mercoledì 26 febbraio 2014

Oltre il debito, per i diritti di cittadinanza nell'Europa che vogliamo


In un suo eccellente articolo sulla Repubblica di oggi, Barbara Spinelli racconta con l'acume e la lucidità che le sono proprie, la negazione progressiva e conclamata del diritto umano alla salute ed alla vita in Grecia (e non solo, anche in Spagna ed Italia) come conseguenza delle politiche di austerità imposte dalla Troika. E ricorda uno dei punti del programma della lista Tsipras per una Conferenza internazionale sul debito. Temi correlati: sarebbe interessante studiare la possibilità di lanciare - nel corso della campagna elettorale della lista Tsipras una raccolta firme per un ricorso collettivo alla Corte Europea dei Diritti Umani per denunciare le violazioni dei nostri diritti fondamentali, da quello alla salute a quello al lavoro in conseguenza delle politiche della Troika. E poi proporre che anche in Italia si insedi un "panel" indipendente che possa svolgere un "audit" non tanto del debito, ma della spesa pubblica. In buona parte lo fa da anni Sbilanciamoci. Sarebbe a mio parere importante - proprio nell'ottica di una rinegoziazione del debito, quale quella proposta per la Conferenza (che è anche uno dei dieci punti del programma della lista Tsipras) definire quale sia il debito illegittimo e quello illegale. E quindi quale sia la spesa pubblica illeggittima ed illegale, quale quella accumulata attraverso corruzione, fughe di capitali, collusione con le malavita organizzate, per la costruzione di grandi infrastrutture inutili, spese militari, spesa pubblica che è sfuggita al controllo democratico da parte del Parlamento e dei cittadini. E poi si deciderà cosa va pagato, cosa non va pagato e chi deve pagare e come. L'idea di una cancellazione tout court dell'indebitamento pubblico mi pare rischi di aprire la strada a quello che gli economisti mainstream chiamano "moral hazard", ossia incoraggiamento a chi ha compiuto degli atti non virtuosi a perpetuarli proprio perché sa di poter essere condonato. Quel che va detto con forza allora è che la crisi deve pagarla chi l'ha causata, non chi ne subisce le dure conseguenze. Le banche, e chi con questa crisi si è arricchito, non è un caso che proprio in conseguenza dell'austerità (che vorrei ricordare è una scelta essenzialmente politica non rispondente a razionalità economica come spiegò assai bene Paul Krugman) aumenta la povertà ed aumentano le diseguaglianze, ma se la maggior parte della popolazione si impoverisce c'è una parte che continua ad arricchirsi. Allora, credo che si possano perseguire due strade, e mi auguro che Sinistra Ecologia Libertà possa dare un suo contributo. La prima, quella della rivendicazione collettiva di un diritto umano fondamentale attraverso un ricorso collettivo alla Corte Europea di Giustizia. La seconda quella della riappropriazione collettiva dei processi di indebitamento e di formazione della spesa pubblica, attraverso un "Audit" che possa essere poi la condizione prima per un processo internazionale di arbitrato. Quando lavoravamo accanto alle vittime della crisi argentina ed ai movimenti per la cancellazione del debito estero, aveva preso piede la proposta di una procedura equa e trasparente di arbitrato o insolvenza (Fair and transparent Arbitration Procedure) alla quale potessero partecipare anche i cittadini. Un'ipotesi a mio parere ancora valida.

lunedì 24 febbraio 2014

Un cuore mediterraneo per l'AltraEuropa


Interessante e piena di spunti l'iniziativa sull'Europa ed il Mediterraneo organizzata sabato 22 febbraio a Roma da Transform! Italia e Sinistra Euromediterranea , occasione di scambio di idee, analisi e proposte per un programma politico che guardi al Mediterraneo come chiave di volta per la costruzione dell'AltraEuropa. Un'ipotesi di lavoro ed iniziativa politica che deve partire da un'analisi chiara delle simmetrie, ossia degli elementi comuni che caratterizzano la fase politica ed economica in Europa e nella sua sponda Sud, in primis la crisi della democrazia e quella provocata dal modello dominante di sviluppo. Da questa sponda del Mediterraneo la crisi della democrazia si traduce non solo in crescente sfiducia verso le istituzioni rappresentative, ma nel suo progressivo svuotamento, attraverso processi decisionali fondati sul modello intergovernativo proprio del Consiglio Europeo e costruzione di luoghi illegittimi, quali la Troika. Oltremare, l'Europa ha interpretato la democrazia come simulacro formale ma non come processo reale e sostanziale, da determinare attraverso politiche di condizionalità, ma soprattutto avallando e sostenendo regimi quali quelli di Ben Ali, Mubarak o Gheddafi, allo scopo ultimo di assicurare gli interessi delle proprie imprese e la blindatura delle frontiere dai flussi migratori. 

