martedì 24 maggio 2016

In Libia l'un contro l'altro armati

Mentre si discute in Parlamento il decreto missioni , e come da tempo si sospettava, arriva la conferma sulle pagine de La Repubblica , della presenza di militari italiani in Libia. Una quarantina, pare, con compito di supporto e assistenza. Si penserebbe per la ricostruzione di una forza armata e di polizia "unitaria", almeno secondo logica - che sia chiaro non condivido. Ed invece risulta che alcuni di loro stiano consigliando le milizie di Heftar, lo stesso signore della guerra che sta ora marciando verso le roccaforti del Daesh, e che vorrebbe far fuori con gli adepti del Califfato anche i Fratelli Musulmani. Del resto è legato mani e piedi al generale-presidente egiziano Al Sisi. Un gioco ad incastro, nel quale l'Italia pur di poter poi avere un ruolo in Libia si sta giocando tutte le carte, scoperte, e sotto il tavolo. Ma il rischio di far saltare il tavolo è forte. Mentre alcuni giornali italiani la scorsa settimana narravano della crescente tensione tra il premier Renzi e la ministra della Difesa Pinotti, culminata a suo tempo con la smentita da parte del primo, dell'annuncio della decisione di inviare 5000 soldati italiani da parte della seconda. Alla quale fece immediatamente eco - al punto da far pensare ad una "combine", il plauso dell'ambasciatore a stelle e strisce. La Libia preoccupa e non poco, ma non aspettiamoci di vedere contingenti in partenza per il "bel suol d'amor". Sarà una presenza sottotraccia, semiclandestina, magari con qualche forza speciale a presidiare obiettivi sensibili per gli "Interessi nazionali" - magari qualche contractor o superman dei servizi già a fare la guardia agli impianti ENI. Al limite si allenterà l'embargo sulle armi chiesto dal primo ministro insediato Serraj, con evidenti rischi di alimentare la guerra tra bande piuttosto che contribuire alla "stabilizzazione". Oppure addestrare milizie libiche, un "dejà-vu" visto che già negli anni scorsi l'Italia lo fece (operazioni Coorte e Cirene) con i risultati che si vedono sul terreno. Stesso mandato per le forze navali europee dell'operazione "Sophia" passata alla nuova fase che prevede l'entrata nelle acque territoriali libiche e l'addestramento della guardia costiera al fine di prevenire il futuro - presumibilmente assai consistente - flusso di rifugiati e migranti. Il gioco delle carte prevede anche di giocare su un altro tavolo però. Da una parte il primo ministro Renzi , sondaggi alla mano, appare assai recalcitrante ad avventurarsi in un possibile "pantano" libico, almeno pubblicamente, e punta sulla carta della politica e della diplomazia, e dello strumento militare "undercover". Cosa possibile grazie all'approvazione di una norma che mette nelle sue mani i comando diretto delle forze speciali , che vale la pena di ricordare godranno della stessa immunità concessa agli agenti segreti. Eppure di possibili approcci alternativi fondati sul principio della neutralità attiva, la diplomazia e prevenzione politica del conflitto, la polizia internazionale ce ne sarebbero, come spiegato in un documento pubblicato a suo tempo da Un Ponte Per. Dall'altra in Iraq, l'Italia si appresta ad inviare un contingente di bersaglieri, con artiglieria e elicotteri di attacco, a presidiare la diga di Mosul. Una presenza poco digerita dagli irakeni, giustificata con l'obiettivo di proteggere il cantiere dell'impresa Trevi vincitrice dell'appalto per la messa in sicurezza dell'impianto. In realtà quel contingente è frutto dell'accordo con gli alti comandi USA, che stanno da tempo pianificando l'offensiva finale contro DAESH a Falluja e Mosul, ed avevano bisogno di un presidio in quella zona. Il rischio di vedere i soldati italiani coinvolti più o meno direttamente in operazioni belliche o di diventare bersaglio di attacchi "terroristici" è assai elevato. Pochi giorni fa un'autobomba ha ucciso un americano a una manciata di kilometri dalla diga.

venerdì 20 maggio 2016

A Milano, Roma, Napoli, Torino, che caldo ma che caldo fa

Senza voler fare il catastrofista, ma davvero è sconcertante notare come il tema dei mutamenti climatici sia talmente marginale nelle discussioni e nelle priorità della politica. Ogni mese che passa è il più caldo della storia, in mezzo mondo si sono tenute ondate di azioni di disobbedienza civile contro i fossili, quella che qualcuno ha definito la più grande campagna di disobbedienza civile della storia. Ed invece? Ci si perde nella quotidianità, nell'immediato, nel contingente, mentre il pianeta, la base della nostra esistenza stessa ci si sta squagliando sotto i piedi. In questi giorni si riunisce a Bonn il gruppo di lavoro che ora dovrà negoziare l'attuazione degli accordi di Parigi. Ricordate quel gioco di cifre tra gli 1,5 e i 2 gradi di aumento della temperatura? Beh ad oggi pare siamo ben oltre quei livelli. Insomma, se aspettiamo i governi e le imprese siamo fritti. Allora c'è ben altro da fare. Dobbiamo farlo noi, dovrebbe farlo la cosiddetta società civile, dovrebbe farlo chi lavora nell'altraeconomia, nelle imprese che fanno innovazione, le comunità che resistono alle trivelle, chi disobbedisce al petrolio e suoi derivati, le amministrazioni comunali. Per la miseria, sono io che sono diventato pedante o un pò insofferente verso la "politica" o è vero che non si è sentito da nessuna parte o letto sotto i faccioni che stanno popolando strade reali o virtuali di questa ennesima campagna elettorale un impegno per la giustizia climatica e per una "rivoluzione ecologica"? Si, si parla di mobilità sostenibile, parcheggi di scambio, riciclaggio di rifiuti, di transizione e conversione ecologica (il tema però non è se ma quando ed in che tempi che altrimenti ci si mena il naso) tutto ok, sono cose che ci stanno sempre bene, danno un pò di "verde" che non guasta, ma il punto riguarda quello che potrebbe essere chiamato "metabolismo urbano" ossia il flusso di risorse che entrano ed escono nel sistema città. Non ho sentito da nessuna parte l'impegno ad andare verso le zero emissioni, o sganciarsi progressivamente dai combustibili fossili. O disinvestire da banche che investono sui combustibili fossili. O allearsi con altre città che già lo fanno, impegnarsi per sostenere chi protegge gli ecosistemi o chi prova a fare innovazione, start-up verdi, green jobs. Non è mai troppo tardi. (PS: per chi "a sinistra" pensasse che questo sia tema per pochi irriducibili ecologisti, vale la pena di rammentare che forse oggì proprio attraverso il tema del "climate change" si può mettere in crisi il modello capitalista attuale, e proporre un'alternativa possibile)