionale che ha
rappresentato un elemento imprescindibile per la storia politica di
moltissimi di noi. L'11 settembre 2001 ha dato vita ad un movimento
pacifista globale che si è poi intrecciato con i movimenti
altermondialisti che hanno contribuito al fallimento del WTO e più di
recente allo stallo del TTIP. Ecco, al netto dei ricordi e delle
celebrazioni, questo forse è quello che rimane in noi, a suo tempo
lontani spettatori del colpo di stato, più o meno direttamente coinvolti
nella resistenza alla guerra globale permanente, o all'agenda
neoliberista del WTO. La "agency", quell'innata spinta alla solidarietà,
alla resistenza, alla disobbedienza. Così credo si debba leggere
l'intreccio di eventi che sono occorsi nei vari oggi del passato. Il
libro forse più bello che ho letto sull'11 settembre è di Jonathan
Safran Froer, "Extremely loud, incredibly close". Il saggio più lucido
"Power Inferno, requiem per le Twin Towers" di Jean Baudrillard, Quel
che resta, due abissi quadrati di granito nero ad opera del grande
Daniel Libeskind, che ti fanno la stessa impressione delle decine di
blocchi squadrati e levigati del memoriale della Shoah accanto alla
Porta di Brandeburgo a Berlino. I più toccante ricordo di Salvador
Allende l'intervista data a Regis Debray, il ricordo più forte delle
mobilitazioni alle quali partecipai a Cancun dopo un memorabile giro tra
le comunità zapatiste, quello dell'istante nel quale un contadino,
attivista coreano si tolse la vita davanti alle barricate ed agli
schieramenti di polizia. Si chiamava Lee Kyung Hae.</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-43677674580341936742016-09-14T23:34:00.002-07:002016-09-14T23:34:33.616-07:00 la Libia tra guerra mediatica e conflitto armato<div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
<br />
<h1 class="title">
<a href="http://comune-info.net/2016/09/la-guerra-mediatica-del-carciofo/" rel="bookmark" title="La guerra mediatica del carciofo">La guerra mediatica del carciofo </a></h1>
<div class="post-meta">
<span class="author2"><a href="http://comune-info.net/autori/francesco-martone/" rel="tag">Francesco Martone</a> | </span>
<span class="post-date">13 settembre 2016 | </span>
<span class="post-comments"><a href="http://comune-info.net/2016/09/la-guerra-mediatica-del-carciofo/#respond">0 commenti</a></span>
</div>
<div class="printfriendly pf-alignright">
<a class="noslimstat" href="http://comune-info.net/2016/09/la-guerra-mediatica-del-carciofo/#" rel="nofollow"><span class="printfriendly-text2 printandpdf"><br /></span></a></div>
http://comune-info.net/2016/09/la-guerra-mediatica-del-carciofo/<div class="entry">
<div class="pf-content">
<h5>
<strong>Se non si trattasse
di un tassello del puzzle di una catastrofe così sanguinosa, quella
della guerre del nostro tempo, la strategia di comunicazione che il
governo italiano e i media che contano adottano sull’intervento in Libia
sarebbe facile da qualificare: farsesca. A leggere certe dichiarazioni,
per il loro contenuto ma anche per come vengono raccontate, sembra di
sfogliare un carciofo: nelle prime foglie c’è l’etica, la protezione di
un ospedale da campo in nome del giuramento di Ippocrate, poi, pian
piano, emergono i dettagli: prima i paracadutisti, poi i droni, poi la
portaerei, i cacciabombardieri…Non sarà che i<span class="text_exposed_show">n
Libia comincia la vera battaglia, quella dopo DAESH, ed è meglio
mettere sul campo le proprie pedine per poi andare a trattare la
spartizione delle zone cruciali per imprese petrolifere?</span></strong></h5>
<a href="https://comune-info.net/wp-content/uploads/2016/09/Italia-Libia.jpg"><img alt="italia-libia" class="aligncenter wp-image-362032" height="302" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/2016/09/Italia-Libia.jpg" width="604" /></a><br />
<span style="color: maroon;">di Francesco Martone</span><br />
C’è un qualcosa di indefinito e indefinibile in quello spazio
immateriale tra comunicazione, spin e realtà che si fatica a decifrare
ma che funziona ad arte per <span style="color: #ff6600;"><strong>allontanare dagli occhi lo spettro della guerra.</strong></span> E’ quello spazio indefinito nel quale <span style="color: #ff6600;"><strong>si costruiscono giustificazioni eticamente accettabili, o praticamente incontrovertibili</strong></span>,
