giovedì 10 aprile 2014

Le verità nascoste della politica estera italiana


 
C'è qualcosa che non quadra se si mettono assieme notizie spesso ignorate dalla stampa italiana e che invece denotano preoccupanti incongruenze se non vere e proprie scelte di politica estera del nostro paese. Residui di una visione “coloniale” delle relazioni internazionali, di incoerenza o sottomissione alle priorità della sicurezza e della geopolitica con le stellette. Insomma, fa impressione mettere pochi dati uno dietro l'altro, e configurare un quadro di politica estera del nostro paese che meriterebbe una profonda discussione e dibattito pubblico e politico.
Procediamo con ordine.

Qualche giorno fa esce articolo sul Fatto Quotidiano e reportage su Le Iene  che denuncia quel che si temeva a suo tempo, ossia le torture inflitte da soldati italiani a iracheni a Nassirya. Aspettiamo ora di avere anche maggiori informazioni su quel che a Nassirya successe nel corso della tristemente famosa e dimenticata “battaglia dei ponti” e non solo. Illo tempore era chiaro che la resistenza bipartizan all'introduzione del reato di tortura, ma anche al recepimento delle fattispecie di crimini di guerra e contro l'umanità previsti dal Trattato di Roma che istituì la Corte Penale Internazionale celasse qualcosa. Ed oggi infatti la legge approvata sulla Corte Penale Internazionale prevede solo collaborazione con la Corte in caso di presenza sul territorio nazionale di persone oggetto di mandati di cattura internazionale, ma non il recepimento nell'ordinamento giuridico italiano di quei crimini, Ergo….

In un articolo di fuoco pubblicato qualche giorno fa sul sito dello IAI, la stimata ambasciatrice Mirakian, solleva legittimi dubbi e preoccupazioni sulla decisione dell'Italia di non allinearsi ad altri governi nella critica e condanna – seppur cauta - alle malefatte del general Al Sisi, futuro possibile presidente dell'Egitto ed alle violazioni dei diritti umani perpetrate contro la società civile, attivisti e media egiziani. Cosa c'è dietro? Perché questa netta inversione di rotta rispetto a posizioni precedentemente più caute che riconoscevano un ruolo politico ai fratelli Musulmani? Mentre resta in sospeso il possibile ed auspicato annullamento della pena di morte alla quale sono stati condannati centinaia di membri dei Fratelli Musulmani. A che gioco sta giocando il nostro paese

Dietro le righe di un recente articolo che analizza la situazione attuale di progressivo disfacimento delle forze armate eritree si legge che uno dei generali coinvolti nella dura repressione e violazioni dei diritti umani di cittadini e cittadine eritree, soprannominato Wuchu, avrebbe potuto avvalersi dell'ospitalità del nostro paese per essere sottoposto a cure e poi accompagnato in patria da medici italiani, Va bene il giuramento di Ippocrate, ma a quanti di questi criminali del regime eritreo è stata data copertura?

Da articoli di stampa somala e non solo risulta che l'Italia, o meglio il Ministero della Difesa sta regalando equipaggiamento militare ed accessori al governo somalo, come contributo per la “pacificazione” del paese. Intanto un contingente di paracadutisti e truppe speciali continua a partecipare ad una missione dell'Unione Europea , di cui l'Italia ha ora preso il comando. Q Questa cooperazione militare, sono sottoposti allo scrutinio del Parlamento? Nell'ultimo decreto missioni non ce n'è traccia. A che gioco stiamo giocando? Invece di investire in doni di armi, magari riciclando da materiale dismesso delle nostre forze armate, non sarebbe meglio investire in sicurezza umana, ossia in progetti di sostegno alle popolazioni? O forse l'unico vero problema della Somalia è Al Shaabab?

