sabato 30 marzo 2013

Per un nuovo protagonismo civico



Allora, con una mossa senza precedenti, il Presidente della Repubblica decide di diluire le tensioni in un processo di elaborazione affidato a due commissioni di saggi e personalità. Pare una sorta di camera di compensazione e di mediazione delle varie posizioni. Orbene, se il tema è quello delle divergenze sul governo e su chi debba governare, allora Napolitano è riuscito senz'altro a rinviare la decisione a babbomorto. Tiene in piedi un "vettore" di iniziativa programmatica e legislativa (il governo Monti in "prorogatio" come chiedeva Grillo), incunea tra Parlamento e Governo un "direttorio" che medierà, elaborerà e proporrà iniziative che il governo Monti potrà presentare in Parlamento. Dove la mediazione extraparlamentare sviluppata nelle due commissioni dovrebbe rendere il passaggio parlamentare una semplice formalità. Così facendo Napolitano sgancia il negoziato sul nuovo governo da quello per il Quirinale, che ora può continuare nel quadro di un governo in "prorogatio". Viene meno il rapporto diretto tra parlamento e governo che invece sarà mediato altrove. Aspettiamo di sapere i nomi delle "personalità", ma resta il fatto che tale mediazione rischia di tracciare e predeterminare le sorti ed il programma del governo futuro, che nei fatti finirebbe per essere un governo di larghe intese. Chi ci sarà in queste commissioni? Che trasparenza nei loro lavori? Chi coinvolgeranno? Chi potrà e come interloquire? Perché se viene messo così nel freezer il tema della formazione del prossimo governo, resta forte l'urgenza di un cambiamento radicale di paradigma, di una vera inversione di rotta nelle politiche di austerità e di rilancio di programmi sociali e per la piena e buona occupazione. Invece di soluzione tecnocratiche, si dovrebbe aprire il processo alla società, ai cittadini, a questo punto, senza mediazioni autodeterminate o rappresentanze auto-elette. Se c'è da rifondare il paese, se questo vuole essere un prodromo di una nuova fase "costituente", allora che la Politica diffusa, la sinistra diffusa e sociale dicano la loro, facciano la loro parte. Per questo credo che oggi più che mai sia importante la proposta fatta oggi da Giulio Marcon sulle pagine del Manifesto. Cento piazze, cento iniziative, cento assemble per un'altraItalia. Quello che Grillo ed altri dimenticano, quando si riferiscono al caso del Belgio oltre al fatto che quello è un sistema federale, è che - come ci ha spiegato qualche giorno fa Barbara Spinelli - quell'assenza di governo "politico" è stata sostituita da un governo "reale" delle persone e dei cittadini, che hanno convocato e costruito assemblee civiche partecipative. Senza Grilli che pretendessero di rappresentarli.

martedì 26 marzo 2013

L'esprit de Tunis




Il Forum Sociale Mondiale in corso a Tunisi fornisce l' occasione per una serie di considerazioni e riflessioni sulla politica, le pratiche di movimento, le sfide globali. A maggior ragione oggi, con il mondo arabo in permanente sommovimento, attraversato da scosse telluriche che non accennano a diminuire. Fa fede lo stato di mobilitazione permanente che si osserva in Egitto, la crescente preoccupazione dei movimenti sociali e sindacali per il destino politico ed economico della Tunisia, la guerra in Siria, la crisi politica apertasi recentissimamente in Libano. Per contro il dramma sociale in Grecia, e non solo, si allarga a macchia d'olio a Cipro, apre una faglia che attraversa il Mediterraneo, offre spazi inediti di alleanze e piattaforme comuni. Quel Mediterraneo diventato tomba per migliaia di migranti e che può essere invece spazio di quella che Claus Leggewie chiama "cittadinanza transnazionale". 

Oggi il FSM, stretto com'è tra ipotesi di rilancio, riconfigurazione, rielaborazione, è di fronte ad un bivio. Dopo le sue tappe propedeutiche nel Brasile ormai superpotenza, in Africa (Kenia, Mali e poi Senegal), Asia (India) il Forum entra nella viva carne di quel sud del Mediterraneo, che ha dimostrato la forza e la determinazione di popoli interi e delle loro rivendicazioni di dignità. E che parla ad un'Europa complice e colpevole di quello che gli analisti a suo tempo definirono una "sindrome da stress postcoloniale", ovvero l'incapacità di uscire da schemi mentali propri di un vecchio impero, nei quali esistono popoli dominanti e popoli subalterni. E che oggi è in crisi di legittimità e visione futura. 