che sia la protezione di un ospedale da campo, in nome del giuramento
di Ippocrate, oppure la protezione dei lavoratori di un cantiere di
un’impresa<span class="text_exposed_show"> italiana in Irak. Lo spazio nel quale tutto si trasforma ad arte, s<span style="color: #ff6600;"><strong>i
rimescolano le carte, si rielabora e si creano via via strati di
sottile carta velina che, uno dietro l’altro, provano a nascondere la
verità</strong></span> o a orientare ad arte l’opinione pubblica. Già <strong><span style="color: #ff6600;">chi potrebbe essere contrario a proteggere medici che curano feriti?</span></strong>
Feriti da chi, poi? Non certo da DAESH; visto che a Sirte pare ne siano
rimaste poche decine, e anche altrove, in Libia, pare che quelli di
DAESH non è che se la passino poi molto meglio.</span><br />
<span class="text_exposed_show"><span style="color: #ff6600;"><strong> E dei bersaglieri che si dice? Mandati a protezione della diga di Mosul</strong></span>, sotto sotto, carta alla mano, realizzi che <span style="color: #ff6600;"><strong>sono</strong></span> guarda caso <span style="color: #ff6600;"><strong>a guardia di una retrovia dell’imminente battaglia finale contro DAESH,</strong> <span style="color: #333333;">a Mosul</span></span>
e, secondo fonti di stampa, possibile obiettivo di un devastante
attacco terroristico. Forse lì si può opinare che l’uso di soldati come
guardie giurate di un’impresa privata non è che sia del tutto corretto,
ma ricordiamoci dell’uso dei fucilieri di marina per proteggere le navi
mercantili, con tutte le conseguenze del caso. Anche qua, poi,
proteggerli da chi? E il luogo, come in ogni mappa militare, conta. Di
Mosul s’è detto. Misurata è a un tiro di schioppo dalle operazioni
militari delle milizie del generale Heftar, acerrimo nemico del governo
di “unità nazionale” con a capo Serraj, sostenuto anche dall’Italia. Lì a
Misurata ci sono forze speciali americane e di altri paesi. </span><br />
<a href="https://comune-info.net/wp-content/uploads/2016/09/ES5AY3K76064-k6a-U106026543016780iH-700x394@LaStampa.it_.jpg"><img alt="es5ay3k76064-k6a-u106026543016780ih-700x394lastampa-it" class="aligncenter wp-image-362033" height="338" src="https://comune-info.net/wp-content/uploads/2016/09/ES5AY3K76064-k6a-U106026543016780iH-700x394@LaStampa.it_.jpg" width="601" /></a><br />
<span class="text_exposed_show">Lì, secondo indiscrezioni, già
operavano forze speciali italiane. E la vera battaglia ora in Libia sarà
sul dopo DAESH. Allora meglio mettere sul campo le proprie pedine per
poi andare a trattare. A maggior ragione se si tratta di zone cruciali
per le attività delle proprie imprese petrolifere. Ecco cosa c’è dietro
quella cortina. E <span style="color: #ff6600;"><strong>a leggere <em>la Repubblica,</em> oggi, sembra di sfogliare un carciofo</strong></span>:
le prime foglie sono sull’importanza della missione, “etica” (guarda
caso, quindi incontestabile, come se etica e politica fossero
equivalenti), dicono i ministri. Poi però emergono i dettagli: 200
paracadutisti, 100 medici. E poi altri dettagli: pare ci saranno droni, e
il sostegno della portaerei Garibaldi, e dei cacciabombardieri. <span style="color: #ff6600;"><strong>Pinotti
dice che ci si appoggerà solo a unità presenti nella missione
Eurnavformed. Ma quella missione non aveva altri obiettivi?</strong></span>
Si era detto: il contrasto al traffico di persone, il salvataggio e
semmai la distruzione di barchini o barconi in alto mare o a riva. Ma <span style="color: #ff6600;"><strong>non mandiamo “boots on the ground” bensì “meds on the ground”, insiste Gentiloni, manco fosse la riedizione della serie tv MASH</strong></span> oppure i parà della Folgore andassero lì in pantofole. Suvvia.</span><br />
</div>
</div>
</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7554174430860685964.post-89242605128912280462016-09-14T23:30:00.004-07:002016-09-14T23:30:56.698-07:00Le faglie aperte dell'America Latina <div dir="ltr" style="text-align: left;" trbidi="on">
