Per Mosaico di Pace, settembre 2016
Quando noi, pacifisti e antimilitaristi, pensiamo ad un
paese ideale, ad un’utopia concreta, il
pensiero va al Costa Rica, paese senza eserciti e senz’ armi, che ha
addirittura inserito la neutralità nella propria Costituzione. Un’utopia
concreta in un Centroamerica attraversato
da violenza endemica, conflittualità più o meno latenti, una crescente
militarizzazione della sfera pubblica. Un’utopia concreta che può essere
presa a riferimento per delineare un’ipotesi di politica estera fondato su disarmo, pace e nonviolenza. Un’urgenza più evidente oggi, nel clima di guerra
pervasivo che entra nelle nostre quotidianità, restringe i nostri diritti, abbatte i confini dell’orrore. Che porta con sé pulsioni securitarie,
l’illusione che alla guerra si possa rispondere con la guerra, o l’illusione di
potersene tenere fuori, come in un limbo.
La chiave di lettura degli eventi e delle crisi oggi oscilla tra interventismo – di quello che negli ultimi
anni ha scardinato equilibri regionali precari, ingerenza umanitaria – che con
il pretesto di salvare civili ha aperto un vaso di pandora di conflitti e rivalità mai sopite, o la non-ingerenza che
in virtù di un principio di sacralità della sovranità nazionale o forse di puro
opportunismo politico, pretende di lasciare popolazioni civili inermi in balia
del destino. Oppure versioni “light”
che prevedono la partecipazione più o meno diretta a guerre guerreggiate, quali
quella contro il DAESH o quelle non combattute, ma gestite secondo un rigoroso approccio
militare, che riguardano i flussi di rifugiati attraverso le frontiere d’Africa
del Medio Oriente del Mediterraneo. Oggi la domanda centrale è quella della
sicurezza, come declinato assai bene anche nel dossier dell’ultimo numero di
Mosaico di Pace. Su questo veniamo anche noi chiamati alla responsabilità, attraverso
uno sforzo di analisi critica ed elaborazione che permetta di proporre un
approccio “altro” alle relazioni internazionali. Che faccia cioè tesoro della
storia, quella non raccontata negli annali di guerra, o nei libri “mainstream”, assai avvezzi a
rappresentare la politica estera e la storia come campi di battaglia armata o
meno, tra deliri o strategie di potenza, di impero, di sfruttamento, e assai
meno capaci di leggere la storia “altra”. Quella di paesi che invece avevano ed
hanno rinunciato alla politica di potenza, alla guerra, alle armi, ma che non
rinunciano a cercare di contribuire alla costruzione della pace. Insomma
neutrali ma attivi, neutrali dagli schieramenti delle potenze vecchie e nuove,
ad esempio la NATO ma attivi e partecipi con gli strumenti della diplomazia o
della forza “disarmata” nella gestione,
prevenzione e risoluzione delle controversie internazionali. Più di recente la proposta di neutralità
attiva è stato rilanciata da Un Ponte per nel suo documento “L’opzione per una
neutralità attiva in Libia”,[1]
nel quale si propongono una serie di passi, quali la de-escalation della
logica di guerra e di uso della forza , la neutralità rispetto alle fazioni che si opponevano al
governo di Al Serraj. Neutralità
attiva significa in questo caso creare le condizioni per un ruolo terzo
di mediazione che prevede l’abbandono di ogni opzione militare, e mantenere
misure volte a prevenire il flusso di armi, tra cui l’embargo all’export
di armamenti verso la Libia, assieme al sostegno ad attività di peacebuilding. Altri paesi in tempi di guerra fredda
decisero di essere più o meno neutrali, si pensi ad esempio alla Finlandia,
stato “cuscinetto” tra il blocco sovietico e quello atlantico. Non a caso ci si
rifà spesso alla Finlandia neutrale quando si immaginano ipotesi possibili per
lo status dell’Ucraina, presa tra due spinte contrapposte di assimilazione
nell’Unione Europea e nella NATO da una parte e agganciamento al cono di
influenza della Russia di Putin dall’altra. La neutralità può quindi essere uno
status - come dettato dal diritto internazionale - o anche una scelta di come
