In
questi giorni al Senato si è iniziato a discutere il decreto sulle
missioni all'estero, che proroga le missioni esistenti a settembre
2013, e introduce altri impegni dell'Italia quali la partecipazione
ad una missione europea di addestramento di truppe del Mali nella
loro campagna militare contro Al Qaeda nel nord del paese. Una
situazione complessa che richiede un approccio ampio, al di là
dell'opzione militare, per riportare legalità e rafforzare l'assetto
politico del paese spaccato in due: a Nord l'insurgenza jihadista, e
quella di movimenti tuareg ormai sganciati da quaedisti. A sud uno
stato quasi inesistente dopo il colpo di Stato dei militari che più
di recente l'11 dicembre hanno arrestato il primo ministro Diarra,
a capo di un governo civile succeduto alla giunta militare, e che di
seguito ha rassegnato le sue dimissioni. Mentre le agenzie di stampa
battono in questi giorni notizie sui successi della campagna
dell'esercito maliano nel nord del paese e l'annuncio
dell'intervento militare francese via terra e via aria, con l'avallo
dell'ONU e dell'Unione Europea. Un'escalation che rischia di
complicare ancor di più le cose, vista anche l'accelerazione che
verrà impressa all'invio degli addestratori italiani a Bamako.
Eppoi la partecipazione italiana ad altre missioni europee nella
stessa area ormai diventata una zona calda, instabile, non solo dal
punto di vista militare ma anche per l'avanzamento della povertà e
dell'esclusione. Ed anche zona prioritaria per i programmi di
Africom.
Di
questo avranno occasione, tempo e capacità di discutere in
Parlamento? O come sempre si avallerà senza un'analisi accurata di
ogni pro e contra qualsiasi cosa venga proposta dal Ministero della
Difesa e dalla Farnesina? Risalta nelle stesse ore un articolo su
l'Unità, che richiamando l'opzione zero attualmente al vaglio
dell'amministrazione Obama (il ritiro totale di tutte le truppe USA
entro il 2014) invita il governo italiano a accelerare il ritiro
delle truppe italiane entro il 2013 e ad impegnarsi per un
capovolgimento integrale delle priorità di finanziamento a favore
della cooperazione civile. Esempi al riguardo ce ne sono, non si deve
reinventare la ruota. Ma a Camere ormai sciolte, con i parlamentari
presi dalle loro campagne elettorali, o dall'urgenza di trovare altra
collocazione, c'è poco da sperare.
Però
il Parlamento un segnale netto di inversione di tendenza dovrebbe
darlo, iniziando a chiedere precise cronologie per il ritiro dei
militari entro il 2013, un aumento sostanziale dei fondi per la
cooperazione sganciati e detratti da quelli per la missione militare,
e chiedendo che fin d'ora i militari presenti in Afghanistan
rientrino nelle loro basi (quelle che non hanno ancora lasciato) e
non si impegnino più in operazioni militari. Eppoi, risulta che
l'Italia dovrà addestrare forze di polizia afgane. Se proprio devono
restare, che vengano addestrate alla tutela dei diritti umani, e la
mediazione ed interposizione nonviolenta per la gestione dell'ordine
pubblico, E non per potersi un giorno spostarsi in zone di guerra. E
last but not least, che si presenti una "spending review"
di tutte le spese sostenute finora in Afghanistan.
E
ci si dica anche cosa sia quel materiale ferroviario in disuso che
verrà regalato al governo eritreo – un regalino nascosto tra le
righe del decreto. A parte che quel governo non merita regali anzi,
siamo certi che sia un regalo e non una polpetta avvelenata? Magari
da scorie tossiche? Noi le idee le abbiamo chiare: Sinistra Ecologia
e Libertà porterà un programma di governo sulla gestione e la
prevenzione diplomatica e nonviolenta dei conflitti, la pace ed il
disarmo, che passa attraverso un'analisi critica delle tematiche
connesse all'ingerenza umanitaria, al sostegno ai corpi civili di
pace, alla riduzione delle spese militari, la cancellazione del
programma F35.E dal ritiro delle truppe dall'Afghanistan prima della
scadenza naturale del 2014.
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