mio contributo alla pubblicazione di Terra Nuova:"L'America Latina del 2016: fratture, continuità, prospettive dalla voce di protagonisti dei movimenti sociali",<br />
http://www.terranuova.org/pubblicazioni/l-america-latina-del-2016-fratture-continuita-prospettive-dalla-voce-di-protagonisti-dei-movimenti-sociali<br />
<br />
------<br />
<br />
<br />
<br />
E’ evidente che siamo di fronte alla fine più o meno conclamata di un
ciclo in America Latina, quello che si definisce il “relato
progresista” , o forse di fronte ad una sua possibile trasformazione,
ed in alcuni paesi di una certa involuzione. In altri come la Colombia,
di una fase storica che potrebbe aprirsi con i processi di pace, ma
difficilmente potrà intaccare le questioni centrali del modello di
sviluppo e della democrazia reale. In altri come nel caso del Perù, il
pericolo scampato dell’elezione di Keiko Fujimori non autorizza grandi
entusiasmi vista la debolezza dei movimenti e la crescente pressione
sulle risorse naturali e la terra oltre che il persistere di un alto
livello di diseguaglianza. <br /><br />Certo nei casi più recenti di Brasile
e Argentina, si tratta di un’involuzione più o meno reversibile, in
parte alimentata anche dalle contraddizioni dei partiti prima al
governo, dall’incapacità di uscire dalla morsa del nepotismo o del
malaffare (si veda il caso del PT) il crescente distacco dalle classi
medie e dal popolo. In un incontro - quasi due anni fa - con il leader
del MST brasiliano Joao Stedile mi impressionò proprio questo elemento,
il fatto che in Brasile la stragrande maggioranza delle persone di
classe urbana si sentisse del tutto al margine della vita politica e
sociale del paese. <br /><br />Come dice giustamente l’introduzione del
dossier , non è possibile “fare di tutta l’erba un fascio” ed invece
tenere bene a mente le specificità e contingenze paese per paese, ma
indubbiamente il tema della democrazia e del deterioramento del rapporto
tra governati e governanti continua ad essere il punto centrale per
tentare di fermare l’avanzata delle “destre” (semmai sia possibile usare
ancora questo termine), e fare tesoro e “costruire” sui passi in avanti
compiuti dalla stragrande maggioranza dei paesi con governi
progressisti o di sinistra. <br /><br />Per questo è importante adottare una
traccia di lettura e di analisi diversa da quelle tradizionali di
destra e sinistra, semmai invece parlare di contrapposizione tra “alto” e
basso” come ad esempio proposto da Gustavo Esteva, e Raul Zibechi per
citarne due. Traccia di lettura che servirebbe ad interpretare la
capacità di movimenti sociali ed indigeni di operare una critica
radicale ai processi di accumulazione di potere politico e economico
nelle mani di élites vecchie e nuove, reazionarie, oligarchiche o
supposte rivoluzionarie. <br /><br />Bene, ogni esperienza politica
“ufficiale” in America Latina, nonostante la retorica di quelle più
ispirate ad un impianto culturale di sinistra e progressista, non ha
scalfito, se non in minima parte, quelle strutture di potere delle élite
tradizionali. Se lo ha fatto ha visto sostituirsi a quelle precedenti
nuove élite, di burocrati ed imprenditori che hanno perpetuato le
logiche di dominio e potere. Lo strumento principale, che è anche in
pratica causa della crisi stessa, e delle sue radici
economico-commerciali, è la fase cosiddetta “estrattivista” del
capitalismo. <br /><br />Anche i governi progressisti e di sinistra in
America Latina non sono usciti da quella morsa anzi hanno sposato in
pieno il modello estrattivista come conseguenza del sostegno a loro dato
dalle nuove e vecchie élite economiche ed imprenditoriali Eppoi per la
scarsa sensibilità alle tematiche ambientali, e comunque per la loro
legittima preoccupazione di ripagare un debito sociale e storico a
queste generazioni, dimenticando però che così facendo si stanno
rendendo responsabili di un debito ecologico per ora e per le
generazioni future. <br /><br />Se da una parte occorrerà senz’altro fare
fronte comune contro quelle che secondo una visione ormai forse
inadeguata si continuano a definire le “destre”, e contro gli effetti
negativi dei mercati e della finanza globale, allo stesso tempo si
dovrà lavorare anche sugli elementi portanti di una nuova fase, centrata
