Invece di ingegnarsi in questo gioco al rimpiattino, andrebbero tentate alcune vie. La prima, sostenere Syriza, o meglio perpetuare l’atto di rottura, il tentativo che Tsipras ha fatto per aprire una falla nel modello dominante, per smascherare l’elefante che è nella stanza, ossia il fatto che l’Europa di oggi altro non sia che quella del rigore e della finanza. Il re è nudo, ma non sappiamo ancora come ucciderlo. O forse come cambiargli l’abito. Mentre quindi ci si attarda a alimentare le proprie convinzioni sull’ euro, o contro l’euro, sull’uscita dall’Europa o meno, ci si gingilla su paralleli fuori luogo - anzi inaccettabili - tra Germania e nazismo, il popolo greco comunque pagherà un salatissimo prezzo.
Quindi, il primo elemento è quello di evidenziare l’enorme debito sociale che la Grecia dovrà pagare, e portare la questione alle estreme conseguenze, ossia immaginare iniziative legali contro la Troika e le istituzioni europee, per provare a trasformare questo momento di estrema crisi, quasi catartico in una opportunità costituente e fondativa. Secondo, liberarsi dalle catene del debito. Per farlo si dovrà lavorare per convocare una conferenza europea sul debito o per lo meno una sede indipendente di arbitrato nella quale tutte le parti in causa siedano a pari livello e dignità. Il Consiglio ONU sui Diritti Umani sta lavorando a questa ipotesi. Forse è prematuro auspicare lo svolgimento di tale iniziativa ora. Ma se da Bruxelles dicono che rinegoziare il debito non è possibile nei parametri di compatibilità si veda intanto se questo è compatibile o meno con l’obbligo delle istituzioni comunitarie e della UE di rispettare le convenzioni internazionali sui diritti umani, e capovolgiamo i termini di riferimento. E si pensi ad azioni legali collettive presso gli organismi per i diritti umani che siano europei o internazionali per chiedere la sospensione delle misure imposte dalla UE attraverso l’adozione di misure di precauzione atte a prevenire la violazione di diritti umani.
E' innegabile che oggi non sarà possibile pensare ad un'altra Europa senza lanciare un processo costituente, dal basso, di riscrittura e revisione dei Trattati. In questo contesto, sollevando la contraddizione tra lettera dei Trattati, illegittimità del debito e violazione dei diritti umani, si potrà aprire un processo di rottura, che avrà caratteristiche costituenti. Si pensi al caso dell'Ecuador dove il ripudio del debito attraverso l'audit, andava di pari passo con l'attuazione della costituzione di Montecristi. Era insomma parte integrante di un processo di ricostruzione delle società, la revolucion ciudadana. Cosa nei sia rimasto oggi dello spirito originario è da discutere, in particolare quanto la società ecuadoriana o il modello di sviluppo sia andato oltre il capitalismo (lì si è chiuso con il neoliberismo ma si è in una fase di capitalismo estrattivista) ma quello è stato l'inizio. Una costituente dal basso. Ora, se proviamo a leggere con questa lente il tema del debito, della Grecia e dell'Europa, ci troviamo di fronte ad un momento costituente. Nel senso che il referendum greco ha portato a maturazione le contraddizioni di questo progetto di Europa, messo a nudo le carenze, il carattere antidemocratico, e la propria illegittimità. Questa mi pare la fase più interessante per rilanciare un processo di revisione dei Trattati, e creando precedenti giurisprudenziali si può mettere in contraddizione la lex mercatoria e della finanza rispetto allo ius gentium. Lo si potrebbe fare intanto con una serie di azioni presso la Corte Europa dei Diritti. e poi una "Ventotene" dal basso, un processo di elaborazione di un Trattato dei Popoli per l'altra Europa,
Ecco, capovolgere i termini di riferimento. Sembra invece che la discussione, a sinistra o meno, sia viziata da un punto, quello di svolgersi dentro quel paradigma e quel modello o accettandolo o rigettandolo. Tertium non datur. Al contrario sarebbe forse necessario immaginare un’altra via. Quella che da alcuni in Grecia viene proposta come il piano C. Un piano che immagina altri percorsi, di riappropriazione della cosa pubblica, di recupero di sovranità dal basso, non nazionale ma popolare, di autogestione e mutualismo. Insomma praticare resistenza e attuare pratiche di sopravvivenza, riscoprire il comune, i commons.
