di
Francesco Martone
responsabile
esteri, Europa e cooperazione
Sinistra
Ecologia Libertà
Gennaio
2014
Nubi
dense si accumulano sul futuro dell'Europa. E non sono solo quelle
dei proclami e della retorica populista proveniente da più parti nel
nostro paese. Dal primo gennaio 2014 è entrato in vigore in Italia
l'obbligo di rientro dal deficit e pareggio di bilancio, dovere
costituzionale al pari del dovere di promuovere i diritti civili,
economici, sociali. Come sarà possibile promuovere questi ultimi
quando per rispettare il Fiscal Compact sarà necessaria una manovra
economica di circa 50 miliardi di euro all'anno a partire da
quest'anno? E chi più di un governo di larghe intese, oggi un
un'ulteriore fase di metamorfosi, può assicurare la tenuta delle
“compatibilità” come ebbe a dire assai chiaramente Mario Monti?
A
breve, in campagna elettorale, ci troveremo a parlare di Europa sotto
il peso della Spada di Damocle del Fiscal Compact, e non in teoria,
ma nella pratica, nell'ulteriore sofferenza che ciò causerà a
crescenti settori della popolazione. Ci troveremo di fronte alla
retorica rassicurante del premier Letta, che ci spiegherà come ormai
si stia uscendo dalla fase di austerità per entrare in quella della
crescita, un premier che ingaggerà bracci di ferro con chi, come
Olli Rehn (possibile candidato alla presidenza della Commissione per
i liberali) , vorrebbe ancora di più, ma che in fondo non
contraddirà gli impegni già presi. E che si troverà quindi di
fronte ad una contraddizione irrisolvibile all'interno delle
cosiddette “compatibilità”: quale fase di post-austerità sarà
possibile se nei fatti la ricetta dell'austerità continuerà ad
esigere conti sempre piu salati? Quale ripresa, e che tipo di ripresa
sarà possibile accettando quel quadro? Basta guardare il caso
dell'Irlanda di recente promossa dalla Commissione e quindi uscita
dal programma di “salvataggio” se di salvataggio si può trattare
visto che per avere 67 miliardi di euro in aiuti c'è voluto un
taglio di 30 miliardi di spesa pubblica, nuove tasse ed una riduzione
dei salari del 20%.
Come
ebbe a dire Etienne Balibar in un suo lucido saggio di analisi sulla
crisi dell'Europa, la questione centrale oggi non è solo quella
della legittimità del progetto europeo attuale, ma quella della
crisi della democrazia, ed in primis l'incongruenza di nefaste scelte
di politica fiscale e macroeconomica. La nostra analisi e la nostra
proposta sull'Europa dovranno assumere su questo trilemma, che in
sommi capi richiama lo stesso trilemma praticato dall'economista Dani
Rodrik, in un suo illuminante saggio sui paradossi della
globalizzazione nel quale evidenzia come non si possono perseguire
tre ipotesi, quella dell'accelerazione del modello liberista, quella
di un recupero della libertà di manovra degli stati, quella della
democrazia reale. Rodrik alla fine fa professione di fede sulla
democrazia reale. Insomma, per poter articolare una proposta per
l'altra Europa, quella dei diritti, della giustizia sociale ed
ambientale, quella della prospettiva federalista, avremo necessità
di sciogliere questo trilemma e mettere al centro non i mercati, né
il ritorno agli stati nazione, ma – come Rodrik - la democrazia
reale, transnazionale e cosmopolita.
Come
farlo, in maniera da contrapporre al crescente euroscetticismo e
antieuropeismo un'ipotesi plausibile, praticabile ed appetibile? Come
resettare il software e ricostruire l'hardware di un'Europa giusta?
“System reboot” dicevano quelli di Piazza Tahrir o di Zuccotti
Square.
Anzitutto
sarà imprescindibile praticare una critica radicale del Fiscal
Compact, del Six Pack e di tutta quella strumentazione messa in campo
dalla Troika, sotto la spinta potente della BuBa e di Berlino. Una
critica di merito quanto di metodo che in termini politici nostrani
si traduce necessariamente in opposizione al governo di larghe intese
ed alle sue prescrizioni macroeconomiche, come del resto già fatto
da Sinistra Ecologia e Libertà anche più di recente in occasione
del dibattito parlamentare sulla legge di Stabilità.
