giovedì 20 novembre 2008

Il presidente dell'Ecuador Correa chiede un Tribunale ONU sul debito estero

Oggi in occasione della presentazione del rapporto della commissione di auditoria del debito estero dell'Ecuador, il presidente Correa ha rilanciato la proposta di creare un Tribunale ONU di arbitrato sul debito estero. Proposta che da tempo fa parte delle piattaforme delle campagne di movimento sul debito in primo luogo Jubileo Sur. Da notare che tra i membri della Task force ONU sulla crisifinanziaria presieduta da Joseph Stiglitz, c'è il ministro dell'Economia dell'Ecuador Pablo Paez. La proposta di tribunale di arbitrato potrebebe essee cos' fatta propria dalla task Force...
Su un altro aspetto, continua il mistero sulla posizione negoziale dell'Ecuador nel negoziato commerciale con l'Unione Europea. L'annuncio fatto da organismi di stampa internazionali secondo il quale Correa avrebbe deciso di negoziare bilaterlamente con la UE, seguendo l'esempio di Colombia e Perù, e di fatto isolando la Bolivia e rompendo il fronte della Comunidad Andina de Naciones è stato seccamente smentito dallo stesso Correa che ha riaffermato la determinazione a non rompere la CAN ed a non perseguire un negoziato bilaterale. Nel frattempo i movimenti indigeni di tutto il paese hanno lanciato una serie di mobilitazioni per protestare e resistere contro le attività delle industrie estrattive, in primis quelle minerarie.

(ps. Secondo la nuova costituzione ecuadoriana anche chi scrive è ora di fatto cittadino ecuadoriano a tutti gli effetti, e potrà partecipare alle prossime elezioni presidenziali programmate per il primo semestre del prossimo anno. Almeno in questo caso non avrò dubbi)

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Ecuador propone crear tribunal internacional que investigue deuda externa

16:12 | Ecuador, que buscará no pagar la deuda externa que juzgue ilegítima, propuso la creación en la ONU de un tribunal de arbitraje internacional que investigue los préstamos otorgados a los países pobres, dijo el jueves el presidente Rafael Correa.


Quito, AFP

Ecuador, que buscará no pagar la deuda externa que juzgue ilegítima, propuso la creación en la ONU de un tribunal de arbitraje internacional que investigue los préstamos otorgados a los países pobres, dijo el jueves el presidente Rafael Correa.

“La contribución del gobierno de Ecuador (...) comienza por determinar la deuda externa ilegítima y promover, como ya lo hicimos en la ONU, la creación de un tribunal internacional de arbitraje de deuda soberana ” , afirmó el mandatario.

Correa planteó la propuesta al anunciar que buscará no pagar la deuda comercial externa, que suma al momento 3 860 millones de dólares en bonos, apoyado en una auditoría dispuesta por el gobierno que detectó ilegalidades en su contratación.

El mandatario agregó que se requiere una instancia jurídica independiente ya “que los países endeudados siguen acudiendo al FMI, es decir, a un representante de los acreedores” .

“Felizmente el Fondo Monetario Internacional (FMI) ya tiene sus días contados por decisión de sus mismos socios mayoritarios ” , declaró Correa, quien expulsó en su momento al representante del Banco Mundial en Ecuador acusándolo de intento de chantaje.

El presidente propuso igualmente a los países deudores “concertar las acciones” para “redefinir el criterio de sustentabilidad del servicio” de crédito externo.

Disarmo nucleare ora. Subito.

