Il diluvio di dichiarazioni, condanne, dissociazioni, teorie della cospirazione, accuse e scuse – come diceva il poeta “senza ritorno” - che segue la tragica esecuzione dei giornalisti di Charlie Hebdo (potevano essere anche di Canard Enchainé o de Les Echos de la Savanne, o Fluid Glacial)
del poliziotto franco-algerino Ahmed, finito con un colpo alla testa, mi fa pensare.
Oltre la giusta condanna e sdegno, l'urgenza di riaffermare quasi autisticamente la profonda fede nella libertà di espressione, di stampa, nei nostri valori democratici. Fa pensare al ritardo con il quale la politica e non solo arrivano nel cercare di capire e di leggere questi fenomeni. Si distingue tra Islam radicale ed Islam moderato, tra califfi, e quaedisti, si fa la radiografia della tattica militare, si trasforma nell'immaginario una metropoli in campo di battaglia. Ci si schiera automaticamente da una parte o dall'altra, o per lo meno contro presunti corresponsabili. Ho letto poche cose valide sulla questione, l'unica forse dalla penna di Igiaba Scego, una amica e sorella, che vive sulla sua pelle il suo essere donna di cultura, e di impegno politico e sociale. Il resto, fuffa. Il che rende merito ad Igiaba ma lascia un gran senso di vuoto e preoccupazione. Vuoto che riflette forse il vuoto di chi non ha strumenti per proporre un punto di vista che non sia appunto il “noi” ed il “loro”, o l'analisi al tornasole delle responsabilità storiche, di chi ha finanziato Al Qaeda prima e lo bombarda ora etc etc. Va tutto bene nel calderone della discussione. Anche l'uso di terminologia militare, siamo in guerra, ci hanno dichiarato guerra. Allora si risponde con la guerra. Si evoca al guerra di Spagna, la resistenza contro il nazifascismo. Mi pare si vada a cercare nelle proprie zone di “comfort” culturale ed ideologico conforto di fronte alla paura, ed alla difficoltà. Ci si interroga, si interpellano esperti di turno, islamisti o islamici "compatibili" o meno. Ci si indigna per le esternazioni leghiste o fasciste. Si prova nell'attimo di un tweet o di un'intervista a dare risposte ad un fenomeno che affonda le sue radici in processi che si sono andati consolidando in decenni. Ricordo erano forse 20 anni fa, e per Greenpeace International partecipai ad uno studio di analisi strategica per capire dove potesse andare il mondo nei venti anni a venire e quali fossero le forze ed i soggetti che avrebbero rappresentato una sfida all'ordine delle cose. Non ricordo chi, forse Rudolph Bahro, intellettuale tedesco mi disse, "l'Islam!". E mi venne in mente lo sguardo allucinato di un predicatore che incrociai un anno prima in una moschea a Penang in Malesia. Venti anni non si cancellano con un colpo di spugna. In una discussione poi tutta “europea” ed “occidentale” o da mondo di minoranza, dove passa in secondo piano il massacro di 2mila persone inermi ad opera di Boko Haram in Nigeria. Stesse bandiere nere, stessi paramenti “ridicoli” come dice Igiaba, stesso sangue versato, stessa follia.
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