Nel
merito vale la pena collegare il tema dell'austerità a quello delle
politiche sociali, o meglio sul come le politiche di austerità
contribuiscono al definitivo smantellamento del modello sociale
europeo. A tal riguardo un interessante dossier della
socialdemocratica Friedrich Ebert Stiftung intitolato “Euro-crisis
. Austerity policy and the European Social Model”
fornisce importanti spunti di riflessione, a partire da una dura
critica alle suggestioni del New Labour ed ai cedimenti della
socialdemocrazia europea verso l'impianto ideologico neoliberista. Il
rapporto della FES fa risalire la crisi del modello sociale europeo a
prima della crisi 2008-2009, che in realtà altro non ha fatto se non
rafforzare ulteriormente la tendenza alla liberalizzazione del
modello sociale europeo. Il tema politico principale è che la
dimensione sociale del processo d' integrazione europeo è stata
progressivamente marginalizzata, e così oggi l'indebolimento delle
politiche sociali nei PIIGS ha ripercussioni anche sul resto
dell'Unione. Va anche ricordato che la centralità delle politiche di
austerità era già insita nel sistema di Maastricht, secondo il
quale il debito è una colpa e va eliminato. Questo assunto ha
portato ad una recrudescenza della crisi economica e trascinato
l'Eurozona in una grave crisi sociale con conseguente minaccia a quel
modello sociale europeo che in realtà dovrebbe essere una delle
fonti di legittimità del processo di integrazione europeo. Per
questo il mantra dell'austerità, che ha radici ben più profonde di
quanto si possa immaginare, andrà scalzato anche e soprattutto in un
processo ampio e partecipato di revisione dei Trattati.
La
critica radicale al Fiscal Compact va attuata anche nel metodo,
giacché oltre a perpetuare un modello senz' anima, ma con i muscoli,
pronta a schiaffeggiare i suoi figli presunti indisciplinati - i
piccoli porcellini, i PIIGS - questa Europa dei governi opera le sue
scelte in maniera elitaria, antidemocratica, nello spirito e nella
prassi proprie dell'approccio intergovernativo come nel caso del
Consiglio Europeo. Assenza di democrazia quindi, un ruolo marginale
del Parlamento Europeo, un consolidamento dell'approccio
intergovernativo dove chi ha più muscoli vince, e chi viene messo
all'angolo continua ad essere picchiato senza pietà.
Insomma,
l'Europa ordoliberista è la continuazione dell'inesistenza della
democrazia con altri mezzi, ed in quanto tale in netta
contrapposizione al progetto federalista di Altiero Spinelli, di
un'Europa cosmopolita e solidale.
Allora,
se così è, si dovrà partire da più democrazia, dalla democrazia
reale, che strappa i veli delle compatibilità e le rimette in
discussione. Un'Europa democratica, quindi, dove istituzioni europee
si sottopongono al vaglio del Parlamento Europeo, che verrà dotato
di maggiori poteri di indirizzo, iniziativa e controllo sulla
Commissione e sui tavoli informali o meno che oggi determinano le
direttrici di politica economica e finanziaria .
Davvero
importante a tal riguardo potrebbe essere una recente risoluzione del
Parlamento Europeo che sottolineando il problema della legittimità e
responsabilità democratica all'interno dell'Unione monetaria esclude
la possibilità di ulteriori accordi su base intergovernativa, nel
tentativo di riaffermare il ruolo centrale del Parlamento come
“presupposto indispensabile per qualsiasi passo in avanti vero
l'unione bancaria, di bilancio, ed economica”. Un ruolo finora
negato, visto che il Parlamento Europeo non può esercitare alcun
tipo di controllo sulla Troika, l'European Financial Stability Forum
o il Meccanismo Europeo di Stabilità. Su questo il Parlamento
Europeo è netto: I vertici euro e l'Eurogruppo non sono legittimati
a prendere decisioni riguardo alla “governance” dell'Unione
economica e monetaria. Un importante passo in avanti forse, sul
quale capitalizzare quando si aprirà la stagione di revisione dei
Trattati, al fine di rendere le decisioni dell'Unione più
rispondenti ai diritti dei suoi cittadini e cittadine.