stare nel mondo, e di come porsi nei rapporti internazionali. Negli anni scorso
la guerra globale contro il terrorismo ha fatto però saltare gli ultimi “paletti” come nei casi di
Norvegia o Svezia. Anche in altri paesi
dove la neutralità era stata elemento fondativo quali la Svizzera e l’Austria
si è iniziato lentamente a comprimere il concetto, a ridiscutere la pratica
della neutralità armata, ad esempio. Il caso della Svizzera che si arma fino ai
denti per proteggersi, e produce armi o ospita imprese o banche che esportano e
commerciano in armi avvalendosi del segreto bancario, rende l’impegno di
neutralità oggi assai opinabile. Purtuttavia la Svizzera non partecipa ad
operazioni militari all’estero, mentre per altri paesi, l’entrata nell’Unione
Europea ha comportato l’abbandono della loro storica neutralità in virtù
dell’adesione agli impegni di sicurezza collettiva della UE o in altri casi
della NATO. L’Irlanda ora sposa
l’approccio di neutralità politica “militarmente attiva”. Recuperare in questo
contesto le ragioni di una pratica o un’idea di neutralità è cruciale per
dimostrare come sia possibile lavorare
per la pace e la costruzione di relazioni pacifiche tra i popoli senza
necessariamente provvedervi attraverso l’uso dello strumento militare o
aderendo in tutto o in parte alle strategie delle alleanze o dei sistemi
internazionali di sicurezza. Interessante a tal fine il dibattito sviluppatosi in
Austria dove il tema della neutralità si innestò in una
discussione più ampia sulla cultura della pace, che comporta non l’isolamento
ma bensì al contrario una ridefinizione della neutralità “dal basso” come
abbandono della politica di potenza per una politica di intervento attiva di
altra modalità. Che però presuppone una costruzione del principio e della
pratica di neutralità proprio dal basso, dall’iniziativa e dalla prospettiva
dei movimenti e della società civile. Nel suo “Critica della Politica Estera” Ekkehard Krippendorff specifica che nel contesto di una vera neutralità, non “variante della strategia di autoconservazione
degli stati” le attività delle organizzazioni non-governative “andrebbero viste non come il completamento
di una politica estera non violenta ma come l’essenza della stessa”. [2]Bene
è da questa prospettiva di neutralità
generata dal ‘basso” e che si alimenta
delle pratiche e delle iniziative della società civile e presuppone una
sorta di “ingerenza” positiva e di taglio pacifico e nonviolento, che vale la pena di partire. Con l’obiettivo
di tentare di elaborare proprio “dal basso” assieme a coloro che nel nostro
paese lavorano per la pace, il disarmo, la nonviolenza, un approccio ed una
proposta concreta, politica, di paradigma alternativo per la politica estera
del nostro paese. Il tema della neutralità ha attraversato le elaborazioni del
movimento pacifista in Italia ed all’estero ha permeato anche parte delle
relazioni internazionali, si pensi ad esempio al Movimento dei Non Allineati,
ha caratterizzato il dibattito all’interno del mondo cattolico e socialista
prima della prima guerra mondiale. Questo patrimonio va recuperato come ricerca
di memoria storica utile per una prospettiva futura. E’ questo l’obiettivo del
convegno organizzato da Transform! Italia con la collaborazione di Un Ponte
Per.. che si terrà a Roma il 10 settembre 2016, appuntamento inteso ad offrire
una prima occasione di approfondimento teorico e di confronto con tutte le
anime e le realtà del movimento pacifista, per poi valutare la possibilità di
un secondo appuntamento seminariale di lavoro per meglio comprendere insieme
come le varie campagne ed iniziative , da quelle sul commercio di armi disarmo,
nucleare e convenzionale, corpi civili di pace e difesa popolare nonviolenta,
per citarne alcune, possano trovare un
terreno comune di relazione e rafforzamento proprio attraverso una definizione
e proposta concreta di neutralità attiva per il nostro paese. Per maggiori
informazioni: https://neutralitaattiva.wordpress.com/
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