Oggi, l'FSM, o meglio le realtà, i soggetti sociali, le pratiche, le elaborazioni che si incontrano a Tunisi, costruiscono uno spazio pubblico, stanno lì a ricordare che la politica, se vuole essere al passo con i tempi, se vuole guardare oltre, dovrà “decolonizzarsi”, ovvero indagare a fondo il tema del potere, e del suo esercizio. Oltre che al modello di sviluppo. Potere ormai non più nelle mani esclusive degli stati, ma anche e sopratutto di istituzioni quali la BCE, o l'FMI che sfuggono a “checks and balances” democratici, intrappolato in obiettivi macroeconomici che sempre più marginalizzano la ragion d'essere della politica pubblica, ovvero il perseguimento del bene comune. 

Un altro punto va tenuto fermo per capire cosa sia Tunisi, ovvero la certezza che questo non debba essere un appuntamento nel quale fare una sorta di radiografia dello stato di salute del movimento, con parametri che sembrano ormai destinati alla storia. E che sbaglieremmo ad applicare in maniera autistica, giacché non aiutano a riscoprire potenzialità e forza di innovazione. Anzitutto l'FSM è un processo, uno spazio comune largo nel quale chi ci si riconosce elabora proprie piattaforme, persegue proprie campagne, crea proprie alleanze. Traiettorie che attraversano le varie scadenze, tra cui quella di questa settimana, e che si intrecciano con altri processi, basti pensare al controvertice sui BRICS quasi parallelo al FSM o all'importante appuntamento dell'AlterSummit di Atene, ai primi di giugno. 
Allora proprio per provare a decolonizzare il nostro sguardo, dovremo “contestualizzare” questo FSM nel quadro di processi più ampi, policentrici e fluidi, senza l'angustia di dover ogni volta formulare valutazioni di giudizio, ma al contrario entrare in un ottica secondo la quale i risultati del Forum saranno “dinamici” e definiti nel corso del tempo. 

C'è un punto chiave sul quale l'FSM ci interroga, e che concerne l'urgenza di costruire modalità “altre” nel rapporto tra politica istituzionale e soggetti sociali e di movimento,  che vada oltre la semplice pretesa di rappresentanza, o la deleteria cooptazione. Anche in questo caso, si tratta di ricomporre e ricostruire la relazione tra “potenza” e “potere”, che il movimento Occupy, o Piazza Tahrir hanno tentato di articolare e praticare. La“potenza” dei cittadini che si fa soggetto costituente, che rivendica il proprio protagonismo civico, ed il “potere” che si arrocca, si rielabora, si sposta da un confine all'altro. 

Quello che dovremmo apprendere dallo spirito di Tunisi (potremmo chiamarlo “esprit de Tunis”, proprio dapprima della rivolta e poi dell'evento del FSM) è la ridefinizione delle categorie, delle pratiche della politica intesa come perseguimento del bene comune. Allora ogni nostra azione dovrà essere intesa a circoscrivere la sfera del potere, ed allargare invece quela della “potenza” della facoltà costituente e costitutiva dei cittidani e delle cittadine. Piuttosto che semplicemente mettersi al servizio della cosiddetta società civile, bypassando un'impellente e non più rinviabile necessità di trasformazione radicale, la politica istituzionale - inclusa quella dei partiti - dovrà prendere atto del fatto di essere solo un tassello all'interno di processi più ampi di trasformazione sociale, economica, politica e culturale, che non si esauriscono o compiono nell'ipotetica conquista della stanza dei bottoni. E che piuttosto traggono linfa vitale da una società attiva, critica e capace di futuro. 