Ammettere
che la crisi dell'Europa sia dovuta ad assenza di democrazia reale, o
forse alle conseguenze del processo incompiuto di integrazione, o
meglio il fallimento dell'approccio funzionalista. non è
sufficiente.
L'Europa
di oggi porta in sé la bomba ad orologeria di nuovi autoritarismi,
basti pensare al'Ungheria di Orban. O di uno sfilacciamento
progressivo delle dinamiche e dialettiche democratiche all'interno
dei suoi stati membri, dovuto al doppio impatto della crescente
disaffezione - se non ostilità - alla politica istituzionale da
parte di masse crescenti di popolazione, e dalla scelta di assetti
politici quali le larghe intese o le GroKo, da una parte mirate a
implementare pedissequamente le prescrizioni del Fiscal Compact,
dall'altra a proteggere il benessere del popolo tedesco.
(Ciononostante, va detto, per la stragrande maggioranza del popolo
ucraino, l'Europa resta orizzonte preferito rispetto a rientrare
nella sfera d'influenza politica e economica della Russia di Putin e
del suo progetto di unione eurasiatica).
Sempre
partendo dalla centralità del principio della democrazia reale,
quella che chiedevano a gran voce gli indignados, ed i movimenti
Occupy, e Blockupy Frankfurt per citarne alcuni, e spostando lo
sguardo all'altra dimensione dell'Europa, quella esterna,
internazionale, vediamo un'Europa che non ha esitato a sostenere
governi liberticidi quali quelli di Hosni Mubarak o di Ben Ali,
parlando di democrazia e condizionalità, rispetto dei diritti umani
e della “rule of law”, guardando però dall'altra parte quando
tali principi venivano tragicamente contraddetti nella pratica.
O
che si mette il guanto di velluto della dolce retorica, quella
dell'ambiente, della democrazia, dei diritti umani, per nascondere il
pugno di ferro della liberalizzazione del commercio e degli
investimenti. Sembra che l'anima liberista dell'Europa continui sulla
stessa strada, ovvero liberalizzazione dei mercati, ammorbidimento
dei vincoli sociali ed ambientali, e assoluta segretezza nei
negoziati e nelle deliberazioni, tale e quale a ciò che sta
accadendo nel negoziato per il TTIP (Transatlantic Trade and
Investment Partnership) per la creazione della più grande area di
libero scambio del mondo, tra UE ed USA. Un obiettivo che il governo
Letta vuole conseguire nel corso della presidenza italiana
dell'Unione nella seconda metà del 2014, e che va contrastato con
forza e determinazione viste le possibile ricadute sui diritti e
sull'ambiente.
In
sintesi. è evidente che sia guardando dall'interno che all'esterno
dell'Europa, crisi della democrazia e modello ordoliberista o
neoliberista sono due facce della stessa medaglia e da tali vanno
affrontate, e in alternativa alle stesse va prodotta una proposta
politica conseguente.
Una
proposta politica che riconosca il nesso inscindibile tra democrazia,
diritti sociali, civili e di cittadinanza e politiche economiche e
finanziarie eque e giuste, giustizia ambientale e tutela dei beni
comuni. Una democrazia reale senza diritti di cittadinanza, senza il
riconoscimento della centralità dei diritti civili rischia di
rimanere una “imago sine re”; immagine senza sostanza.
Un'ulteriore operazione di “maquillage” istituzionale e
senz'anima. E quando si parla di diritti di cittadinanza, si parla
anche di rimuovere le norme e le strutture che oggi fanno dell'Europa
una “fortezza”, un muro invalicabile per migliaia di migranti
pena la morte per annegamento nel Mediterraneo. Ogni progetto per
un'AltraEuropa dovrà pertanto guardare sì all'interno dell'Europa
ma anche al suo esterno, perché - come già detto - il cortocircuito
tra neoliberismo e democrazia è una caratteristica non solo delle
politiche interne dell'Unione ma anche della sua proiezione esterna.
Per
tutte queste ragioni, nel pacchetto di proposte per un'altra Europa
il tema della democrazia transnazionale e dell'Europa dei cittadini
deve essere centrale. Resta però un punto da risolvere: come
essere credibili, quando in realtà l'Europa, piuttosto che
opportunità, viene vista come minaccia, alla propria esistenza, ai
propri diritti?
