a cura del Forum politiche internazionali dell'Associazione per la Sinistra
Giugno 2009
L'umanità sta vivendo un periodo di transizione, nel quale tutti gli assunti ed i parametri di riferimento della politica, locale, nazione e globale, vengono messi in discussione dall'irrompere simultaneo di quattro crisi globali, quella economico-finanziaria, quella climatica, quella alimentare e quella energetica. Quattro temi sui quali si giocherà il futuro delle istituzioni di governo globale, le politiche e strategie di sviluppo, cooperazione, solidarietà tra i popoli, e che chiamano le forze progressiste, ecologiste e pacifiste di sinistra ad una forte assunzione di responsabilità.
Contemporaneamente, con la fine dell’era Bush e l’avvio della nuova fase inaugurata dalla presidenza Obama, il declino dell'egemonia politica ed economica degli Stati Uniti, già latente da tempo, nonostante l’approccio imperiale sempre reiterato dai protagonisti della Casa Bianca, sembra assumere contorni più evidenti e netti al punto che, secondo molti osservatori, si prospetta non soltanto la fine - per altro programmaticamente dichiarata da Obama – dell’unilateralismo statunitense ma il possibile avvento di un sistema apolare o multipolare del governo globale. Questo potrà significare che, in futuro, nuovi soggetti (in particolare i paesi BRIC – Brasile, India, Cina, Russia) svolgeranno un ruolo di primo piano a livello mondiale. Ma il declino di una potenza come quella statunitense è destinato a suscitare sul medio e lungo periodo traumi e tensioni di ogni tipo, di cui occorrerà cogliere fin da subito i sintomi e le avvisaglie e a cui sarà necessaria ipotizzare e proporre risposte come Sinistra.
Il cambio di scenario, provocato dall’irrompere della crisi economica e dei suoi effetti devastanti, in primis sugli Usa, e dal contemporaneo cambio di passo della politica statunitense nei rapporti con il mondo, che Obama ha annunciato e ribadisce in ogni occasione, lascia nel frattempo irrisolti tutti i problemi e le contraddizioni del periodo precedente. Col rischio di un loro aggravamento.
Afghanistan e Pakistan, conflitto israelo-palestinese e Medio Oriente, gravemente segnato dalla guerra di Bush junior contro l’Iraq, il nucleare dell’Iran e altro ancora, tra cui la questione della Russia e dei rapporti tra Mosca e Washington: si tratta soltanto di alcuni titoli tra i tanti che affollano l’agenda politica. Abbiamo pertanto la necessità di capire come la nuova amministrazione statunitense intenda affrontare le pesanti eredità del passato mentre cerca una nuova via per riaffermare, nello scenario emergente, un nuovo ruolo e una nuova collocazione da protagonista di primo piano, se non da dominus, degli Stati Uniti. Le due cose stanno evidentemente insieme, costituendo le due facce della stessa medaglia: la prospettiva del declino degli Usa non sarà indolore.
L’intenzione di Barack Obama, ad alcuni mesi dalla sua elezione, appare intanto quella di riaffermare una forte leadership statunitense nel mondo, a partire dall’assunzione del mutamento degli assetti e dei poteri mondiali sul piano dello sviluppo economico e della geopolitica. E’ questo mutamento che impone agli Stati Uniti un deciso spostamento dei propri interessi e della propria attenzione politica verso il continente asiatico e la frontiera del Pacifico.
Va anche sottolineato che con la presidenza Bush il sistema delle Nazioni Unite ha conosciuto uno dei suoi momenti più bui, trovando all’interno del proprio nucleo decisionale (il Consiglio di Sicurezza) un antagonista in grado di svilire ogni tentativo di giustizia che infastidisse non solo gli Stati Uniti, ma anche i Paesi-satellite ad essi collegati, Israele su tutti.
Ciò che oggi si pone come necessità è una riflessione sul ruolo che l’Organizzazione dovrebbe avere nel garantire una giustizia internazionale equa, che non conosca distinzione gerarchica tra Stati; un primo importante passo, indipendente da volontà esterne, sarebbe la ratifica, da parte della nuova presidenza americana, della Corte Penale Internazionale, da cui l’accettazione del Paese ad essere internazionalmente responsabile per crimini contro l’umanità eventualmente commessi dalle proprie forze militari. Questo obiettivo di giustizia equa inserita in un contesto di controllo internazionale deve essere alla base delle proposte di una Sinistra che guardi al mondo con un’effettiva progettualità di pace ed uguaglianza tra i popoli.
Continuità e discontinuità della politica internazionale degli Stati Uniti: sarà questo un approccio analitico opportuno ed efficace per seguire i fatti, capire lo sviluppo della fase che si è aperta, individuare i terreni d’ iniziativa più utili per ricostruire un punto di vista e una pratica politica della nuova sinistra che vogliamo costruire.
Per questo occorre in primo luogo affrontare il problema dell'Europa, di un’Unione Europea che sempre meno riesce ad esprimere una propria visione ed un proprio ruolo e a essere attore politico responsabile delle vicende internazionali.
Neanche di quelle di sua stretta pertinenza, subendo il condizionamento delle strategie statunitensi che la dividono e le impediscono di occupare lo spazio politico proprio della sua dimensione continentale e la ricchezza, le potenzialità positive della sua collocazione regionale e della sua storia: Medio Oriente, Paesi arabi, Mediterraneo, Africa. Gli Stati Uniti hanno sempre guardato all’Europa soltanto come a un’area di libero scambio e circolazione delle merci ma l’Europa stessa non ha fatto nulla per dissuaderli. La sua debolezza storica, oltre che politica e culturale sta in questo.