Cogliere queste sfumature, questi elementi innovativi, queste tracce di percorso è di per sé un atto di liberazione. Come dice H. Dabashi in un importante saggio sulle Primavere Arabe e la fine del postcolonialismo, “La trasformazione della consapevolezza, e non attraverso il dogma o la violenza, è il momento inaugurale della scoperta di altri mondi, non volendo cià che non esiste, ma osservando ciò che si sta materializzando”.

giovedì 21 marzo 2013

Note sparse sulla sinistra nell'era della crisi


Sulla Sinistra, l’Ecologia e la Libertà
note sparse sulla sinistra nell'era della crisi


Elettra Deiana e Francesco Martone


I risultati delle ultime elezioni politiche, l’ascesa ogni oltre aspettativa del Movimento 5 Stelle, la capacità aggregatrice della retorica grillina, che rompe schemi, riferimenti, semantiche tradizionali, sono l’espressione di un ormai conclamato sganciamento del “paese reale”, inteso soprattutto come esistenza e vita delle persone, dalla politica dei partiti e dal ruolo che essi esercitano nelle istituzioni. Ma da questo contesto emerge anche la crisi di quelli che in passato si chiamavano movimenti della società civile e che oggi appaiono incapaci di dar voce e rappresentazione alle nuove dinamiche della società. Crescente liquefazione della società.

Tutto questo obbliga ad un profondo ripensamento chi si riconosca ancora nell’intuizione che ha dato origine al progetto di SEL, dovendo essere chiaro come tale intuizione originaria si sia man mano depotenziata o spersa per altri rivoli. Ciò non significa negare le potenzialità del progetto originario né operare una messa in mora “a freddo” dello stesso, bensì aprire finalmente una discussione “contemporanea” – con Agamben “è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso” - sulla forma partito, le pratiche, e gli strumenti dell’agire politico e soprattutto le strade per ritrovare i collegamenti con la realtà profonda del Paese. In particolare urge ritrovare il nesso – inscindibile - tra politica e comunicazione, inteso, questo nesso, non come “politainment”, bensì come “comunic-azione” ossia trasmissione e socializzazione di messaggi, ipotesi, analisi e proposte di trasformazione sociale, che favoriscano pratiche nelle quali chi si riconosce nel progetto non sia fruitore passivo bensì soggetto politico attivo del cambiamento. Tutto questo va sperimentato facendo i conti seriamente con la realtà della rete e il suo essere realtà sociale in azione ma anche con le teorie e teorizzazioni di partecipazione democratica e costruzione di sfera pubblica alternativa che da là originerebbero. Non basta una connessione a Internet per partecipare alla vita pubblica oltre l’attivazione di uno sguardo critico, soprattutto ai livelli delle decisioni che contano. Il flusso di parole messaggi appelli critiche pasquinate maledizioni compiacimenti rischia di rimanere tale sine die, reiterandosi ininterrottamente, mentre le scelte che cambiano in bene o in male le vite delle persone avvengono altrove, in luoghi che continuano a operare secondo una ferrea logica centralizzante. La vicenda del M5S parla chiaro: la rete, le piazze, le istituzioni.

La natura di tutto quello che avviene nella rete che cos’è? Una nuova forma democratica? La democrazia in forma diretta? Ne dubitiamo. Da questo punto di vista, essendo convinti che occorra collegare con coraggio le riflessioni sulla necessaria innovazione a tutti i livelli, misurandoci in chiave contemporanea con aspetti diversi, compresi molti lasciti del passato non liquidabili come obsoleti – un approccio di questo tipo ci sembra doveroso in una discussione così importante come quella della partecipazione democratica e delle forme della democrazia -  segnaliamo l’urgenza di una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. A noi sembra che questo articolo contenga assai forte la vocazione a rispondere proprio ai problemi del presente in tema di forme della politica perché, al contrario di quanto succede ormai da tempo in un sistema di potere che non a caso è stato denominato della “partitocrazia”, con chiarezza evidenzia, quell’articolo in Costituzione, come i partiti siano “strumento” nelle mani dei cittadini per concorrere “con metodo democratico alla politica nazionale” e non sovrani o detentori a sé del monopolio della cosa pubblica e della gestione del potere e dei poteri. Va pensata complessivamente una attualizzazione delle forme, dei ruoli, dei modi in cui il concorso dei cittadini/cittadine previsto in Costituzione si renda oggi possibile (nella direzione ad esempio ben delineata da Salvatore Settis nel suo recente scritto, “Azione popolare”) , oltre gli stessi partiti, attraverso le spinte al cambiamento, l’accesso alla rete, l’attivismo mediatico, le strade nuove che favoriscono una nuova consapevolezza dei problemi del mondo. Il nuovo contesto infatti spinge nuovi soggetti, singolari e plurali, a diventare inediti attori politici, in grado di liberare le proprie capacità critiche e con queste provare a influenzare il corso degli eventi.

