mercoledì 18 novembre 2015

Contro la guerra ed il terrorismo: le nuove sfide per il rilancio del movimento pacifista



La strage di  Parigi  impone uno scenario  che ci chiama, in quanto pacifisti,  ad un grande sforzo di collaborazione e proposta collettiva, ed uno sguardo alle dinamiche politiche e geopolitiche può aiutare a definire le direttrici per un rilancio delle iniziative contro la guerra ed il terrorismo di DAESH (o ISIS). Poche ore prima delle  stragi di Parigi, a Vienna  nell’incontro  sulla Siria tra il segretario di stato Kerry ed il suo omologo russo Lavrov  si è concordata una possibile uscita di scena di Assad – l’elemento che impediva fino ad allora un cambio di passo – assieme all’opera di  mediazione dell’ ONU verso  i soggetti e le fazioni in lotta tra di loro, ed un lavoro di ricognizione degli attori in conflitto per identificare possibili interlocutori e “nemici” da “gestire” con la forza. Presto per cantare vittoria vista la complessità delle ambizioni geopolitiche anche contraddittorie, tra Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita. Si è   formata poi un’inedita alleanza militare tra Russia e Francia  in una situazione di balcanizzazione dei conflitti tra varie fazioni islamiste, foraggiate più o meno da interessi esterni, la resistenza anti-DAESH e  legittime rivendicazioni di autonomia democratica da parte dei Kurdi del Rojava osteggiata dalla Turchia che vorrebbe “blindare” il suo confine sud.  Eppoi la svolta nelle relazioni tra Obama e Putin (già attivo militarmente a fianco di Assad ed  ancor di più dopo il tremendo attentato all’aereo di linea in Sinai) al minimo storico a causa della crisi ucraina. La strage di Parigi porta ad  un’accelerazione di scelte di tipo militare che rischiano di incrinare sul campo il già labile equilibrio raggiunto a Vienna. E poco si è sentito sull’urgenza di impegnarsi di più per ricucire le lacerazioni tra mondo sunnita e sciita in Irak, altro brodo di coltura per DAESH. Il G20 di Antalya tenutosi pochi giorni dopo i fatti di Parigi ha prodotto accanto al tradizionale comunicato su scenari economico-finanziari,  la collaborazione nel settore bancario, e  la gestione dei flussi migratori, un comunicato contro il terrorismo, [1] Su questo sfondo nostro compito potrebbe essere quello di elaborare e condividere proposte di gestione “altra” del conflitto attraverso strumenti di diplomazia dal basso,   creando ponti con le vittime prime del conflitto, escluse dai giochi della politica e della geopolitica, quelle popolazioni civili e le reti sociali che in Siria [2]o Irak [3]  lavorano per la pace. La questione migranti è un altro fronte che implica il monitoraggio delle politiche di gestione delle frontiere [4]  - intenzione di Hollande è di chiedere che le frontiere europee di fatto vengano sigillate -  e  prevenire, attraverso la costruzione di relazioni e ponti con il mondo di religione musulmana e le seconde generazioni, una possibile deriva xenofoba ed  anti-musulmana.  E l’Italia nel quadro possibile di operazioni militari? Ad oggi, la  cautela di Renzi, fa il pari con la decisione di prolungare la missione in Afghanistan e   rafforzare la presenza di addestratori per i peshmerga irakeni. L’Europa   potrebbe   rappresentare una svolta non proprio in senso positivo. Il Presidente Hollande ha infatti chiesto ed ottenuto l’applicazione di una clausola di comune difesa che impegna gli stati membri a fornire collaborazione di vario tipo su base bilaterale.  Già si parla di un possibile avvicendamento di contingenti tedeschi a sostituire quelli francesi che attualmente combattono in Mali. Il Presidente del Consiglio non nasconde le sue intenzioni di giocare un ruolo di primo piano nella crisi libica – tuttora irrisolta, vista l’esito della mediazione ONU - anch’essa in parte inquadrabile nella lotta al DAESH. La UE prenderà  anche decisioni riguardo la tracciabilità dei conti bancari, ed il controllo su circolazione di armi nell’Unione, ma non basta. Dovremo chiedere un embargo sulla vendita di armi ai paesi della regione, ed aggredire le fonti di finanziamento derivanti dai profitti del contrabbando di petrolio in Turchia e paesi limitrofi. Paesi che dovrebbero invece essere centrali per un negoziato a tutto campo che veda anche partecipi Unione Europea, Francia Inghilterra, Russia, Cina e Stati Uniti. Dovremo poi vigilare sullo stato di diritto e sulle torsioni che lo stesso rischia a seguito delle misure contro il terrorismo che di fatto introducono uno stato di “eccezione”  Ciò riguarda non solo il discorso di Hollande subito dopo gli attentati nei quali invoca una riforma della Costituzione per permettere l’estensione dello stato di emergenza e poteri speciali[5] ma anche - a casa nostra - le ricadute possibili di scelte quali quella di dotare le forze speciali di poteri simili a quelli dei 007 [6]quindi  agire in operazioni “undercover” che riportano alla memoria le “rendition” del post-11 settembre.  Vigilare quindi sulla tutela dei diritti civili ed il rispetto dei diritti umani per tutti [7]Insomma uno scenario nel quale le sfide sono plurali, ma che potrebbe fornire l’occasione per un lavoro di mobilitazione dal “basso”, e di creazione di reti e condivisione tra realtà e soggetti non tradizionalmente legati all’arcipelago “pacifista” propriamente detto.  Per permetterlo sarà necessario un grande sforzo di fantasia e condivisione, di costruzione di strumenti di lavoro collettivi, di messa in comune di conoscenze e competenze, e di pratiche di “autogestione” decentrata delle mobilitazioni.

(contributo per il settimanale online dell'ARCI-Report) 

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