lunedì 6 ottobre 2008

Debito ecologico, decrescita e nuovi modelli economici

Quella che segue è un'intervista a Joan Martinez Alier (accademico esperto in economia ambientale) fatta da Carlotta Mismetti Capua per l'Espresso in occasione delle celebrazioni per l'anniversario della fondazione del Club di Roma, tenutesi nei mesi scorsi a Roma. Buona lettura

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Se Barack Obama vincesse, e firmasse il protocollo di Kyoto, forse l’obiettivo di abbassare le emissioni di carbonio di tutti i paesi industrializzati non sarà quel fallimento generale che è oggi. Ma le emissioni di carbonio salgono del 3 per cento ogni anno, e vanno molto più veloci delle democrazie e dei protocolli. Per questo policy maker e economisti che si occupano di ambiente stanno già lavorando al post-Kyoto. Il post-Kyoto si chiama debito ecologico, e Angela Merkel ha già annunciato che di questo debito, e di come risarcirlo, e di cosa succede se tutti gli indiani tra 20 anni avranno le stesse automobili degli italiani, si parlerà al prossimo G8, che nel 2009 si terrà in Italia, dove per l’appunto sono state invitate anche India e Cina. Il debito ecologico lo ha inventato Joan Martinez Alier, un uomo mite e schietto: «Credo più negli abitanti della Val di Susa che nei vertici internazionali», dice. Alier insegna a Barcellona e ad Harvard ed è pioniere degli studi di economia ambientale, che da 30 anni cercano di coniugare economia e giustizia ambientale. Da dieci è nel comitato scientifico dell’Agenzia Europea dell’ambiente. «Ma gli ambientalisi alla Wwf sbagliano. Non si tratta di salvare i coralli o le tigri. Il problema sono le risorse e la salute, se non la distruzione, degli esseri umani» afferma.

Professore, in che cosa consiste il debito ecologico?

Il debito ecologico cerca di misurare e risarcire i paesi che hanno le risorse naturali, risorse che vengono sfruttatela pesi terzi, senza che la ricchezza resti sul territorio; sostanzialmente sono i paesi del Sud del Mondo, sud America ed Africa, ad avere un credito verso i paesi occidentali. Il debito, così come l’ho concepito vede quattro punti. Primo: calcolare le emissioni di carbonio. Negli States si producono 20 tonnellate di carbonio per persona, ogni anno. In India 2. Secondo punto: la pirateria ecologica di semi, piante, materie prime. È una appropriazione materiale ma soprattutto di conoscenza. Questo va pagato. La convenzione sulla biodiversità di Rio di Janero, del 1992, alla quale hanno partecipato tutti i paesi del mondo, ha detto che le risorse biologiche appartengono al paese dove si trovano. E che i contratti tra multinazionali e paesi con grandi risorse biologici sono obbligatori. Ma questi contratti non si fanno, mai. Perché sono contratti tra soggetti troppo asimmetrici. Anche per i rifiuti, che sono il terzo punto del debito ecologico, il trattato di Basilea ne vieta l’esportazione: non si possono portare dei rifiuti tossici dai paesi ricchi a quelli poveri, è razzismo ambientale dice qualcuno: ma tutti lo fanno».


Il quarto punto del debito economico sono i prezzi delle materie prime. Se i paesi del Sud alzassero i prezzi di queste materie l’equità economica verrebbe parzialmente stabilita.

«Io lo chiamo scambio ecologicamente dis-euguale: significa che le esportazioni delle materie prime nel mondo sono troppo poco costose, e il loro prezzo non considera la distruzione che provocano. Questo vale per il petrolio ma anche per l’oro e perfino per i gamberetti che lei trova al supermercato, che hanno viaggiato per chilometri in dei frigoriferi. L’unico modo è alzare i prezzi, ed è una via che Rafael Correa, presidente dell'Ecuador, percorre insieme all’Opec».


L’ambiente produce ricchezza per il triplo del Pil mondiale, ogni anno. Ogni volta che questa ricchezza si produce, la Natura si riduce. Ogni volta che si estrae un chilo di oro si distrugge una tonnellata di natura. Ogni volta che si costruisce una strada o si draga un fiume si distrugge territorio naturale, foreste che servono per respirare.

Ma come si calcola un risarcimento da parte chi sfrutta queste risorse verso le nazioni che queste risorse le possiedono?

Il debito ecologico dei paesi del Sud, India e Africa e Latino America, se lo contassimo, è molto più grande del debito economico che questi paesi hanno con i governi occidentali. Questa diseguaglianza economica va sanata. Ho seguito un progetto per il governo dell’Equador, molto concreto. La Itt Iasuni è una grande riserva di bio-diversità, una foresta nel cui sottosuole c’è uno dei più grandi giacimenti di petrolio del Sud America. L’idea è tenere l’olio sotto terra. L’Equador fa un sacrificio economico, forse di trecento milioni di dollari per anno, per 20 anni. In cambio di questo sacrificio tutti i paesi occidentali contribuiscono, per la metà della perdita. Il diplomatico Francisco Carrion che se ne sta occupando ha proposto ai governi occidentali di dare questi soldi sotto forma di condono del debito economico.

Questi danni li calcoliamo con un risarcimento economico: Soldi per la sovraporduzione di carbonio, soldi per la bio-pirateria o i rifiuti di amianto?

«Il debito ecologico ha aspetti pecuniari e aspetti morali. Il tema del risarcimento è stato discusso già negli Stati Uniti per la schiavitù e in Sud Africa, per l’Apartheid. Anche per l’ambiente deve essere la stessa cosa, e lo sarà prima o poi. Ma da economista credo che la cosa che inciderà non saranno i soldi, ma le catastrofi naturali e le lotte dei ragazzi della Val di Susa».

Pensa che ci sia ancora spazio per l’atteggiamento “ Nymby”: not in my back yard; non in Val di Susa non a Chiaiano?

«Queste lotte ambientali sono molto antiche e sono sempre partite dal basso: la protesta della Val di Susa si replica identica anche in India, dove vogliono creare un canale per le navi tra Sri Lanka e India e i pescatori protestano. Ma se ci sono 3 Nimby in Italia, e 100 in Europa, e 2000 nel mondo, allora non è più un “backyard”, un giardinetto dietro casa. È un movimento globale. Infatti ora in America si dice Niamby: «Not in anyone backyard, vale a dire in nessun giardinetto». Ed è molto interessante che sia una rete diffusa, senza leader, senza grandi mezzi e senza staff politici. Questo movimento-rete cresce, e questa è gente che, sorprendendo tutti, sta votando Barack».

Come immagina il post Kyoto, cosa accadrà?

«Poco, forse nulla. Qualcuno, come la Merkel ora, e forse Barack Obama se vincesse, stanno lavorando per introdurre dei temi di equità. L’unico modo per consentire lo sviluppo di India e Cina è che noi, paesi occidentali, decresciamo.

per saperne di più:

New Economics Foundation

Earth Economics
Alianza de los Pueblos Acreedores de la Deuda Ecologica

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