La questione nucleare nel nostro paese sta riprendendo vigore, in seguito alla decisione del governo di rilanciare l’energia atomica come volano di sviluppo, e per tentare di risolvere le gravi inadempienze verso gli impegni presi con il Protocollo di Kyoto. La questione nucleare oggi fornisce l’occasione per il rilancio di un movimento capillare che chieda con forza, a poco più di un anno dalla Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici di Copenhagen, una netta inversione di rotta nelle politiche energetiche e di sviluppo del paese. Nucleare civile e militare sono però due facce della stessa medaglia. A tal riguardo vale la pena di rammentare che parallelamente al negoziato sul clima, si stanno sviluppando altri importanti appuntamenti, quello del 60esimo aniversario della NATO e quello della Conferenza per la Revisione del Trattato di NonProliferazione nucleare che si dovrebbe tenere nel 2010. Un trattato fortemente indebolito nell’ultima conferenza del 2005 dalla posizione statunitense volta a dar priorità all’aspetto della non-proliferazione rispetto a quello del disarmo e che deve invece restare la pietra angolare delle politiche sul disarmo e la nonproliferazione. In questo anche l’Italia dovrà svolgere la sua parte. In quanto membro della NATO, ma anche forte sostenitrice del Trattato di Nonproliferazione, l’Italia dovrà impegnarsi a sciogliere una volta per tutte quell’ambiguità di fondo che permette la presenza di 90 bombe atomiche statunitensi nelle basi di Ghedi ed Aviano revocando quell’accordo di condivisione nucleare, in virtù del quale potrebbe diventare un paese nucleare, e quindi responsabile delle conseguenze derivanti dall’uso dell’arma atomica. Dovrà poi rivedere le proprie strategie militari per escludere progressivamente l’opzione militare e sostenere – come raccomandato da una coalizione di paesi coordinati dalla Nuova Zelanda - la conclusione di una Convenzione sul Disarmo Nucleare. Anche le amministrazioni locali potranno svolgere la loro parte, sottoscrivendo fin d’ora il Protocollo di Hiroshima e Nagasaki proposti dai sindaci delle due citta martiri. Per questo la campagna "Un futuro senza Atomiche" rilancia le iniziative in sostegno alla legge di iniziativa popolare , depositata in Parlamento alla fine della scorsa legislatura, al fine di dichiarare l’Italia paese libero da armi nucleari. Il 27 novembre prossimo, a pochi giorni dall’assemblea del 24 novembre prossimo nella quale verrà annunciato il lancio delle iniziative contro il nucleare civile, la campagna terrà un incontro pubblico alla Camera per costituire un gruppo di contatto in Parlamento che possa sostenere la doscussione della legge. Mai come ora è necessario tracciare una linea rossa invalicabile, mai come ora il tema del disarmo nucleare è di forte rilevanza e deve essere centrale per chiunque crede nella costruzione della pace attraverso la forza della politica e della diplomazia. Una vocazione irrinunciabile per la nuova sinistra nel nostro paese.

Francesco Martone - membro del Consiglio Internazionale di Parliamentarians for Nonproliferation and Nuclear Disarmament (www.pnnd.org)
Lisa Clark portavoce campagna Un Futuro senza Atomiche (www.unfuturosenzatomiche.org)

mercoledì 19 novembre 2008

Dopo il G20 - la posizione del Transnational Institute

Statement on the G-20 Summit on the Financial Crisis, 15 November, 2008

November 18th, 2008 · No Comments

By the Transnational Institute Working Group on the Global Financial and Economic Crisis

The summit of a selective group of 20 widely diverse countries meeting in Washington moved the discussion of a new global financial architecture a step further, but it was a baby step, not the giant leap that is urgently needed not only to reverse the financial crisis but also to restructure fundamentally the global financial and economic systems. Why was there so little progress?

First, George Bush, representing the country with the largest responsibility for the global crisis, is the lamest of lame ducks. He could not commit his successor to any real course of action. His insistence on free markets reflects a dangerous and outmoded ideology with regard to financial regulation – abundantly demonstrated by his speech prior to the G20 meeting convened in which he re-visited the ideas that are the source of the worst worldwide financial crisis of the past 90 years. These outmoded and discredited ideas were included, unfortunately, in the G20 Communiqué.

Second, this meeting – sometimes called Bretton Woods II - was so hastily put together that unlike Bretton Woods I, its principal outcome was merely to reveal the fault lines of the debate, defined by the U.S. and European positions, although not that of Great Britain. The Europeans, led by president Nicholas Sarkozy of France, argued that since the 1980s, finance has become a quintessentially global phenomenon with money and credit washing across borders. Financial entities are thus able to exploit the inability of nation states to tax or regulate them effectively. Consequently, the Europeans call for a new global financial architecture that starts with, and gives primacy to, new cross-border global financial regulatory authorities. These global institutions are not now in place, must be constructed, and should be the G20’s core project for the immediate future. The Europeans note that existing international regulatory institutions, like the Basel Committee on Banking Supervision and the Financial Stability Forum, have very limited membership, cannot issue binding standards and rules, are heavily influenced by the financial lobby, and have proven to be totally inadequate both in predicting the financial crisis and in acting to stem it.

