“People under occupation”; questa
formula in linguaggio onusiano di norma è un riferimento ai
palestinesi. La sua comparsa nell'ultima bozza negoziale per la COP21
di Parigi racconta invece di un'altra storia. Quei popoli sotto
occupazione stavolta sono i Sahrawi, dimenticati dai media
mainstream, e dalla politica internazionale. Sono migliaia di esseri
umani che per anni hanno vissuto in mezzo al deserto, in campi
sostenuti principalmente dalla solidarietà internazionale.
Abitazioni di fortuna fatte in adobe o costruire con i teli blu
forniti dale agenzie umanitarie. I Sahrawi fino ad oggi sono stati
argomento di negoziato, controversia, dibattito che richiamavano i
tempi delle colonie e l'arduo processo di decolonizzazione. Le
dinamiche geopolitiche tra potenze regionali e paesi europei. Il
difficile se non impossibile compito della diplomazia internazionale
finalizzato a quel referendum sull'indipendenza o autonomia da anni
invocato e sempre rinviato. La frustrazione così inizia a
diffondersi tra chi da anni ha scelto di ricorrere agli strumenti
della legalità e del diritto internazionale , alla nonviolenza ed
alla diplomazia. Questa è stata finora la narrazione che accompagna
la “questione” del Sahara Occidentale. Il quadro ora si aggrava
ulteriormente, e quella postilla aggiunta in fretta al documento
bozza dell'Accordo di Parigi, apre un nuovo capitolo nel dramma di
quel popolo. Oggi i campi sahrawi sono devastati da un'alluvione
senza precedenti, un effetto dei mutamenti climatici che ha messo in
ginocchio decine di migliaia di persone. L'Acnur calcola che nei
campi di Tindouf almeno 25mila persone stiano soffrendo gli effetti
di questa alluvione che ha dstrutto case, negozi, scuole a Awserd.
Dakhla, Laaoyoune, Bouyden, Smara, dove vivono circa 90mila persone.
L'ACNUR sta inviando beni di prima necessità, ed anche dall'Italia è
partita la macchina della solidarietà. Molto però ancora resta da
fare, e non solo in termini di emergenza. La questione del Sahara
Occidentale non può ora rimanere confinata alla tragedia che quel
popolo, quelli che potrebbero essere definiti “rifugiati climatici”
sta vivendo, ma rimessa con forza al centro dell'agenda di politica
estera in Italia ed Europa.
uscito su Dazebaonews 3 novembre 2015
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