mercoledì 18 dicembre 2013

Basta CIE, indaghi il Parlamento


Leggere le storie, i racconti, farsi prendere dalla passione civile che traspare nelle pagine di "Bambini proibiti", libro che racconta la triste storia di alcuni dei 140mila bambini e bambine - per lo più italiani e portoghesi - costretti a vivere nella totale clandestinità in Svizzera, i "versteckte Kinder". Sentire l'emozione prenderti quando leggi di mesi e mesi passati nascosti come topi in una stanza, in silenzio, nel terrore di essere scoperti dalla polizia e rispediti a casa. L'assurdità di una legge, quella degli stagionali, che rende estremamente difficile il ricongiungimento familiare, ancor oggi. 

Ci sono voluti anni ed anni prima che in Svizzera si prendesse consapevolezza del livello di diniego dei diritti più elementari dei "versteckte Kinder" e delle loro famiglie; da quello all'educazione a quello alla socialità, alla salute, al semplice diritto di giocare per strada con altri coetanei. E poi ricordo le parole di Marina Frigerio, l'autrice in occasione del nostro Congresso di SEL Europa. Lei migrante, attivista, che ha lavorato anni ed anni per assistere quei bambini e bambine e le loro famiglie. Ci esorta a fare di più, ad impegnarci ancora di più per i diritti dei migranti e delle loro famiglie. Sono assai orgoglioso di sapere che Marina sarà una delegata di SEL Europa al nostro Congresso, assieme ad altre persone validissime. 

Di fronte alle immagini crude e nauseanti provenienti da Lampedusa, ai racconti di terrore, silenzio e paura dei migranti che ancor lì dentro vivono ammassati in piccole stanze (già ammassati come le famiglie dei "versteckte Kinder" ) credo si debba insistere ancor di più nelle nostre richieste. In Europa, per una revisione radicale del programma Frontex, abbandonando l'approccio securitario verso un sistema di salvataggio in mare e tutela dei diritti e della sicurezza umana di chi migra, insomma una sorta di corridoio umanitario "comunitario". E per un impegno di SEL per coalizzare i partiti europei delle sinistre progressiste ed ambientaliste per chiedere la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dei Lavoratori Migranti e delle loro Famiglie. In Italia per abolire la Bossi-Fini, chiudere immediatamente tutti i CIE ed i CARA in condizioni più critiche. 

C'è poco da sperare da questo governo delle alchimie bipartizan. Allora la parola passi al Parlamento, affinché istituisca una commissione d'inchiesta parlamentare sul sistema dei CIE ed i CARA per identificare ruoli, responsabilità connivenze, omissioni, violazioni dei diritti insiti nel sistema. E non solo. C'è da indagare sulle spese e sull'uso dei fondi pubblici andati nelle mani di gestori senza scrupoli dei CIE e dei CARA. Un sistema per far cassa ed arricchire cooperative e enti cosiddetti "misericordiosi" questa è la altrettanto triste realtà. Da sempre. Chiudiamo una volta per tutte questi luoghi di negazione dei diritti e della dignità umana, creiamo modalità di accoglienza e gestione dei flussi migratori che mettano al centro la dignità delle persone, i loro diritti, una volta per tutte.

martedì 10 dicembre 2013

La conquista dei diritti umani non è un pranzo di gala



Oggi è la giornata mondiale delle Nazioni Unite per i diritti umani. Al di là della ritualità dell'evento
è un richiamo alla responsabilità dei governi e della cosiddetta comunità internazionale affinché si impegnino al rispetto ad alla promozione degli stessi. Un percorso accidentato, tutt'affatto scontato.

Ci sono governi che la storia ci ha insegnato a definire “dittature” ormai se ne contano sulla punta delle dita, che dei diritti umani fanno carta straccia. Un pretesto del sistema occidentale per interferire nei nostri affari, dicono. 

Altri che hanno oggi una parvenza di democrazia, formale piuttosto che sostanziale, che non esitano ad incarcerare dissidenti, Pussy Riot o attivisti di Greenpeace o a chiudere d'autorità un'organizzazione ambientalista colpevole di opporsi ai progetti di estrazione petrolifera nell'Amazzonia ecuadoriana. 

Altri che cingono intere popolazioni civili nella morsa di un muro di cemento negandone quotidianamente la dignità di popolo, il popolo palestinese. 

In altri paesi in nome della tutela dei diritti umani delle popolazioni non si è esitato ad intervenire con modalità che - senza soluzione di continuità - stanno arrecando ulteriori violazioni dei diritti umani delle popolazioni civili, si guardi il caso dell'Irak, dell'Afghanistan o quello della Libia. 

In altri, seppur membri dell'Unione Europea quali l'Ungheria, si assiste ad una pericolosissima deriva autoritaria, alla quale gli strumenti di persuasione (la cosiddetta “moral suasion”) dell'Europa stanno apparentemente ponendo qualche rimedio. Altri che continuano ad uccidere propri cittadini e cittadine in nome della giustizia o di una superiorità religiosa.