Questo è il lato che il Movimento Cinque Stelle ha potentemente intercettato e con cui la politica dei partiti, sorda fino ad oggi, deve fare massimamente i conti se vuole uscire dal suo stato catatonico e riprendere a un contatto autentico con la realtà.

Di questo parla la mossa vincente di Pierluigi Bersani nel proporre due outsider di prestigio – Laura Boldrini e Piero Grasso - alle cariche di presidente di Camera e Senato. Sono stati messi da parte schemi tradizionali e tutele acquisite dell’establishment del partito, costruendo una semantica diversa, incarnata – storie, facce, parole, modi di essere e di porsi – di un altro possibile modo di costruire ponti con la società. Al di là di tutte le difficoltà connesse ai risultati delle elezioni di febbraio e alla conferma della crisi che affanna le forze del centrosinistra, si tratta di un passo da cui, proprio per queste ragioni, non si dovrebbe tornare indietro, dal quale anzi si dovrebbe procedere.

Un secondo punto su cui vogliamo attirare l’attenzione riguarda proprio la sfida della democrazia diretta e del recupero di strumenti di partecipazione attiva dei cittadini nella formazione delle leggi e del concorso alla vita pubblica. Non a caso il momento  più alto delle mobilitazioni dei movimenti di questi ultimi anni è stato il referendum sull’acqua pubblica e quello sul nucleare. Un potenziale politico notevole, una soggettività plurale, di quelle che Mary Kaldor ha chiamato “subterranean politics” o “dinamiche profonde”,  la cui rilevanza non è stata colta da una sinistra ancora ancorata a vecchi stereotipi, a paradigmi secondo i quali il rapporto con i movimenti è sempre aggiuntivo o strumentale, che sia di cooptazione o supposta “internità”. 

Questa obsolescenza delle categorie interpretative di tutto quello che passa nella società, di cui non si comprende la dimensione politica – poiché per i partiti la politica è soltanto quella istituzionale e soprattutto propria - rende ancor più evidente lo spiazzamento causato dall’avanzata di Beppe Grillo che in tutto  e per tutto  si è conformata come l’ “im-previsto”: in un  primo momento nell’essere il Movimento Cinque Stelle società stessa in movimento e poi nella dinamica elettorale e nei suoi risultati da capogiro al Parlamento. Oggi, infine, nel dibattito mediatico-politico, stucchevolmente confinato soprattutto sulle aspettative che finalmente i parlamentari del M5S, capiscano dove sono e il Palazzo li educhi alla vera politica e alle “vere” regole della democrazia parlamentare. Mentre è ormai chiaro, ad un esame più attento dei processi  sociali e di movimento, che la scollatura tra i “grillini” e le forze politiche di sinistra riflette scollature assai più radicali tra la società e i partiti stessi, scollature che il M5S ha intercettato politicamente e rappresentato elettoralmente . E’ stata chiamata sbrigativamente, quella di Grillo e del suo movimento “antipolitica”, mentre che non è altro che una politica “contro” quella imperante , una politica “altra”, come succede spesso nelle fasi di crisi, quando si aprono faglie nel sistema e nuovi soggetti vi fanno irruzione. Abbassarli di rango fa parte della politica di sistema.

A maggior ragione questo succede quando da nessuna forza in campo sono venute risposte all’altezza della situazione , e alcune di queste forze sembrano aver sposato a priori l’opzione della governabilità, mentre altre quella dello sterile antagonismo o di un’ autoreferenziale opposizione ad oltranza. Due poli che non hanno fornito uno spazio attraente e fruibile alla sinistra “diffusa” e “sociale”, che in buona parte ha scelto di essere rappresentata dal Movimento 5 Stelle, la cui alta marea – lo sappiamo - ha trascinato con sé spinte diverse ed anche contrapposte, con evidenti lati di ambiguità. Anche su questo i processi in atto offriranno ulteriori elementi di chiarezza e chiarificazione.

