martedì 26 febbraio 2013

Lo Zen e l'arte della Polis

E' possibile, anzi altamente probabile che io sia un inguaribile ottimista, altrimenti starei a fare altro nella mia vita. E anche, può darsi profondamente ancorato ad una visione Zen e nonviolenta, che oggi mi interroga e mi porta a sentire che quella che tanti chiamano debolezza può essere in effetti forza. Però, secondo me questa fase politica va letta con altri occhiali, rimettiamo negli astucci le lenti bifocali, e proviamo a sforzarci e mettere a fuoco, sapendo che stiamo vivendo in una fase liquida, un interregno, dove non esistono più certezze né valgono vecchi parametri di giudizio. Stante la crisi, di tutto, della politica, della finanza, dei movimenti, dello spazio pubblico, e la sofferenza delle persone, quella si non teorica ma in carne ed ossa, cosa conta davvero più che rassicurare "il mercato", già perché quello mica è in crisi? Fare di necessità virtù, forse, esplorare nuovi modelli di "governo", farsi traino di questa legittima istanza di cambiamento che ormai neanche più ci interroga, ma è lì come una presenza costante a richiamarci ad atti e impegni non più rinviabili. Come ad esempio, ricostruire lo spazio pubblico, rifondare la politica "istituzionale", scegliere il reddito di cittadinanza piuttosto che inchinarsi ai signori della BCE, scegliere le rinnovabili piuttosto che trivellare i fondali del Mediterraneo, il ritiro delle truppe dall'Afghanistan piuttosto che la guerra. Allora se si trovano convergenze su questo con il M5S, forse quella che secondo i parametri "classici" della politica è una bruciante sconfitta, può davvero essere il prodromo di una novità importante. E credo che SEL abbia la capacità e possa sperimentare la possibilità di contribuire a questa spinta in avanti. Diciamo di farsi "mediatore evanescente" per dirla con Balibar. Giacché qua ormai non contano i numeri, semmai in politica quello possa essere l'unico parametro di valutazione (già sento i politici navigati pensare che sia uno sprovveduto, chi urla alle dimissioni, chi invoca Congressi straordinari, chi dice che ormai tutto è finito, chi si accapiglia sul detto e il non detto) - però  a guardarli quei numeri, beh i nostri "piccoli numeri" fanno la differenza. Allora conterà  la capacità di creare rete, di tessere relazioni fondate sull'autorevolezza e la solidità delle proposte. E su un linguaggio diverso, una voglia di riaprire partite. Sarò forse un inguaribile ottimista, ma così la vedo.

martedì 19 febbraio 2013

Ecuador, rivoluzione e modello di sviluppo


Conosco bene l'Ecuador, è la mia seconda patria, conosco bene le dinamiche politiche, ho conosciuto personalmente Correa, ho accompagnato fin dall'inizio la Revolucion Ciudadana, ero anche al suo discorso di insediamento la prima volta, sono molto amico e legato culturalmente ad Alberto Acosta. Credo che sia molto difficile per noi poter avere una lettura definitiva dei processi incorso in America Latina. Quello che posso dire è che vanno letti con la filigrana di quella contraddizione tra debito sociale e debito ecologico in primis. Da una parte sono processi "rivoluzionari" nel senso di aver rotto con un ordine o disordine pre-esistente, fatto di oligarchie ed esclusione sociale, e dipendenza dal Washington Consensus. Sono processi che hanno restituito dignità a chi era escluso - basta parlare con un contadino el Chimborazo o farsi un giro nelle regioni della costa, o anche al sur di Quito per capire come gli anni di presidenza di Correa hanno restituito quel che appartiene a tutti. Una revolucion quindi , che però per molti non ha ancora scalfito il paradigma economico di fondo, seppur oggi viene rivendicato e con legittimità il diritto sovrano di un paese di poter scegliere la propria via allo sviluppo. Però è poco chiaro come ad esempio lo sganciamento - finalmente - da Washington e dal capestro del debito illegittimo, non significhi agganciamento ad altre forme di indebitamento verso la Cina attraverso la vendita anticipata di petrolio per risorse economiche da destinare appunto alle infrastrutture, ed allo sviluppo sociale. Per questo credo che senz'altro la rielezione di Correa è una notizia importante, giacché significa che l'Ecuador non potrà più tornare indietro, ma apre anche una fase delicata, nella quale per rafforzare la revolucion si dovrà andare più a fondo nel cambiamento di paradigma, e considerare che in una democrazia reale, radicale, i movimenti sociali "non allineati" possono svolgere un ruolo chiave, di stimolo ed arricchimento. Giacché non va dimenticato che anche grazie a loro è stato possibile questo processo di cambiamento, che è fortemente incardinato nella Costituzione di Montecristi.

lunedì 4 febbraio 2013

Democratizzare il Consiglio di Sicurezza

La settimana scorsa in un articolo di analisi delle proposte di politica estera contenute nei programmi elettorali dei partiti per le prossime elezioni pubblicato da un autorevole centro di studi certamente non sospettabile di simpatie verso la sinistra, si sottolineava come tra tutti i programmi l'unico che facesse riferimento concreto ed esplicito alla riforma delle Nazioni Unite - a parte un generico riferimento al tema nell'agenda Monti - fosse il programma di SEL. Oggi a Roma si tiene un importante incontro di decine di rappresentanti di paesi che aderiscono alla proposta italiana di "democratizzazione" del Consiglio di Sicurezza. Probabilmente passerà inosservato ai più. Non per noi che pensiamo che anche attraverso un maggior protagonismo delle organizzazioni regionali, dell'Africa in primis, e non solo delle nuove superpotenze, si possa rendere il sistema ONU più rappresentativo. Certamente la riforma delle Nazioni Unite, tanto invocata, quasi come un mantra da anni ed anni non si esaurisce lì, ma è un passo importante.

venerdì 1 febbraio 2013

Un paradigma differente di politica estera


La nostra “vision” di politica internazionale è fondata su tre pilastri: opzione nonviolenta, pace e disarmo , cooperazione, e Stati Uniti d'Europa. Questi punti sono intimamente connessi l'uno con l'altro, e si intrecciano indissolubilmente, Non potrà essere un'opzione nonviolenta senza un rafforzamento delle attività di prevenzione e gestione diplomatica dei conflitti, senza il sostegno a corpi civili di pace, di diplomazia dal basso, senza politiche di cooperazione che affrontino le cause che sono alla radice dei conflitti stessi. Non potrà esserci cooperazione senza un rafforzamento delle risorse finanziarie che possono venire anche da un “dividendo di pace”, rilasciato dalla riduzione delle spese militari, e degli armamenti di ultima generazione in primis, Non potrà esserci una politica di pace e cooperazione senza un'Europa politica, senza gli Stati Uniti d'Europa.