Diritti umani e nuda vita, direbbe Giorgio Agamben. Una vita che viene denudata dall'oppressione, dall'arroganza dei potenti, dal privilegio, dall'autoritarismo, dal pregiudizio. 

Una vita che oggi viene spogliata pezzo per pezzo dall'insostenibile peso dell'austerità. Non a caso lo scorso anno il Consiglio ONU sui Diritti Umani trattò il tema del debito e dei diritti umani giungendo alla conclusione che se il pagamento del debito o i programmi di austerità portano alla contrazione o violazione dei diritti umani (sia inteso, non soo quelli politici, ma anche quelli economici, sociali, cultural, ambientali ) allora quel debito andrà rinegoziato. A futura memoria quando tra 21 giorni, tre settimane, entrerà in vigore in Italia la “golden rule” la regola del pareggio di bilancio che una maggioranza bipartizan ha voluto inserire in Costituzione.

Diritti che vengono violati quotidianamente nel nascosto di una famiglia, femminicidio e crociate contro il diritto di esprimere la propria sessualità. Oltreconfine come a casa nostra. 

Diritti che vengono violati al largo del Mediterraneo, ormai blindato a doppia mandata, o in un campo Rom della periferia estrema della capitale. Nell'espulsione di due donne kazake in nome della ragion di stato o forse d'impresa. Nel diniego del diritto alla casa o alla salute, o ad un ambiente sano. 

Ecco cosa ci deve dire questa giornata: ci deve ricordare ancora una volta che i diritti umani devono essere il cardine del nostro impegno politico, ma non solo. Che necessitano non di declamazioni formali o di circostanza ma di determinazione nel ricostruire le nostre categorie di analisi ed interpretazione e gli strumenti e proposte politiche che ne devono derivare. Ed al di là della teoria, la storia ci insegna, da Nelson Mandela a Rosa Parks, che i diritti umani si conquistano, e quella conquista non è certo un pranzo di gala.  

giovedì 5 dicembre 2013

Riforma della cooperazione: molte ombre, pochissima luce nella proposta del governo



E' circolata nei giorni scorsi sulla stampa una bozza, a quanto pare definitiva, dell'atteso disegno di legge di iniziativa governativa per la riforma della cooperazione allo sviluppo. La notizia ha subito suscitato polemiche relative al rischio che la proposta Agenzia diventi l'ennesimo "carrozzone" di tecnocrati. Va invece sottolineato che - come in altri paesi europei - l'Agenzia può essere uno strumento importante di attuazione. Alcune condizioni però dovranno essere rispettate. 

La prima è che l'Agenzia sia veramente autonoma rispetto al Ministero degli Esteri ed abbia un'effettiva presenza territoriale. La seconda è che la stessa indirizzi le proprie attività su criteri di massima trasparenza, partecipazione ed efficacia, in linea con i migliori standard internazionali in materia. La terza è che si preveda una sorta di controllo “democratico” sulle proprie attività e gestione delle risorse. sia attraverso il Parlamento, che con altre modalità di monitoraggio che non comportino ulteriori costi, ma permettano una partecipazione diretta della società civile . 

In realtà, la proposta del governo genera altre serie preoccupazioni. Alcune sono state già ben riassunte nelle prime preoccupate reazioni di esponenti delle organizzazioni nongovernative, quali la "scomparsa" della figura del volontario, l'eccessiva enfasi sul ruolo del settore privato, delle banche e del partenariato pubblico privato, e l'assenza del Fondo Unico. Quest'ultima è certamente una concessione al Ministero dell'Economia e delle Finanze, da sempre restìo a cedere il controllo dei fondi di sviluppo da lei gestiti ed amministrati (Banche multilaterali, Fondi Europei). 

E' però il punto centrale, il vero corno della questione, che non viene risolto: la cooperazione resta infatti saldamente nelle mani della Farnesina e delle “feluche”. Al di là dell'annosa discussione sulla “figura” di governo, ossia se si debba prevedere la figura di un Ministro (cosa che noi di Sinistra Ecologia Libertà chiediamo) o di un viceministro della cooperazione, il punto chiave è che nelle intenzioni del governo la cooperazione dovrà essere non solo parte integrante, ma strumento di politica estera. Se poi questa è principalmente politica di marketing o promozione commerciale, il gioco è fatto. 

Ancora, come ci illustra chiaramente l'andamento del negoziato di Bali sul WTO ed il cibo, che senso ha investire in fondi di aiuto per la lotta alla fame se poi non si prendono posizioni coerenti in ambiti di grande rilevanza per il diritto al cibo ed alla sovranità alimentare quali il WTO? Eppure sul tema cardine della coerenza delle politiche c'è un breve e fugace passaggio di un paio di righe. 

