giovedì 19 giugno 2014

The Onion Syndrome



Se penso alle vicende del mio partito (mi viene strano definirlo "mio partito"sa di vecchio, meglio forse dire la comunità umana con la quale ho deciso per un periodo della mia vita di condividere un'esperienza politica) in questi giorni, penso ad una cipolla. Non perché la cipolla faccia piangere, ma per la sua conformazione. Strati, pellicole, bucce, che nascondono un cuore fragile, minuscolo. E provo a sfogliare quelle pellicole e quelle bucce. La prima pellicola, la più esterna, quella che mi pare così lontana dal cuore. Di chi troppo sta in prossimità del mondo esterno, al punto da seccarsi. Di chi dovrebbe racchiudere in sè l'immagine del tutto, ed invece si spella, si attorciglia, si secca. Nella relazione con il potere cade preda di una sindrome di Stoccolma. Poi c'è l'altro strato, quello spesso, che scrocchia sotto i denti, un pò aspro, quello si fa piangere. O forse peggio, è assai indigesto, resta sullo stomaco. Ma ci si fa l'abitudine, se la cipolla la tagli con il coltello imbevuto di succo di limone o la sbollenti. É lo strato delle discussioni fini a sé stesse, dei codici antichi di una sinistra che tarda a rinnovarsi per essere all'altezza dei propri compiti e delle proprie sfide. É una buccia dura da pelare, ci vuole pazienza. E' la buccia di chi urla al tradimento, di chi si chiude nelle stanze per decidere chissàcche, considera le persone “risorse”, “compagni di spessore”, “autorevoli”, o bravi compagnucci, l'ottimo compagno dirigente o la giovane compagna promettente. Che poi c'è sempre qualcuno che casca in piedi, buono per tutte le stagioni, e chi si allontana. Che incasella storie, entusiasmi, indignazione, coraggio civile in schemi su una scacchiera di relazioni di potere che incarna lo stesso potere che dovremmo sfidare. Poi c'è la buccia più tenera, quella di chi ancora ci crede, ma davvero, con il cuore più che con la mente. Con la passione più che con l'ideologia. Con innocenza più che con calcolo. Lì si piange meno, l'acido via via sparisce. Non c'è più bisogno di limone per tagliarla via. Ma è anche la più dura a spelare, attaccata com'è al cuore fragile, che nasconde una piccola piantina verde. Se dovessi pensare oggi a cosa fare, penserei a questo. A spelare via quelle bucce ormai secche o indigeste, e tornare al cuore. Tenero e fragile. Quello che ci porta ad indignarci, a stare accanto a chi soffre le ingiustizie, a scendere per strada, costruire relazioni, studiare per capire l'avversario, e decomporne, decodificarne gli schemi ed i linguaggi per poi assestare colpi micidiali. Di chi oggi si oppone, ma lo fa tutti i giorni - mica, meno male, solo in un partito! Chi si oppone alla prevaricazione, al predominio del mercato, si mette tra un migrante ed un “autoctono” che lo insulta, vive di curiosità intellettuale, si lascia dietro il pregiudizio e l'ideologia, cura la Madre Terra perché madre. Mette un piede nel partito ed uno nella società, nella carne viva. Prova ad diffondere il suo sapore. E sa distinguere le due forme di rabbia. La rabbia saggia, quella costruttiva, che dirige verso i suoi compagni di viaggio, per smuoverli e incitarli a continuare il cammino. Una rabbia saggia che costruisce, che contiene tenerezza e solidarietà. E quella micidiale, spietata. Che rivolge all'esterno, verso chi compie le ingiustizie, chi opprime, chi condanna alla precarietà, all'ecocidio, alla guerra, alla marginalità.  Ecco questo proprio non riesco a capire in queste ore, l'uso inutile della rabbia. 

