Negli ultimi giorni sono giunte dalla Libia notizie drammatiche di scontri armati a Bengasi e Tripoli, culminati con l'assalto, del Parlamento ieri , da parte di forze paramilitari alla presunta ricerca di parlamentari "islamici", accusati di essere conniventi con formazioni "terroristiche". Ultima di una serie ormai infinita di scosse telluriche che mostrano un paese fuori controllo, in mano a formazioni armate, milizie irredentiste, forze lealiste. Tra spinte autonomiste della Cirenaica, al controllo delle risorse petrolifere, alla mancanza di "stato", in un paese dove la rimozione "manu militari" di Gheddafi e del suo regime da parte della NATO ("Unified Protector") ha di fatto trasformato questo paese in uno stato "fallito". Uno scenario simile a quello iracheno dove la mancanza di "corpi intermedi" ha portato - una volta rimosso con le armi, ed in nome della lotta al terrorismo e della democrazia un regime autoritario - ad una progressiva balcanizzazione e spartizione del paese lungo faglie etnico-religiose. Fatti che devono interrogare la comunità internazionale e soprattutto i fautori e promotori della dottrina della "responsabilità di proteggere" o ingerenza umanitaria presa spesso e volentieri a fondamento di interventi armati al limite della legalità internazionale che dietro il pretesto de diritti umani, servono strumentalmente a interessi geopolitici o geostrategici. Il caso Libia oggi dimostra che in ambo i casi tale dottrina - nelle modalità con le quali è stata applicata finora - non serve né a riportare la democrazia, né a proteggere gli interessi geopolitici o geostrategici dei suoi fautori. Dopo l'Afghanistan un altro duro colpo alla credibilità della NATO come "fornitore di sicurezza" globale. Fuori il primo ministro Al Zeidan, dopo il "fattaccio" della petroliera nordcoreana - intervennero i Navy Seals per bloccare al largo una petroliera che stava trasportando petrolio venduto dai ribelli cirenaici, contravvenendo agli ordini del governo centrale. Ora emerge nella scena politica un militare, chissà forse ispirato dai proclami di fuoco del candidato alla presidenza dell'Egitto, il generale Al Sisi, che promette di sterminare i Fratelli Musulmani. Un paese nel caos. Mentre nulla si sa di quello che dovrebbe fare l'Italia dopo aver ricevuto mandato dall'ultimo G8 di coordinare una task force sulla Libia al fine di ricostruire lo stato di diritto e la "governance" addestrare soldati e poliziotti libici (si badi bene in questo che è stato definito un tentativo di golpe avrebbero partecipato anche forze regolari dell'esercito e della polizia), e suppostamente disarmare le milizie. Cosa ne è della MIL, Missione Italiana in Libia? Quale valutazione dà il governo italiano della situazione a parte un appello del Ministro Mogherini in sostegno alla transizione "democratica" nel paese?
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