C’è un paradosso su cui ci sembra utile riflettere da subito. Vediamo una sorta di contraddizione da cui il M5S sembra non poter sfuggire: Grillo, appropriandosi delle forti istanze dei movimenti, le imprigiona nella rete, in una strategia staticamente circolare che ha forti elementi di immobilismo, da cui quelle stesse istanze escono depotenziate della propria carica propositiva. Risultano alla fine innestate in una logica anti-sistema piuttosto che di cambiamento. Le prime prove parlamentari offrono conferma di questo ma ci sono anche zone di frattura e differenziazione che potranno portare anche lontano. Insomma a noi sembra necessario sottolineare ancora una volta come la crisi, soprattutto seria profonda complessa come quella che viviamo, vada vissuta politicamente non solo per tutelare degli spazi e rispondere ai disastri con spirito “resistente” ma soprattutto per cogliere radicalmente le opportunità di nuovo avvio che essa offre.

Questo è un piano di confronto a sinistra e nel centrosinistra assolutamente necessario, perché troppo facilmente si lasciano correre tutte le istanze critiche provenienti dalla società come inutili e dannose al buon andamento delle cose. Che sono le priorità stabilite nei palazzi e palazzetti della politica.

Stando a SEL, non possiamo non sottolineare che essa è afflitta dagli stessi default di fondo delle altre forze politiche: dove siamo stati dopo la debacle della manifestazione italiana della giornata mondiale di Occupy del 15 ottobre di due anni fa, quando risultò evidente che la crisi dei partiti di sinistra era speculare rispetto a quella delle forme di mobilitazione di piazza e del ruolo delle organizzazioni sociali di riferimento?  E’ probabile che la stragrande maggioranza di quei “teenager”che per la prima volta sceglievano la piazza, attratti dalla capacità evocativa del movimento Occupy e dal messaggio di partecipazione diretta ed in prima persona, di fronte alla violenza di quel giorno ed al silenzio o alla paternalistica condiscendenza delle istituzioni e della politica,  abbiano scelto poi la piazza virtuale come   luogo del loro “esserci”. La tendenza a ridurre ogni cosa a un presente bulimico, che passa via cancellando il suo stesso passaggio, comporta anche l’obnubilamento, la smemoratezza, la rimozione di vicende che politicamente, per la sinistra, dovrebbero restare connesse ancora al presente, offrendo il materiale di conoscenza per capire dinamiche e soggetti con cui la politica dovrebbe continuamente entrare in contatto. I giovani, abbiamo ripetuto come in un mantra. Ma di chi parlavamo? Dove erano questi giovani? Loro votavano Grillo.


Il nostro ragionamento non vuole ripercorrere chiavi di lettura obsolete se non inutili, quali la contrapposizione tra  politica/antipolitica, partito/ movimento, giacché queste categorie – dette così - appartengono al passato. Vogliamo provare a dimostrare come il problema vero sul quale confrontarsi sia quello dell’assenza della politica e del non sapere che cosa oggi possa reinventarla, piuttosto che retoricamente rinnovarla in un ordine del discorso che rimane solo evocativo, sempre fermo a se stesso.

Siamo sospesi in un vuoto oggi colmato dal furore iconoclasta di Grillo, che si nutre del meccanismo performativo proprio dell’ “entertainment”. Esso svela la realtà attraverso i codici della satira, creando una sorta di assuefazione sociale a tale tipo di critica, più difficile da realizzare con i linguaggi tradizionali della politica.  In questo vuoto hanno scelto Grillo molti dei soggetti verso i quali avremmo dovuto essere noi per vocazione ad avere capacità di dialogo e interlocuzione. Ma la nostra vocazione “di sinistra” sui contenuti – sono là tutti in fila e in bella vista cartacea - non basta, non è “già” politica, come a molti sembra. “E’ già politica”, dicevano le femministe della prima ora quando inventarono la pratica politica del prendere parola tra donne e non rendere conto agli uomini. E fu rivoluzione perché davvero, allora, quella era politica che rivoltava il mondo. Che cosa oggi è “già” di nuovo politica?