appunto su “Buen vivir” e democrazia radicale. <br /><br />Le due
questioni, quella del paradigma di sviluppo e dell’estrattivismo, del
“buen vivir” e della qualità della vita, vanno di pari passo con quelli
relative alla qualità della democrazia, e la restrizione degli spazi di
agibilità democratica e di partecipazione di quegli stessi soggetti
politici e sociali che avevano sostenuto e favorito l’ascesa al potere
di quei governi. Interessante a tal riguardo il caso della Bolivia, che
però è emblematico della sindrome di criminalizzazione dei movimenti
sociali, delle ONG e di quelle comunità che resistono e si oppongono
all’estrazione di risorse naturali nelle loro terre. <br /><br />Certo è che
accanto alla sinistra “oficialista” del XXI secolo si è andata
affermando, come dimostrano anche le mobilitazioni in Ecuador, una
sinistra di base, popolare, ecologista, indigena e contadina che invece
di essere considerata come “linfa vitale” viene dalla stessa sinistra
“oficialista” bollata come golpista o al soldo della destra e spesso
anche trattata con linguaggi e modalità neocoloniali. Questi movimenti
escono in parte indeboliti in parte rinvigoriti da questa fase storica
di governo delle sinistre. Indeboliti quando vengono cooptati, o
soggetti a repressione anche violenta. Il caso di Berta Caceres in
Honduras è stato solo la punta dell’iceberg dell’assalto sistematico ai
difensori della terra, e dei diritti umani che in America Latina ha
causato la morte di una miriade di attivisti, rappresentanti di popoli
indigeni, leader rurali. <br /><br />Allora oltre al tema della
sopravvivenza degna, attraverso la garanzia del soddisfacimento dei
bisogni primari, si deve affrontare il tema della sopravvivenza fisica
di attivisti e leader di movimenti che sono l’interlocutore e partner
privilegiato per un ulteriore “approfondimento” dei processi di
liberazione. <br /><br />Una liberazione che non può prescindere dal
soddisfacimento dei bisogni primari, o meglio il rispetto dei diritti
fondamentali, politici, economici, ambientali e sociali. Emerge
chiaramente da tutte le interviste come il tema del degrado dei diritti
sociali fondamentali, dalla scuola alla salute, al cibo, alla terra
all’acqua siano elementi comuni in quasi tutti i paesi. A fronte di
questo debito sociale ripagato solo in parte si accumula debito
economico e ecologico. Non a caso la maggior parte dei paesi illustrati
nelle interviste soffre un processo di liberalizzazione spinto, al fine
di aprire quei mercati agli investimenti internazionali, sempre più
agevolati da accordi di libero scambio asimmetrici. <br /><br />Insomma un
groviglio di cause e concause che andranno debitamente “spacchettate”
per comprendere meglio come affrontarle una ad una ed in maniera
connessa. <br /><br />Alto e basso, debito ecologico e contrasto al
capitalismo estrattivista, sono le due asimmetrie attraverso le quali
tentare di proporre una strategia altra ai partner e comunità, soggetti
politici e sociali con i quali si lavora o si lavorerà in America
Latina. Le due asimmetrie possono essere poi reinterpretate in proposte e
concetti “positivi”, ossia “buen vivir” e democrazia reale ai quali si
può poi aggiungere un concetto “collante” quello dei commons, o beni
comuni. <br /><br />Di buen vivir si tratta quando si prova a evidenziare le
contraddizioni di un modello capitalista estrattivo, ed orientato
all’esportazione, controproponendo un approccio che metta al centro, al
di là della facile ed opportunistica retorica di alcuni (si vedano ad
esempio le costituzioni di Ecuador e Bolivia) i diritti della madre
terra e delle comunità da una parte e il rafforzamento delle capacità di
autogoverno ed autoproduzione, di tipo mutualista e su piccola scala.
Ipotesi che però non possono prescindere dal riconoscimento dei diritti
fondamentali e del diritto alla terra ed ai beni comuni essenziali ed
all’autodeterminazione. <br /><br />Di democrazia reale si tratta quando si
riconosce centralità ai processi di emancipazione e restituzione di
dignità operati in varia misura dai paesi a governo progressista o di
“sinistra”, si riafferma il carattere irreversibile di tali conquiste.
