mercoledì 12 giugno 2013

Giustizia climatica, una sfida per l'Europa che vogliamo


Battute finali dei negoziati preparatori  ONU sul Clima a Bonn. Un appuntamento senza grandi aspettative giacche’  da tempo ormai si sapeva che il 2013, nelle parole del Segretario della Conferenza Christina Figueres sarebbe stato l'anno "della spugna" ovvero l'anno nel quale i governi avrebbero solo esposto le loro ipotesi, idee e posizioni e che nessun negoziato sostanziale si sarebbe avviato. Se non su questioni meramente metodologiche, tutt'altro rispetto alle cifre, in termini di riduzioni delle emissioni e risorse finanziarie. Su questo e su un abbozzo dei  contorni di un accordo vincolante sul clima si dovra' aspettare il 2014. Pero' alcuni elementi emergono fin d'ora. Anzitutto il lavoro costante della Russia che e' riuscita a far saltare ogni trattativa sulle regole decisionali da adottare per arrivare ad un consenso sui temi piu' controversi. Vale la pena di ricordare che Russia e Polonia sono stati i paesi che fino all'ultimo hanno tentato di far deragliare il negoziato alla Conferenza delle Parti di Doha lo scorso anno. Volevano infatti continuare ad essere in grado di vendere le proprie quote di emissione sui mercati ed evitare di "sganciarsi" dallo sfruttamento ed uso di combustibili fossili. Che la Polonia, che avra' la presidenza della prossima conferenza delle parti di novembre non sia un paese "climate friendly" si sapeva, e  nessuno si aspetta molto. Le aspettative vere sono riposte sulla Francia che ospitera' la Conferenza delle Parti nel 2014, anno cruciale per "confezionare" i dettagli dell’accordo da chiudere nel 2015 quando la palla passera' in mano al Peru'.  Insomma si prospetta un asse dell'Est Europa, tra Russia, Polonia e Lituania, che avra' la presidenza UE per l'ultimo semestre del 2013. Un asse che potrebbe mettere a serio rischio il negoziato.  Sullo sfondo il cambio di passo dell'Unione Europa piu' preoccupata di assicurare accesso a fonti energetiche a basso costo alle imprese piuttosto che ad impegnarsi per la mitigazione dei cambiamenti climatici. La pressione delle lobby dell'industria finora ha vinto come  traspariva con nettezza anche nella presentazione fatta dalla UE ieri sulla loro strategia climatica ed energetica. Questo significa una cosa: che il tema della conversione ecologica dell'economia, e della giustizia climatica dovranno essere uno dei pilastri della proposta politica di Sinistra Ecologia e Liberta' per l'Europa che vogliamo. Una proposta forte, concreta, che possa contibuire ad alimentare il dibattito tra le forze progressiste europee, e l'interlocuzione con quelle ecologiste.

venerdì 7 giugno 2013

Per una nuova cooperazione allo sviluppo

Messaggio inviato a Fabio Laurenzi , presidente del COSPE (Cooperazione allo Sviluppo dei Paesi Emergenti) in occasione delle celebrazioni del trentennale della fondazione.

Roma, 7 giugno 2013



Caro Fabio,

anzitutto ringrazio il COSPE per l'invito a partecipare alle iniziative per i 30 anni di vita dell'associazione. Purtroppo non riesco ad essere presente di persona a causa di altri impegni presi in precedenza, però volevo in qualche maniera essere presente oggi con voi.

Conosco il COSPE da anni, una delle ONG che fin da subito aderì alla Campagna per la Riforma della Banca Mondiale che ho avuto il piacere di promuovere assieme ad altre ONG e di coordinare per 5 anni prima di entrare in Parlamento. Ho seguito le iniziative del COSPE sui migranti ed altre importanti iniziative sulle culture migranti quali il premio Mostafà Suir. La mia amicizia e prossimità a voi quindi è di lunga data, ed è fondata sulla condivisione di approcci, filosofia di fondo e pratiche di solidarietà internazionale.

Oggi mi trovo a svolgere un incarico politico con Sinistra Ecologia e Libertà, in qualità di responsabile esteri, Europa e Cooperazione del partito. Spero di poter avere la possibilità di continuare con voi questo scambio fecondo di idee, riflessioni e proposte per nuove pratiche di cooperazione tra i popoli. Un percorso che indubbiamente avrà nei prossimi mesi un versante istituzionale con il rilancio del processo di riforma della cooperazione, u a lungo attesa e sulla quale ci adopereremo con convinzione. Non a caso la cooperazione internazionale è una delle priorità programmatiche di SEL assieme all'Europa, alla pace ed al disarmo.

Crediamo sia però necessario non confinare la nostra proposta ad una mera, seppur non più rinviabile riforma istituzionale. Togliere la cooperazione dal controllo dei diplomatici, individuare una figura di governo forte e di alto livello (la nostra proposta di legge presentata da Giulio Marcon prevede la figura del ministro della cooperazione), un Fondo Unico, un'Agenzia presente nei paesi destinatari degli aiuti, sganciamento della cooperazione dalle missioni militari, slegamento dell'aiuto, coerenza delle politiche sono alcuni dei temi chiave sui quali ci confronteremo.