lunedì 16 giugno 2014

Abu Mazen sotto scacco

E’ drammatica la notizia del rapimento di tre ragazzi israeliani nei pressi di Hebron. Si farebbe un torto però a non contestualizzare questo dramma sopratutto facendo riferimento ad Hebron. Una città sotto occupazione militare permanente, spezzata in due, una popolazione sotto scacco. Hebron è la rappresentazione visuale, e viva dell’occupazione, di una violazione permanente del diritto internazionale.
Nulla ciò toglie all’urgenza di invocare il rilascio di tre ragazzi. Ma proprio in questo contesto generale, viene da pensare. Un rapimento nei pressi di un paese, che si dice sia sede in una cellula di Hamas. Quella stessa Hamas che ha concluso con Fatah un accordo storico di riconciliazione che ha poi permesso a Abu Mazen di promuovere un governo tecnico di transizione verso nuove elezioni. Insomma il tentativo di ricostruire una sorta di unità nazionale premessa essenziale per la “viabilità” dello stato palestinese.
Decontestualizzare questi eventi, e ciò che sta succedendo oggi a Gaza ed in tutti i territori, l’attacco militare israeliano, le morti e gli arresti di massa, rischia di dare agio a chi vorrebbe raffigurare i palestinesi come terroristi, tutti indistintamente. E chi farebbe un patto con Hamas, come terrorista anche lui, da combattere e con il quale non negoziare. E’ la conseguenza logica della reazione di Nethanyahu all’accordo “storico” tra Fatah ed Hamas.
Un muro di gomma: Abu Mazen non è un interlocutore visto che non controlla tutta la Palestina. Poi quando fa l’accordo con Hamas, non è un interlocutore perché tratta con i terroristi, ergo, Abu Mazen è a capo di un’entità terrorista. Al di là di facili dietrologie o inutili teorie della cospirazione è questo il dato di fatto.

