mercoledì 1 agosto 2012

Il Joint NUCLEARE




FRANCESCO MARTONE *

Il Manifesto, 1 agosto 2012


Tra i tanti motivi validi per opporsi all'acquisto dei nuovi caccia F35 «Joint strike fighter», ce n'è uno di cui si è parlato poco o niente: la possibilità che possano essere equipaggiati con ordigni atomici di ultima generazione. Una scelta politica



Molto si è discusso negli ultimi mesi in Italia sul programma per la produzione e l'acquisizione del supercaccia bombardiere F35 Joint Strike Fighter. Da una parte se ne sono magnificate le ricadute in termini occupazionali, fornendo dati incompleti e fuorvianti, e dall'altra evidenziati gli alti ed imprevedibili costi, in uno scenario di tagli diffusi sula spesa sociale. Incongruenze portate alla luce con grande accuratezza dalla campagna “Taglia le Ali alle armi”, ( confermate da un recentissimo dossier della Corte dei Conti americana – il General Accounting Office, del giugno 2012 “DOD actions needed to further enhance restructuring an address affordability risks” ) alla quale è seguita una stizzosa presa di posizione del ministro Di Paola, che ad oggi non ha ancora accettato un confronto diretto con le organizzazioni pacifiste. 

C'è un altro aspetto relativo al programma F35 rimasto finora al margine del dibattito, e che in realtà sottende ad una serie di scelte politiche e strategiche le cui conseguenze potrebbero essere assai gravi sulle prospettive di disarmo nucleare e sugli impegni presi al riguardo dalla comunità internazionale. La questione riguarda la possibilità che alcuni degli F35A che verranno acquisiti dall'Italia potranno essere attrezzati per il trasporto e lo sganciamento di ordigni nucleari di ultima generazione, contribuendo così ad aumentare notevolmente la capacità offensiva della NATO verso la Russia. 

A maggio di quest'anno è stata confermata pubblicamente l'intenzione della NATO di rimpiazzare le vecchie bombe atomiche tattiche a caduta libera B61 con bombe guidate di precisione ed a potenza variabile B61-12. Inizialmente i costi erano stimati intorno a 4 miliardi di dollari passati poi a oltre 5, e più di recente a 10, la maggior parte dei quali verrebbero spesi per l”upgrade” delle bombe presenti in Europa. Questa notizia va letta in correlazione ad altre, per meglio comprenderne la portata rispetto agli assetti strategici prossimi futuri sia a livello continentale, che di Alleanza Atlantica, e per le ricadute possibili sulle politiche di disarmo nucleare. E per le responsabilità che ne potrebbero derivare per l'Italia. 

Procediamo con ordine. Anzitutto perché ci sono armi atomiche in Europa e nelle basi delle aeronautiche militari di paesi alleati, quali l'Italia? Il tema, già affrontato in passato anche sul Manifesto, riguarda gli accordi di condivisione nucleare (“Nuclear Sharing agreements”) in ambito NATO, prodotti del periodo della guerra fredda, quando la deterrenza nucleare era fondata sulla minaccia di distruzione reciproca. Questi accordi, ancora in vigore, prevedono una serie di impegni sulla condivisione di strutture ed infrastrutture (nel nostro italiano, oltre alla base Usaf di Aviano, le bombe sono a Ghedi, presso la base del 6o stormo dell'Aeronautica Militare). Oltre allo stoccaggio delle bombe (che restano sotto il controllo di Washington) va aggiunta la necessità di addestrare anche i piloti italiani all'uso possibile dell'arma nucleare, e la partecipazione dell'Italia alle riunioni del Nuclear Planning Committee della NATO. 

 Le circa 150-200 B61 ancora stoccate in Europa (60-70 tra Aviano e Ghedi), in Germania (Buchel), Turchia (Incirlik), Belgio (Kleine Brogel), Olanda (Volkel) da molti anni venivano considerate un “relitto” della guerra fredda, vecchi arnesi lasciati nei caveau corazzati più che altro come simbolo dell'impegno europeo nei confronti dell'alleato di Washington, quello che in gergo si dice “transatlantic bargain”. Gli esperti di armamenti consideravano poi che i tempi necessari per la configurazione ed eventuale uso degli ordigni fossero sufficientemente lunghi da renderne improbabile l'utilizzo a scopi militari . I piloti italiani continuano però ad addestrarsi per l'uso delle bombe atomiche: nel maggio 2010 si è tenuta ad Aviano l'esercitazione congiunta Steadfast Noon, ripetuta nel 2011 a Volkel in Olanda, mentre quest'anno la Steadfast Noon si terrà dal 15 al 26 ottobre presso la base di Buchel in Germania, e prevederà esercitazioni di carico, scarico ed utilizzo delle B61. Sarebbero due i poligoni nel nostro paese nei quali i piloti si addestrano al bombardamento: Capo Frasca in provincia di Oristano e Maniago II in provincia di Pordenone. 

