Dov’è il resto del mondo nel dibattito politico nazionale? Dove sono i
paesi africani, che oggi rischiano di precipitare in nuovi sanguinosi
conflitti? Il Sudan, e la rivalità con il neonato stato del Sud Sudan occupano
il dibattito nella campagna presidenziale negli Stati Uniti. In Mali si
prospetta un intervento militare panafricano contro il terrorismo, in
Repubblica Democratica del Congo per la prima volta un elicottero dei caschi
blu ha attaccato milizie paramilitari di un signore della guerra che marcia su
Goma, sede del contingente ONU ricco di oltre 14 mila unità. Settimane
addietro, per la prima volta le forze di mare della flotta UE che transita al
largo della Somalia hanno
bombardato l’entroterra a caccia di pirati. In Eritrea – quanti eritrei scappano
per morire in mare – la successione possibile al dittatore Isaias Afeworki
rischia di perpetuare lo stato di cose, nonostante la rinascita di un movimento
popolare di opposizione. Un continente risucchiato in un buco nero, quello
dell’oblio e della violenza, non fa titolo, non ha cittadinanza nelle
discussioni politiche rinchiuse all’interno dei confini di un’Europa della
moneta e dei mercati, dettate da quei parametri e quei metri di misura. Sia per
quanto riguarda le imposizioni del fiscal compact che il suo contrario. Eppure l’Europa
è anche quella, quella dei popoli africani che rischiano la morte sotto le
bombe o la spada delle milizie private attraversando il Mediterraneo in cerca
di speranza. E’ anche lì che si misurerà la validità o meno di un progetto di
Europa politica che sappia guardare al di là dei propri confini territoriali e
si sappia porre come soggetto globale responsabile.
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