sabato 14 giugno 2014

Riders of the storm


Proviamo a fare un piccolo sforzo e guardare le cose, gli psicodrammi e le vicende dei giorni scorsi da un'altra prospettiva. Non credo ci sia alternativa. Non possiamo permetterci di essere pessimisti o autodistruttivi, punto. Altrimenti è meglio lasciar perdere. Per quanto ci riguarda, non solo come militanti o iscritti a SEL ma fondamentalmente come persone desiderose di costruire una sinistra verde e libertaria, post-ideologica e non dogmatica, di governo e non testimonianza, facciamo i conti. Forti di una quarantina di parlamentari, relazioni con movimenti vari, presenza sul territorio e tanti compagni e compagne che hanno voglia di fare politica, costruire relazioni, uscire dall'ambito angusto delle discussioni e del dibattito interno o esterno, Persone che hanno dedicato il loro tempo libero, persone che vivono e fanno politica ma non vivono di politica, a costruire SEL ed anche a mettersi in gioco per un obiettivo più ampio. Io credo che il percorso della lista Tsipras vada letto anche sotto la lente di quelle realtà, di tutti coloro che ci hanno creduto e credono nell'AltraEuropa, storie e percorsi che non vogliono farsi ingabbiare in processi costituenti di chissà cosa, né lasciarsi strumentalizzare. Di chi si è entusiasmato, sporcato le mani nel lavoro quotidiano, di raccolta firme, diffusione, confronto. E che esige giustamente un cambio di passo. Di chi magari ci ha creduto meno ma ora vuole esserci. La lista Tsipras in quanto lista ormai è cosa chiusa. Ma, per usare un'analogia, è stata un sasso lanciato in uno stagno. Alcune onde sono state anomale, altre hanno travolto come uno tsunami, altre continuano a smuovere l'acqua, lentamente, forse in maniera impercettibile, ma questo moto non è perenne. Anche queste ci stanno attraversando, lambiscono la nostra comunità, e non dobbiamo avere paura a riconoscerle ed accompagnarle. Magari farci accompagnare. Io credo che la scelta di campo per l'AltraEuropa (contro l'austerity, per l'Europa politica e federale, per un green new deal ed il reddito minimo e così via) sia ancora valida a prescindere. Forse le mappe usate finora o i mezzi non erano quelli ottimali. Ed anche certi compagni di viaggio, che lasceremo andare per la loro strada. Non lasciamoci però prendere dall'attacco viscerale ad personam. Perché il punto è politico ed anche per stile e decenza giacché la nonviolenza si pratica anche così per quanto mi riguarda. La signora Barbara Spinelli spero continui a scrivere articoli illuminanti, che ho sempre apprezzato e continuerò ad apprezzare - per il resto sarà un problema della sua coscienza e di chi l'ha spinta verso la sua decisione. E che si assumerà la responsabilità delle conseguenze politiche.che ne deriveranno. Resta il fatto che un posto al Parlamento Europeo è una responsabilità politica e pubblica, e mi auguro che lei, come ogni eletto o eletta, la sappia onorare, visto che i prossimi anni saranno decisivi per le soRIdersrti dell'Europa. Senza nulla condonare ai modi da lei scelti, che ritengo inaccettabili, calati dall'alto, irrispettosi delle storie personali e politiche di chi ha deciso di praticare la stessa sfida. Allora, al netto di tutto ciò, risparmiamoci – anche dentro SEL - l'ennesima sfida (o minaccia) all'OK Corral, resa dei conti o conta dei fedeli e dei traditori, per cortesia, Davvero. SEL resta, ma non puo esserlo così com'è. Dovremmo rivedere un pò di cose, o forse molte di più, attrezzarci meglio, fare un balzo in avanti. Concederci una cura ricostituente piuttosto che annegare in una costituente verso il nulla. Adottare finalmente pratiche differenti, aperte, trasparenti, proporre campagne mirate, processi aggregativi, mollare sti ormeggi una volta per tutte. E magari saranno proprio le nostre nuove pratiche ad essere costituenti, di un percorso diverso, costruito assieme alle istanze provenienti dal basso e non dall'alto di un consesso ristretto di "garanti" o approcci da relegare al secolo scorso. Allora quello che vorrei vedere è un impegno collettivo a rilanciare l'iniziativa politica. Come? Proponendo ad esempio due campagne di respiro europeo, una sul reddito minimo ( o perché no riprendendo la proposta di legge sul Green New Deal presentata alla Camera, non dico sul TTIP perché una campagna già c'è e dovremmo fare uno sforzo maggiore per sostenerla) e l'altra di contrasto all'austerity. E condividerle con quel mondo che si è animato intorno all'esperienza della lista Tsipras – e non solo, che là fuori c'è molto di più di quel che si può pensare - offrendo ad esempio sponda attraverso i nostri parlamentari. Secondo: proporre - lasciando libertà di scelta - ai circoli, e organismi locali e territoriali di SEL di aderire e partecipare – qualora gli stessi ritengano ci siano le condizioni - ai circoli locali o quel che sarà dei comitati promotori della lista, da intendere non come un ipotetico embrione di chissà quale processo costituente verso una ipotetica Syriza italiana (non è il caso sinceramente), ma come nodi di scambio, relazione, possibile iniziativa politica comune. Altro che rifondazione “in vitro” di un nuovo partito, qua ci dobbiamo giocare la partita. Poi il resto se verrà verrà da se. Generato da esperienze concrete e non da teorie o schemi precostituiti, importati o già ammazzati dalla storia. Terzo, rilanciare la proposta e l'elaborazione programmatica di SEL - al fine di poter avere maggiore capacità di ingaggio al proprio interno ed all'esterno su temi centrali rimasti ancora marginali nel dibattito a sinistra: disarmo e nonviolenza. debito ecologico e giustizia ecologica e climatica (non semplicemente ambiente o ecologia ma critica radicale del modello di sviluppo e sostegno alle forme di resistenza dal basso e di produzione di alternativa), altraeconomia, diritti civili e diritti umani, diritti di cittadinanza transnazionale e cosmopolita, diversità culturale. Che si mettano a punto strumenti di produzione partecipata di contenuti ed iniziativa, attraverso campagne, social media, stimolo all'intelligenza collettiva ed alla cultura libera. E perché no, un pò di sana disobbedienza civile ed azioni dirette nonviolente? Siamo in tantissimi e tantissime in SEL a vivere – spesso anche con difficoltà - in uno spazio ibrido tra partito e movimenti, tra politica e società civile, attivisti e persone "ponte" necessarie e fondamentali ora come non mai . C'è bisogno di creare modalità e spazi accoglienti per questa “comunità ibrida e trasversale”. Divertendosi anche a fare politica. Infine , aprire un percorso verso la conferenza di riorganizzazione che sia ampio, aperto, partecipato, non calato dall'alto, attraverso workshop, campagne di ascolto, scambio di esperienze con chi ha già lavorato alla riformulazione di strumenti di rappresentanza ed agire politico, modalità decisionali partecipate ed accessibili. Senza precipitazioni, ma profondamente, lentamente, dolcemente. Lentus, profundus, suavius, come ebbe a dire un grande Europarlamentare e non solo, Alex Langer, del quale spesso si parla ma dal quale pochissimo si prende esempio. 

