Si è tenuta nei giorni scorsi a Madrid, parallelamente al Vertice Eurolatinoamericano di Capi di Stato e di Governo, la quarta “Cumbre de los Pueblos” della rete bi-regionale di movimenti sociali europei e latino americani "Enlazando Alternativas", intrecciare alternative. Così si è voluta definire la rete di movimenti sociali europei e latinoamericani nata in occasione del vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea, America Latina e Caribe svoltosi in Messico, a Guadalajara nel maggio 2004. Fino ad allora l'Europa di Lisbona, di Maastricht e della Costituzione Europea era lontana dalle preoccupazioni dei movimenti sociali latinoamericani. Anzi, sembrava quasi che l'Unione Europea , con la sua forte enfasi sulla democrazia, i diritti umani e lo sviluppo sostenibile potesse rappresentare una valida alternativa di partenariato agli Stati Uniti. Ad una prima fase focalizzata sugli aspetti politici, ne è seguita però una nuova, quella attuale, concentrata su un’agenda principalmente commerciale ed imprenditoriale. L’unica possibilità per la UE, in questa fase di grave crisi economica e finanziaria, è infatti quella di spingere sull'acceleratore senza aspettare la conclusione del negoziato di Doha all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Così facendo però scopre le sue vere carte: cade la retorica "buonista" e finalmente si va all'osso della questione, ovvero aumentare la competitività e la crescita in Europa ed a livello globale e sostenere l'ulteriore integrazione dei paesi partner nel sistema di mercato globale. E' una strategia a tutto campo che si aggancia a quella teorizzata nel documento "Global Europe - Un' Europa competitiva in un'economia globalizzata", nella quale si propone un'agenda aggressiva di apertura dei mercati esterni, che prevede l'inclusione nei negoziati di questioni lasciate in sospeso nella OMC, ovvero i cosiddetti "Singapore Issues", quali investimenti, competivitità e liberalizzazione dei servizi. Gli accordi di libero scambio riformulano così le priorità reali dell'Unione Europea, prima fra tutte quella di favorire l'accesso delle imprese europee alle risorse naturali. È per mettere a nudo questa trama e evidenziarne le ricadute sui diritti dei popoli, che -parallelamente al controvertice di Enlazando - si è tenuta la terza sessione del Tribunale Permanente dei Popoli (TPP). In precedenza (a Vienna, 2006 e Lima, 2008) il Tribunale aveva avuto occasione di ascoltare le testimonianze di decine di rappresentanti di comunità locali, popoli indigeni, realtà sindacali e di base, organizzazioni e movimenti sociali sugli impatti delle attività di imprese multinazionali europee in America Latina. Obiettivo iniziale era quello di contribuire a porre fine a quella asimmetría giuridica secondo la quale gli stati avrebbero obbligo di promuovere i diritti umani e sociali, mentre le imprese sarebbero solo tenute a fare del loro meglio per assicurare che le proprie attività tengano in considerazione le eventuali ricadute sui diritti. Ed evidenziare come i governi spesso decidono (o vengono obbligati a farlo) di abbandonare le proprie prerogative ed obblighi di promozione del bene comune, confondendo queste con il sostegno agli interessi del settore privato. Nella sentenza di Lima il TPP riconosce che la responsabilità degli stati sia quella di promuovere, rispettare e garantire i diritti umani, ma sottolinea come la facoltà delle imprese di avvalersi di codici di condotta volontari contribuisca a renderle immuni da qualsiasi forma di responsabilità giuridica per eventuali violazioni del diritto internazionale. A Madrid è stato fatto un ulteriore passo in avanti nell’identificazione delle corresponsabilità ed omissioni delle istituzioni dell’Unione Europea nel sostenere l’espansione delle imprese europee in settori strategici che rappresentano l’ossatura centrale dell’esercizio di sovranità da parte degli stati. Il Tribunale, nella cui giuria sedevano personalità quali Blanca Chancoso leader indigena ecuatoriana, Nora Cortinas, delle Madres de Plaza de Mayo, Alirio Uribe attivista ed avvocato dei diritti umani in Colombia, a Perfecto Ibanez magistrato spagnolo, ha formulato un duro atto d’accusa all’Europa. Le istituzioni dell’Unione sono accusate di sostenere un’agenda di liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti a vantaggio delle proprie imprese, ponendo condizioni stringenti ai paesi latinoamericani con i quali si stanno negoziando accordi di libero scambio, senza curarsi delle possibili ricadute degli stessi sui diritti umani, economici sociali ed ambientali. Contemporaneamente, le politiche “interne”, quali quella di sostegno all’uso di agrocombustibili o OGM o di difesa dei diritti di proprietà intellettuale delle imprese farmaceutiche, si ripercuotono in maniera drammatica sui diritti al cibo, alla terra, all’ambiente, alla