Oggi quella sponda è attraversata da processi diversi, da quello che in Tunisia ha portato ad una costituzione all'avanguardia, a quello che , all'indomani delle improvvise dimissioni comunicate in queste ore dal capo di governo egiziano e del suo governo, potrebbe aprire la strada della presidenza del paese al generale Al Sissi. Alla Libia, che secondo la vulgata diplomatica ufficiale si avvia a diventare un “failed state”, stato fallito. O all'Algeria e Marocco tuttora poco permeabili ala spinta partita dalle cosiddette primavere arabe. L'Europa, mentre vedeva erodere al suo interno gli spazi di democrazia reale, colpevolmente o scientemente non era in grado o non voleva cogliere la portata della crisi politica in quei paesi, sintomo ancor più evidente del fallimento del processo di Barcellona e di partenariato euromediterraneo. 

Se guardiamo poi al “volet” del modello di sviluppo, il neoliberismo e la finanziarizzazione sono facce della stessa medaglia, che in termini “euromediterranei” si è tradotta in accordi di commercio ed investimento mirati quasi esclusivamente ad aprire i mercati di manodopera a basso costo per le imprese europee in delocalizzazione, ad accedere a settori chiave, e assicurare l'accesso a fonti energetiche così necessarie per alimentare un modelo di sviluppo ad alto impatto ambientale. L'analisi delle simmetrie però non basta. Esiste uno spazio euromediterraneo non caratterizzato dalla crisi della democrazia e dall'impronta neoliberista, uno spazio immateriale, un buco nero dove democrazia e diritti scompaiono, Uno spazio dominato dallo stato di eccezione, quello incarnato da Frontex, e dalle politiche di contrasto all'immigrazione. Nessuna alternativa euromediterranea potrà essere possibile senza farci i conti. 

 É dall'identificazione di queste simmetrie e non solo che può pertanto fondarsi un'ipotesi “altra” di relazioni euromediterranee, e la costruzione di uno spazio comune dei popoli di ambo le sponde, andando oltre lo status-quo, ancora una volta riaffermato in maniera compulsiva dall'Unione Europea all'indomani delle rivolte di Tunisi e Piazza Tahrir. 

C'è chi come Giorgio Agamben teorizza un'alleanza “latina” dei paesi del Sud contro l'Europa “dura” della Germania, Chi, come Etienne Balibar da tempo vede nel Mediterraneo il luogo nel quale l'Europa può perseguire una “antistrategia”, da “puissance tranquile” fondata sui diritti e la dignità delle persone. Interessante la proposta del sociologo tedesco Klaus Leggewie (per dimostrare che la Germania non è solo grosseKoalition o Angela Merkel). Nel suo libro “Zukunft in Sueden” (“il futuro nel Sud) Leggewie propone quattro direttrici per una nuova politica mediterranea: costruzione di relazioni economiche e commerciali eque, e fondate sui diritti dei lavoratori, partenariato euromediterraneo per le energie rinnovabili e su piccola scala, costruzione di una comunità di apprendimento interculturale e di forme di cittadinanza “transnazionale”. Forse più semplicemente sarà necessario sostenere anzitutto il rilancio di processi costituenti e dal basso che possano operare una “rottura” necessaria, attraverso la riappropriazione della politica ed una revisione radicale, in senso “postcoloniale” o “decolonizzato”, delle relazioni tra i popoli, attraverso alleanze tra soggetti e gli attori politici e sociali dell'AltraEuropa e l'AltroMediterraneo che già esistono, e costruiscono alternative. 

In quest'ottica acquisterebbe senso l'ipotesi di un “audit” popolare e cittadino delle relazioni tra Unione Europea e paesi del Mediterraneo, una sorta di commissione di inchiesta dei movimenti e delle organizzazioni sociali di ambedue le sponde che faccia luce su corresponsabilità politiche, violazioni dei diritti umani, sociali, ambientali, ed economici causati dalle politiche di partenariato, commerciali, di sicurezza ed investimenti privati dell'Unione Europea nel suo Sud e nell'altra sponda del Mediterraneo. Andranno cioé ricostruiti i processi di accumulazione di debito storico, sociale, economico ed ecologico secondo i quali oggi i popoli del Sud Europa e del suo Sud andranno visti come i veri creditori. Importante al riguardo la proposta di Syriza e di Alexis Tsipras per una Conferenza internazionale sul debito in Europa: un “audit” popolare potrebbe esserne parte integrante. Il fatto che il prossimo Forum Sociale Mondiale si terrà nuovamente nel marzo 2015 a Tunisi offre un'importante occasione. 

