giovedì 10 gennaio 2013

Missioni militari: Afghanistan ultima stazione prima del ritiro?




In questi giorni al Senato si è iniziato a discutere il decreto sulle missioni all'estero, che proroga le missioni esistenti a settembre 2013, e introduce altri impegni dell'Italia quali la partecipazione ad una missione europea di addestramento di truppe del Mali nella loro campagna militare contro Al Qaeda nel nord del paese. Una situazione complessa che richiede un approccio ampio, al di là dell'opzione militare, per riportare legalità e rafforzare l'assetto politico del paese spaccato in due: a Nord l'insurgenza jihadista, e quella di movimenti tuareg ormai sganciati da quaedisti. A sud uno stato quasi inesistente dopo il colpo di Stato dei militari che più di recente l'11 dicembre hanno arrestato il primo ministro Diarra, a capo di un governo civile succeduto alla giunta militare, e che di seguito ha rassegnato le sue dimissioni. Mentre le agenzie di stampa battono in questi giorni notizie sui successi della campagna dell'esercito maliano nel nord del paese e l'annuncio dell'intervento militare francese via terra e via aria, con l'avallo dell'ONU e dell'Unione Europea. Un'escalation che rischia di complicare ancor di più le cose, vista anche l'accelerazione che verrà impressa all'invio degli addestratori italiani a Bamako. Eppoi la partecipazione italiana ad altre missioni europee nella stessa area ormai diventata una zona calda, instabile, non solo dal punto di vista militare ma anche per l'avanzamento della povertà e dell'esclusione. Ed anche zona prioritaria per i programmi di Africom.

Di questo avranno occasione, tempo e capacità di discutere in Parlamento? O come sempre si avallerà senza un'analisi accurata di ogni pro e contra qualsiasi cosa venga proposta dal Ministero della Difesa e dalla Farnesina? Risalta nelle stesse ore un articolo su l'Unità, che richiamando l'opzione zero attualmente al vaglio dell'amministrazione Obama (il ritiro totale di tutte le truppe USA entro il 2014) invita il governo italiano a accelerare il ritiro delle truppe italiane entro il 2013 e ad impegnarsi per un capovolgimento integrale delle priorità di finanziamento a favore della cooperazione civile. Esempi al riguardo ce ne sono, non si deve reinventare la ruota. Ma a Camere ormai sciolte, con i parlamentari presi dalle loro campagne elettorali, o dall'urgenza di trovare altra collocazione, c'è poco da sperare.

Però il Parlamento un segnale netto di inversione di tendenza dovrebbe darlo, iniziando a chiedere precise cronologie per il ritiro dei militari entro il 2013, un aumento sostanziale dei fondi per la cooperazione sganciati e detratti da quelli per la missione militare, e chiedendo che fin d'ora i militari presenti in Afghanistan rientrino nelle loro basi (quelle che non hanno ancora lasciato) e non si impegnino più in operazioni militari. Eppoi, risulta che l'Italia dovrà addestrare forze di polizia afgane. Se proprio devono restare, che vengano addestrate alla tutela dei diritti umani, e la mediazione ed interposizione nonviolenta per la gestione dell'ordine pubblico, E non per potersi un giorno spostarsi in zone di guerra. E last but not least, che si presenti una "spending review" di tutte le spese sostenute finora in Afghanistan.

E ci si dica anche cosa sia quel materiale ferroviario in disuso che verrà regalato al governo eritreo – un regalino nascosto tra le righe del decreto. A parte che quel governo non merita regali anzi, siamo certi che sia un regalo e non una polpetta avvelenata? Magari da scorie tossiche? Noi le idee le abbiamo chiare: Sinistra Ecologia e Libertà porterà un programma di governo sulla gestione e la prevenzione diplomatica e nonviolenta dei conflitti, la pace ed il disarmo, che passa attraverso un'analisi critica delle tematiche connesse all'ingerenza umanitaria, al sostegno ai corpi civili di pace, alla riduzione delle spese militari, la cancellazione del programma F35.E dal ritiro delle truppe dall'Afghanistan prima della scadenza naturale del 2014. 

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