Il presente ne ha un bisogno e un desiderio senza pari, come in tutte le epoche, ripetiamo, di grave complessa e complessiva crisi. Viviamo in una epoca di questa fatta.

Di questo parlano anche le dimissioni del papa tedesco e l’ascesa al soglio pontificio di un cardinale argentino che parla di sé e del suo predecessore come di “vescovi”, riduce al massimo i segni esteriori del suo stato, va a pagarsi i conti della casa dove è stato ospite a Roma, in attesa del conclave e si comporta con i fedeli come un vecchio parroco. Segno dei tempi, da interpretare anch’esso, sfuggendo, speriamo, alla retorica del pauperismo francescano come unica chiave di interpretazione.

La debolezza politica del centrosinistra e di Sel si è evidenziata nella campagna elettorale  dominata direttamente o per default dall’agenda Monti e nella quale  il messaggio di Sinistra Ecologia e Libertà è risultato ridotto a proposte inintelligibili o a emendamento estetico del programma. In tutto e per tutto ha dominato, nella campagna di Bersani e del Pd, la preoccupazione della governabilità e la rassicurazione per i mercati finanziari. Sel oscurata e sotto scacco per .il combinato disposto tra questa impostazione e le spinte centrifughe dei movimenti verso altre forme di rappresentanza politica.


Molte possono essere le chiavi di lettura della crisi che il progetto originario di SEL ha subito. In questo caso crediamo che il punto centrale sia stata la “dicotomia” tra partito e partita, e la mancata chiarezza tra ciò che si intendeva per partito e ciò che si intendeva per partita. Dicotomia vera e propria, perché nel corso della sua sia pur breve vita, e nonostante l’obiettivo di sperimentare nuove forme dell’agire politico, SEL è apparsa all’esterno come un partito  ingessato in pratiche, modalità e liturgie da partito (per di più partitino) novecentesco, attraversato da indisciplinate filiere e contraddizioni interne che riflettevano, in modo spesso ostentato e prevaricatore, soprattutto logiche di potere, spartizioni di territorio, occupazione di posti in funzioni di avanzamenti di carriera politica.

Mentre la partita avrebbe evidentemente richiesto ben altro. Vale anche oggi la sfida della partita, a patto di chiarire quale sia la vera partita,  se essa si esaurisca in forme di rappresentanza istituzionale o se le stesse debbano essere considerate non come fine ultimo ma come uno dei mezzi per perseguire un progetto di trasformazione della politica e di rilancio di una prospettiva di sinistra.  Sinistra con radicale vocazione di governo ma capace, ove necessario, di radicale opposizione. Serve ancora per questo una radicale riscoperta dell’idea di sinistra ecologia libertà senza che nessuno dei termini sia emendamento degli altri? Diciamo con chiarezza che sinistra oggi è solo un significante da usare per indicare una collocazione in un’aula della rappresentanza ma il cui significato deve essere esplicitato. Per questo non abbiamo condiviso lo slogan della campagna di Sel, “Benvenuta sinistra” che cancellava l’ecologia e la libertà, cioè le chiavi di accesso a un progetto e a una proposta politica del cambiamento.

In assenza di una chiara definizione della relazione tra partito - o meglio rielaborazione o meglio ancora superamento della forma partito - e la partita che si vuole e si dovrà giocare, ogni discussione  sia pure critica , sia pure legittima, si è svolta tutta all’interno di una cornice vecchia, di un vecchio paradigma. Una dinamica di inclusione dei contigui /esclusione dei borderline, il cui risultato è stato quello di mettere al margine o vanificare anche contributi di valore. Occorre rompere questa logica sucida.

Una prima via d’uscita per ricostruire un’idea e pratica della politica e della sinistra come spazio collettivo, largo, accogliente, fatto di reti, nodi, e ponti piuttosto che di organigrammi e strutture tradizionali è quello di connettere la partita che ci appassiona alla ricerca dei modi, delle logiche relazionali e organizzative, delle pratiche fattuali e simboliche che mettano in campo e diano rappresentazione a quel che intendiamo come partita. Non il partito e poi la partita ma le due cose insieme. Alla permanente inesistenza della politica con altri mezzi, si dovrà contrapporre la politica intanto come pratica di attenzione a quello che si fa, alle esperienze, alle relazioni. Cura della politica al primo posto. E SEL, sia pure con tutti i suoi limiti oggettivi, ha saputo mettere in atto processi ed esperienze che fuoriescono da rigide logiche di partito e sono in grado di prefigurare almeno un po’ la vera partita ed il ruolo che SEL può ancora svolgere.

