In questi giorni fervono le trattative
al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e a Bruxelles per un
piano volto ad affrontare l'emergenza “migratoria” nel
Mediterraneo. Già che ne tratti il Consiglio di Sicurezza la dice
lunga: tema di sicurezza da lasciare in mano degli strumenti della
potenza e forza militare piuttosto che tema di diritti e dignità
della persona. Fatto sta che oggi la comunità internazionale prova a
darsi un tono, proponendo e possibilmente adottando misure che in
gran parte rischieranno di essere solo una panacea ad una crisi che
ha radici profonde. Già, perché le violazioni dei diritti umani e
della dignità di quelle persone avvengono mica solo poco prima di
essere spinti su un "barcone", o in navigazione, premesso
che riescano ad arrivare a destinazione. Il punto riguarda tutta la
rotta, tutto il percorso migratorio, lungo il quale andrebbe
assicurato un diritto di passaggio sicuro, un canale umanitario che
permetta a quelle persone di sopravvivere. Il resto viene dopo. Per
ricostruire la catena di corresponsabilità e di cause effetti che
provocano questi esodi si può partire dal tema della frontiera e
del confine. Dal crollo dei confini dell'epoca coloniale o dalla
loro manifesta inadeguatezza nel governare gli stravolgimenti
geopolitici in atto nel Medio Oriente Maghreb e non solo - basti
pensare al fatto che IS ha fatto dell'accordo Sykes-Pikot e della sua
negazione uno dei principali cavalli di battaglia, o che la linea
Durand tra Afghanistan e Pakistan è oggi il punto cruciale per
l'equilibio regionale, il cosiddetto AfPak, confine che i talebani
prima ed IS ora vogliono azzerare. Sia ben chiaro, non è che ste
cose cadono dal cielo. Ci sono corresponsabilità di potenze
cosiddette imperiali e di governi sanguinari e corrotti, dalla Siria,
all'Irak, all'Eritrea. O di nuovi alleati come l'Egitto che in troppi
si scordano o fanno finta di non sapere che il 'barcone' della più
grande tragedia mica era partito dalla Libia semmai vuoto
dall'Egitto, che ora è il nuovo rais egiziano Fattah al-Sisi ad
usare i migranti come arma di pressione politica sui suoi alleati,
Italia in primis. Eppoi i confini saltati o attraversati, o fatti
attraversare nel percorso migratorio, fatti di violenza, soprusi,
morte, detenzione arbitraria (i confini dei centri di raccolta o
detenzione ad esempio), i confini di un cassone di camion. C'è poi
il confine che viene varcato in mezzo al mare, Il Mediterraneo,
confine liquido e poroso per le merci e rigido, blindato per gli
esseri umani. Sta a significare il fallimento dell'Europa non solo
come vocazione originaria ma anche come progetto politico, giacché
nonostante sia fondata su ideali federalisti, i confini al suo
interno esistono eccome. Libera circolazione di persone ,e di merci,
ma nessun impegno ad abbattere i confini nazionali reali o
immateriali che permettono a molti stati membri di non accogliere la
loro quota di rifugiati. Eppure questa Europa che si blinda al suo
esterno e alza confini e barriere al suo interno non si fa problemi
ad abbattere i confini ad occidente, per permettere la costruzione
della più grande area di libero scambio del pianeta , il TTIP o a
spingere i propri confini e quelli della NATO ad est, comprimendo
paesi cuscinetto come l'Ucraina. Come si vede dietro ogni confine c'è
una responsabilità, un susseguirsi di cause ed effetti. Eppoi
proprio in questi giorni che si discute di possibili operazioni
miitari per distruggere i barconi, prima che questi prendano il mare,
viene costituita idealmente l'ultima frontiera, quella che Paul
Virilio chiama il litorale, la litorialità. La frontiera tra la
tragedia ed il miraggio, dove si ammassano decine di migliaia di
esseri umani, lungo un sottile filo di sabbia che separa il passato
da un ipotetico futuro. é sul litorale che si gioca la partita,
quella tra la vita e la morte. Mentre la comunità internazionale
discute, la scorsa settimana si è inaugurata a Venezia la Biennale
d'Arte, dedicata in gran parte all'intreccio tra arte, società e
politica, alle grandi questioni della contemporaneità, incluso il
tema delle migrazioni, Su questo due opere spiccano tra le varie,
oltre al lancio del Nationless Pavillion fuori dalla Biennale, ai
magazzini del SaLe Docks. Quella di un artista del Ghana, che ha
foderato di sacchi di iuta usati per il trasporto del cacao un lungo
corridoio nell'Arsenale, effetto suggestivo, centinaia di sacchi
usati - mi dicono . dai migranti per scappare, e sui quali restano
scritte lasciate come messaggio a chissacchì. Eppoi "Lampedusa"
di Vik Muniz, barchetta di legno e carta che riproduce la prima
pagina di un quotidiano che racconta una strage di migranti.
L'artista avrebbe voluto farla navigare lungo i canali di Venezia,
tra vaporetti e yacht di lusso, Ed invece era là, ancorata
all'Arsenale, vittima di chissà quale confine burocratico o
amministrativo.
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