Scommettendo poi sull’ulteriore rafforzamento o la rivitalizzazione di
quei soggetti politici e sociali, in primis movimenti contadini,
indigeni e urbani. Le interviste ad esempio offrono un quadro assai
variegato per quanto riguarda la “agency” dei movimenti sociali, alcuni
silenti verso i governi in attesa di qualche concessione, altri cooptati
del tutto o in parte, altri in aperta rotta di collisione. Se però si
riconosce che la democrazia “reale” e radicale dovrà essere una delle
chiavi di volta dell’azione futura in America Latina, allora si dovrà
trovare le modalità giuste per sostenere tali soggetti, creare
piattaforme, metterli in connessione, rafforzare le loro capacità, oltre
ad identificare modalità per proteggerli dal ritorno di governi
reazionari , dalla conservazione e dalla repressione violenta. <br /><br />Ci
si dovrebbe pertanto interrogare se oltre il post-liberismo ed il
neo-sviluppismo, esista a un’alternativa fondata su democrazia reale e
radicale, decolonizzazione delle strutture di potere, riconoscimento
dei beni comuni, autonomia dei movimenti sociali, autogoverno e
riconoscimento del debito ecologico e della giustizia ambientale. E per
un cambio di passo anche nelle pratiche e strategie di cooperazione e
solidarietà sarà importante definire quali possano essere gli elementi
chiave per un approfondimento del processo di liberazione e
emancipazione di quei popoli dopo una fase più o meno lunga di rottura
con l’ordine precedente. <br /><br />Il caso Ecuador, una rivoluzione cittadina senza i cittadini? <br /><br />In
Ecuador persiste, nonostante la retorica del cambio di matrice
produttiva, una forte enfasi sulle risorse petrolifere e minerarie, e la
costruzione di infrastrutture ad esse dedicate. Questo ha comportato
una forte dipendenza dell’economia del paese dal prezzo del petrolio
come anche nel caso del Venezuela e della Bolivia) al punto che oggi con
il calare del prezzo al barile, è diminuita sensibilmente il bilancio
dello stato e sono state attuate misure di taglio della spesa pubblica e
privatizzazioni. E’ importante anche notare che in Ecuador in
particolare si assiste ad una strategia di “normalizzazione” culturale e
dei settori accademici, spesso vicini ai movimenti sociali quali la
Universidad Andina o la FLACSO, nel tentativo di imporre una cultura
accademica conforme al progetto di Alianza Pais Non a caso l’Ecuador si
propone come società del talento umano e della conoscenza, un progetto
mutuato da altrove, dall’esempio del Qatar, o della zona economica
libera di Incheon in Corea del Sud. Simbolo di questa “vision” che poi
in effetti si traduce in mercantilizzazione della conoscenza e della
ricerca al fine di aumentare le opportunità di sfruttamento delle
risorse naturali (si veda il caso dell’ingegneria genetica) è la città
universitaria di Yachay. Per quanto riguarda i movimenti rurali e
contadini, questi sono assai debilitati anche in seguito alle campagne
governative volte a chiudere i canali di sostegno economico
dall'esterno, mentre le leggi sulla riforma agraria di fatto tendono ad
avvantaggiare i grandi proprietari e produttori di commodities per
l'esportazione. Anche la mobilitazione contro il trattato di libero
scambio tra UE ed Ecuador sembra segnare il passo. <br /><br /> A livello
sociale di base, si assiste al tentativo di forme di autorganizzazione,
di sviluppo di produzione Agricola su piccolo scala e di qualità, ad un
rinnovato protagonismo cittadino, come nel caso della “minga” collettiva
che si è sviluppata in sostegno alle vittime del recente terremoto. Un
segnale importante della capacità e volontà del popolo ecuadoriano di
attivarsi, dal basso, con ingegno e creatività, senza dipendere dalla
macchina degli aiuti governativi. Un elemento importante, tanto quanto
il ruolo di movimenti sociali ed indigeni, almeno quelli non cooptati
dal progetto officialista. Insomma, della “revolucion ciudadana”, sembra
rimasto poco di revolucion, ma molto spirito e senso civico e di
mobilitazione, che si nota anche nel fiorire di movimenti urbani, a
Quito ed altrove, di resistenza e proposta (movimenti GLBQT, la vertenza
per il mercato ortofrutticolo di San Roque a Quito etc). Eppoi il fatto
che a Quito si terrà la conferenza ONU Habitat offre un’opportunità per
studiare meglio le dinamiche urbane, le reti sociali che si stanno
mettendo in moto, e che potrebbero essere ancor più connesse a quelle di
base, contadine, e non solo. Oggi Correa perde consenso, lo dimostrano
le sconfitte alle amministrative di Quito e Cuenca, oltre quella
scontata a Guayaquil, ma alla fine i sondaggi lo danno sempre in testa,
in assenza di un progetto alternativo, se non quello delle elite
conservatrici. I tentativi di riorganizzare un fronte di sinistra
procedono, anche con un maggior protagonismo della CONAIE e di
Pachakutik, si sono svolte mobilitazioni di livello in tutto il paese,
spesso però infiltrate o sfruttate opportunisticamente dalle “destre”.</div>
Francesco Martonehttp://www.blogger.com/profile/05238460852505043034noreply@blogger.com0