Ormai il piano del Segretario di Stato USA John Kerry per un” framework agreement” tra Israele e Palestina è sulla via di un fallimento annunciato. Nell'ordine, Nethanyahu decide di affossare la trattativa chiedendo a Abu Mazen l'impossibile ossia il riconoscimento di Israele come stato ebraico. Abu Mazen risponde tenendo il canale della trattativa aperto e non insistendo su un punto particolarmente "irritante" ossia la richiesta di accesso allo status di membro di Agenzie ONU e della Corte Penale Internazionale. Bibi risponde con la mancata liberazione di un gruppo di prigionieri palestinesi, come da accordi, Abu Mazen legittimamente fa la sua mossa, non si badi bene chiedere di entrare nelle Agenzie ONU ma solo di avviare le procedure per la firma di Convenzioni ONU sui Diritti Umani e diritto umanitario di guerra. Bibi risponde annunciando 700 nuovi insediamenti, ed il “destro” Ministro dell'Economia Neftali Bennett si copre di ridicolo annunciando l'intenzione di denunciare Abu Mazen alla Corte Penale Internazionale Ed giunge il fatto inaspettato: John Kerry, per la prima volta e  di fronte alla Commissione Esteri del Senato USA,  punta il dito su Gerusalemme, in maniera velata, semplicemente ricostruendo la sequenza dei fatti. Per molti osservatori sarebbe forse ora il caso che Kerry si metta da parte e lasci il campo alle Nazioni Unite e all'Unione Europea. Ecco, tra due mesi l'Italia prenderà la presidenza di turno dell'Unione. Sullo sfondo le denunce e le richieste di chiarimento sulla posizione italiana da parte di organizzazioni dei diritti umani di Gaza e Tel Aviv. L'Italia non avrebbe mai preso posizione sulla necessità di condizionare le relazioni bilaterali tra Unione Europea ed Israele al rispetto dei diritti umani, né avrebbe dato seguito come hanno fatto altri paesi alle raccomandazioni della UE riguardo l'etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti in Palestina- Una mossa di grande importanza quasi quanto quella di non concedere sostegno finanziario a società o soggetti israeliani che operano in territori “colonizzati”. Già e l'Italia?

In un breve articolo di analisi sulla crisi ucraina, e le contromisure “militari” della NATO il sito NatoWatch ci informa che vari paesi NATO starebbero contemplando la possibilità di partecipare finanziariamente allo scudo antimissile, progetto chiaramente in chiave anti-russa. Guarda caso tra i paesi che sarebbero disponibili a metterci soldi ci sarebbe anche l'Italia che dovrebbe prendere una decisione, secondo quanto rivelato dalla Lockheed Martin, entro primavera. Ma? E l'atteggiamento “negoziante” e “diplomatico” verso la Russia? Se ciò non bastasse esce la notizia dell'imminente riconfigurazione di Tornado, quali quelli presenti a Ghedi, per renderli adatti a trasportare bombe atomiche americane di ultima generazione, oggi sotto la lente del Congresso per l'elevato costo. E? Mentre diciamo di voler parlare con la Russia, ci armiamo?  

