Osserviamo con il passare delle ore lo svolgimento di una tragedia annunciata in Egitto, un bagno di sangue nel quale rischia di affondare ogni aspettativa di liberazione ed emancipazione per il popolo egiziano e non solo. All'indomani della deposizione di Mohammed Morsi gli osservatori ed esperti si sono interrogati sul come definire gli eventi, se un colpo di stato o una seconda fase della rivoluzione di piazza Tahrir, una Tahrir 2.0. Oggi, di fronte alle vittime della repressione militare, alle rappresaglie, la cosa che appare più evidente è il rischio di una guerra civile e religiosa nel paese. Un rischio al quale la comunità internazionale, l'Italia e l'Europa devono rispondere con determinazione chiedendo l'immediata sospensione della repressione, la riapertura del dialogo tra le parti, ed un'indagine indipendente sulle responsabilità nell'uccisione di centinaia di civili. I fatti del Cairo pongono una serie di questioni estremamente delicate, ma determinanti nella capacità di leggere ed interpretare gli eventi passati e immaginare gli scenari futuri in quell'area. Anzitutto il ruolo chiave dell'esercito, che prima della caduta di Hosni Mubarak, durante la rivolta di Piaza Tahrir, e dopo con l'avvento al potere dei Fratelli Musulmani e la deposizione di Morsi ha sempre mantenuto un ruolo di “playmaker” ora a fianco del popolo, ora attore di una brutale repressione. E ci dimostrano anche il fallimento dell'esperienza politica dei Fratelli Musulmani che dopo aver conquistato il potere, seppur attraverso elezioni politiche, non hanno fatto seguire politiche di rilancio dell'economia e di lotta alla marginalità sociali ed alla disoccupazione. Più in generale ci interrogano sul significato e sul concetto stesso di democrazia della democrazia formale e di quella reale. Di una polarizzazione, quella tra esercito e Fratelli Musulmani nella quale scompaiono i soggetti del possibile cambiamento, quei giovani , donne ed uomini che sono scesi in piazza per rivendicare il diritto ad un Egitto migliore, quella Terza Piazza che non era e non è né con l'esercito, il cui capo supremo Fattah Al Sisi non nasconde le sue ambizioni presidenziali, né con Morsi e le sue pretese di islamizzazione della vita pubblica del paese. Oggi l'Egitto è sull'orlo del baratro, e l'unica maniera per provare a scongiurare il peggio è di tenere aperto il canale del dialogo, e della riconciliazione nazionale, in un processo verso nuove elezioni e la ricostruzione dell'assetto istituzionale del paese che includa i Fratelli Musulmani insieme alle forze laiche e progressiste e le opposizioni popolari che si sono mobilitate nel Tamarod.
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