Questo
è il vero problema “politico”. Da una parte esistono dati che
dimostrano come un'accelerazione verso l'Europa Federale può
assicurare un aumento dei posti di lavoro. Ad esempio, in
un recente saggio a cura della “Foundation
for European Progressive Studies”
intitolato “How
can the EU Federal Government spearhead an employment-led recovery”
ossia “Come un governo federale dell'Unione può incentivare una
ripresa verso l'occupazione” si propone uno scenario di
rafforzamento della struttura federale dell'Unione come via per
sostenere un rilancio dell'occupazione, attraverso ad esempio,
l'aumento del bilancio dell'Unione dall'1 al 4% del PIL Europeo entro
il 2021, la possibilità di un modesto deficit fiscale a livello
federale che non dovrà siperare lo 0,3% del PIL europeo, e di
consequenza la necessaria creazione di un Ministro delle Finanze a
livello federale.
Dall'altra,
però, il tema dell'Europa Federale e degli Stati Uniti d'Europa
rischia di diventare marginale, non compreso se non viene saldamente
ancorato alle finalità stesse del processo di costruzione
dell'Europa federale. Proprio nel momento nel quale in realtà la
vera emergenza oggi è fare dell'Europa lo spazio comune nel quale
promuovere politiche economiche e sociali che possano contribuire al
miglioramento delle condizioni di vita materiali delle persone, pena
la sua irrilevanza o definitiva perdita di legittimità.
Basta
leggere alcuni brani dell'ultimo Euromemorandum 2014 per realizzare
come, senza una forte proposta di giustizia sociale che sia fondata
sul contrasto alle politiche di austerità, qualsiasi ipotesi di
rafforzamento dell'Europa federale rischia di essere legittimamente
percepita come un ulteriore problema piuttosto che una soluzione :”In
assenza di una drastica inversione di rotta, qualsiasi proposta per
l'ulteriore centralizzazione del potere nell'Unione va trattata con
grande sospetto. Un balzo in avanti verso il federalismo potrebbe in
linea di principio essere compatibile con una inversione di tendenza
verso politiche economiche fondate sull'occupazione, ed il welfare,
ma in pratica la centralizzazione finora occorsa, ha solo aumentato
la pressione sull'impegno le condizioni di lavoro, i servizi sociali
ed il welfare”.
Forse
il termine centralizzazione in questo caso non aiuta a definire
appieno l'effettiva natura del processo di costruzione di un'Europa
federale, che superi il modello intergovernativo del semestre europeo
o del Consiglio Europeo, e sia fondato su criteri e modelli realmente
democratici e di solidarietà. Resta però il fatto che oggi senza un
forte messaggio che metta al centro la dignità delle persone, i
diritti e la giustizia sociale, ed il necessario abbandono
dell'approccio ordoliberista, ogni ipotesi di Europa politica rischia
di perdere ulteriormente di legittimità e “appeal”. Se non la
sua stessa “raison d'etre”. Non a caso Juergen Habermas ci
ricorda che l'essenza del progetto europeo è la protezione di un
sistema di vita europeo dagli effetti nefasti della globalizzazione.
Un sistema di vita che è caratterizzato dall'inclusione sociale,
politica, e culturale e sostenuto da robusti welfare state.
Proprio
per scongiurare quest'eventualità, una proposta politica credibile
per l'Europa dovrà trarre la sua origine dalle condizioni di vita
materiali delle persone, affondare le sue radici nelle contraddizioni
e nella sofferenza che la crisi sta generando. Si pensi che secondo i
dati della Croce Rossa Internazionale e di Oxfam, in Europa si
prevede che entro il 2020 ci saranno 150 milioni di poveri! 1
cittadino dell'Unione su 4 oggi e in situazione di povertà ed uno su
otto della forza lavoro disoccupato, un lavoratore su 5 precario.
Oggi la povertà minaccia circa 150 milioni di persone, pari al 24%
della popolazione. Di fronte a queste cifre, anche gli obiettivi del
piano Europa 2020, ossia ridurre di 20 milioni il numero dei poveri
entro il 2020 lascerebbero 95 milioni di persone in povertà.