mercoledì 4 giugno 2014

la disfida dell'Europarlamento e i destini della sinistra

Di ritorno da Bruxelles dopo aver partecipato ad alcuni incontri con Martin Schulz e Alexis Tsipras assieme a Nichi Vendola, Nicola Fratoianni ed Arturo Scotto.

Il tema chiave al momento è quello del passaggio delicatissimo dell'elezione del/la nuov@ President@ della Commissione. Si profila uno scontro frontale tra governi dei paesi membri e Parlamento Europeo qualora dovesse andare avanti l'ipotesi di un/a candidat@ “esterno”. Si rimpallano le voci. Ultima quella che vedrebbe Angela Merkel candidare la direttrice del FMI, Christine Lagarde, in quota UMP. Hollande prende tempo, rischia di sfumare la possibilità – sostenuta da pressocché tutti i gruppi parlamentari – inclusi GUE-NGL e Verdi – di dare mandato esplorativo al candidato del PPE Jean Claude Juncker. Nei giorni scorsi è stata resa pubblica una dura lettera congiunta dei gruppi parlamentari uniti su Juncker per una questione di metodo più che di merito, anche se in questo frangente i due livelli si intrecciano, e riguardano la portata e l'effettività dei processi di democratizzazione delle istituzioni europee. C'è ancora tempo ma si affilano le spade. “There will be blood”- scorrerà del sangue, intitola un periodico di affari europei di Bruxelles per descrivere l'atmosfera regnante nei corridoi e tra i gruppi parlamentari. Forse un atto di “insubordinazione” del Parlamento Europeo proprio all'inizio del nuovo quinquennio potrebbe tornare utile per dare uno scossone ad una prassi, quella intergovernativa, che va di pari passo con l'imposizione delle misure di austerity. Ed aprire la strada ad una fase di revisione dei Trattati, e “costituente” non affidata ai governi ma all'espressione della volontà popolare. Nel frattempo nei prossimi giorni si terrà il Consiglio dei ministri europei degli interni, che affronterà tra l'altro il dossier migrazioni nel Mediterraneo. Domani e dopodomani si svolgerà a Bruxelles il summit del G7, si badi bene non G8 (quello doveva tenersi a Sochi, Russia, ma venne annullato a seguito della “campagna di Crimea” di Vladimir Putin, per ora escluso dai lavori del vertice). Sull'agenda come ormai di prassi la crisi economica, il tema dei cambiamenti climatici ma soprattutto la questione della sicurezza energetica. Insomma un quadro a più livelli che mostra ancora una volta l'urgenza di un'Europa politica coesa, solidale, e capace di futuro. Per quanto riguarda i possibili futuri assetti di maggioranza al Parlamento Europeo, Martin Schulz intende sostenere Juncker in una proposta di “coalizione di larghe intese”, PSE e PPE assieme, magari orientati verso un programma comune per la “crescita” e l'occupazione. Ma coalizione di larghe intese, visto che i risultati elettorali non permettono la possibilità di una coalizione rosso-verde-liberale che avrebbe senz'altro segnato un cambio di passo nella vita politica dell'Unione. Un quadro ancora possibile prima delle elezioni, ma che oggi risulta essere fuori dalla realtà per bocca dello stesso Schulz. Un pò come la prospettiva “illo tempore” di Italia Bene Comune qui in Italia, Un'ipotesi sfumata che quindi richiama ad un necessario cambio di strategia e di passo nell'azione politica da sinistra. Schulz per suo conto si gioca le sue carte, sperando in un incarico di alto livello alla Commissione, mentre si prefigura un gruppo parlamentare socialista piuttosto “monolitico”, quasi tutti - se non tutti - gli eletti sono di partiti che fanno parte del PSE.