Ma non basta. C'è necessità di ripensare a fondo il concetto stesso di cooperazione, per dare maggior enfasi ai partenariati territoriali, alla capacità di creare relazioni, mettere in rete pratiche e competenze, insomma passare da un approccio di “pianificazione” e “progetto” ad pratiche relazionali tra comunità. Centrare questi partenariati sul soddisfacimento dei bisogni primari e la promozione e tutela dei diritti umani, ambientali, sociali, ed economici, e costruire attraverso queste pratiche le premesse affinche è destinatari di queste politiche possano diventare essi stessi attori, e protagonisti dei loro processi di liberazione dalla fame, povertà, esclusione sociale, debito ecologico, economico e culturale.

Insomma credo che avremo molte idee e riflessioni da condividere nei prossimi mesi, sia nel percorso di riforma della cooperazione che in quello in corso di preparazione per la Conferenza delle Nazioni Unite sul post-2015. Noi siamo a vostra disposizione.

Buon lavoro a tutti e tutte

Francesco Martone
responsabile esteri, Europa e Cooperazione
Sinistra Ecologia e Libertà  

martedì 4 giugno 2013

Accanto al popolo turco




Quella che era iniziata come una protesta pacifica contro la distruzione di un parco al centro di Istanbul si è trasformata nel corso dei giorni in un movimento popolare di protesta contro il governo Erdogan, le sue politiche di islamizzazione della vita pubblica e privata, l'intreccio nefasto tra interessi economico-immobiliari e elite politiche. Un movimento di popolo  oggetto di una repressione dura e continua,  culminata con l'assassinio di alcuni manifestanti. Un movimento che potrebbe subire un'ulteriore crescita da oggi con lo sciopero di solidarietà indetto dai lavoratori del settore pubblico, mentre nei prossimi giorni potrebbe svolgersi quello dei lavoratori del settore metallurgico. Tutto questo in un Paese indicato come grande potenza economica emergente, come possibile playmaker in tutta la regione. Si ricordano il viaggio di Erdogan in Egitto per sostenere il presidente neoeletto Morsi, l'appello rivolto precedentemente a Hosni Mubarak affinché ascoltasse le ragioni del suo popolo, il sostegno ad Hamas, la linea interventista seguita nel conflitto siriano. Il premier ha tentato di proporsi come il leader di una sorta di neo-ottomanesimo, ambizione poi naufragata miseramente. Una Turchia che ora non guarda più all'Europa ma altrove, all'Asia, al Medio Oriente e che però mostra in questi giorni tutte le sue contraddizioni. Quelle di un paradigma economico neoliberista e di privatizzazioni spinte, che sotto Erdogan ha subito una brusca accelerazione, e di un modello politico autoritario. Oggi il miracolo economico turco perde smalto, i “mercati” si allontanano, la borsa crolla, gli investitori internazionali hanno paura. Oggi Istanbul e tutta la Turchia sono attraversate da un sommovimento di persone che rivendicano dignità, il diritto a manifestare liberamente, a proteggere uno spazio pubblico. Chiedono di essere protagoniste in prima persona delle decisioni che riguardano la loro vita, e non ammettono ingerenze nelle loro scelte personali. Per contro Erdogan ed il suo governo dapprima presi a modello di una coabitazione tra elite militari e forze islamiche, hanno scelto la strada della repressione militare e dell'islamizzazione. É lì che perde la politica, quella politica che i Turchi vogliono rivendicare e difendere a mani nude contro il gas ed i getti d'acqua. Dobbiamo essere accanto a queste donne ed uomini, oggi. Per questo Sinistra Ecologia e Libertà esprime solidarietà con i manifestanti e le manifestanti, condanna la violenta condotta delle forze di polizia turche, chiede al governo itaiano di attivarsi immediatamente presso l'Unione Europea e direttamente con il governo turco affinché cessi la repressione, e si accertino le violazioni dei diritti umani commesse in questi giorni. 

sabato 1 giugno 2013

Istanbul: cessi immediatamente la repressione

Occupy Istanbul. Anche in Turchia arriva l'onda lunga delle rivolte arabe e la repressione della polizia turca continua. All'inizio era un campo di protesta per evitare che i bulldozer distruggessero l'ultimo parco del centro di Istanbul per costruire uno shopping mall. Poi è arrivata la violenza della polizia. Ora il movimento cresce, si articola in una protesta generalizzata contro il governo Erdogan. Da qualche giorno si moltiplicano le manifestazioni di protesta, i cortei, repressi dall'uso smodato di gas lacrimogeni. Sinistra Ecologia e Libertà chiede al governo italiano ed all'Unione Europea di esprimere immediatamente condanna e preoccupazione per questi fatti, ed al governo turco di rispettare i diritti umani, ed il diritto a manifestare.