venerdì 23 marzo 2012

I Marò e la superficialità delle istituzioni

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La sempre più intricata e drammatica vicenda che da settimane ormai vede implicati due marò italiani accusati dell’omicidio di due pescatori indiani va vista sotto vari punti di vista. Allo stato delle cose, non risultano affatto chiare né le circostanze né i fatti veri e propri che hanno portato alla messa sotto accusa dei due fanti di marina. Non è chiaro ad esempio se al momento del presunto attacco e della reazione armata la nave italiana si trovasse in acque territoriali indiane o internazionali.

Questo dettaglio è di grande rilevanza giacché nel primo caso – a norma del diritto internazionale – sarebbe del tutto legittimo per l’India esercitare la propria giurisdizione ovvero il diritto a giudicare. Altrettanto diritto avrebbe l’Italia qualora risultasse che l’episodio si è svolto in acque internazionali.

L’India è un paese sovrano che ha tutto il diritto a far valere le proprie ragioni se le ha, altrettanto vale per l’Italia, questa è la regola aurea delle relazioni internazionali e diplomatiche. Fermo restando l’aspetto più importante da chiarire e che sarà materia del giudice che verrà ritenuto competente secondo il diritto internazionale, cioè la reale dinamica dei fatti e l’eventuale specifica responsabilità dei due militari.

Questo drammatico episodio che ha acceso una crisi diplomatica senza precedenti tra due paesi, apre un capitolo finora affrontato con troppa superficialità dal Parlamento e dal governo. Se è vero che da anni ormai le forze armate vengono utilizzate per operazioni di contrasto alla pirateria anche nel quadro di operazioni NATO, è pur vero che solo di recente si è deciso di imbarcare soldati a bordo di navi civili. E questo nell’ambito di una tendenza molto negativa di uso progressivo ed iperflessibile della forza armata senza adeguata discussione ed indirizzo parlamentare.

Negli ultimi decreti sulle missioni militari il governo ha fatto approvare dal Parlamento l’uso di truppe speciali a bordo di navi mercantili, oppure la possibilità che le stesse possano imbarcare personale armato privato come se le due cose fossero equivalenti. E’ stato stipulato anche un protocollo d’intesa tra il Ministero della Difesa e CONFITARMA (la Confederazione Italiana Armatori) secondo il quale l’armatore dovrebbe predisporre strumenti di difesa passiva per dissuadere i pirati (ad esempio filo spinato, dissuasori, idranti, aree protette) come prima linea di difesa. Una pratica di autodifesa – tra l’altro – sempre più invocata dalle grandi compagnie armatoriali che temono, con l’uso della forza, un’escalation di violenza che metterebbe a serio repentaglio l’incolumità dei propri equipaggi. La prima domanda da porsi è : sulla nave coinvolta tutto questo era stato predisposto per evitare che si ricorresse immediatamente alla forza che deve rimanere sempre e comunque “extrema ratio” ?

C’è poi un altro capitolo di problematiche relative alle regole d’ingaggio ed ai protocolli, ed all’addestramento all’ uso della forza. In un’audizione presso la Commissione Difesa il 14 giugno dello scorso anno fu proprio il Capo Di Stato Maggiore della Marina, Ammiraglio Branciforte, a sottolineare l’urgenza di regolamentazione dell’uso della forza, annunciando l’imminente emanazione da parte del Ministero della Difesa di direttive e regole d’ingaggio per il cosiddetto Nucleo Militare di Protezione, che avessero riguardo dei limiti costituzionali e di legge. Tuttavia neanche nel protocollo Difesa-CONFITARMA che risale all’ottobre 2011 se ne trova traccia. Anche questo è un dettaglio non di poco conto per stabilire le responsabilità e la catena di comando, chi fosse al capo del Nucleo Militare di Protezione, chi abbia dato ordine di sparare ed in base a quali considerazioni .

Questo episodio conferma ulteriormente una preoccupante tendenza di autonomizzazione dell’uso dello strumento militare nelle mani dei vertici militari e del governo, rispetto al ruolo di monitoraggio, intervento ed indirizzo del Parlamento. Esiste poi il problema politico più grande quello relativo all’assenza di una vera e propria strategia di sicurezza nazionale che faccia leva non tanto sulla repressione delle presunte minacce, ma sulla loro prevenzione e gestione pacifica e nonviolenta. Senza un quadro di riferimento chiaro e condiviso le autorità si possono arrogare di volta in volta il diritto ed il potere di trovare le soluzioni più convenienti al momento.

Per chi come SEL ritiene ancora importante muoversi sulla linea della certezza del diritto ed è impegnata nella costruzione di proposte di sicurezza rispettose dei diritti umani l’insieme di questi punti costituisce la base essenziale per una soluzione giusta al problema. A Giuliana Sgrena che – esercitando il suo inalienabile diritto di opinione – ha coraggiosamente ha aperto un dibattito su un tema così scomodo ma di grande importanza e che per questo è stata oggetto di inaccettabili attacchi e insulti va tutta la nostra solidarietà.

Gennaro Migliore, Elettra Deiana, Francesco Martone

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