 Insomma sulla scia del discorso di Barak Obama del 5 aprile 2009 di Praga sul disarmo nucleare e le prese di posizione di alcuni paesi alleati europei sulla revisione degli accordi di “nuclear-sharing” (tra cui la Germania) sembrava si potesse aprire la strada verso una definitiva ridiscussione dell'opzione nucleare, e fare un passo in avanti verso il disarmo e l'abolizione, o quanto meno il ritiro delle armi nucleari tattiche in Europa. Così non è stato. La “NATO defense and deterrence posture review”(DDPR) approvata in sordina a Chicago di fatto mantiene lo “status quo” nucleare in Europa, senza porre quesiti circa lo scopo delle armi nucleari e l'impatto sulle strategie di difesa antimissile, né affronta le implicazioni della decisione della NATO di equiparare all'obiettivo della difesa collettiva quelli della gestione delle crisi e della sicurezza cooperativa. Uno “status quo” che in un editoriale pubblicato sul New York Times il 13 aprile scorso l'ex Cancelliere tedesco Helmut Schmidt e l'ex-senatore USA Sam Nunn (Presidente della Nuclear Threat Initiative) definiscono “assai costoso” ed “un rischio inaccettabile” 

 Inoltre, il DDPR inquadra la Russia come un possibile nemico, proprio mentre si stava tentando di riallacciare il negoziato sul disarmo. Viene inoltre esclusa la possibilità di un abbandono unilaterale del contingente di bombe nucleari tattiche in Europa, condizionandola alla disponibilità della Russia di adottare misure reciproche, cosa che Mosca esclude a priori. Anzi, visto lo squilibrio di forze (le spese militari di tutti i paesi dell'Alleanza nel 2010 erano 20 volte superiori a quelle russe) Mosca troverebbe un ulteriore pretesto per ammodernare i suoi arsenali nucleari tattici. Gli spazi per un negoziato con la Russia, già compromessi dallo scudo antimissile rischiano così di chiudersi in un vicolo cieco, con ambedue le parti intrappolate in una relazione fondata sulla deterrenza e la minaccia di uso dell'arma nucleare, proprio come ai tempi della guerra fredda. 

 Così facendo la NATO contraddice le posizioni di molti membri dell'Alleanza ed anche sé stessa, visto che nascondendosi dietro la riaffermazione dello “status-quo” da una parte ribadisce l'impegno per la non-proliferazione e dall'altra prosegue nella direzione della deterrenza. In questo contesto rientra la partita doppia della riconfigurazione delle B61 e del ruolo futuro degli F35. I cacciabombardieri cosiddetti”dual use” ossia a doppia capacità convenzionale e nucleare ( a Ghedi i Tornado) si stanno infatti avvicinando alla fine della loro vita operativa, e questo comporterà una serie di decisioni in termini di avvicendamento con velivoli di eguale configurazione. Nel nostro caso gli F35A che dovrebbero quindi essere dotati di capacità di utilizzo di bombe atomiche. Non però le vecchie B61, il cui sistema di puntamento era di tipo analogico, ma le nuove B61-12 con puntamento digitale compatibile con i sistemi elettronici dell F35A. 

 Una partita che secondo quanto affermato nel briefing “Escalation by default”, pubblicato nel maggio scorso dall' European Leadership Network inglese, testimonierebbe nei fatti una netta inversione di tendenza nella strategia nei confronti della Russia. Da una parte le caratteristiche proprie dell'F35, cacciabombardiere “stealth”, ovvero capace di sfuggire ai radar nemici e quindi di penetrare a fondo nelle linee di difesa nemiche, (ed arrivare fino alla Russia con rifornimento in volo), e dall'altra la capacità di sganciare le nuove testate con grande precisione e potenza variabile costituirebbero una combinazione offensiva tale da pregiudicare ogni possibilità di futuro smantellamento degli arsenali nucleari tattici in Europa. 