The United States’ counter-argument rests on the nation state, locates the primacy of regulatory authority in national governments, and adds new, cross-border forms of transnational collaboration and co-ordination. It starts with existing national regulatory regimes, upgrades them considerably, and expands them to encompass new financial instruments and institutions heretofore unregulated. The North Americans argue that this system offers the best tools for the broadest possible political control because it is rooted in national governments – their executives and parliaments, which are themselves subject to popular oversight, however imperfect. Behind these arguments, however, lie both ideology and the desire to protect the U.S.’s and UK’s financial sectors’ competitiveness as global financial industry centres.

The G20 Communiqué avoids this debate and attempts to diminish the distance between the U.S. and European positions. Several other fault lines emerged at the G20 meeting. Europe wants to go faster, broader, and deeper with new regulations than the U.S. and wants more co-ordination of policy intervention. The weakness of the G20 Communiqué also indicates that governments are paying more attention to the interests of their financial lobbies than to the interests and urgent needs of their own citizens and citizens worldwide.

Pushing all these divisions into the future and giving the new U.S. administration the necessary space to formulate its own positions, the G20 limited its scope to some broad general principles and an action plan for the next four and a half months that includes only measures that should have been taken long ago to correct the most obvious gaps in transparency and regulation. Whether or not these meagre measures are implemented will depend mainly on how aggressive civil society is in holding the G20 to their limited commitments.

No set of basic but effective principles, guidelines and criteria is yet on the official agenda. We offer four that should be minimum demands in exchange for the unprecedented taxpayer bailouts:

  • Total transparency – all financial instruments and all financial institutions to report fully on their activities and this information made available to the public;
  • A 10 percent rule – all financial instruments require a minimum 10 percent collateral, capital reserves in order to eliminate the uninhibited leveraging (sometimes only 1 dollar actually held for every $30-$40 lent to borrowers) that is a major source of the meltdown;
  • All current and future financial instruments should be brought under the umbrella of financial regulation;
  • New national and global regulatory systems to be subject to the widest and deepest democratic participation, including oversight, monitoring, and access to decision-making.

In our view, the global financial implosion is but one of several converging crises caused by government neglect and an ideology celebrating an individualist- based, free-for-all market fundamentalism over the need for civic responsibility. This irresponsible neglect has permeated governing regimes at every level: local, national, regional, and global. Consequently, two other enormous global problems now worsen and converge with the financial crisis: the planetary climate crisis and inequality within and across nations. The same political recklessness that has brought us financial default is also guilty with regard to the global climate and inequality crises of the 21st century.

Furthermore, the financial crisis has now become a crisis of the real economy. The private financial institutions receiving taxpayer bailouts should be obliged to lend to the real economy in order to ease the transformation towards an environmentally robust economy. They must be prevented from further indulging in exotic financial instruments that have greatly contributed to the current worldwide financial meltdown. We support the call for a minimum fiscal stimulus of at least 2 percent of GDP. The earlier anaemic attempts at fiscal stimulus of the G7 were far too small to have any effect.

A more comprehensive integrated set of proposals is therefore needed:

  • Closure of tax havens in countries of convenience and attention to other forms of tax evasion that allow global companies and wealthy individuals to avoid their statutory tax obligations in their countries of origin;
  • A commitment that no country be allowed to become insolvent;
  • Refusal of the nearly bankrupt and discredited IMF as the global dispenser of funds. The failed IMF ideology contributed to this global financial crisis in the first place;
  • Integration of southern countries as well as experts from NGOs and other parts of civil society into all discussions of a new global financial architecture;
  • Introduction of taxes on cross-border financial transactions – such as the Tobin Tax – that are new sources of tax revenues for government to pay for the financial bailouts, dampen financial speculation, and slow down the turnover of financial transactions in the global economy;
  • Limits to the riskiness of any new financial product or instrument, for example, by public governmental certification of a risk assessment of the product before it comes on market;
  • Suspension of the financial services negotiations within the GATS section of the Doha Round on trade liberalization. The deregulation and anti-regulation orientation of these negotiations is totally at odds with the premises of the G20 discussions for re-regulation and new regulation of the global financial sector;
  • Public disclosure of all lobbyists before national and global regulatory authorities;
  • Limits on excess compensation of top level management of financial institutions and elimination of forms of incentive compensation that reward excessively risky behaviour;
  • Involvement of global institutions other than the International Financial Institutions discussions concerning the new global financial architecture, including the UN and its appropriate agencies.

