Fa pensare il fatto
che la decisione presa a Washington,
seppur ancora da ratificare al Congresso, di armare i drone Reaper italiani di
stanza a Sigonella non abbia avuto in Italia la giusta enfasi. Anzi, è passata
decisamente sottotraccia. Nella lista della spesa italiana si parla di 156
missili AGM-114R2 Hellfire II costruiti dalla Lockheed Martin, 20 GBU-12 (bombe
a guida laser), 30 GBU-38 JDAM.[1]
Gli unici teatri dove sono operativi ad oggi drone italiani sono Iraq - due
Predator con missioni di riconoscimento e identificazione di bersagli nelle
operazioni contro DAESH e stazionati in Kuwait, - Mare Sicuro e Euronavfor Med.
Secondo alcuni esperti del settore sarebbe da escludere un uso dei drone armati
in Libia mentre all'annuncio della notizia il sito KnowDrones ha sottolineato
come la decisione di armare drone italiani, oggetto di anni di dibattito negli
Stati Uniti, rientrerebbe nella strategia USA in Africa. A prescindere da
queste considerazioni più strategiche, la questione solleva punti assai
delicati, riguardo il diritto, la legalità, l'etica. Già di per sé l'uso di
drone per sorveglianza e intelligence apre la porta a tematiche riguardanti la
privacy, l'uso di dati personali ed affini. L'uso di drone per acquisire bersagli
da far bombardare ad altri, rappresenta un passo ulteriore che riguarda i
codici militari di guerra e le possibili corresponsabilità in crimini di
guerra, nel caso di uccisioni di civili (CivCas, civilian casualties in gergo
militare). Temi resi ancor più evidenti dalla pubblicazione dei “Drone Papers” [2]documenti
confidenziali fatti circolare negli States da una “gola profonda”. Armare
drone, e renderli così strumenti diretti di attacco, è il punto finale, che
"separa" ancor di più chi lo guida e decide di lanciare il missile,
dalle conseguenze dirette del suo atto, che gli verranno riportate con
un'immagine video dall'alto. E' in quello spazio immateriale tra guerra reale e virtuale - esplorato nella splendida opera
dell’artista tedesco di origine indiana Harun Farocki, con il suo video
“Ernste Spiele - Serious Games” [3]
- tra l'atto e la sua conseguenza, che
si consuma l'ennesima definitiva contrazione del diritto internazionale e
dell'etica. Lo stesso spazio immateriale che ha tentato per prima di scandagliare
Hannah Arendt, con i suoi studi sulla banalità del male, e di recente un bel film presentato a Venezia, "The Experimenter", che parla della storia
vera di esperimenti compiuti negli USA per testare la resistenza di un essere
umano nel prendere la decisione di infliggere una sofferenza ad uno
sconosciuto, e quindi disobbedire agli ordini.