Una forza di sinistra all'altezza delle sfide globali dovrà essere in grado di leggere, interpretare e problematizzare le dinamiche globali, ancorandole ad una visione ampia delle stesse, ma anche ad un'analisi ed un'elaborazione concreta di proposte e soluzioni che sappiano cogliere il nesso inscindibile tra locale e globale e viceversa, tra crisi dello Stato Nazione e sua massiccia riapparizione nelle forme di erogatore di ricette e risorse per il salvataggio in primis dello stesso sistema finanziario che è all’origine della crisi.
Le conseguenze devastanti dell'applicazione pedissequa del credo e della dottrina liberista hanno progressivamente alterato la stessa ragion d'essere delle entità statuali.
Le decisioni prese in questi mesi dalla comunità internazionale per affrontare la crisi finanziaria, di cui si continua ad occultare o minimizzare la devastante dimensione economica e sociale, e l'uso di ingenti risorse pubbliche per il salvataggio di coloro che ne sono stati i primi artefici dimostrano un fatto incontrovertibile. Quella che si profilava come l'opportunità di rivedere e rielaborare nuovi modelli di governo globale dell'economia, più equi e solidali si è invece trasformata in occasione per ribadire il ruolo centrale delle stesse istituzioni finanziarie che in buona parte hanno costruito le premesse per il fallimento economico, ecologico e sociale del modello neoliberista. Al club esclusivo del G8 si è sostituito il G20, mentre le Nazioni Unite, sono state nuovamente marginalizzate dal Fondo Monetario Internazionale dalla Banca Mondiale, alle quali è stato attribuito il ruolo guida nella gestione della crisi finanziaria ed il rilancio di un “nuovo deal “ su scala planetaria.
Allo stesso tempo lo Stato nazione continua ad incentrare il proprio agire non sul perseguimento del bene comune bensì sulla trasformazione dello spazio pubblico in spazio di interessi privati e di elite. Con la crisi del modello di crescita e di sviluppo, emergono nuove spinte nazionaliste, etniche, religiose che vorrebbero rifondare lo Stato nazione su basi esclusive e pratiche identitarie ed escludenti.
Indagare quest' elemento sarà uno dei compiti più ardui ma necessari per noi, perché s' intreccia con la questione delle migrazioni e del governo di una società ormai fortemente caratterizzata dalla diversità culturale ed etnica, che richiede nuovi strumenti di interpretazione dei fatti e nuove pratiche sociali e politiche atte a costruire prossimità tra le diversità e solidarietà nella convivenza umana.
E' importante a tal riguardo sottolineare il possibile nesso virtuoso tra rilancio urgente della cooperazione internazionale e migrazioni, in quando questo ha le potenzialità per costruire un nuovo percorso che attraverso la politica, la progettazione e la produzione di strumenti culturali sappia combattere le forme di xenofobia e razzismo “democratico” dilaganti nel nostro paese. E dare ai migranti che oggi vedono i loro diritti umani e di cittadinanza negati da un'ossessione securitaria che nega loro la possibilità di costruire un progetto di vita, la possibilità di contribuire alla crescita sociale ed umana nei loro paesi d'origine.
Una sfida questa che, assieme a quella del riconoscimento dei diritti di cittadinanza per le seconde generazioni, richiede di sviluppare una forte critica del tradizionale eurocentrismo di parte della sinistra tradizionale, andando anche oltre il classico concetto di multiculturalità.
Occorre insomma uno sguardo post-coloniale e una pratica adeguata che ci aiuti a costruire un nuovo orizzonte dell’uguaglianza nella diversità e nella libertà. Il rischio di cadere in un relativismo etico indifferenziato deve essere affrontato e contrastato a partire dalla realtà che viviamo e non da certezze ideologicamente precostituite o supponenze culturali o, peggio, verità rivelate.
La perdita di monopolio della politica estera da parte degli Stati è un altro aspetto da tenere al centro della nostra riflessione.
Entità non-statuali o sovra statuali come il Fmi, il Wto, la Banca Mondiale, il G8, il G20 sottraggono potere decisionale e esercizio di controllo e di indirizzo ai Parlamenti nazionali ma nello stesso tempo altre realtà quali, da una parte, le imprese transnazionali, dall’altra anche le autorità locali, la società civile transnazionale, i movimenti sociali del Forum Sociale Mondiale, forme di cittadinanza globale solidale e responsabile, hanno ormai guadagnato un ruolo di primo piano nella formazione e produzione di politica internazionale.
Per questo quando parla di politica estera la sinistra dovrà oggi aver ben chiaro quale sia il nesso virtuoso tra attori tradizionali e nuovi per costruire attraverso lo stesso nesso una proposta politica incentrata su valori fondanti imprescindibili.
Pace e prevenzione nonviolenta dei conflitti, critica di ogni forma di interventismo militare o paramilitare “umanitario”, disarmo, giustizia economica, ecologica, redistribuzione della ricchezza, solidarietà internazionale, cancellazione del debito estero e riconoscimento del debito ecologico, promozione e tutela dei beni comuni, centralità dei diritti fondamentali: queste dovrebbero essere le ascisse lungo le quali sviluppare e praticare una nuova politica estera. Un percorso che dovrà accompagnare, nella ricerca e nell'approfondimento, l'azione, l'iniziativa politica concreta.
Giacché sarà solo attraverso pratiche nuove, e l'elaborazione di un nuovo paradigma di giustizia ed equità globale che sarà possibile costruire le basi per una pacifica convivenza, trasformando quelle che oggi la comunità internazionale percepisce e gestisce come minacce in occasioni ed opportunità per un mondo migliore, capace di futuro.
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