The world is not undergoing a crisis in the system but a crisis of the system in which the real economy has become subservient to the financial economy. All solutions must be based on this underlying truth. Nothing less than a Global Round on a Reconstructed Economic Order is required to address an integrated reform and restructuring of the global economy – including finance, trade, investment, production, corporate codes of conduct, labour standards, systemic risk and environmental regulation. The efforts of the G20 are puny compared to the comprehensive and serious process appropriate to the scale of these converging crises of the 21st century.


by Susan George, Barry K. Gills, Myriam Vander Stichele and Howard M. Wachtel for the TNI Working Group on the Global Financial and Economic Crisis, Amsterdam, 17 November
2008

per saperne si più vai su www.tni.org

giovedì 13 novembre 2008

Costruire la Sinistra

Costruire la Sinistra: il tempo è adesso

Le ragazze e i ragazzi che in questi giorni portano la loro protesta in tutte le piazze del paese per una scuola che li aiuti a crearsi un futuro ci dicono che la speranza di un’altra Italia è possibile. Che è possibile reagire alla destra che toglie diritti e aumenta privilegi. Che è possibile rispondere all’insulto criminale che insanguina il Mezzogiorno e vuole ridurre al silenzio le coscienze più libere. Che è possibile dare dignità al lavoro, spezzando la logica dominante che oggi lo relega sempre più a profitto e mercificazione. Che è possibile affermare la libertà delle donne e vivere in un paese ove la laicità sia un principio inviolabile. Che è possibile lavorare per un mondo di pace. Che è possibile, di fronte all’offensiva razzista nei confronti dei migranti, rispondere - come fece Einstein - che l’unica razza che conosciamo è quella umana. Che è possibile attraverso una riconversione ecologica dell’economia contrastare i cambiamenti climatici, riducendone gli effetti ambientali e sociali. Che è possibile, dunque, reagire ad una politica miserabile la quale, di fronte alla drammatica questione del surriscaldamento del pianeta, cerca di bloccare le scelte dell’Europa in nome di una cieca salvaguardia di ristretti interessi.
Cambiare questo paese è possibile. A patto di praticare questa speranza che oggi cresce d’intensità, di farla incontrare con una politica che sappia anche cambiare se stessa per tradurre la speranza di oggi in realtà. E’ questo il compito primario di ciò che chiamiamo sinistra.
Viviamo in un paese e in un tempo che hanno bisogno di un ritrovato impegno e di una nuova sinistra, ecologista, solidale e pacifista. La cronaca quotidiana dei fatti è ormai una narrazione impietosa dell’Italia e della crisi delle politiche neoliberiste su scala mondiale. Quando la condizione sociale e materiale di tanta parte della popolazione precipita verso il rischio di togliere ogni significato alla parola futuro; quando cittadinanza, convivenza, riconoscimento dell’altro diventano valori sempre più marginali; quando le donne e gli uomini di questo paese vedono crescere la propria solitudine di fronte alle istituzioni, nei luoghi di lavoro – spesso precario, talvolta assente – come in quelli del sapere; quando tutto questo accade nessuna coscienza civile può star ferma ad aspettare. Siamo di fronte ad una crisi che segna un vero spartiacque. Crollano i dogmi del pensiero unico che hanno alimentato le forme del capitalismo di questi ultimi 20 anni. Questa crisi rende più che mai attuale il bisogno di sinistra, se essa sarà in grado di farsi portatrice di una vera alternativa di società a livello globale.
E’ alla politica che tocca il compito, qui ed ora, di produrre un’idea, un progetto di società, un nuovo senso da attribuire alle nostre parole. Ed è la politica che ha il compito di dire che un’alternativa allo stato presente delle cose è necessaria ed è possibile. La destra orienta la sua pesante azione di governo – tutto è già ben chiaro in soli pochi mesi – sulla base di un’agenda che ha nell’esaltazione persino esasperata del mercato e nello smantellamento della nostra Costituzione repubblicana i capisaldi che la ispirano. Cosa saranno scuola e formazione, ambiente, sanità e welfare, livelli di reddito e qualità del lavoro, diritti di cittadinanza e autodeterminazione di donne e uomini nell’Italia di domani, quel domani che è già dietro l’angolo, quando gli effetti di questa destra ora al governo risulteranno dirompenti e colpiranno dritto al cuore le condizioni di vita, già ora così difficili, di tante donne e uomini?