Sul riconoscimento del debito sociale, economico e storico accumulato dall'Europa nei confronti dei popoli mediterranei può anche svolgersi una proposta politica per l'AltraEuropa, intorno alla lista “Per un'AltraEuropa con Tsipras” . A questo possono aggiungersi altre due proposte, quella di una Conferenza Euromediterranea, sorta di una “conferenza di Helsinki” per il Mediterraneo, e la “mediterraneizzazione” delle proposte di trasformazione radicale delle politiche europee. Ad esempio come far si che il Green New Deal che proponiamo per l'Europa possa avere un ambito anche nel Mediterraneo? Come far si che gli eurobond che vogliamo siano emessi dalla Banca Centrale Europea possano servire anche a finanziare programmi transnazionali e macroregionali di altraeconomia? Come destrutturare l'approccio securitario di Frontex e proporre invece politiche centrate sui diritti dei migranti e la sicurezza umana, attraverso ad esempio l'apertura di canali umanitari e la tutela dell'incolumità fisica e la sopravvivenza di chi migra? 

Audit “popolare”, una “Helsinki” del Mediterraneo e la “mediterraneizzazione” delle proposte per l'AltraEuropa: questi tre a mio parere possono essere alcuni dei contributi  che Sinistra Ecologia Libertà potrà condividere con gli altri soggetti che stanno lavorando alla lista “Per l'AltraEuropa con Tsipras” e nelle relazioni ed interlocuzioni con i partiti politici progressisti, ecologisti e di sinistra della regione.  

venerdì 21 febbraio 2014

Ucraina, tra Russia ed Europa

Forse per  costruire una via d'uscita "politica" e di mediazione alla tragedia ucraina , si dovrà tener conto che l'Ucraina proprio in quanto terra di "frontiera" tra Europa e Russia, in virtù della sua storia, della forte presenza di minoranze russe non può essere assimilata forzatamente e sic et simpliciter all'Unione Europea. E poi quali sono gli interessi che sono dietro quella manovra. Allora perché non pensare ad una forma "ibrida",nella quale si tenga conto della diversità culturale ed etnica dell'Ucraina, che nn può fare a meno né della Russia né dell'Europa? Ma non della Russia che è rappresentata dalla politica di potenza di Putin o dell'Europa delle lobby economiche. Ci vuole uno sforzo di creatività, quando i conflitti sono così complessi e si intrecciano al pregresso storico, agli interessi geopolitici e geostrategici, alle contraddizioni mai risolte degli stati-nazione. Allora per iniziare si sgombri il campo da estremismi, si chieda subito che le armi tacciano da una parte e dall'altra, si faccia chiarezza su chi c'è dietro le manifestazioni a Maidan (ci vuole poco a capire che ci sono forti infiltrazioni di gruppi paramilitari di destra e nazisti che sparano come sparano le forze di sicurezza governative), si portino ad un tavolo di trattativa le forze politiche "vere", da una parte e dall'altra. Si ragioni su ipotesi come quella proposta nell'articolo di Pagina99, di una "doppia partnership" che veda l'Ucraina in parte legata alla UE in parte al nascente blocco eurasiatico costruito da Mosca. Le zone di frontiera, i territori "faglia", nei quali non sono stati mai sopiti gli effetti di guerre devastanti come la Seconda guerra Mondiale, non possono esser governati secondo i criteri propri degli stati-nazione. Perché sono zone culturalmente, etnicamente, religiosamente ibride. Terre cerniera. Ed allora le soluzioni dovranno tenerne conto. E se l'Unione Europa oggi è troppo coinvolta direttamente, (o meglio Berlino) allora perché non affidare al Consiglio d'Europa la proposta di una mediazione?

