giovedì 5 dicembre 2013

Riforma della cooperazione: molte ombre, pochissima luce nella proposta del governo



E' circolata nei giorni scorsi sulla stampa una bozza, a quanto pare definitiva, dell'atteso disegno di legge di iniziativa governativa per la riforma della cooperazione allo sviluppo. La notizia ha subito suscitato polemiche relative al rischio che la proposta Agenzia diventi l'ennesimo "carrozzone" di tecnocrati. Va invece sottolineato che - come in altri paesi europei - l'Agenzia può essere uno strumento importante di attuazione. Alcune condizioni però dovranno essere rispettate. 

La prima è che l'Agenzia sia veramente autonoma rispetto al Ministero degli Esteri ed abbia un'effettiva presenza territoriale. La seconda è che la stessa indirizzi le proprie attività su criteri di massima trasparenza, partecipazione ed efficacia, in linea con i migliori standard internazionali in materia. La terza è che si preveda una sorta di controllo “democratico” sulle proprie attività e gestione delle risorse. sia attraverso il Parlamento, che con altre modalità di monitoraggio che non comportino ulteriori costi, ma permettano una partecipazione diretta della società civile . 

In realtà, la proposta del governo genera altre serie preoccupazioni. Alcune sono state già ben riassunte nelle prime preoccupate reazioni di esponenti delle organizzazioni nongovernative, quali la "scomparsa" della figura del volontario, l'eccessiva enfasi sul ruolo del settore privato, delle banche e del partenariato pubblico privato, e l'assenza del Fondo Unico. Quest'ultima è certamente una concessione al Ministero dell'Economia e delle Finanze, da sempre restìo a cedere il controllo dei fondi di sviluppo da lei gestiti ed amministrati (Banche multilaterali, Fondi Europei). 

E' però il punto centrale, il vero corno della questione, che non viene risolto: la cooperazione resta infatti saldamente nelle mani della Farnesina e delle “feluche”. Al di là dell'annosa discussione sulla “figura” di governo, ossia se si debba prevedere la figura di un Ministro (cosa che noi di Sinistra Ecologia Libertà chiediamo) o di un viceministro della cooperazione, il punto chiave è che nelle intenzioni del governo la cooperazione dovrà essere non solo parte integrante, ma strumento di politica estera. Se poi questa è principalmente politica di marketing o promozione commerciale, il gioco è fatto. 

Ancora, come ci illustra chiaramente l'andamento del negoziato di Bali sul WTO ed il cibo, che senso ha investire in fondi di aiuto per la lotta alla fame se poi non si prendono posizioni coerenti in ambiti di grande rilevanza per il diritto al cibo ed alla sovranità alimentare quali il WTO? Eppure sul tema cardine della coerenza delle politiche c'è un breve e fugace passaggio di un paio di righe. 

Ultimo punto di criticità riguarda le buone pratiche, le modalità alternative di fare cooperazione, i soggetti. La proposta del governo dà grande risalto ai soggetti di lucro, e privati, e poche righe al ruolo delle piccole associazioni, cooperative, finanza etica, microcredito. A quegli attori della cooperazione che tentano di di creare relazioni tra territori, e che ragionano principalmente in termini di condivisione di saperi e strumenti di lavoro. Né ad esempio si riconoscono come soggetti di cooperazione e solidarietà internazionale esperienze come i corpi civili di pace o coloro che fanno prevenzione nonviolenta dei conflitti. 

Insomma, la filosofia di fondo e l'assetto istituzionale che si evincono nella proposta del governo risultano essere drammaticamente inadeguati rispetto al livello di dibattito internazionale sul'efficacia e le modalità innovative di cooperazione, che troverà il suo punto massimo nel 2015 alla Conferenza ONU sul “Post-Obiettivi di Sviluppo del Millennio”. 

Viene così ignorato il patrimonio di decenni di lavoro ed impegno di quelle realtà della società civile italiana che hanno sperimentato la cooperazione dal “basso” in America Latina, come in Africa o Asia. Un lavoro improntato anzitutto sulla costruzione di relazioni paritarie e di condivisione, e solo in un secondo tempo alla fase di “progettualità”. Realtà che praticano un approccio che parte dal riconoscimento della centralità dei diritti fondamentali e la tutela dell'ambiente piuttosto che della mera logica assistenzialista e caritatevole. 

Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino ci sarà, come già temevamo,  poco da stare allegri.  

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