E’ da qui che nasce l’urgenza e lo spazio – vero, reale, possibile, crescente – di una nuova sinistra che susciti speranza e chiami all’impegno politico, che lavori ad un progetto per il paese e sappia mobilitare anche chi è deluso, distratto, distante. Una sinistra che rifiuti il rifugio identitario fine a sé stesso, la fuga dalla politica, l’affannosa ricerca dei segni del passato come nuovi feticci da agitare verso il presente. Una sinistra che assuma la sconfitta di aprile come un momento di verità, non solo di debolezza. E che dalle ragioni profonde di quella sconfitta vuole ripartire, senza ripercorrerne gli errori, le presunzioni, i limiti. Una sinistra che guardi all’Europa come luogo fondamentale del proprio agire e di costruzione di un’alternativa a questa globalizzazione. Una sinistra del lavoro capace di mostrare come la sua sistematica svalorizzazione sia parte decisiva della crisi economica e sociale che viviamo.
Per far ciò pensiamo a una sinistra che riesca finalmente a mescolare i segni e i semi di più culture politiche per farne un linguaggio diverso, un diverso sguardo sulle cose di questo tempo e di questo mondo. Una politica della pace, non solo come ripudio della guerra, anche come quotidiana costruzione della cultura della non violenza e della cooperazione come alternativa alla competizione. Una sinistra dei diritti civili, delle libertà, dell’uguaglianza e delle differenze. Una sinistra che non sia più ceto politico ma luogo di partecipazione, di ricerca, di responsabilità condivise. Che sappia raccogliere la militanza civile, intellettuale e politica superando i naturali recinti dei soggetti politici tradizionali. E che si faccia carico di un'opposizione rigorosa , con l’impegno di costruire un nuovo, positivo campo di forze e di idee per il paese. La difesa del contratto nazionale di lavoro, che imprese e governo vogliono abolire per rendere più diseguali e soli i lavoratori e le lavoratrici è per noi l’immediata priorità, insieme all’affermazione del valore pubblico e universale della scuola e dell’università e alla difesa del clima che richiede una vera e propria rivoluzione ecologica nel modo di produrre e consumare.
Lavorare da subito ad una fase costituente della sinistra italiana significa anche spezzare una condizione di marginalità – politica e persino democratica – e scongiurare la deriva bipartitista , avviando una riforma delle pratiche politiche novecentesche.
L’obiettivo è quello di lavorare a un nuovo soggetto politico della sinistra italiana attraverso un processo che deve avere concreti elementi di novità: non la sommatoria di ceti politici ma un percorso democratico, partecipativo, inclusivo. Per operare da subito promuoviamo l’associazione politica “Per la Sinistra”, uno strumento leggero per tutti coloro che sono interessati a ridare voce, ruolo e progetto alla sinistra italiana, avviando adesioni larghe e plurali.
Fin da ora si formino nei territori comitati promotori provvisori, aperti a tutti coloro che sono interessati al processo costituente , con il compito di partecipare alla realizzazione, sabato 13 dicembre, di una assemblea nazionale. Punto di partenza di un processo da sottoporre a gennaio a una consultazione di massa attorno a una carta d’intenti, un nome, un simbolo, regole condivise. Proponiamo di arrivare all'assemblea del 13 dicembre attraverso un calendario di iniziative che ci veda impegnati, già da novembre, a costruire un appuntamento nazionale sulla scuola e campagne sui temi del lavoro e dei diritti negati, dell’ambiente e contro il nucleare civile e militare e per lo sviluppo delle energie rinnovabili.
Sappiamo bene che non sarà un percorso semplice né breve, che richiederà tempo, quel tempo che è il luogo vero dove si sviluppa la ricerca di altri linguaggi, la produzione di nuova cultura politica, la formazione di nuove classi dirigenti. Una sinistra che sia forza autonoma – sul piano culturale, politico, organizzativo – non può prescindere da ciò. Ma il tempo di domani è già qui ed è oggi che dobbiamo cominciare a misurarlo. Ecco perché diciamo che questo nostro incontro segna, per noi che vi abbiamo preso parte, la comune volontà di un’assunzione individuale e collettiva di responsabilità. La responsabilità di partecipare a un percorso che finalmente prende avvio e di voler contribuire ad estenderlo nelle diverse realtà del territorio, di sottoporlo ad una verifica larga, di svilupparlo lavorando sui temi più sensibili che riguardano tanta parte della popolazione e ai quali legare un progetto politico della sinistra italiana, a cominciare dalla pace, dall’equità sociale e dal lavoro, dai diritti e dall’ambiente alla laicità.
Noi ci impegniamo oggi in questo cammino. A costruirlo nel tempo che sarà richiesto. A cominciare ora.

