mercoledì 18 marzo 2015

Bibi e la sindrome dell'assedio




Per provare a capire - semmai sia possibile - Israele e gli israeliani che si sono affidati ancora una volta – e dandogli una robusta maggioranza – a Bibi Netanyahu, si dovrebbe rivedere un documentario del regista israeliano Abu Mughrabi, “Per uno solo dei miei occhi”, che racconta l'ascesa della destra fondamentalista nel paese, il culto della storia e della forza militare, il mito dell'assedio di Masada. Il sacrificio degli ebrei intrappolati nella fortezza e che si sono fatti ammazzare uno dietro l'altro dai Romani pur di non arrendersi. 
 
Oggi la vittoria di Bibi, intenzionato a mettere in piedi una coalizione di destra, con partiti e partitini di varia foggia, (il partito dei coloni di Neftali Bennett e quello di Liberman hanno visto rosicchiare parte dei loro consensi, probabilmente verso il Likud), rischia di significare l'isolamento definitivo di Israele. L'irritazione suscitata dalle uscite mediatiche di Bibi in Francia alla marcia in solidarietà con Charlie Hebdo, lo sgarbo senza precedenti verso la Casa Bianca, con il suo “speech” infiammatorio al Congresso possibile solo grazie al sostegno dei repubblicani, il crescente sostegno di paesi europei e non al riconoscimento dello stato di Palestina, il garbato “ma anche no” con il quale le comunità ebraiche francesi e non solo hanno risposto al suo invito a trasferirsi nella “sicura” Israele stanno lì a testimoniarlo. Ciononostante, la violenza verbale e la spregiudicatezza dei suoi comportamenti, l'uso di toni anche razzisti nel denunciare il rischio di inquinamento delle elezioni da parte degli “arabi” hanno avuto la meglio su una coalizione di centro-sinistra capeggiata da Isaac Herzog e Tzipi Livni che resteranno all'opposizione. Altro che governo di unità nazionale come chiesto dal presidente Reuven Rivlin, che si era già a suo tempo distinto per le sue parole in sostegno al popolo palestinese. La destra vince quindi, vince l'idea di uno stato “ebraico” per gli “ebrei”, con gli Arabi Palestinesi cittadini di serie “b”, vince la politica di espansione delle colonie, sfuma la possibilità di riaprire un negoziato a armi pari, stante lo sprezzo con il quale Bibi ha liquidato la formula “ due stati per due popoli”. Lo disse alla vigilia delle elezioni, e c'è da scommettere che manterrà la parola. Strali contro l'Iran, da sempre invocato come il casus belli, per la sua politica nucleare, nel momento in cui l'accordo si avvicina, Bibi non esita a porsi come “spoiler” della politica di Washington verso Teheran. Una Israele quindi che sceglie in gran parte di mettersi sotto una sorta di auto-assedio, con il rischio di provocare la fine stessa del suo progetto originario. Cosa rimane dopo questa giornata elettorale? I Palestinesi – e noi saremo dalla loro parte - giustamente accelereranno la loro campagna internazionale per il riconoscimento, convinti che ormai Oslo sia cosa passata, ed anche che ogni chiamata al tavolo negoziale con Bibi dall'altra parte significava solo dargli un pretesto per continuare a mangiarsi territorio, e delegittimare Abu Mazen. Useranno il “bazooka” del ricorso alla Corte Penale Internazionale forse, ed allora sarà da vedere come si porrà Obama, se a Washington la ragion di stato prenderà o meno il sopravvento. Certo è che la politica degli insediamenti continuerà, Gaza continuerà a languire nel suo assedio, la pace si allontanerà, Semmai possa essere il tema della pace il punto di partenza sul quale tentare di lavorare per una possibile soluzione. 
 
In un suo editoriale di oggi Noam Sheizaf, di 972mag.com, si chiede “Ed ora Bibi? Dove vuoi andare a parare?”. Questo si chiederanno anche quegli intellettuali, attivisti uomini e donne di pace e giustizia che in Israele provano a far sentire la propria voce, e noi continueremo ad essere accanto a loro. E che ne è di Meretz, unico partito di sinistra (oltre quello degli arabi israeliani) che sostiene la causa del popolo palestinese? Perde un seggio, ma schiacciato tra il “campo sionista” e il fronte dei partiti arabi israeliani, rischia di rimanere definitivamente all'angolo. Sheizaf, amaramente pone una domanda ai suoi lettori e lettrici “per anni ci siamo chiesti se Israele preferisse porre fine all'occupazione o finire di essere una democrazia. Forse oggi gli israeliani hanno fatto la loro scelta?”

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