Per provare a capire - semmai sia possibile - Israele e gli israeliani che si sono affidati ancora una volta – e dandogli una robusta maggioranza – a Bibi Netanyahu, si dovrebbe rivedere un documentario del regista israeliano Abu Mughrabi, “Per uno solo dei miei occhi”, che racconta l'ascesa della destra fondamentalista nel paese, il culto della storia e della forza militare, il mito dell'assedio di Masada. Il sacrificio degli ebrei intrappolati nella fortezza e che si sono fatti ammazzare uno dietro l'altro dai Romani pur di non arrendersi.
Oggi la vittoria di Bibi,
intenzionato a mettere in piedi una coalizione di destra, con partiti
e partitini di varia foggia, (il partito dei coloni di Neftali
Bennett e quello di Liberman hanno visto rosicchiare parte dei loro
consensi, probabilmente verso il Likud), rischia di significare
l'isolamento definitivo di Israele. L'irritazione suscitata dalle
uscite mediatiche di Bibi in Francia alla marcia in solidarietà con
Charlie Hebdo, lo sgarbo senza precedenti verso la Casa Bianca, con
il suo “speech” infiammatorio al Congresso possibile solo grazie
al sostegno dei repubblicani, il crescente sostegno di paesi europei
e non al riconoscimento dello stato di Palestina, il garbato “ma
anche no” con il quale le comunità ebraiche francesi e non solo
hanno risposto al suo invito a trasferirsi nella “sicura” Israele
stanno lì a testimoniarlo. Ciononostante, la violenza verbale e la
spregiudicatezza dei suoi comportamenti, l'uso di toni anche razzisti
nel denunciare il rischio di inquinamento delle elezioni da parte
degli “arabi” hanno avuto la meglio su una coalizione di
centro-sinistra capeggiata da Isaac Herzog e Tzipi Livni che
resteranno all'opposizione. Altro che governo di unità nazionale
come chiesto dal presidente Reuven Rivlin, che si era già a suo
tempo distinto per le sue parole in sostegno al popolo palestinese.
La destra vince quindi, vince l'idea di uno stato “ebraico” per
gli “ebrei”, con gli Arabi Palestinesi cittadini di serie “b”,
vince la politica di espansione delle colonie, sfuma la possibilità
di riaprire un negoziato a armi pari, stante lo sprezzo con il quale
Bibi ha liquidato la formula “ due stati per due popoli”. Lo
disse alla vigilia delle elezioni, e c'è da scommettere che manterrà
la parola. Strali contro l'Iran, da sempre invocato come il casus
belli, per la sua politica nucleare, nel momento in cui l'accordo si
avvicina, Bibi non esita a porsi come “spoiler” della politica
di Washington verso Teheran. Una Israele quindi che sceglie in gran
parte di mettersi sotto una sorta di auto-assedio, con il rischio di
provocare la fine stessa del suo progetto originario. Cosa rimane
dopo questa giornata elettorale? I Palestinesi – e noi saremo dalla
loro parte - giustamente accelereranno la loro campagna
internazionale per il riconoscimento, convinti che ormai Oslo sia
cosa passata, ed anche che ogni chiamata al tavolo negoziale con Bibi
dall'altra parte significava solo dargli un pretesto per continuare a
mangiarsi territorio, e delegittimare Abu Mazen. Useranno il
“bazooka” del ricorso alla Corte Penale Internazionale forse, ed
allora sarà da vedere come si porrà Obama, se a Washington la
ragion di stato prenderà o meno il sopravvento. Certo è che la
politica degli insediamenti continuerà, Gaza continuerà a languire
nel suo assedio, la pace si allontanerà, Semmai possa essere il tema
della pace il punto di partenza sul quale tentare di lavorare per una
possibile soluzione.
In un suo editoriale di
oggi Noam Sheizaf, di 972mag.com, si chiede “Ed ora Bibi? Dove
vuoi andare a parare?”. Questo si chiederanno anche quegli
intellettuali, attivisti uomini e donne di pace e giustizia che in
Israele provano a far sentire la propria voce, e noi continueremo ad
essere accanto a loro. E che ne è di Meretz, unico partito di
sinistra (oltre quello degli arabi israeliani) che sostiene la causa
del popolo palestinese? Perde un seggio, ma schiacciato tra il “campo
sionista” e il fronte dei partiti arabi israeliani, rischia di
rimanere definitivamente all'angolo. Sheizaf, amaramente pone una
domanda ai suoi lettori e lettrici “per anni ci siamo chiesti se
Israele preferisse porre fine all'occupazione o finire di essere una
democrazia. Forse oggi gli israeliani hanno fatto la loro scelta?”
Nessun commento:
Posta un commento