lunedì 23 novembre 2015

L'elefante nella stanza: storia di drone, diritti e zone grigie



Fa pensare il fatto che la  decisione presa a Washington, seppur ancora da ratificare al Congresso, di armare i drone Reaper italiani di stanza a Sigonella non abbia avuto in Italia la giusta enfasi. Anzi, è passata decisamente sottotraccia. Nella lista della spesa italiana si parla di 156 missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, 20 GBU-12 (bombe a guida laser), 30 GBU-38 JDAM.[1] Gli unici teatri dove sono operativi ad oggi drone italiani sono Iraq - due Predator con missioni di riconoscimento e identificazione di bersagli nelle operazioni contro DAESH e stazionati in Kuwait, - Mare Sicuro e Euronavfor Med. Secondo alcuni esperti del settore  sarebbe da escludere un uso dei drone armati in Libia mentre all'annuncio della notizia il sito KnowDrones ha sottolineato come la decisione di armare drone italiani, oggetto di anni di dibattito negli Stati Uniti, rientrerebbe nella strategia USA in Africa. A prescindere da queste considerazioni più strategiche, la questione solleva punti assai delicati, riguardo il diritto, la legalità, l'etica. Già di per sé l'uso di drone per sorveglianza e intelligence apre la porta a tematiche riguardanti la privacy, l'uso di dati personali ed affini.  L'uso di drone per acquisire bersagli da far bombardare ad altri, rappresenta un passo ulteriore che riguarda i codici militari di guerra e le possibili corresponsabilità in crimini di guerra, nel caso di uccisioni di civili (CivCas, civilian casualties in gergo militare). Temi resi ancor più evidenti dalla pubblicazione dei “Drone Papers” [2]documenti confidenziali fatti circolare negli States da una “gola profonda”. Armare drone, e renderli così strumenti diretti di attacco, è il punto finale, che "separa" ancor di più chi lo guida e decide di lanciare il missile, dalle conseguenze dirette del suo atto, che gli verranno riportate con un'immagine video dall'alto. E' in quello spazio immateriale  tra guerra reale e virtuale  - esplorato nella splendida opera dell’artista tedesco di origine indiana Harun Farocki, con il suo video “Ernste Spiele - Serious Games” [3] - tra l'atto e la sua conseguenza,  che si consuma l'ennesima definitiva contrazione del diritto internazionale e dell'etica. Lo stesso spazio immateriale che ha tentato per prima di scandagliare Hannah Arendt, con i suoi studi sulla banalità del male, e di recente un bel film presentato a Venezia, "The Experimenter", che parla della storia vera di esperimenti compiuti negli USA per testare la resistenza di un essere umano nel prendere la decisione di infliggere una sofferenza ad uno sconosciuto, e quindi disobbedire agli ordini.  Nel film  questo spazio immateriale veniva raffigurato da un enorme elefante che seguiva gli sperimentatori senza che loro se ne accorgessero. Mi torna così alla mente   un’intervista fatta ad un operatore di Cruise americani all’inizio della guerra nei Balcani, Ero proprio lì a Washington, stupito dell’assenza di mobilitazioni pacifiste, ad ascoltare la CNN: “Senta ma lei ha messo in conto che potrebbe uccidere innocenti?” La domanda “Io mi limito a premere un bottone, non mi chiedo cosa succederà dall’atra parte” la risposta. Va detto che ad oggi a differenza di USA e Inghilterra l’Italia non ha ancora autorizzato l’uso di drone per uccidere selettivamente leader terroristi (come si dice “ targeting leaders”),  ma non esiste alcun tipo di legislazione che normi o definisca i “paletti” per l’uso di drone a scopo militare. E le recenti rivelazioni di alcuni operatori di drone armati “pentiti” gettano una luce inquietante sulla “cultura istituzionale” di impunità e banalizzazione dell’omicidio che si sviluppa proprio grazie a questa distanza.  