Molto interessanti al riguardo gli articoli di Alfonso Gianni su Micromega e di Emanuele Felice su Pagina99 

martedì 18 febbraio 2014

Navigando nella Terra di Mezzo delle Europee



Come definire il campo che sta tra Tsipras e Schulz. Al netto di semplificazioni intorno alle due persone - e credo che buona parte del nostro discorso abbia risentito di un'eccessiva personalizzazione delle argomentazioni (o con lui o contro di lui della serie) credo che questo spazio vada costruito ex novo. é uno spazio che trascende le collocazioni politiche tradizionali, quelle dei Verdi, del PSE e del GUE. Diciamo un terzo spazio per mutuare un concetto caro alla critica culturale postcoloniale? Uno spazio che anzitutto non prevede lo scioglimento o la scomparsa dei soggetti, ma la possibilità che gli stessi possano incontrarsi intorno ad obiettivi condivisi. Uno spazio abitato e praticato da partiti politici e non solo. Uno spazio ancora informe, in nuce, dove forte è il rischio che uno dei suoi potenziali abitanti, il PSE, penda verso altri orizzonti., quelli delle larghe intese. O altri verso una sinistra identitaria o puramente di testimonianza. Di qui e non solo la scelta di sostenere in Italia una lista ispirata al Alexis Tsipras - per rafforzare uno dei pilastri di questo spazio possibile (e non intendo il GUE perchè per me alla fine dovrà valere il "solve et coagula" e perché se dovessi fare una considerazione in base alla mia storia e cultura politica dovrei optare per i Verdi Europei) Uno spazio che ha senso se serve per praticare degli obiettivi chiari in Europa: critica al fiscal compact, rilancio di un social compact e di un patto di stabilità sociale, spesa pubblica per salute, lavoro, reddito minimo garantito, green new deal e trasformazione ecologica dell'economia, giustizia fiscale e tassazione delle transazioni finanziarie, riforma della BCE perché diventi prestatore di ultima istanza ed emetta eurobond, rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo ed aumento del bilancio europeo dall'1 al 4% del PIL, smantellamento della Troika ed abbandono del sistema decisionale intergovernativo proprio del consiglio europeo e del semestre, separazione delle banche di risparmio da quelle di investimento, revisione dei Trattati o possibilmente una Costituente verso gli Stati Uniti d'Europa. Quello spazio sarà abitato da chi condivide questi punti fermi, pur restando nelle sue appartenenze. Chi deciderà di abitarlo però dovrà avere la capacità e la determinazione di mettersi in discussione, lanciare ponti, costruire relazioni e non perdere mai di vista l'obiettivo.

le vene scoperte dell'America Latina


So che quel che sto per scrivere non piacerà a molti, ma da attivista profondamente innamorato dell'America Latina, parte ormai della mia vita personale da oltre un decennio, sempre entusiasmato e sorpreso dalla capacità di quei popoli di resistere, e ricostruire percorsi di giustizia e liberazione, oggi mi interrogo. Mi interrogo sulle basi fragili degli esperimenti di Socialismo del XXI Secolo. Su un presidente Evo Morales, che annuncia la costruzione della prima centrale nucleare boliviana - come la chiamerà Pachamama? e che chiude d'autorità un'organizzazione per i diritti umani . Su un altro presidente della mia seconda patria l'Ecuador, che accusa attivisti ambientalisti e dirigenti indigeni (parte integrante dei movimenti della sinistra sociale eh, mica prezzolati della CIA) di turbare l'ordine pubblico. E insiste nella strada dell'estrattivismo e dello sfruttamento indiscriminato di risorse naturali. Di una presidente Dilma Rousseff, che non è in grado di governare il disagio sociale e la marginalizzazione crescente dei brasiliani dai processi decisionali e non solo. Ricordo le parole preoccupate di Joao Stedile incontrato qualche mese or sono. E guardando le immagini da Caracas pensando al rischio imminente di un bagno di sangue, mi chiedo perché e se non sia possibile "criticare" da sinistra quel governo, senza cadere nelle ire di chi poi leverebbe accuse di tradimento, imperialismo o asservimento agli interessi di Washington o della borghesia. Mi interrogo perché in molte di quelle rivoluzioni e quegli esperimenti in molti abbiamo creduto o forse ancora crediamo. Ma forse più che nel potere crediamo nella potenza della sinistra che non governa, ma opera dal basso. Nei prossimi anni i nodi verranno al pettine, il debito ecologico e finanziario accumulato per ripagare oggi il debito sociale mostreranno con evidenza la poca lungimiranza di chi governa. E lì dietro, proprio dietro l'angolo c'è chi non vede l'ora. La prossima settimana in Ecuador esiste la concreta prospettiva che il nuovo sindaco di Quito sia della destra. Sul fuoco delle manifestazioni di piazza a Caracas soffia la destra di Capriles. Dietro le rivolte delle megalopoli brasiliane sta accucciata la destra, aspettando di cogliere l'occasione giusta. Per questo, per il bene di quelle esperienze di liberazione dobbiamo avere il coraggio di essere critici. Come si fa per un amico che rischia di andarsi a far del male.