Il museo della cultura degli ebrei polacchi è molto bello. Ancora incompiuto, ma la struttura architettonica, la collocazione, il concetto, il percorso interattivo previsto fanno già immaginarlo. E la mostra temporanea in corso, sulla memoria e gli oggetti, è altrettanto bella. I Libri, il viaggio,l'emigrazione, l'errare, i segni di una presenza assente (come direbbe Bauman "artefatti contrabbandati nel corso del tempo") oggetti di famiglia con la loro narrativa, la madreterra, il nascondersi, l'arte. Stasera sono andato a sentire un concerto di musica yiddish, dal cabaret al tango, al klezmer dalla Varsavia alla Tel Aviv degli anni '30, un tuffo nel passato. Da pochi anni la comunità ebraica polacca sta cercando di recuperare la sua memoria, ricostruendo il suo passato. C'erano 3,3 milioni di ebrei in Polonia, la più grande comunità askenazita d'Europa. Un terzo degli abitanti di Varsavia erano ebrei, discendenti di mercanti spediti dal Visir di Spagna e lì poi insediati. Da allora sono stati vittima di vari pogrom, fino alla Shoah quando Il 90% degli ebrei polacchi è stato sterminato. Financo nel 1968 sono stati vittima di campagne antisemite. Qua a Varsavia non riesco a non pensare alla storia. Quella passata, quella presente. E la musica gaia e struggente di questa sera resta nelle mie orecchie. Mi fa immaginare le danze in uno shletl, le scuole talmudiche, la raffinata intellettualità, e la tenace resistenza della prima rivolta di Varsavia, quella del ghetto. Peccato che nel "museo della rivolta di Varsavia" c'è poca traccia di quel pezzo importante di storia, e dignità ribelle. Molto nazionalismo, culto dell'eroe e delle armi, ragazzotti e ragazzotte in divisa mimetica che girovagavano per le sale, un cacciabombardiere a dimensione naturale incastonato in una vecchia centrale elettrica a vapore. Ma anche immagini terribili, terrificanti della Varsavia di prima e quella dopo la guerra. Quella Varsavia che ho attraversato a piedi sotto una sottile pioggia gelata, troppo ben ricostruita per essere vera. Quella Varsavia che avrei voluto vedere decenni or sono, quando assieme ad altri irriducibili antimilitaristi e pacifisti (era il 1979) ci eravamo cimentati in una marcia attraverso l'Europa contro la NATO ed il Patto di Varsavia e venimmo bloccati a malo modo sulla linea del CheckPoint Charlie a Berlino, tirati da una parte e dall'altra dalla polizia militare statunitense e dai Vopos. E rispediti al mittente. Ecco, rientro nel mio albergo, pensando a tutto fuorché ai cambiamenti climatici, la ragione prima del mio viaggio qua in Polonia. Sento freddo: la guerra, l'odio, il razzismo sono lo sterco dell'umanità.
uno spazio pubblico per attivisti/e che lavorano per la pace, il disarmo, i diritti umani, la giustizia sociale, economica ed ecologica globale, la resistenza alle politiche neoliberiste, il riconoscimento del debito ecologico e sociale.
sabato 16 novembre 2013
Varsavia tra presente e passato
Il museo della cultura degli ebrei polacchi è molto bello. Ancora incompiuto, ma la struttura architettonica, la collocazione, il concetto, il percorso interattivo previsto fanno già immaginarlo. E la mostra temporanea in corso, sulla memoria e gli oggetti, è altrettanto bella. I Libri, il viaggio,l'emigrazione, l'errare, i segni di una presenza assente (come direbbe Bauman "artefatti contrabbandati nel corso del tempo") oggetti di famiglia con la loro narrativa, la madreterra, il nascondersi, l'arte. Stasera sono andato a sentire un concerto di musica yiddish, dal cabaret al tango, al klezmer dalla Varsavia alla Tel Aviv degli anni '30, un tuffo nel passato. Da pochi anni la comunità ebraica polacca sta cercando di recuperare la sua memoria, ricostruendo il suo passato. C'erano 3,3 milioni di ebrei in Polonia, la più grande comunità askenazita d'Europa. Un terzo degli abitanti di Varsavia erano ebrei, discendenti di mercanti spediti dal Visir di Spagna e lì poi insediati. Da allora sono stati vittima di vari pogrom, fino alla Shoah quando Il 90% degli ebrei polacchi è stato sterminato. Financo nel 1968 sono stati vittima di campagne antisemite. Qua a Varsavia non riesco a non pensare alla storia. Quella passata, quella presente. E la musica gaia e struggente di questa sera resta nelle mie orecchie. Mi fa immaginare le danze in uno shletl, le scuole talmudiche, la raffinata intellettualità, e la tenace resistenza della prima rivolta di Varsavia, quella del ghetto. Peccato che nel "museo della rivolta di Varsavia" c'è poca traccia di quel pezzo importante di storia, e dignità ribelle. Molto nazionalismo, culto dell'eroe e delle armi, ragazzotti e ragazzotte in divisa mimetica che girovagavano per le sale, un cacciabombardiere a dimensione naturale incastonato in una vecchia centrale elettrica a vapore. Ma anche immagini terribili, terrificanti della Varsavia di prima e quella dopo la guerra. Quella Varsavia che ho attraversato a piedi sotto una sottile pioggia gelata, troppo ben ricostruita per essere vera. Quella Varsavia che avrei voluto vedere decenni or sono, quando assieme ad altri irriducibili antimilitaristi e pacifisti (era il 1979) ci eravamo cimentati in una marcia attraverso l'Europa contro la NATO ed il Patto di Varsavia e venimmo bloccati a malo modo sulla linea del CheckPoint Charlie a Berlino, tirati da una parte e dall'altra dalla polizia militare statunitense e dai Vopos. E rispediti al mittente. Ecco, rientro nel mio albergo, pensando a tutto fuorché ai cambiamenti climatici, la ragione prima del mio viaggio qua in Polonia. Sento freddo: la guerra, l'odio, il razzismo sono lo sterco dell'umanità.
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