La decisione di armare i drone italiani,  frutto di una richiesta inoltrata qualche anno fa, arriva in un quadro generale  già di per sé preoccupante. Il decreto missioni di luglio aveva introdotto alcune disposizioni sulla lotta al terrorismo: tra queste quella di permettere ai servizi segreti di operare interrogatori - colloqui si diceva -  con i detenuti possibilmente vicini al fondamentalismo islamico. La questione apriva una serie di interrogativi sulla "tipologia" di questi colloqui, questioni relative agli standard internazionalmente riconosciuti sul rispetto dei diritti umani, e non da ultimo il fatto che l'Italia non ha ancora una legge sulla tortura, tuttora bloccata al Senato. In quel caso si cercò di ovviare subordinando tali colloqui all’autorizzazione delle autorità giudiziarie competenti. Ma quell’elastico tra diritti umani e sicurezza si può allargare o stringere a piacimento: ne è riprova la decisione presa già in occasione del dibattito sul decreto missioni di luglio e ratificata con un emendamento in quello di ottobre di concedere alle forze speciali (incursori, commandos etc) gli stessi poteri degli agenti dei servizi segreti. Così per lo meno hanno divulgato i media. La realtà letta sotto la lente del diritto è un’altra. Quei corpi speciali, qualora autorizzati direttamente dal Presidente del Consiglio, potranno operare   in condizioni di assoluta impunità da possibili reati commessi e segretezza sia in Italia che all’estero.  Solo a seguito delle proteste delle opposizioni si è provveduto a inserire una clausola che prevede l’informazione al Copasir, Commissione parlamentare dedicata ai servizi, che non è chiaro se verrà o meno informata ex ante o ex post, né pare sia l’organo legittimato a assicurare il rispetto della legalità.  Giova anche ricordare un altro dettaglio non di poco conto. Quando venne ratificato in Italia il Trattato di Roma che istituisce la Corte Penale Internazionale, (TPI) il Parlamento, su spinta del governo, decise di prendersi una responsabilità solo parziale, ossia di varare una legge che prevede solo obblighi di collaborazione tra autorità giudiziarie e TPI, in termini di coordinamento, scambio di informazioni etc. Insomma una cosa assolutamente doverosa. Ma anche qua l’elefante nella stanza riappare.  Già, perché mentre sarebbe stato obbligo da parte dell’Italia anche quello di inserire nel codice penale le fattispecie di crimini di guerra e contro l’umanità previste dal TPI, e quindi nei fatti sottoporre anche le proprie forze armate al possibile ricorso al TPI, questo non è accaduto. Probabile risultato dell'azione di quelle stesse menti solerti che fino ad oggi hanno fatto carte false per impedire l’introduzione del reato di tortura o l’attuazione integrale di quella risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che obbliga gli stati membri a istituire un’autorità nazionale indipendente garante per i diritti  umani. In Italia ora c’è ma solo a metà, e riguarda i diritti delle persone in stato di detenzione. Meglio di nulla.   Resta il fatto che accanto a queste zone grigie se ne aggiungeranno altre, grazie alle decisioni prese a Bruxelles [4]in seguito agli attacchi a Parigi, ed ogni giorno di più senza accorgercene, i nostri diritti verranno compressi, messi da parte, ed il diritto internazionale appiccicato come una gomma da masticare consunta sotto il tavolo di chi prende le decisioni. Il nostro elefante  nella stanza.


[1] http://www.reuters.com/article/2015/11/04/us-italy-usa-drones-idUSKCN0ST1VI20151104
[2] https://theintercept.com/drone-papers/
[3] https://www.youtube.com/watch?v=KhxstXzavtU
[4] https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/closely-observed-citizens; http://m.espresso.repubblica.it/attualita/2015/05/12/news/con-la-scusa-del-terrorismo-ci-tolgono-i-diritti-stefano-rodota-denuncia-la-deriva-europea-1.212058

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