Un primo punto di chiarezza: occorre fare una distinzione tra PSE, “partito socialista europeo” e gruppo S&D, socialisti e democratici, come occorre specificare che il GUE non è solo GUE, ma anche Sinistra Verde Nordica (NGL) e non è direttamente espressione parlamentare del partito della Sinistra Europea, visto che ad esempio in questi giorni hanno aderito al GUE anche Podemos ed il Sinn Fein che non sono della Sinistra Europea, mentre ha annunciato la sua decisione di non aderire il Partito Comunista greco KKE. (e da tempo circolano voci non confermate sulla possibilità di formare un gruppo di tutti i partiti comunisti “ortodossi”) Insomma, un quadro in evoluzione, in una formazione parlamentare che nelle intenzioni di Tsipras avrebbe bisogno urgente di un “rimescolamento”, di diventare più attraente, aperta e meno ideologica. E pronta ad incalzare “positivamente” i socialisti. Altro punto. S&D - come detto - appare come un blocco piuttosto monolitico, con forte presenza “renziana” nella componente PD che potrebbe avere la presidenza del gruppo visto che il PD è partito con maggior numero di eletti. S&D tradizionalmente privilegia il rapporto con grandi sindacati, settore del business e cosiddette organizzazioni della società civile, ONG etc. Basti vedere il programma di un recente evento organizzato dal gruppo S&D sul TTIP: c'era la Coca Cola ma non c'erano i movimenti. Il GUE-NGL per contro registra un costante impegno in sostegno a movimenti sociali, organizzazioni di base, realtà alternative, al punto da aver acquisito una forte credibilità come punto di riferimento – assieme ai Verdi – per quella galassia di attori e soggetti politici e sociali essenziali per una ricostruzione dal basso dello spazio comune europeo. Grosso modo uno dei leitmotiv della lista Tsipras, ma non solo, in quanto componente essenziale per la ricostruzione del “demos”, elemento indispensabile per qualsiasi processo costituente, come ci dicono - forse con eccessivo ottimismo - Papi Bronzini e Giuseppe Allegri nella loro ultima fatica, “Sogno europeo o incubo?” Va anche tenuto a mente che l'adesione ad un gruppo parlamentare non equivale ad un “matrimonio ideologico” ma alla scelta di una collocazione che fornisca le condizioni migliori per svolgere un ruolo di “ponte” non solo tra le famiglie politiche europee progressiste, ed ecologiste, ma anche con ciò che si muove all'esterno dei corridoi del Parlamento Europeo. Allora se ci si sforza di guardare oltre il velo dell'appartenenza politica, o della contesa ideologica o tattica, magari ad uso e consumo interno, e ci si concentra invece sull'obiettivo, (insomma sulla “partita” e non sul “partito”) credo sia ben chiaro che oggi - in questo contesto – sarà necessario optare per una collocazione (per dirla in tedesco uno “stuetzpunkt” punto di appoggio e non uno “schuetzpunkt” o punto di rendita di posizione) che permetta di svolgere un lavoro di “ponte” e costruzione di reti tra famiglie politiche, partiti e non solo. E che sia nella scia della scelta operata di mettersi a disposizione dell'esperienza collettiva della lista Tsipras, senza rinunciare alla propria identità, e soggettività, per un progetto più largo di ricostruzione di una sinistra di governo, che non rinunci alla propria radicalità. di pratiche e di proposte, ma che decide di non chiudersi in recinti identitari o di pura testimonianza. Non mi pare che il gruppo S&D possa rappresentare allo stato attuale la postazione ottimale per tale strategia. Rammentando anche se come speriamo che sia, non sarà SEL ad aderire né alla Sinistra Europea né al GUE . Sarà la logica collocazione per le ragioni di cui sopra di uno dei candidati e candidate che SEL ha messo a disposizione per un processo più largo nel quale SEL rimane, non si fonde ma decide di condividere uno spazio comune di dialogo ed iniziativa politica.