venerdì 10 luglio 2009

Dal G8 al G20 senza le Nazioni Unite

Da tempo ormai il G8 è considerato obsoleto, inadatto e non legittimato
a formulare proposte e soluzioni a emergenze globali, spesso causate dalle
stesse scelte di politica ambientale, economica, industriale e commerciale dei
paesi che ne fanno parte. Ciononostante, piuttosto che un rilancio di ambiti
politici democratici, trasparenti e multilaterali, che siano adatti al nuovo
assetto multipolare della governance globale , l’agenda politica del G8 italiano
rischia di assestare un nuovo duro colpo al multilateralismo. Qualche mese fa si
parlò a lungo, sulla scia delle crisi economico-finanziarie, della riforma del G8 e
delle altre istituzioni finanziarie. Si pensava che il tracollo del modello economico
e finanziario globale potesse portare a soluzioni innovative, anche a seguito della
decisione del Presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Miguel
D’Escoto, di convocare un vertice ONU sulla finanza globale come punto
di ricaduta del lavoro di una task force convocata dallo stesso
d’Escoto, al cui capo venne messo il premio Nobel per l’economia
Joseph Stiglitz. Già da allora si aprì un contenzioso durissimo con i
paesi del G20 e del G8 che poche ore dopo la notizia della nomina di
Stiglitz , annunciarono la data e del luogo dove si sarebbe tenuto il
primo G8 straordinario sulla crisi finanziaria, estendendo l’invito
ad altri Paesi ad economia emergente e riconfigurandosi così come G20.
Vale la pena di ricordare che in termini “istituzionali” la Conferenza
di Bretton Woods (nella quale vennero istituiti Fondo Monetario
Internazionale e Banca Mondiale) avvenne nell’ambito del processo di
fondazione delle Nazioni Unite e quindi a questo doveva
necessariamente far riferimento. Anche se poi si decise che Banca
Mondiale e Fondo Monetario non sarebbero state considerate Agenzie
specializzate ONU, ma piuttosto collegate al sistema ONU attraverso
accordi specifici. Obiettivo principale era quello di preservare il modello
decisionale antidemocratico tuttora vigente in Banca Mondiale e Fondo
Monetario del “un dollaro un voto” (nel quale i paesi del G8 detengono
la maggioranza dei voti) rispetto a quello dell’ONU de “una
testa un voto”.. Questo braccio di ferro tra G8/G20 e
ONU ha avuto il suo culmine a giugno in occasione della Conferenza ONU
sulla finanza globale, di fatto osteggiata fino all’ultimo dai paesi
del g20 e quindi ridimensionata notevolmente nella sua portata. Sulla
scorta di questi processi politici, quello sul clima e quello sulla
crisi economico-finanziaria, si potrà desumere che il vertice de
l’Aquila se poco o nulla avrà da proporre in termini di impegni
finanziari, rischia di essere occasione per consolidare ulteriormente
nuove tendenze di fondo nei meccanismi di governo globale. Quale
la pratica del “multilateralismo à la carte” o multilateralismo selectivo.
Altro che riforma del G8, o allargamento di quel consenso, già di per sé
screditato, e poco legittimato a decidere per il resto dell’umanità.
Basta leggere tra le righe delle dichiarazioni fatte già qualche mese
or sono da Silvio Berlusconi per capire che il G8 non si toccherà
nella sua sostanza. Sotto la presidenza italiana il G8 è stato
allargato ad altri Paesi, ma non in quanto ripensamento della formula
del G8. Gruppi di Paesi sono stati invitati o convocati a seconda del
tema o dell’urgenza del caso, che siano essi i cosiddetti Outreach 5
(O5), o i MEM (Paesi corresponsabili per le emissioni di gas serra), o
i Paesi meno sviluppati (LDC) o i paesi africani dell’Africa
Partnership Forum. Il G8 de l’Aquila rischia così di consolidare una
conformazione di governance a geometria variabile, nella quale le
Nazioni Unite sarebbero solo “uno inter pares” e non il quadro di
riferimento normativo e politico per una “nuova governance economica e politica
globale”

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