La
proposta politica di Sinistra Ecologia e Libertà dovrà pertanto
essere caratterizzata da un mix di pragmatismo e idealismo. Il
pragmatismo di impegnarsi fin da subito ai vari livelli, da quello
nazionale a quello europeo per l'adozione di una serie di misure
immediate per contribuire a affrontare le drammatiche ricadute
sociali del modello di austerità. L'idealismo di costruire un'Europa
federale, solidale, ancorata sulla democrazia reale e su ideali
cosmopoliti.
Allora
la proposta di SEL può essere definita in varie fasi.
La
prima, immediata, caratterizzata da misure da sostenere e proporre a
tutti i partiti progressisti, socialisti e ecologisti europei, nonché
a sindacati e movimenti sociali, per intervenire sugli effetti
socialmente nefasti della crisi, partendo dal rilancio delle
politiche europee di welfare. Si può proporre un Patto di Stabilità
Sociale come chiave di volta per affrontare a breve termine gli
effetti devastanti delle politiche di austerità, ed a lungo termine
ricostruire un sistema istituzionale democratico di governo
dell'economia. Come già detto questo obiettivo non può prescindere
da un lato dalla critica radicale e contrasto al Fiscal Compact e
dall'altro dalla richiesta forte di stanziamento di fondi per un
programma europeo di sostegno di emergenza sopratutto nei settori
della sanità, e verso le categorie maggiormente colpite dalla crisi,
anziani, giovani e bambini, ed un reddito minimo europeo.
Proprio
il reddito minimo europeo può essere una delle chiavi di volta per
il rilancio dell'Europa sociale, sempre più necessario a seguito
dello smantellamento del welfare state a conseguenza dei tagli di
bilancio. . Così se alcuni stati non hanno reddito minimo nei loro
sistemi la maggior parte di quelli che lo hanno lo tengono ad un
livello che va al di sotto della linea di povertà. Allora il reddito
dovrà essere considerato diritto sociale fondamentale. Per farlo non
si deve reinventare la ruota, giacché nelle due carte sociali
europee e nella Carta di Nizza il “basic income” è già
riconosciuto come diritto sociale fondamentale ancorato all'articolo
159 del trattato UE sulla coesione sociale.
A
partire dal reddito minimo europeo, Sinistra Ecologia Libertà
potrebbe recepire le proposte dei sindacati europei per un “Social
compact”. Anzitutto in sede di revisione dei trattati dovrà essere
accluso un protocollo sul progresso sociale, andranno introdotti
strumenti democratici di gestione fiscale, e sanzioni per i paesi
membri che ignorano le direttive europee di politica sociale. Nel
breve termine andranno cambiare le regole fiscali, ed introdotto
l'obbligo di valutazione di impatto sociale delle politiche di
stabilizzazione ed aggiustamento, ad oggi non previsto. I governi
dovrebbero essere poi svincolati dagi obblighi del Fiscal Compact ed
il finanziamento dei deficit dei governi della Eurozona andrebbe
mutualizzato attraverso l'emissione di Eurobond.
Per
far ciò la Banca Centrale Europea dovrà diventare “prestatore di
ultima istanza” e messa in grado di emettere Eurobond. Al contempo
dovranno essere adottare misure fiscali quali una “vera”
tassazione sulle transazioni finanziarie ed un sistema fiscale
redistributivo fondato su una “patrimoniale” su scala europea.
Che servano non solo a assicurare la giustizia fiscale ma anche a
finanziare politiche di welfare, e rilancio della piena e buona
occupazione attraverso programmi europei di conversione ecologica
dell'economia e dei sistemi produttivi, quello che viene definito
“Green New Deal”.
