É
in corso alla Camera il dibattito sul decreto-missioni, che
ritualmente offre l'opportunità per varie considerazioni riguardo
l'uso della forza, la presenza militare italiana in teatri di
conflitto o post-conflitto, ed ipoteticamente la possibilità del
Parlamento di operare un controllo democratico sull'impegno
internazionale del nostro paese. Ogni volta invece, altrettanto
ritualmente, il dibattito parlamentare, incardinato su un decreto che
racchiude varie tipologie di missioni, financo impegni di
cooperazione, non riesce ad andare a fondo sulle sfide, le
contraddizioni, le alternative che si offrono per la costruzione
della pace in aree martoriate da conflitti più o meno latenti o
asimmetrici. É il caso dell'Afghanistan, Il decreto rifinanzia la
presenza italiana in ISAF per i prossimi tre mesi, e così sarà fino
al 2014 quando l'Italia entrerà nella missione NATO Resolute
Support. A tal riguardo giova ricordare che la posizione di SEL è
che la NATO esca dall'Afghanistan accelerando il ritiro delle truppe
di ISAF e che semmai parte eventuali compiti di formazione delle
forze di polizia vadano assegnati ad una missione ONU o dell'Unione
Europea. Questo in una situazione politica nel paese che nel 2014
diventerà ancor più critica sia per quanto concerne il percorso
verso le prossime elezioni del 2014, che l'eventuale negoziato con i
Talebani. Troppi punti restano ancora oscuri anche sulla presenza
italiana dopo il 2014. nella missione Resolute Support, che sappiamo
prevederà la permanenza di istruttori militari nella regione di
Herat. Rnull'altro ci è dato sapere rispetto al numero di effettivi,
la loro dislocazione a Herat, l'eventuale presenza di truppe speciali
a protezione e riguardo ad un accordo di cooperazione con l'Ucraina
in virtù del quale l'Italia fornirà supporto tecnico e logistico ad
un contingente Ucraino presso la base italiana di Herat. Particolari
non di poco conto, che portano alcuni osservatori del settore difesa
a concludere che Resolute Support sarà né più e né meno una ISAF
2.0. Altro teatro a rischio il Mali, dove l'Italia partecipa sia
alla EUTM, missione di addestramento dell'Unione Europa, che a
MINUSMA , la missione ONU di stabilizzazione, affiancata da un
contingente di forze di intervento rapido francesi. Questo in un
quadro politico assai fluido dopo l'elezione del nuovo presidente
Ibrahim Boukabar Keita, Quali le prospettive per una soluzione
negoziata alle rivendicazioni di autonomia delle popolazioni del
Nord, in particolare i Tuareg dell'Azawad? La frontiera Nord del
Mali è una terra di nessuno, dove nessuno riesce ad assicurare il
controllo del territorio, AQIM (Al Qaeda in Mali) risulterebbe ormai
insediata in tutta quella fascia che va dal Niger, al Sud della
Libia, e gli scontri e conflitti a fuoco si stanno moltiplicando. I
punti cruciali per costruire un futuro di pace nel paese sono il
lancio di negoziati di pace inclusivi, prepararsi per le prossime
elezioni politiche previste per fine Novembre, la riforma del settore
della sicurezza e il rafforzamento istituzionale. Su questo l'Italia
dovrebbe avanzare delle ipotesi di lavoro, in particolare
in vista della presidenza di turno UE del 2014 per proporre una
strategia regionale per tutto il Sahel e che affronti in maniera
innovativa i nodi della sicurezza, della governance, e della lotta
alla povertà e rilanciare il piano Sahel proposto da Romano Prodi.
Sulla
Libia il quadro è chiaro ed assai preoccupante, il decreto finanzia
EUBAM, missione europea di pattugliamento delle frontiere e la fase
due dell'Operazione Cirene, la Missione Militare Italiana in Libia
(MIL) che solleva molte preoccupazioni se vista in collegamento con
il piano G8 per la Libia, coordinato dall'Italia che prevede tra
l'altro un programma per il disarmo delle milizie paramilitari (si
parla di almeno 200mila miliziani armati) , Anche qui tutto il tema
del controllo della frontiera sud riemerge per quanto riguarda
l'impegno preso dall'Italia a livello di G8 di coordinare ed essere
il paese maggiormente impegnato nel Piano G8 per la Libia. Si
finanzia giustamente con 4 milioni di euro l'OPAC per la missione di
messa in sicurezza ed eliminazione del programma chimico siriano,
Secondo gli ultimi dati risulterebbe che il loro lavoro stia
procedendo positivamente. Resta il punto politico relativo al
rilancio del negoziato Ginevra II, ora in mano finalmente alle
Nazioni Unite nella figura del'inviato speciale Lakdar Brahimi, Il
rilancio del negoziato sembra in fase di pericolosa impasse,
soprattutto perchè Iran, Russia e Siria sarebbero contrarie a
impostarlo sui principi di Ginevra I, in particolare per quanto
riguarda il ruolo ed il destino di Assad. Ed anche per le spaccature all'interno delle varie fazioni "ribelli". Eppoi c'è il capitolo
assistenza umanitaria sulla quale l'Italia si è già impegnata,
mentre Sinistra Ecologia Libertà propone un ordine del giorno in
sostegno ad un'iniziativa internazionale da parte del Governo
Italiano per mettere intorno ad un tavolo le organizzazioni ed
associazioni della società civile siriana che rifiutano la logica
dello scontro armato e attuano forme di resistenza nonviolenta e
mutualismo dal basso. Per ultimo e non da meno, l'area di crisi del
Sudan-Sud Sudan. L'Italia partecipa a UNMISS in uno scenario sempre
assai teso prima e durante il processo di indipendenza del Sud Sudan in particolare per una controversia su una citta di frontiera,
Abyei, sulla quale è stato proposto un referendum , ma soprattutto
per il tema del controllo delle ingenti risorse petrolifere del Sud
Sudan ed il diritto di passaggio per gli oleodotti che dovrebbero
trasportate il petrolio in Sudan. Il decreto rifinanzia anche la partecipazione italiana a UNFIL II
in Libano, ed altre presenze e partecipazioni a missioni ONU, NATO
(quali KFOR in Kosovo) e dell'Unione Europea. Una modalità che non
permette di andare a fondo nella valutazione politica caso per caso,
confinando appunto la discussione sull'aspetto militare” e non
sulle sfide per la diplomazia e per eventuali soluzioni politiche ai
confitti, Né è permesso al Parlamento ed all'opinione pubblica di
avere la possibilità di partecipare attivamente alla discussione ed
alla formulazione di raccomandazioni che vadano al di là della
scelta tra il “prendere o lasciare” sottintesa in un decreto di
tal tipo.
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