martedì 10 dicembre 2013

La conquista dei diritti umani non è un pranzo di gala



Oggi è la giornata mondiale delle Nazioni Unite per i diritti umani. Al di là della ritualità dell'evento
è un richiamo alla responsabilità dei governi e della cosiddetta comunità internazionale affinché si impegnino al rispetto ad alla promozione degli stessi. Un percorso accidentato, tutt'affatto scontato.

Ci sono governi che la storia ci ha insegnato a definire “dittature” ormai se ne contano sulla punta delle dita, che dei diritti umani fanno carta straccia. Un pretesto del sistema occidentale per interferire nei nostri affari, dicono. 

Altri che hanno oggi una parvenza di democrazia, formale piuttosto che sostanziale, che non esitano ad incarcerare dissidenti, Pussy Riot o attivisti di Greenpeace o a chiudere d'autorità un'organizzazione ambientalista colpevole di opporsi ai progetti di estrazione petrolifera nell'Amazzonia ecuadoriana. 

Altri che cingono intere popolazioni civili nella morsa di un muro di cemento negandone quotidianamente la dignità di popolo, il popolo palestinese. 

In altri paesi in nome della tutela dei diritti umani delle popolazioni non si è esitato ad intervenire con modalità che - senza soluzione di continuità - stanno arrecando ulteriori violazioni dei diritti umani delle popolazioni civili, si guardi il caso dell'Irak, dell'Afghanistan o quello della Libia. 

In altri, seppur membri dell'Unione Europea quali l'Ungheria, si assiste ad una pericolosissima deriva autoritaria, alla quale gli strumenti di persuasione (la cosiddetta “moral suasion”) dell'Europa stanno apparentemente ponendo qualche rimedio. Altri che continuano ad uccidere propri cittadini e cittadine in nome della giustizia o di una superiorità religiosa.

Diritti umani e nuda vita, direbbe Giorgio Agamben. Una vita che viene denudata dall'oppressione, dall'arroganza dei potenti, dal privilegio, dall'autoritarismo, dal pregiudizio. 

Una vita che oggi viene spogliata pezzo per pezzo dall'insostenibile peso dell'austerità. Non a caso lo scorso anno il Consiglio ONU sui Diritti Umani trattò il tema del debito e dei diritti umani giungendo alla conclusione che se il pagamento del debito o i programmi di austerità portano alla contrazione o violazione dei diritti umani (sia inteso, non soo quelli politici, ma anche quelli economici, sociali, cultural, ambientali ) allora quel debito andrà rinegoziato. A futura memoria quando tra 21 giorni, tre settimane, entrerà in vigore in Italia la “golden rule” la regola del pareggio di bilancio che una maggioranza bipartizan ha voluto inserire in Costituzione.

Diritti che vengono violati quotidianamente nel nascosto di una famiglia, femminicidio e crociate contro il diritto di esprimere la propria sessualità. Oltreconfine come a casa nostra. 

Diritti che vengono violati al largo del Mediterraneo, ormai blindato a doppia mandata, o in un campo Rom della periferia estrema della capitale. Nell'espulsione di due donne kazake in nome della ragion di stato o forse d'impresa. Nel diniego del diritto alla casa o alla salute, o ad un ambiente sano. 

Ecco cosa ci deve dire questa giornata: ci deve ricordare ancora una volta che i diritti umani devono essere il cardine del nostro impegno politico, ma non solo. Che necessitano non di declamazioni formali o di circostanza ma di determinazione nel ricostruire le nostre categorie di analisi ed interpretazione e gli strumenti e proposte politiche che ne devono derivare. Ed al di là della teoria, la storia ci insegna, da Nelson Mandela a Rosa Parks, che i diritti umani si conquistano, e quella conquista non è certo un pranzo di gala.  

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