E'
circolata nei giorni scorsi sulla stampa una bozza, a quanto pare
definitiva, dell'atteso disegno di legge di iniziativa governativa
per la riforma della cooperazione allo sviluppo. La notizia ha subito
suscitato polemiche relative al rischio che la proposta Agenzia
diventi l'ennesimo "carrozzone" di tecnocrati. Va invece
sottolineato che - come in altri paesi europei - l'Agenzia può
essere uno strumento importante di attuazione. Alcune condizioni però
dovranno essere rispettate.
La
prima è che l'Agenzia sia veramente autonoma rispetto al Ministero
degli Esteri ed abbia un'effettiva presenza territoriale. La seconda
è che la stessa indirizzi le proprie attività su criteri di massima
trasparenza, partecipazione ed efficacia, in linea con i migliori
standard internazionali in materia. La terza è che si preveda una
sorta di controllo “democratico” sulle proprie attività e
gestione delle risorse. sia attraverso il Parlamento, che con altre
modalità di monitoraggio che non comportino ulteriori costi, ma
permettano una partecipazione diretta della società civile .
In
realtà, la proposta del governo genera altre serie preoccupazioni.
Alcune sono state già ben riassunte nelle prime preoccupate reazioni
di esponenti delle organizzazioni nongovernative, quali la
"scomparsa" della figura del volontario, l'eccessiva enfasi
sul ruolo del settore privato, delle banche e del partenariato
pubblico privato, e l'assenza del Fondo Unico. Quest'ultima è
certamente una concessione al Ministero dell'Economia e delle
Finanze, da sempre restìo a cedere il controllo dei fondi di
sviluppo da lei gestiti ed amministrati (Banche multilaterali, Fondi
Europei).
E'
però il punto centrale, il vero corno della questione, che non viene
risolto: la cooperazione resta infatti saldamente nelle mani della
Farnesina e delle “feluche”. Al di là dell'annosa discussione
sulla “figura” di governo, ossia se si debba prevedere la figura
di un Ministro (cosa che noi di Sinistra Ecologia Libertà chiediamo)
o di un viceministro della cooperazione, il punto chiave è che nelle
intenzioni del governo la cooperazione dovrà essere non solo parte
integrante, ma strumento di politica estera. Se poi questa è
principalmente politica di marketing o promozione commerciale, il
gioco è fatto.
Ancora,
come ci illustra chiaramente l'andamento del negoziato di Bali sul
WTO ed il cibo, che senso ha investire in fondi di aiuto per la lotta
alla fame se poi non si prendono posizioni coerenti in ambiti di
grande rilevanza per il diritto al cibo ed alla sovranità alimentare
quali il WTO? Eppure sul tema cardine della coerenza delle politiche
c'è un breve e fugace passaggio di un paio di righe.
Ultimo
punto di criticità riguarda le buone pratiche, le modalità
alternative di fare cooperazione, i soggetti. La proposta del governo
dà grande risalto ai soggetti di lucro, e privati, e poche righe al
ruolo delle piccole associazioni, cooperative, finanza etica,
microcredito. A quegli attori della cooperazione che tentano di di
creare relazioni tra territori, e che ragionano principalmente in
termini di condivisione di saperi e strumenti di lavoro. Né ad
esempio si riconoscono come soggetti di cooperazione e solidarietà
internazionale esperienze come i corpi civili di pace o coloro che
fanno prevenzione nonviolenta dei conflitti.
Insomma,
la filosofia di fondo e l'assetto istituzionale che si evincono nella
proposta del governo risultano essere drammaticamente inadeguati
rispetto al livello di dibattito internazionale sul'efficacia e le
modalità innovative di cooperazione, che troverà il suo punto
massimo nel 2015 alla Conferenza ONU sul “Post-Obiettivi di
Sviluppo del Millennio”.
Viene
così ignorato il patrimonio di decenni di lavoro ed impegno di
quelle realtà della società civile italiana che hanno sperimentato
la cooperazione dal “basso” in America Latina, come in Africa o
Asia. Un lavoro improntato anzitutto sulla costruzione di relazioni
paritarie e di condivisione, e solo in un secondo tempo alla fase di
“progettualità”. Realtà che praticano un approccio che parte
dal riconoscimento della centralità dei diritti fondamentali e la
tutela dell'ambiente piuttosto che della mera logica assistenzialista
e caritatevole.
Insomma,
se il buongiorno si vede dal mattino ci sarà, come già temevamo,
poco da stare allegri.
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