Cosa significa questo in termini concreti?
Significa che se si vuole aiutare la Grecia e non solo, ma anche possibili esperimenti di rottura con il dogma dell’austerity, si deve passare dalla sua negazione alla costruzione di altro. E questo altro passa attraverso il ripudio del debito da una parte, e la costruzione di relazioni di mutuo soccorso e solidarietà dall’altra. Eppoi, perché non pensare che questa crisi non possa rappresentare un’opportunità? Ad esempio costruendo una proposta dal basso per un Green new Deal per la Grecia che faccia da esempio per tutti i paesi del Sud dell’Europa? Un Green new Deal che preveda un piano pubblico di conversione dei sistemi produttivi, la creazione di reti di produzione energetica rinnovabile e su piccola scala, rispettando la vocazione territoriale e la possibilità di costruire modalità di autogestione ed autoproduzione. Eppoi come suggerisce la rivista the Ecologist, sostenere un piano di riforestazione e rimessa a dimora dei territori e dei paesaggi. Invece di rimanere ingabbiati nella logica dell’austerity, seppur negandola, spostare l’asse su altri concetti ed ipotesi. Quello dei diritti e dell’autodeterminazione, quello del mutualismo e dell’altra economia, quello della giustizia ecologica. Altro che boicottaggio della Germania, se in quel paese si sono sviluppate le migliori pratiche di produzione di energia rinnovabile e su piccola scala, si dovrebbero creare opportunità di scambio e cooperazione! Sviluppare capacità e trasferire tecnologia pulita, non tecnologia per estrarre minerali o petrolio o per centrali a carbone.
Insomma, forse il punto vero è che oltre ad essere subordinata - volente o nolente - alla cultura dell’austerity, senza riuscire a immaginare un altro quadro di riferimento, tutta questa discussione resta imbrigliata in un conflitto tra pubblico e privato, tra finanza e politica. E così facendo viene tralasciata o messa in secondo piano la centralità di un approccio fondato sulla vita degna, sulla giustizia ecologica, sul recupero di pratiche mutualiste e dei “commons”. Temi che rischiano – ahinoi - di essere irrilevanti anche nel dibattito in corso sulla nuova sinistra nel nostro paese
Sul sito Roarmagazine un attivista e sociologo greco, Theodoros Karyotis, la mette così ed io condivido lettera per lettera:
"The perceived loss of political power over their lives is turning many Europeans towards reactionary xenophobic parties that promise a return to the self-contained authoritarian nation-state. The European left looks on perplexed as its hopes of an EU based on solidarity and social justice vanish along with Syriza’s bid to negotiate a humane way out of the Greek debt crisis.
Now is the moment for a broad alliance of social forces to bring forward a ‘Plan C’, based on social collaboration, decentralized self-government and the stewardship of common goods. Without overlooking its significance, national electoral politics is not the privileged field of action when it comes to social transformation. The withering away of democracy in Europe should be complemented and challenged by the fortification of self-organized communities at a local level and the forging of strong bonds between them, along with a turn to a solidarity- and needs-based economy, and the collective management and defense of common goods. The social counter-power of the oppressed should confront the social power of capital directly in its privileged space: everyday life.
Within Greece, after a full circle, the debate on our future beyond austerity has only now started. The resounding 61% rejection of austerity serves to remind us that this debate is now urgent, and the reactivation of the social movements that envision new social relationships built from below is imminent, after some years of relative demobilization. We have ahead of us a new cycle of creative resistance, of forging collective subjects and of tireless experimentation for the bottom-up transformation of our reality."
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