Inoltre in futuro sarà molto difficile classificare come tattico un sistema d'arma nucleare che in termini operativi equivale ad una bomba nucleare strategica. Non a caso la stessa B61-12 verrebbe installata sia sugli F35 che sui bombardieri strategici a lungo raggio B1 con simile configurazione e possibilità d'utilizzo. Ciò precluderà la possibilità per i paesi NATO di svolgere un ruolo chiave nel negoziato sulla non-proliferazione nucleare, nell'ambito del Trattato sulla non-proliferazione nucleare (NPT), visto che non solo l'Alleanza appare intenzionata, (come risulta evidente dal DDPR) a mantenere gli accordi di condivisione nucleare, ma addirittura starebbe operando per un rafforzamento della capacità di offesa con armi nucleari. 

 Questo a prescindere dalla posizione espressa da molti paesi membri dell'Alleanza ed in mozioni parlamentari adottate in vari paesi europei, ed anche dalla Camera e dal Senato italiano. L'ultima, bipartizan, votata in vista del vertice di Chicago, riaffermava l'impegno del governo italiano ad adoperarsi per la riduzione delle armi tattiche in Europa, nel quadro di un processo condiviso con gli altri paesi membri, proponendo un calendario di cinque anni entro i quali tutte le armi nucleari tattiche americane verrebbero ritirate dalle basi europee. 

 Va sottolineato che altri paesi della NATO hanno preso l'iniziativa senza necessariamente farlo in in maniera consensuale con gli altri alleati. Come spiega bene un dossier di Pax Christi olandese pubblicato nel marzo scorso, non sarebbe necessario un consenso a livello NATO per procedere allo smantellamento degli arsenali nucleari tattici, essendo questo oggetto di negoziati bilaterali tra la NATO ed il paese ospite, i cosiddetti “Status of Force Agreements”. Così è stato a suo tempo per la Grecia, quando dieci anni fa si trovò di fronte alla necessità di scegliere se acquistare nuovi caccia mombardieri a capacità nucleare F16 in sostituzione dei vecchi Corsair. Il governo decise di non comprare F16 a capacità nucleare e negoziò pertanto con Washingon il ritiro delle armi nucleari tattiche. O con l'Inghilterra che decise di non ospitarle più nella base di Lakenheath. In Germania il governo ha già deciso di sostituire entro il 2020 i Tornado a capacità nucleare con Eurofighter che non disporranno della tecnologia appropriata per sganciare le nuove B61-12. E se anche lo volesse, il Bundestag non lo autorizzerebbe. Belgio ed Olanda hanno più volte sottolineato pubblicamente la loro intenzione di non voler più ospitare bombe atomiche tattiche sul loro territorio, e probabilmente di non sostituire i propri aerei “dual use” con velivoli con le stesse caratteristiche. 

E l'Italia? Pubblicamente l'Italia non ha mai preso posizione sul tema. Tuttavia secondo quanto affermato in un dossier del Carnegie Endowment for International Peace, (“Looking beyond the Chicago Summit- Nuclear weapons in Europe and the future of NATO, Aprile 2012”) , “L'Italia è considerata il paese membro della NATO che con più probabilità prenderebbe una posizione conservatrice sul tema delle armi nucleari e quindi più incline a considerare di dotare almeno alcuni dei suoi F35 di capacità nucleare”. In realtà il ruolo dell'Italia potrebbe diventare cruciale per il futuro dell'arsenale nucleare tattico NATO. Qualora Germania, Belgio ed Olanda dovessero a catena rinunciare agli accordi di “nuclear sharing” resterebbero solo l'Italia e la Turchia a prendersene carico, e la Turchia non dispone di aerei a capacità nucleare né ha intenzione di farlo. Ergo, l'unico paese europeo membro della NATO con bombe atomiche e aerei a capacità nucleare restebbe l'Italia. Insomma, una responsabilità politica di enorme portata, che non deriverebbe però da un obbligo giustificato dal fatto di essere membro dell'Alleanza. Pax Christi ricorda infatti che non esiste alcuna base legale secondo la quale un paese membro della NATO si debba ritenere vincolato al consenso – peraltro inesistente al momento – degli altri paesi membri per decidere di rinegoziare la presenza delle bombe nucleari tattiche sul proprio territorio. I casi di Grecia, Germania, Inghilterra, Belgio dimostrano che serve solo la volontà politica di farlo e dirlo pubblicamente. Ministo della Difesa e Ministro degli Esteri, se ci siete battete un colpo.


(*) membro onorario del Consiglio della Rete internazionale dei Parlamentari per la Nonproliferazione ed il Disarmo Nucleare www.pnnd.org