Per il Manifesto, 15 ottobre 2016
La vicenda delle bombe italiane e dei crimini
di guerra in Yemen solleva alcuni pesanti interrogativi. Il primo: inviare
bombe all’Arabia Saudita equivale a fare la guerra per interposta persona contro il DAESH in Yemen? Che l’invio di armi a paesi in conflitto fosse
considerato una “soluzione win-win”
per la quale da una parte si partecipa alla guerra senza inviare “scarponi sul
terreno” e dall’altra si privilegia la crescita del settore industriale degli
armamenti, è chiaro.
Un ’articolo uscito
nel luglio scorso sul New Inquirer ed intitolato “Recoil
operation” approfondisce la
questione del commercio legale ed illegale di armi leggere negli States . “La reticenza a livello nazionale ad inviare
“scarponi sul terreno” fa il pari con gli impegni a livello nazionale per la
crescita del settore occupazionale legato all’industria delle armi, e rende
ancor più appetibile l’opzione di armare alleati stranieri invece di andare noi
di persona a combattere” si legge. Nel
nostro caso invece di mandare aerei o
soldati sul terreno, si mandano bombe, ma non è come se a combattere partecipasse anche il nostro
paese? E chi partecipa potrebbe essere ritenuto corresponsabile di eventuali crimini di guerra
commessi da chi viene sostenuto?
Interessanti al riguardo alcune importanti notizie dagli Stati Uniti riportate
nei giorni scorsi dalla Reuters e dalla BBC. Non che il tema dell’eventuale
chiamata a correo dell’amministrazione USA per il sostegno dato all’Arabia
Saudita per complicità in crimini di guerra fosse una novità. Da tempo ormai le
organizzazioni per i diritti umani statunitensi sollevano questo pesante
interrogativo. Le ultime notizie però sono confortate da una serie di documenti ottenuti grazie al
Freedom of Information Act (FOIA) e raccontano un’altra storia, i cui dettagli meritano
di essere approfonditi anche in riferimento al protratto invio di bombe
italiane a Riad. Va detto che, a differenza del nostro paese, gli USA
collaborano in tre modalità a sostegno dell’Arabia Saudita, ovvero attraverso operazioni
di rifornimento in volo, acquisizione di bersagli con drone, e fornitura di
bombe. Per questo da tempo l’amministrazione USA si era impegnata a a fornire
ai sauditi una lista di obiettivi “santuarizzati” al fine di evitare vittime
civili. A nulla è valso visto che, come specificato in uno dei documenti desecretati
ed ora accessibili al pubblico, i Sauditi non hanno esperienza e addestramento
necessario per evitare vittime civili, e molti rappresentanti
dell’Amministrazione americana erano assai scettici sulla loro capacità di
bombardare gli Houthi senza uccidere civili o danneggiare infrastrutture
critiche.
Quindi chi autorizza l’invio di bombe italiane ai Sauditi – al netto
delle considerazioni circa il rispetto o meno della 185/90 che vieta l’invio di
armi a paesi in guerra - sa o non sa? Se
sai puoi essere corresponsabile, se non sai hai commesso una grave omissione
che potrebbe corrispondere a corresponsabilità? I documenti citati dalla Reuters
ci raccontano di una discussione interna per meglio comprendere le eventuali
ricadute legali del sostegno di Washington a Riad. Anche se poi gli avvocati
del governo conclusero di non avere elementi sufficienti per affermare che
sostenere Riad equivalesse ai sensi del diritto internazionale, essere
considerati come co-belligeranti. In realtà – e a Washington lo sanno bene – la
definizione di co-belligerante, e con essa di eventuali corresponsabilità in
crimini di guerra, oggi è assai ampia.
Non c’è bisogno di partecipare direttamente al crimine in questione, basta
fornire assistenza pratica, incoraggiamento e appoggio morale. Questo determinò
la Corte Penale Internazionale nel caso di crimini di guerra commessi
dall’ex-presidente della Libera Charles Taylor. Viene da pensare allora a casa
nostra. Autorizzare ed inviare bombe ai
sauditi potrebbe equivalere a dare
assistenza pratica? Incontrare nei
giorni scorsi il ministro della difesa Saudita potrebbe essere una forma di incoraggiamento?
Quando l’Italia venne chiamata a ratificare il
Trattato di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale ci si limitò ad
accogliere solo le parti che riguardavano la collaborazione con la Corte, ma
non ad integrare nel proprio codice penale le fattispecie di crimini contro
l’umanità previste dal Trattato. Potrebbero però bastare le norme già previste
dal LOAC, (Law Of Armed Conflict) le norme di diritto internazionale di guerra.
Lo sapeva bene . come ci dice una e-mail desecretata - il vicesegretario alla Difesa
Anthony Blinken che nel gennaio 2016 convocò i suoi per capire meglio come
evitare che gli Stati Uniti potessero essere perseguiti per il loro sostegno
alla guerra saudita in Yemen. Una bomba ad orologeria che rischia di scoppiare
nelle mani dell’amministrazione americana e non solo.
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