Ultimo punto di criticità riguarda le buone pratiche, le modalità alternative di fare cooperazione, i soggetti. La proposta del governo dà grande risalto ai soggetti di lucro, e privati, e poche righe al ruolo delle piccole associazioni, cooperative, finanza etica, microcredito. A quegli attori della cooperazione che tentano di di creare relazioni tra territori, e che ragionano principalmente in termini di condivisione di saperi e strumenti di lavoro. Né ad esempio si riconoscono come soggetti di cooperazione e solidarietà internazionale esperienze come i corpi civili di pace o coloro che fanno prevenzione nonviolenta dei conflitti. 

Insomma, la filosofia di fondo e l'assetto istituzionale che si evincono nella proposta del governo risultano essere drammaticamente inadeguati rispetto al livello di dibattito internazionale sul'efficacia e le modalità innovative di cooperazione, che troverà il suo punto massimo nel 2015 alla Conferenza ONU sul “Post-Obiettivi di Sviluppo del Millennio”. 

Viene così ignorato il patrimonio di decenni di lavoro ed impegno di quelle realtà della società civile italiana che hanno sperimentato la cooperazione dal “basso” in America Latina, come in Africa o Asia. Un lavoro improntato anzitutto sulla costruzione di relazioni paritarie e di condivisione, e solo in un secondo tempo alla fase di “progettualità”. Realtà che praticano un approccio che parte dal riconoscimento della centralità dei diritti fondamentali e la tutela dell'ambiente piuttosto che della mera logica assistenzialista e caritatevole. 

Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino ci sarà, come già temevamo,  poco da stare allegri.  

lunedì 2 dicembre 2013

Israele rispetti il diritto internazionale ed i diritti umani del popolo palestinese



Si tiene oggi a Roma il vertice bilaterale tra Italia ed Israele nel quale verranno trattati vari argomenti relativi alle relazioni tra i due stati, tra tutti lo stato dell'arte degli accordi di cooperazione nel settore della difesa. Sullo sfondo le difficoltà nelle quali si imbatte ormai da mesi il tentativo di negoziato internazionale promosso dal Segretario di Stato statunitense John Kerry. Sinistra Ecologia Libertà fa proprie le ragioni di chi oggi chiede al governo italiano di prendere una posizione netta e di condanna delle scelte del governo Netanyahu in sostegno a programmi di insediamento di coloni o di reinsediamento forzato che violano il diritto internazionale, quali ad esempio il piano Prawer per il reinsediamento dei beduini palestinesi nel deserto del Negev. Chiediamo al governo italiano di assumere una posizione chiara sul ripristino della legalità internazionale e l'attuazione delle raccomandazioni e decisioni prese dall'Unione Europea, ad esempio riguardo il commercio di prodotti provenienti dalle colonie. L'Italia finora ha assunto una posizione di retroguardia rispetto ad altri paesi europei, quali la Danimarca e l'Inghilterra, per quanto riguarda l'impegno a etichettare, e quindi permettere una scelta del consumatore, i prodotti provenienti dalle colonie E non solo, Secondo quanto denunciano le organizzazioni per i diritti umani, l'Italia ha sempre bloccato a livello di Unione Europea ogni tentativo di fissare impegni certi sul rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale da parte di Israele. Questa rotta va invertita subito. Sia a livello bilaterale, che in occasione della presidenza del semestre europeo della seconda metà del 2014, l'Italia dovrà farsi portatrice di un'iniziativa volta condizionare ogni forma di collaborazione con Israele al rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, partendo dal blocco degli insediamenti e la rimozione del blocco su Gaza. Invitando al contempo l'Autorità Nazionale Palestinese a ratificare quando prima le convenzioni internazionali sui diritti umani. Crediamo sia poi urgente porre al centro dell'agenda la non più rinviabile revisione degli accordi di cooperazione nel settore militare e della difesa, che contemplano non solo la possibilità di produrre congiuntamente sistemi d'arma,  ma anche di effettuare esercitazioni e manovre militari congiunte. Crediamo sia doveroso porre al centro dell'incontro la richiesta di liberazione dei prigionieri politici palestinesi, tra cui Marwan Barghouti, da anni incarcerati contraddicendo le più elementari norme e standard del diritto internazionale. Sinistra Ecologia Libertà ha aderito per questa ragione  alla campagna globale per la liberazione di Marwan Barghouti e dei prigionieri palestinesi. Chiediamo altresì che il governo italiano sostenga le richieste delle organizzazioni per i diritti umani palestinesi ed israeliane affinché venga messa fine al sistema di impunità del quale si avvantaggiano le forze armate e di sicurezza israeliane assicurando alle vittime palestinesi l'accesso alla giustizia. La Palestina deve tornare al centro delle priorità della politica internazionale, giacché solo attraverso  la giustizia ed il rispetto del diritto internazionale sarà possibile ricostruire le premesse per un futuro di pace e sicurezza per i due stati di Israele e Palestina, ed un futuro di pace per tutta la regione. 

Francesco Martone, Elettra Deiana