Basti pensare alla Puglia, all’intuizione delle primarie e della rottura con logiche di apparato nella scelta di candidati per l’elezione a sindaco a Genova, Milano , Cagliari. Oppure il contributo dato ai referendum e ad altre iniziative di democrazia diretta quali la legge di iniziativa popolare per il reddito di cittadinanza. Ed in una certa misura anche dell’esperienza di TILT, rete della sinistra diffusa, innovativa dal punto di vista generazionale e delle nuove pratiche. Oppure l’esperienza di “Ragazze interrotte” per un nuovo femminismo politico . O anche l’esperienza dei forum, che sia pure in assenza di effettive connessioni con il resto del corpo del partito, hanno prodotto elaborazioni e relazioni politiche con soggetti istituzionali , sociali e di movimento. Oppure l'insieme di persone, esperienze, e competenze che si era riunito attorno al comitato scientifico.

Crediamo quindi che esistano dei punti di forza sui quali rilanciare il progetto di un  soggetto per la Sinistra, l’Ecologia e la Libertà. E fare della crisi una vera opportunità.

Il punto di partenza di questo rilancio ce lo offre il lavoro svolto anni fa dal Transnational Institute di Amsterdam con il quale SEL ha sviluppato una feconda anche se informale relazione di scambio. Basti pensare all'”endorsement della sua presidente Susan George alla candidatura di Nichi Vendola ed alla campagna elettorale di SEL. Nel loro progetto sulle nuove forme della politica (“Networked Politics”) si sottolinea come i partiti abbiano perso la loro connessione con le persone in quanto attori di cambiamento sociale e che quindi ogni ripensamento sulle forme della politica andrà guidato dalla comprensione degli attori di trasformazione all'interno della società. Infatti, dice il TNI, quelli che venivano considerati oggetto del cambiamento sono essi stessi attori del cambiamento. Allora per catalizzare il loro impatto, la sfida per ogni organizzazione politica sarà quella di stimolare e agevolare la loro messa in rete, le interconnessioni, la condivisione orizzontale, lo scambio di conoscenza in una struttura a rete aperta ed orizzontale.

SEL nel corso della sua breve esistenza ha tentato di praticare questa via e da queste buone pratiche possiamo ripartire. Per farlo, dovremo immaginare una profonda riconfigurazione della forma del soggetto SEL giacché la forma è sostanza. Insomma se si pensa di voler ripartire dalla “partita”, ossia dall'obiettivo di contribuire alla ricostruzione della sinistra, che sia sociale, diffusa o la sua espressione “istituzionale”, come strumento per catalizzare processi di trasformazione e produzione di alternative allo stato attuale delle cose, allora ogni ipotesi di lavoro dovrà confrontarsi con questo obiettivo.


Roma 20 marzo 2013

martedì 5 marzo 2013

Adios Huguito



Il mio ricordo diretto di Hugo Chavez è quando mi è passato accanto sugli spalti di San Siro a vedere la partita Inter Venezuela e poi dal balcone della Casa del Lavoro di Milano. Eppoi a Porto Alegre assieme a Lula, Correa e Lugo, alla Cumbre de los Pueblos a Vienna e Lima, alla cerimonia di insediamento di Rafael Correa alla Mitad del Mundo. Grazie a lui il Venezuela non sarà più lo stesso, ed anche grazie a lui tutta l'America Latina ha saputo riscoprire se stessa, la sua autonomia, la sua vocazione per la giustizia sociale. Come tutte le persone che hanno fatto la storia, perché Hugo Chavez ha fatto la storia, la sua memoria sarà affidata a chi lo magnificherà e chi lo disprezzerà. A me basta ricordarlo per quello che è stato nella speranza che il popolo venezuelano sappia gestire con saggezza la difficile transizione.