giovedì 3 aprile 2014

Oltre l'aiuto allo sviluppo per relazioni giuste tra i popoli


É in dirittura d'arrivo in commissione esteri al Senato, per poi passare alla Camera, il dibattito sulla riforma della cooperazione allo sviluppo. Un dejà vu che va avanti da anni, senza che finora si fosse riusciti a compiere un significativo passo in avanti sul riassetto istituzionale e la cornice di riferimento dell'aiuto pubblico allo sviluppo. Oggi il quadro pare mutato, e non solo in conseguenza del “furore per le riforme” del nuovo Presidente del Consiglio ma anche per una convergenza di interessi “bipartizan” e con gran parte degli attori della cooperazione. Organizzazioni nongovernative ad esempio, che da anni chiedono maggiori garanzie e tutela per i propri operatori, ed impegni certi in termini di risorse finanziarie, dopo anni ed anni di continua erosione dei bilanci dedicati alla cooperazione. Dopo anni di “melina” dentro e fuori le aule parlamentari, ci si dice, è finalmente giunto il momento topico e si deve fare presto. La fretta però può essere cattiva consigliera, se pur di far presto il governo decide di presentare un suo disegno di legge pieno di insidie e lati critici, e che ciònonostante viene preso come base di discussione al Senato e la cui sostanza non viene messa in discussione dagli emendamenti proposti dal relatore Giorgio Tonini. Un disegno di legge che nasce vecchio, e che rischia di essere obsoleto nel giro di pochi anni e quindi inadeguato a governare le prossime sfide della cooperazione. Basti pensare che tra un anno e mezzo circa le Nazioni Unite terranno un Vertice internazionale per rielaborare i pilastri centrali e le pratiche di lotta alla povertà e di solidarietà internazionale. Un evento che si sviluppa sulla base di un mezzo fallimento, quello del non perseguimento nei tempi prestabiliti, ossia il 2015, dei cosiddetti Obiettivi di Sviluppo del Millennio. A rigor di logica si sarebbe potuta aspettare la conclusione del Vertice ONU per poi riformulare la propria “visione” di cooperazione internazionale. Invece questo disegno di legge tradisce una visione “antica” ed assistenzialista della cooperazione, non intesa come relazione e partenariato tra eguali, ma come aiuto concesso verso popolazioni bisognose, magari aiuto umanitario, più probabilmente sostegno alle imprese italiane per produrre occasioni di affari in mercati ancora poco sfruttati. Se ciò non bastasse, la cooperazione resata saldamente nelle mani della Farnesina, dei diplomatici, al punto da farla diventare non elemento qualificante delle relazioni internazionali del paese, ma strumento integrante di politica estera, quindi sottoposta agli obiettivi strategici, geopolitici e commerciali del cosiddetto “sistema-Italia”. Se ciò non bastasse, trovano poco spazio i nuovi soggetti che fanno cooperazione, intesa non necessariamente come fornitura di servizi, o attuazione di progetti, ma come capacità di mettere in rete ed in relazione competenze, esperienze, capacità, e lasciare ai supposti “beneficiari” la discrezione di decidere modi e tempi per tentare di uscire dalla morsa dell'impoverimento. “impoverimento” si badi bene e non povertà, una scelta politica che sta a significare che la povertà non è un dato di fatto ma risultato di processi economici, finanziari, endogeni ed esogeni, e che per affrontarla occorre andare alle radici stesse del problema. Questo è il tema centrale della coerenza delle politiche, secondo cui ad esempio si dovrà assicurare che le politiche commerciali o di investimenti, le politiche agricole, o quelle energetiche, le decisioni prese in ambito multilaterale, (vedi WTO o FMI o Banca Mondiale) dovranno essere in linea con gli obiettivi di sradicamento della povertà. Niente di tutto questo è presente nella proposta del governo, proposta, nelle intenzioni del Viceministro Pistelli come primo passo per superare le reticenze di Farnesina e Ministero delle Finanze, il vero “elephant in the room” della vicenda. Sinistra Ecologia Libertà ha presentato una serie di emendamenti, frutto del lavoro proprio di elaborazione ed analisi, e dell'interlocuzione con varie realtà della cooperazione internazionale con l'intento di fornire strumenti di dibattito che possano prefigurare un approccio radicalmente diverso al tema. Anzitutto affermando la autonomia della cooperazione dalla Farnesina, attraverso una figura di governo di alto livello (in prima istanza un Ministro della Cooperazione), un'agenzia esterna dedicata non all'esecuzione dei progetti ma all' ideazione, proposta, monitoraggio, valutazione , insomma una sorta di “hub” che facilita relazioni, connessioni, messa in sinergia di capacità e competenze. Un Fondo unico, (derubricato nella proposta governativa a semplice artificio contabile) sempre gestito dall'Agenzia nel quale far convergere tutte le risorse dedicate alla cooperazione internazionale al fine di assicurare un quadro omogeneo e coerente di gestione. Chiare condizioni all'eventuale partecipazione con propri fondi di attori non-statuali, ad esempio piccole e medie imprese che dovranno sottostare a rigidi controlli e valutazioni circa il loro operato e la capacità di rispettare norme intenrazionali sull'ambiente ed i diritti umani. E soprattutto il riconoscimento del ruolo centrale dei partenariati locali, della miriade di soggetti ed esperienze che fanno solidarietà internazionale, il microcredito, il volontariato, il servizio civile, i corpi civili di pace, che producono innovazione, che non rinunciano al ruolo “politico” della cooperazione come sostegno a processi di emancipazione e liberazione, di critica e fuoriuscita dalle logiche caritatevoli come a quelle del mercato liberista o dei conflitti. Ecco in fondo la vera posta in gioco, il ripensamento del concetto stesso di cooperazione ed “aiuto”, le sue priorità ed il valore aggiunto che l'Italia può portare, una sfida che non puà essere lasciata esclusivamente alle aule parlamentari, ma dovrebbe attraversare anche la discussione sull'AltraEuropa. Giacché gran parte dei fondi di cooperazione “multilaterali” che potrebbero essere co-gestiti dall'Italia sono comunitari. Ed anche la UE si sta imbarcando in una rielaborazione delle proprie direttrici e finalità della cooperazione, strumento importante per un'attore globale che stenta a parlare unitariamente nei consessi internazionali. Se Sparta piange, Atene non ride: anche l'approccio UE è fortemente condizionato dalla commistione “pubblico-privato” e dall'urgenza di sostenere l'espansione delle sfere di azione delle proprie imprese, nonché dall'approccio della condizionalità, ossia più soldi in cambio di riforme democratiche, approccio che ha mostrato tutti i suoi limiti nella gestione delle relazioni con i paesi dell'altra sponda del Mediterraneo. Una strada tutta in salita quindi, da affrontare con coerenza, uno spazio che pare incolmabile tra visioni e prospettive differenti della solidarietà, un dibattito al quale ci apprestiamo con spirito costruttivo ma anche determinati a far valere le nostre proposte ed il nostro approccio “altro” alle relazioni tra i popoli.