- Dopo il reportage su Vanity Fair, sul ragazzo dei centri sociali
che parte e va a combattere accanto ai kurdi a Kobane, arriva ora la
notizia di un altro ragazzo partito da Venezia per arruolarsi tra le
fila dell'ISIS e presumibilmente ucciso da un cecchino, una donna
kurda sempre a Kobane. A parte la barba alla mussulmana, una
bandoliera "camouflage", e l'immancabile kalashnikov pare
uno di noi. Magari ancora con i suoi vestiti magari anche "trendy"
portati sul campo di battaglia. Un ragazzo "italiano"
contro un'altro ragazzo "italiano". Lui è un "foreign
fighter", in gergo (la necessità di coniare volta per volta
termini per definire fattispecie non normate dal diritto
internazionale classico emerse già nell'uso del termine "irregular
combatant", in soldoni il pretesto per schiaffare a Guantanamo
anche poveri cristi presi a caso dalla CIA) Chi mi conosce sa che
una delle cose che più mi danno fastidio è il patriottismo, la
necessità ricorrente di definirsi in termini di nazionalità, il
dover specificare l'origine come stigma o segno di presunta
superiorità o differenza. Qua però ci troviamo di fronte a due
persone, che ad un certo punto chi da una parte chi dall'altra,
mollano tutto e partono per combattere per una causa che forse fino
a qualche mese prima pareva così distante dalla propria
quotidianità. Uno l'eroe l'altro il nemico. E mi viene da pensare
alla guerra civile spagnola, quando in tanti si arruolarono da una
parte o dall'altra per andare a combattere contro o accanto ai
falangisti. (sia chiaro io in quel caso sarei stato dalla parte
degli anarchici). Resta un punto, solo il caso ha voluto che i due
non si sparassero l'uno contro l'altro. E questo mi fa venire un
leggero brivido lungo la schiena.Come mi fa venire un brivido sulla
schiena leggere il decreto missioni ed antiterrorismo, nella parte
che autorizza i servizi segreti a sottoporre a "colloqui"
presunti "foreign fighters" trattenuti nelle carceri per
avere informazioni sull'ISIS. Zone d'ombra, che vanno chiarite,
visto il ritardo colpevole con il quale nel nostro paese si è
provveduto ad introdurre il reato di tortura. Lo stesso decreto che
riguarda in gran parte i "foreign fighters", li definisce
come coloro che direttamente o indirettamente sostengono o
combattono a fianco di organizzazioni definite terroristiche. Un
cavillo che accomunerebbe l'ISIS al PKK, per intenderci, nonostante
di recente il Senato italiano avesse approvato una risoluzione per
chiedere la rimozione del PKK dalla lista di organizzazioi definite
terroristiche. Ci sono altri punti preoccupanti in quel decreto,
oltre alle missioni, ad esempio riguardo all'uso di strumenti
informatici o telematici. L'uso del termine terrorista o "foreign
fighter" rischia cioè di innescare un ricorso allo stato di
eccezione in aspetti assai importanti che vanno dal diritto alla
privacy, alla libertà di espressione, alla tutela da trattamenti
disumani e degradanti. Se così fosse avranno vinto "loro".
uno spazio pubblico per attivisti/e che lavorano per la pace, il disarmo, i diritti umani, la giustizia sociale, economica ed ecologica globale, la resistenza alle politiche neoliberiste, il riconoscimento del debito ecologico e sociale.
sabato 21 febbraio 2015
Uno contro l'altro armati, a difesa di Kobane, a fianco dell'ISIS.
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