venerdì 16 marzo 2012

Un mondo nuovo è fattibile

Prefazione alla traduzione italiana del libro di Vicky Tauli Corpuz su pratiche di auto-sviluppo dei popoli indigeni (Marzo 2012)
Costruire un mondo nuovo è fattibile, non è una proposta romantica, ma interamente pragmatica” . Con queste parole Gustavo Esteva, sociologo che da anni lavora nelle esperienze di municipi autonomi a Oaxaca ed in Chiapas, dice al mondo che solo attraverso culture e pratiche autoctone sarà possibile uscire dalla crisi complessa che ormai da anni colpisce il pianeta e gli esseri umani.

Da qualche anno ormai la comunità internazionale discute animatamente sulla necessità di costruire un nuovo paradigma, che possa sostituirsi progressivamente a quello economicista e sviluppista che sta portandoci dritti verso una crisi ecologica e sociale senza precedenti. Si scoprono concetti e valori anche mutuati dalle culture indigene, il Buen Vivir, il Sumak Kawsay, i diritti della Madre Terra, spesso assunti acriticamente come soluzione immediata (“quick fix” direbbero gli anglofoni) al progressivo sgretolamento delle basi culturali e sociali delle società industriali e post-industriali. Oppure la cronaca quotidiana - nei rari casi nei quali ciò accade - ci racconta i drammi di popolazioni che vivono gli effetti nefasti dei mutamenti climatici, della perdita di biodiversità, di mancanza di accesso al cibo ed all’acqua potabile, di esclusione sociale, di impoverimento.

Puntando il dito sulla crisi, viene però ignorato, o lasciato sottotraccia, un pezzo di umanità che da tempo immemorabile e con perseveranza vive e resiste nel rispetto profondo dei valori spirituali e non della natura, nell’intreccio indissolubile tra viventi e cosmologie millenarie. Milioni d’ indigeni di ogni parte del mondo praticano modelli di gestione, conservazione delle risorse naturali che rappresentano un contributo prezioso alla sfida continua di coloro che si ostinano a voler coniugare benessere con rispetto degli ecosistemi e della vita.

In tale prospettiva, portare alla luce queste esperienze, queste modalità che rappresentano l’esistenza incarnata di persone, uomini e donne, è un primo atto politico di grande rilevanza. Serve in sostanza a riconoscerne l’esistenza, la capacità “agente” in processi di trasformazione del modello di sviluppo. Portare alla luce la loro esistenza è il primo passo, necessario ed irrinunciabile, per costruire un nostro punto di vista decolonizzato, che si lasci dietro le spalle facili pietismi o complessi ancestrali di colpa.

I popoli indigeni, prima raffigurati come oggetto di civilizzazione, poi come vittime della stessa, rivendicano con la loro stessa modalità di vita il proprio diritto alla dignità. Da vittime della storia da anni si sono fatti soggetti attivi, che in quanto tali interrogano anche le culture e le pratiche della solidarietà del mondo “sviluppato”. Si sono trasformati in un soggetto “politico” transnazionale e globale, il cui agire però e fortemente ancorato ai territori, alle comunità di appartenenza.

Le storie raccontate in queste pagine pertanto non possono essere derubricate facilmente a raccolta quasi “accademica” di buone pratiche, un termine fin troppo asettico ed abusato, che rischia di svuotarne la portata. Dobbiamo saperle leggere mettendoci dalla parte dell’altro.

Allora si dipanerà davanti ai nostri occhi un’altra realtà, quella di storie intessute nella resistenza diaria di chi comunque continua a soffrire l’esclusione da diritti fondamentali internazionalmente riconosciuti, quali il diritto alla terra, alle risorse, ai territori, il diritto al rispetto dei propri modelli di autogoverno, alla propria conoscenza tradizionale, spesso accusata di distruggere l’ambiente. Un pretesto per riesumare vecchie ossessioni di civilizzazione e d’integrazione forzata, dapprima nelle scale “valoriali” del mondo moderno, ora nelle leggi e nelle regole ferree del sistema di mercato. E su tutti il diritto all’autodeterminazione, al diritto al consenso previo, libero ed informato, chiave di volta di ogni ipotesi di sviluppo nelle terre indigene, se ancora di “sviluppo” si può parlare.

Un concetto che deve invece lasciare il passo ad una pluralità di approcci, ad una molteplicità di culture, e visioni profondamente ancorate nel rispetto dei diritti umani, dei viventi, della natura. Che deve inevitabilmente riscoprire il senso della mutualità, delle culture e della spiritualità come elementi imprescindibili nella costruzione collettiva di nuovi paradigmi.

Ecco allora come queste storie narrate, assumono una potenzialità di cambiamento notevole. Modelli di gestione e valorizzazione delle risorse che affondano le radici in culture ancestrali, che di esse si alimentano e le stesse alimentano, che non potrebbero essere senza la determinazione e la resistenza quotidiana di chi li pratica. E che sono il frutto di una condivisione dei saperi, che si tramanda di generazione in generazione, di uno sforzo millenario, che potrebbe educare anche noi alla cura delle relazioni e del vivente.

Non a caso, molte di queste persone sono donne, come l’autrice di questi scritti, Vicky Tauli Corpuz, (donna Igorot come ama definirsi) con la quale da qualche anno mi trovo a condividere molte occasioni di impegno e di lavoro. Già Presidente del Forum Permanente delle Nazioni Unite per le questioni indigene, prominente rappresentante di quella che forse troppo affrettatamente viene definita società civile globale, (concetto che però difficilmente riesce a raffigurare pienamente la soggettività altra dei popoli indigeni), da sempre attivista globale per i diritti dei popoli indigeni, Vicky Tauli Corpuz ci consegna con questa raccolta di scritti, uno strumento importante di conoscenza.

Un messaggio di speranza e di liberazione, quanto mai necessario per chi oggi, nel nostro paese, dall’Europa dalla quale partì la Conquista, guarda al mondo con gli occhi della crisi, e fatica a trovarne una via d’uscita possibile. Ecco, oggi le prospettive si capovolgono, e da quei milioni di indigeni, in queste pagine, forse potremmo trovare la giusta ispirazione per fare anche del nostro mondo un nuovo mondo fattibile.

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