Nel film questo spazio immateriale veniva raffigurato da un
enorme elefante che seguiva gli sperimentatori senza che loro se ne
accorgessero. Mi torna così alla mente un’intervista fatta ad un operatore di Cruise
americani all’inizio della guerra nei Balcani, Ero proprio lì a Washington,
stupito dell’assenza di mobilitazioni pacifiste, ad ascoltare la CNN: “Senta ma
lei ha messo in conto che potrebbe uccidere innocenti?” La domanda “Io mi
limito a premere un bottone, non mi chiedo cosa succederà dall’atra parte” la
risposta. Va detto che ad oggi a differenza di USA e Inghilterra l’Italia non
ha ancora autorizzato l’uso di drone per uccidere selettivamente leader
terroristi (come si dice “ targeting
leaders”), ma non esiste alcun tipo
di legislazione che normi o definisca i “paletti” per l’uso di drone a scopo
militare. E le recenti rivelazioni di alcuni operatori di drone armati
“pentiti” gettano una luce inquietante sulla “cultura istituzionale” di
impunità e banalizzazione dell’omicidio che si sviluppa proprio grazie a questa
distanza. La decisione di armare i drone
italiani, frutto di una richiesta
inoltrata qualche anno fa, arriva in un quadro generale già di per sé preoccupante. Il decreto missioni
di luglio aveva introdotto alcune disposizioni sulla lotta al terrorismo: tra
queste quella di permettere ai servizi segreti di operare interrogatori - colloqui si diceva - con i detenuti possibilmente vicini al fondamentalismo
islamico. La questione apriva una serie di interrogativi sulla
"tipologia" di questi colloqui, questioni relative agli standard
internazionalmente riconosciuti sul rispetto dei diritti umani, e non da ultimo
il fatto che l'Italia non ha ancora una legge sulla tortura, tuttora bloccata
al Senato. In quel caso si cercò di ovviare subordinando tali colloqui
all’autorizzazione delle autorità giudiziarie competenti. Ma quell’elastico tra
diritti umani e sicurezza si può allargare o stringere a piacimento: ne è
riprova la decisione presa già in occasione del dibattito sul decreto missioni
di luglio e ratificata con un emendamento in quello di ottobre di concedere
alle forze speciali (incursori, commandos etc) gli stessi poteri degli agenti
dei servizi segreti. Così per lo meno hanno divulgato i media. La realtà letta
sotto la lente del diritto è un’altra. Quei corpi speciali, qualora autorizzati
direttamente dal Presidente del Consiglio, potranno operare in
condizioni di assoluta impunità da possibili reati commessi e segretezza sia in
Italia che all’estero. Solo a seguito
delle proteste delle opposizioni si è provveduto a inserire una clausola che
prevede l’informazione al Copasir, Commissione parlamentare dedicata ai
servizi, che non è chiaro se verrà o meno informata ex ante o ex post, né pare
sia l’organo legittimato a assicurare il rispetto della legalità. Giova anche ricordare un altro dettaglio non
di poco conto. Quando venne ratificato in Italia il Trattato di Roma che
istituisce la Corte Penale Internazionale, (TPI) il Parlamento, su spinta del
governo, decise di prendersi una responsabilità solo parziale, ossia di varare
una legge che prevede solo obblighi di collaborazione tra autorità giudiziarie
e TPI, in termini di coordinamento, scambio di informazioni etc. Insomma una
cosa assolutamente doverosa. Ma anche qua l’elefante nella stanza
riappare. Già, perché mentre sarebbe
stato obbligo da parte dell’Italia anche quello di inserire nel codice penale
le fattispecie di crimini di guerra e contro l’umanità previste dal TPI, e
quindi nei fatti sottoporre anche le proprie forze armate al possibile ricorso
al TPI, questo non è accaduto. Probabile risultato dell'azione di quelle stesse menti solerti che fino
ad oggi hanno fatto carte false per impedire l’introduzione del reato di
tortura o l’attuazione integrale di quella risoluzione dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite che obbliga gli stati membri a istituire un’autorità
nazionale indipendente garante per i diritti
umani. In Italia ora c’è ma solo a metà, e riguarda i diritti delle
persone in stato di detenzione. Meglio di nulla. Resta il fatto che accanto a queste zone
grigie se ne aggiungeranno altre, grazie alle decisioni prese a Bruxelles [4]in
seguito agli attacchi a Parigi, ed ogni giorno di più senza accorgercene, i
nostri diritti verranno compressi, messi da parte, ed il diritto internazionale
appiccicato come una gomma da masticare consunta sotto il tavolo di chi prende
le decisioni. Il nostro elefante nella
stanza.
[1] http://www.reuters.com/article/2015/11/04/us-italy-usa-drones-idUSKCN0ST1VI20151104
[2] https://theintercept.com/drone-papers/
[3] https://www.youtube.com/watch?v=KhxstXzavtU
[4] https://www.opendemocracy.net/can-europe-make-it/closely-observed-citizens; http://m.espresso.repubblica.it/attualita/2015/05/12/news/con-la-scusa-del-terrorismo-ci-tolgono-i-diritti-stefano-rodota-denuncia-la-deriva-europea-1.212058
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