Il Forum Sociale Mondiale in corso a Tunisi fornisce l' occasione per una serie di considerazioni e riflessioni sulla politica, le pratiche di movimento, le sfide globali. A maggior ragione oggi, con il mondo arabo in permanente sommovimento, attraversato da scosse telluriche che non accennano a diminuire. Fa fede lo stato di mobilitazione permanente che si osserva in Egitto, la crescente preoccupazione dei movimenti sociali e sindacali per il destino politico ed economico della Tunisia, la guerra in Siria, la crisi politica apertasi recentissimamente in Libano. Per contro il dramma sociale in Grecia, e non solo, si allarga a macchia d'olio a Cipro, apre una faglia che attraversa il Mediterraneo, offre spazi inediti di alleanze e piattaforme comuni. Quel Mediterraneo diventato tomba per migliaia di migranti e che può essere invece spazio di quella che Claus Leggewie chiama "cittadinanza transnazionale".
Oggi il FSM, stretto com'è tra ipotesi di rilancio, riconfigurazione, rielaborazione, è di fronte ad un bivio. Dopo le sue tappe propedeutiche nel Brasile ormai superpotenza, in Africa (Kenia, Mali e poi Senegal), Asia (India) il Forum entra nella viva carne di quel sud del Mediterraneo, che ha dimostrato la forza e la determinazione di popoli interi e delle loro rivendicazioni di dignità. E che parla ad un'Europa complice e colpevole di quello che gli analisti a suo tempo definirono una "sindrome da stress postcoloniale", ovvero l'incapacità di uscire da schemi mentali propri di un vecchio impero, nei quali esistono popoli dominanti e popoli subalterni. E che oggi è in crisi di legittimità e visione futura.
Oggi, l'FSM, o meglio le realtà, i soggetti sociali, le pratiche, le elaborazioni che si incontrano a Tunisi, costruiscono uno spazio pubblico, stanno lì a ricordare che la politica, se vuole essere al passo con i tempi, se vuole guardare oltre, dovrà “decolonizzarsi”, ovvero indagare a fondo il tema del potere, e del suo esercizio. Oltre che al modello di sviluppo. Potere ormai non più nelle mani esclusive degli stati, ma anche e sopratutto di istituzioni quali la BCE, o l'FMI che sfuggono a “checks and balances” democratici, intrappolato in obiettivi macroeconomici che sempre più marginalizzano la ragion d'essere della politica pubblica, ovvero il perseguimento del bene comune.
Un altro punto va tenuto fermo per capire cosa sia Tunisi, ovvero la certezza che questo non debba essere un appuntamento nel quale fare una sorta di radiografia dello stato di salute del movimento, con parametri che sembrano ormai destinati alla storia. E che sbaglieremmo ad applicare in maniera autistica, giacché non aiutano a riscoprire potenzialità e forza di innovazione. Anzitutto l'FSM è un processo, uno spazio comune largo nel quale chi ci si riconosce elabora proprie piattaforme, persegue proprie campagne, crea proprie alleanze. Traiettorie che attraversano le varie scadenze, tra cui quella di questa settimana, e che si intrecciano con altri processi, basti pensare al controvertice sui BRICS quasi parallelo al FSM o all'importante appuntamento dell'AlterSummit di Atene, ai primi di giugno.
Allora proprio per provare a decolonizzare il nostro sguardo, dovremo “contestualizzare” questo FSM nel quadro di processi più ampi, policentrici e fluidi, senza l'angustia di dover ogni volta formulare valutazioni di giudizio, ma al contrario entrare in un ottica secondo la quale i risultati del Forum saranno “dinamici” e definiti nel corso del tempo. C'è un punto chiave sul quale l'FSM ci interroga, e che concerne l'urgenza di costruire modalità “altre” nel rapporto tra politica istituzionale e soggetti sociali e di movimento, che vada oltre la semplice pretesa di rappresentanza, o la deleteria cooptazione. Anche in questo caso, si tratta di ricomporre e ricostruire la relazione tra “potenza” e “potere”, che il movimento Occupy, o Piazza Tahrir hanno tentato di articolare e praticare. La“potenza” dei cittadini che si fa soggetto costituente, che rivendica il proprio protagonismo civico, ed il “potere” che si arrocca, si rielabora, si sposta da un confine all'altro.
Quello che dovremmo apprendere dallo spirito di Tunisi (potremmo chiamarlo “esprit de Tunis”, proprio dapprima della rivolta e poi dell'evento del FSM) è la ridefinizione delle categorie, delle pratiche della politica intesa come perseguimento del bene comune. Allora ogni nostra azione dovrà essere intesa a circoscrivere la sfera del potere, ed allargare invece quela della “potenza” della facoltà costituente e costitutiva dei cittidani e delle cittadine. Piuttosto che semplicemente mettersi al servizio della cosiddetta società civile, bypassando un'impellente e non più rinviabile necessità di trasformazione radicale, la politica istituzionale - inclusa quella dei partiti - dovrà prendere atto del fatto di essere solo un tassello all'interno di processi più ampi di trasformazione sociale, economica, politica e culturale, che non si esauriscono o compiono nell'ipotetica conquista della stanza dei bottoni. E che piuttosto traggono linfa vitale da una società attiva, critica e capace di futuro.
Cogliere queste sfumature, questi elementi innovativi, queste tracce di percorso è di per sé un atto di liberazione. Come dice H. Dabashi in un importante saggio sulle Primavere Arabe e la fine del postcolonialismo, “La trasformazione della consapevolezza, e non attraverso il dogma o la violenza, è il momento inaugurale della scoperta di altri mondi, non volendo cià che non esiste, ma osservando ciò che si sta materializzando”.
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