La strage di Parigi impone uno scenario che ci chiama, in quanto pacifisti, ad un grande sforzo di collaborazione e
proposta collettiva, ed uno sguardo alle dinamiche politiche e geopolitiche può
aiutare a definire le direttrici per un rilancio delle iniziative contro la
guerra ed il terrorismo di DAESH (o ISIS). Poche ore prima delle stragi di Parigi, a Vienna nell’incontro sulla Siria tra il segretario di stato Kerry
ed il suo omologo russo Lavrov si è
concordata una possibile uscita di scena di Assad – l’elemento che impediva
fino ad allora un cambio di passo – assieme all’opera di mediazione dell’ ONU verso i soggetti e le fazioni in lotta tra di loro,
ed un lavoro di ricognizione degli attori in conflitto per identificare
possibili interlocutori e “nemici” da “gestire” con la forza. Presto per
cantare vittoria vista la complessità delle ambizioni geopolitiche anche
contraddittorie, tra Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita. Si è formata poi un’inedita alleanza militare tra
Russia e Francia in una situazione di balcanizzazione
dei conflitti tra varie fazioni islamiste, foraggiate più o meno da interessi
esterni, la resistenza anti-DAESH e legittime
rivendicazioni di autonomia democratica da parte dei Kurdi del Rojava
osteggiata dalla Turchia che vorrebbe “blindare” il suo confine sud. Eppoi la svolta nelle relazioni tra Obama e
Putin (già attivo militarmente a fianco di Assad ed ancor di più dopo il tremendo attentato
all’aereo di linea in Sinai) al minimo storico a causa della crisi ucraina. La
strage di Parigi porta ad un’accelerazione di scelte di tipo militare che
rischiano di incrinare sul campo il già labile equilibrio raggiunto a Vienna. E
poco si è sentito sull’urgenza di impegnarsi di più per ricucire le lacerazioni
tra mondo sunnita e sciita in Irak, altro brodo di coltura per DAESH. Il G20 di
Antalya tenutosi pochi giorni dopo i fatti di Parigi ha prodotto accanto al
tradizionale comunicato su scenari economico-finanziari, la collaborazione nel settore bancario, e la gestione dei flussi migratori, un
comunicato contro il terrorismo, [1]
Su questo sfondo nostro compito potrebbe essere quello di elaborare e condividere
proposte di gestione “altra” del conflitto attraverso strumenti di diplomazia
dal basso, creando ponti con le vittime
prime del conflitto, escluse dai giochi della politica e della geopolitica,
quelle popolazioni civili e le reti sociali che in Siria [2]o
Irak [3]
lavorano per la pace. La questione
migranti è un altro fronte che implica il monitoraggio delle politiche di
gestione delle frontiere [4] - intenzione di Hollande è di chiedere che le
frontiere europee di fatto vengano sigillate - e
prevenire, attraverso la costruzione di relazioni e ponti con il mondo
di religione musulmana e le seconde generazioni, una possibile deriva xenofoba
ed anti-musulmana. E l’Italia nel quadro possibile di operazioni
militari? Ad oggi, la cautela di Renzi, fa
il pari con la decisione di prolungare la missione in Afghanistan e rafforzare la presenza di addestratori per i
peshmerga irakeni. L’Europa potrebbe rappresentare
una svolta non proprio in senso positivo. Il Presidente Hollande ha infatti chiesto
ed ottenuto l’applicazione di una clausola di comune difesa che impegna gli
stati membri a fornire collaborazione di vario tipo su base bilaterale. Già si parla di un possibile avvicendamento di
contingenti tedeschi a sostituire quelli francesi che attualmente combattono in
Mali. Il Presidente del Consiglio non nasconde le sue intenzioni di giocare un
ruolo di primo piano nella crisi libica – tuttora irrisolta, vista l’esito
della mediazione ONU - anch’essa in parte inquadrabile nella lotta al DAESH. La
UE prenderà anche decisioni riguardo la tracciabilità
dei conti bancari, ed il controllo su circolazione di armi nell’Unione, ma non
basta. Dovremo chiedere un embargo sulla vendita di armi ai paesi della
regione, ed aggredire le fonti di finanziamento derivanti dai profitti del
contrabbando di petrolio in Turchia e paesi limitrofi. Paesi che dovrebbero
invece essere centrali per un negoziato a tutto campo che veda anche partecipi
Unione Europea, Francia Inghilterra, Russia, Cina e Stati Uniti. Dovremo poi vigilare
sullo stato di diritto e sulle torsioni che lo stesso rischia a seguito delle
misure contro il terrorismo che di fatto introducono uno stato di
“eccezione” Ciò riguarda non solo il
discorso di Hollande subito dopo gli attentati nei quali invoca una riforma
della Costituzione per permettere l’estensione dello stato di emergenza e
poteri speciali[5] ma anche
- a casa nostra - le ricadute possibili di scelte quali quella di dotare le
forze speciali di poteri simili a quelli dei 007 [6]quindi
agire in operazioni “undercover” che riportano
alla memoria le “rendition” del post-11 settembre. Vigilare quindi sulla tutela dei diritti
civili ed il rispetto dei diritti umani per tutti [7]Insomma
uno scenario nel quale le sfide sono plurali, ma che potrebbe fornire
l’occasione per un lavoro di mobilitazione dal “basso”, e di creazione di reti
e condivisione tra realtà e soggetti non tradizionalmente legati all’arcipelago
“pacifista” propriamente detto. Per
permetterlo sarà necessario un grande sforzo di fantasia e condivisione, di
costruzione di strumenti di lavoro collettivi, di messa in comune di conoscenze
e competenze, e di pratiche di “autogestione” decentrata delle mobilitazioni.
(contributo per il settimanale online dell'ARCI-Report)
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