salute. Un’Unione Europea cieca quindi nei confronti delle sue responsabilità globali, in preda ad una discrasia che non le permette di svolgere altro ruolo se non quello di servizio agli interessi imprenditoriali e di espansione commerciale. Dalla sentenza del Tribunale emerge quindi una grave carenza di politica, di strumenti di trasparenza e partecipazione diretta dei cittadini nelle suelte cruciali per lo sviluppo e l’ambiente. Non a caso tra le varie richieste il Tribunale esorta la UE ed i paesi latinoamericani impegnati nelle trattative commerciali a sospendere ogni negoziato finché non se ne studino le ricadute sui diritti umani, con processi trasparenti e partecipati. A questo si aggiunge l’appello ad internalizzare gli obblighi relativi ai diritti umani in tutte le attività esterne dell’Unione, a riconoscere a livello ONU il debito ecologico e sociale accumulato dal Nord verso i Sud del mondo, nonché ad istituire presso quella sede un tribunale sui crimini economici ed ambientali e linee guida vincolanti per le imprese. Un ulteriore punto da sottolineare riguarda la giustizia climatica, tema centrale nelle agende dei movimenti sociali globali prima, durante e dopo il vertice dei popoli di Cochabamba. Il Tribunale sottolinea come molti dei casi studiati relativi ad imprese attive nel settore energetico, estrattivo e degli agrocombustibili prefigurano nuove tipologie di aggressione ai diritti ambientali e della natura e per questo fornisce una direttrice di percorso affinché vengano elaborati nuovi strumenti giuridici e legali a sostegno della giustizia climatica. Un tema, quello del clima, all’ordine del giorno, assieme alla crisi finanziaria, del vertice ufficiale dei capi di stato e di governo. Ed è proprio la crisi finanziaría, con le sue false soluzioni, e le gravi conseguenze sui diritti sociali ed economici ad esse connessa, che è stata al centro della marcia che ha attraversato Madrid per portare all’attenzione dell’opinone pubblica e dei governi le parole d’ordine dei movimenti, poi riassunte nella dichiarazione finale del controvertice. Una dichiarazione che non lascia alcuno spazio a compromessi. Si respingono i trattati di libero commercio (TLC), gli accordi di associazione (AdA) e quelli relativi agli investimenti negoziati contro gli interessi dei popoli. Vengono contestate duramente le politiche di risanamento dell’Unione e quelle del FMI, e rivendicato il diritto alla sovranità alimentare ed al pagamento del debito ecologico e climatico verso i popoli impoveriti del planeta. Si chiede all’Europa di impegnarsi, piuttosto che in soluzioni tampone come i mercati dei permessi di emissione, a ridurre drasticamente le proprie emissioni e ad una profonda trasformazione dei modelli economici e produttivi. I rappresentanti dei movimenti confermano poi la loro solidarietà e sostegno alle rivendicazioni dei popoli indigeni ed alle campagne e istanze delle reti di migranti latinoamericani in Europa e nel mondo. Tra i vari seminari promossi da Enlazando Alternativas, due hanno affrontato il tema della relazione tra agenda commerciale e flussi migratori, e la drammatica contraddizione tra un’Europa che sostiene la libertà di circolazione delle merci e dei capitali e chiude ermeticamente le proprie frontiere ai migranti. Una linea securitaria e repressiva ancorata alla direttiva del “ritorno”, alle clausole incluse in molti accordi commerciali con i paesi terzi ed esplicitata in maniera evidente nell’istituzione dei Centri di Identificazione ed Espulsione e nella strategia di “esternalizzazione” delle frontiere. Da Madrid è giunta un’interessante novità. Se finora le reti di migranti in Europa sembravano essere principalmente su base nazionale, da poco tempo a livello continentale si è creata una rete-movimento transnazionale di migranti ecuadoriani. Un soggetto collettivo che sviluppa proposte, analisi, apre spazi di agibilità, dialoga con altre comunità migranti e propone piattaforme ampie di rivendicazione dei diritti, che vanno ben oltre il diritto, non ancora riconosciuto, alla mobilità umana. E’ in un certo senso l’espressione dela volontà di farsi soggetto politico , di rifuggire le suggestioni, a volte presenti nelle parole d’ordine del controvertice, di racchiudere questa volontà negli spazi angusti della “solidarietà” o della “lotta al razzismo”. Sono moltitudini che vogliono riconquistare il proprio volto, la propria dignità, dal basso e con esperimenti e pratiche inedite. Una novità si diceva, nata spontaneamente sulla scia del Forum Sociale Mondiale dei migranti di qualche anno fa (e che ora si riunirà di nuovo a Quito ad ottobre), e che dimostra come il valore aggiunto di questi appuntamenti stia proprio nelle sinergie e nei processi che innesca piuttosto che nelle parole d’ordine o nei grandi numeri.
Francesco Martone, Maria Rosa Jijon