E’ drammatica
la notizia del rapimento di tre ragazzi israeliani nei pressi di
Hebron. Si farebbe un torto però a non contestualizzare questo dramma
sopratutto facendo riferimento ad Hebron. Una città sotto occupazione
militare permanente, spezzata in due, una popolazione sotto scacco.
Hebron è la rappresentazione visuale, e viva dell’occupazione, di una
violazione permanente del diritto internazionale.
Nulla ciò toglie all’urgenza di invocare il rilascio di tre ragazzi. Ma proprio in questo contesto generale, viene da pensare. Un rapimento nei pressi di un paese, che si dice sia sede in una cellula di Hamas. Quella stessa Hamas che ha concluso con Fatah un accordo storico di riconciliazione che ha poi permesso a Abu Mazen di promuovere un governo tecnico di transizione verso nuove elezioni. Insomma il tentativo di ricostruire una sorta di unità nazionale premessa essenziale per la “viabilità” dello stato palestinese.
Decontestualizzare questi eventi, e ciò che sta succedendo oggi a Gaza ed in tutti i territori, l’attacco militare israeliano, le morti e gli arresti di massa, rischia di dare agio a chi vorrebbe raffigurare i palestinesi come terroristi, tutti indistintamente. E chi farebbe un patto con Hamas, come terrorista anche lui, da combattere e con il quale non negoziare. E’ la conseguenza logica della reazione di Nethanyahu all’accordo “storico” tra Fatah ed Hamas.
Un muro di gomma: Abu Mazen non è un interlocutore visto che non controlla tutta la Palestina. Poi quando fa l’accordo con Hamas, non è un interlocutore perché tratta con i terroristi, ergo, Abu Mazen è a capo di un’entità terrorista. Al di là di facili dietrologie o inutili teorie della cospirazione è questo il dato di fatto.
Nulla ciò toglie all’urgenza di invocare il rilascio di tre ragazzi. Ma proprio in questo contesto generale, viene da pensare. Un rapimento nei pressi di un paese, che si dice sia sede in una cellula di Hamas. Quella stessa Hamas che ha concluso con Fatah un accordo storico di riconciliazione che ha poi permesso a Abu Mazen di promuovere un governo tecnico di transizione verso nuove elezioni. Insomma il tentativo di ricostruire una sorta di unità nazionale premessa essenziale per la “viabilità” dello stato palestinese.
Decontestualizzare questi eventi, e ciò che sta succedendo oggi a Gaza ed in tutti i territori, l’attacco militare israeliano, le morti e gli arresti di massa, rischia di dare agio a chi vorrebbe raffigurare i palestinesi come terroristi, tutti indistintamente. E chi farebbe un patto con Hamas, come terrorista anche lui, da combattere e con il quale non negoziare. E’ la conseguenza logica della reazione di Nethanyahu all’accordo “storico” tra Fatah ed Hamas.
Un muro di gomma: Abu Mazen non è un interlocutore visto che non controlla tutta la Palestina. Poi quando fa l’accordo con Hamas, non è un interlocutore perché tratta con i terroristi, ergo, Abu Mazen è a capo di un’entità terrorista. Al di là di facili dietrologie o inutili teorie della cospirazione è questo il dato di fatto.
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