Roma, 7 novembre 2008


Primi firmatari:

Mario Agostinelli, Vincenzo Aita, Ritanna Armeni, Alberto Asor Rosa, Angela Azzaro, Fulvia Bandoli, Katia Belillo, Giovanni Berlinguer, Piero Bevilacqua, Jean Bilongo, Maria Luisa Boccia, Luca Bonaccorsi, Sergio Brenna, Luisa Calimani, Antonio Cantaro, Luciana Castellina, Giusto Catania, Paolo Cento, Giuseppe Chiarante, Raffaella Chiodo, Marcello Cini, Lisa Clark, Maria Rosa Cutrufelli, Pippo Delbono, Vezio De Lucia, Paolo De Nardis, Loredana De Petris, Elettra Deiana, Carlo De Sanctis, Arturo Di Corinto, Titti Di Salvo, Daniele Farina, Claudio Fava, Carlo Flamigni, Enrico Fontana, Marco Fumagalli, Luciano Gallino, Giuliano Giuliani, Umberto Guidoni, Leo Gullotta, Margherita Hack, Paolo Hutter, Francesco Indovina, Rosa Jijon, Francesca Koch, Wilma Labate, Simonetta Lombardo, Francesco Martone, Graziella Mascia, Gianni Mattioli, Danielle Mazzonis, Gennaro Migliore, Adalberto Minucci, Filippo Miraglia, Marco Montemagni, Serafino Murri, Roberto Musacchio, Pasqualina Napoletano, Diego Novelli, Alberto Olivetti, Moni Ovadia, Italo Palumbo, Giorgio Parisi, Luca Pettini, Elisabetta Piccolotti, Paolo Pietrangeli, Fernando Pignataro, Bianca Pomeranzi, Alessandro Portelli, Alì Rashid, Luca Robotti, Massimo Roccella, Stefano Ruffo, Mario Sai, Simonetta Salacone, Massimo L. Salvadori, Edoardo Salzano, Bia Sarasini, Scipione Semeraro, Patrizia Sentinelli, Massimo Serafini, Tore Serra, Giuliana Sgrena, Aldo Tortorella, Gabriele Trama, Mario Tronti, Nichi Vendola

mercoledì 5 novembre 2008

Il South Centre e le proposte di riforma delle istituzioni finanziarie internazionali

Il South Centre, think-tank internazionale che esprime le posizioni politiche dei G77, ha di recente pubblicato un comunicato nel quale delinea una serie di misure da intraprendere per costruire una Bretton Woods II efficace, efficiente e rappresentativa.
La prima: inclusività. Il dibattito non può essere relegato a consessi ristretti come i G8 o g20 ma deve svolgersi nell'ambito delle Nazioni Unite, facendo tesoro del processo che si innescherà all'indomani della Conferenza di Doha su Finanza per lo Sviluppo del novembre prossimo.
La seconda: intervenire per regolamentare la finanza globale attraverso meccanismi di supervisione e regolamentazione
La terza: un rilancio del Fondo Monetario Internazionale che dovrà recuperare la sua mission originaria creando sulla base dei Diritti Speciali di Prelievo una valuta globale di riserva. L'FMI poi dovrà essere il centro del coordinamento delle politiche finanziarie globali essendo maggiormente rappresentativo rispetto al G7. L'FMI dovrà poi essere in grado di esborsare rapidamente fondi di emergenza senza condizionalità rigide per mitigare squilibri nella bilancia dei pagamenti con l'estero o rapidi deflussi di capitali.
La quarta: un pacchetto di politiche macroeconomiche globali finanziato da un aumento dell'aiuto pubblico allo sviluppo
la quinta: una corte internazionale di arbitrato sul debito estero
La sesta: un rafforzamento del ruolo delle istituzioni finanziarie regionali, quali la Iniziativa di Chiang Mai o il Fondo di Riserva Latinoamericano, con il coordinamento del FMI.

Per il testo integrale www.southcentre.org

lunedì 3 novembre 2008

Ancora materiali sulla crisi finanziaria e sulle possibili soluzioni

Per una visione d'insieme della crisi finanziaria, le sue conseguenze e le possibili soluzioni vi consiglio di consultare il sito www.globalissues.org

Il Brettonwoodsproject inglese ha di recente postato in rete i materiali prodotti e le relazioni degli ospiti di un seminario organizzato da varie organizzazioni nongovernative inglesi sempre sul tema della riforma delle istituzioni finanziarie internazionali. www.brettonwoodsproject.org



Buona lettura