Continua la querelle tra Renzi e Juncker. Uno dà all'altro del
burocrate, l'altro ribatte. Non certo un gran spettacolo con il semestre
italiano di Presidenza del Consiglio UE agli sgoccioli, con il premier
impegnato nella sua corsa sfrenata per le "riforme", la "rottamazione", e
lo "sblocco dell'Italia": E dall'altra parte preso a sfoderare una
retorica anti-casta verso Bruxelles. Il punto centrale è uno: La
Commissione potrebbe chiedere una manovra aggiuntiva di 3 miliardi di
euro all'Italia, ed esiste il rischio di una procedura di infrazione.
Ci saremmo aspettati qualche mossa più audace, piuttosto che quella di
usare un tono suppostamente aggressivo per mitigare l'impatto di scelte
di politica economica ed industriale che alla fine rispecchiano per
filo e per segno gli ordini di "Bruxelles". Così le parole di Renzi
restano sospese nel vuoto, nel tentativo di salvare la faccia dopo una
performance "europea" assai scarsa. Nei giorni scorsi come in questi
mesi di semestre. In un colpo la Commissione è di burocrati, ed il
nostro dimentica di aver fatto il possibile e l'impossibile per
conquistare con Federica Mogherini il posto di vicepresidenza e Alto
Commissario. Dice bene oggi su un editoriale Antonio Polito, ricordando
che se da una parte Renzi non è un leader eletto, dall'altra, volenti o
nolenti, se guardiamo alla forma piuttosto che alla sostanza, per la
prima volta un presidente della Commissione viene nominato in quanto
candidato dello schieramento che ha vinto le EUropee e previo scrutinio e
votazione al Parlamento Europeo. Sempre oggi in un'intervista il
sottosegretario Gozi tiene a puntualizzare che il governo si aspetta da
Junkcer proposte concrete sul piano di investimenti di 300 miliardi di
euro, un piano che esiste in teoria ma che sulla carta andrebbe tutto
definito. Altro che Green New Deal europeo. Il sottosegretario Gozi
sfida Juncker a reperire le risorse, noi lo sappiamo dove andare a
trovare i soldi: eurobond BEI, carbon tax, armonizzazione delle
politiche fiscali, lotta all'evasione fiscale ed ai paradisi fiscali,
tassazione sulle transazioni finanziarie. E sappiamo anche cosa farci:
conversione ecologica dell'economia, creazione di posti di lavoro
"green", sostegno alla mobilità sostenibile, cura del territorio,
risparmio energetico e rinnovabili su picocla scala. Ma questo
presuppone da una parte l'abbandono della mistica della "crescita" ed
una profonda riforma "politica" dell'Unione, attraverso una revisione
dei trattati. Questa resta il vero convitato di pietra di questo
semestre italiano che non resterà certo alla storia.
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