Debito
finanziario e debito ecologico sono anch'essi facce della stessa
medaglia, Per questo andrà proposto con determinazione un progetto
radicale di conversione del sistema produttivo, che contribuisca alla
costruzione dell'Europa attraverso la promozione
e tutela dei beni comuni, acqua, cibo, salute, aria, saperi e non
della loro mercificazione. Un'Europa ecologicamente giusta e sana,
che abbandona la dipendenza dai combustibili fossili, per sostenere
innovazione tecnologica e ricerca, fonti energetiche rinnovabili e su
piccola scala, la conversione ecologica dell'economia, il superamento
del concetto di crescita economia quantitativa ed illimitata. Il
2015 sarà un anno di grande rilevanza per la lotta ai cambiamenti
climatici, tema paradigmatico ormai della necessità ormai non più
rinviabile di un radicale mutamento di rotta. Per svolgere un ruolo
chiave nel perseguimento di questo obiettivo, l'Unione Europea dovrà
adottare politiche energetiche centrate sulle rinnovabili su piccola
scala, l'efficienza energetica, il progressivo sganciamento dalla
dipendenza dai combustibili fossili. Per far ciò sarà necessario
proporre un Green New Deal, che sia centrato sull'equità e la
giustizia ambientale e sul riconoscimento dell'inalienabilità dei
beni comuni, assieme a modalità di gestione collettiva degli stessi.
Accanto
alla richiesta di un pacchetto di misure immediate, per l'unione
fiscale, per la separazione delle banche commerciali da quelle
“speculative” (riprendendo ad esempio le raccomandazioni del
Rapporto Liikanen del Parlamento Europeo) Sinistra Ecologia e Libertà
potrebbe proporre di introdurre progressivamente - nel quadro della
revisione dei Trattati - elementi di federalismo e democrazia reale
nell'architettura politica, economica e finanziaria dell'Unione per
ovviare a quel deficit di democrazia che rischia di far collassare
definitivamente il progetto europeo. Proprio in tal senso,
prioritaria sarà la proposta di rafforzamento del potere di
iniziativa legislativa del Parlamento Europeo, di controllo e
definizione del bilancio europeo, nonché l'introduzione di nuovi
strumenti di democrazia diretta di tipo referendario che permettano
ai cittadini e cittadine europee di partecipare direttamente alla
definizione delle politiche europee, e recuperare quel “demos”
così essenziale per il rilancio del progetto di un'altra Europa
possibile. Un'Europa che deve anche guardare al proprio esterno come
attore globale responsabile, in sostegno alla pace, alla solidarietà
internazionale, alla tutela dei diritti umani, al disarmo.
La
difficoltà con cui l'Unione Europea riesce a parlare con una sola
voce indebolisce la sua capacità di agire come un attore globale.
Sarà necessario pertanto dotarsi degli strumenti necessari per
perseguire una politica estera comune quali ad esempio un forte corpo
diplomatico europeo, ma soprattutto andranno ripensate le modalità
con le quali l'Europa si relaziona con il resto del mondo. A partire
dalle aree geografiche più vicine quali il Mediterraneo, ai Balcani,
all'America Latina ed all'Africa. I processi di trasformazione in
corso nel Maghreb hanno messo a nudo i limiti di una politica fondata
esclusivamente sul contenimento dei flussi migratori e della
liberalizzazione degli scambi commerciali e degli investimenti a
favore delle imprese europee, a discapito della democrazia reale e
dei diritti umani in quei paesi.
Come
accennato in precedenza, lo stesso approccio funzionale perseguito al
suo interno, viene perseguito verso l'esterno, nell'illusione che
l'affermazione di un modello neoliberale possa assicurare benessere e
diritti e dignità per tutti. Oggi questo approccio si è dimostrato
fallimentare. E potenze e blocchi emergenti, quali l'America Latina
ormai rivendicano verso l'Unione Europea il proprio diritto sovrano
di imporre regole sociali ed ambientali ed a trattare a pari livello.
Oltre ad un nuovo rapporto tra paesi del Mediterraneo e dell'America
Latina e dell'Africa l'Unione Europea dovrà rielaborare le sue
relazioni con gli Stati Uniti d'America. Il negoziato per il
Partenariato Transatlantico per gli Investimenti ed il commercio non
può diventare l'unico ambito nel quale ridiscutere le relazioni tra
USA e UE, con conseguenti rischi per la tenuta del modello sociale
europeo, e la tutela e promozione dei beni comuni. Per quanto
riguarda l'Africa, la UE dovrà impegnarsi per contribuire alla pace
ed alla soluzione pacifica e diplomatica dei conflitti, nel Sahel,
come nei Grandi Laghi, ed in particolare nel Corno d'Africa oltre che
in Medio Oriente, in particolare in Palestina e Siria.
L'Unione
Europea deve svolgere un ruolo centrale nella cooperazione
internazionale allo sviluppo, rilanciando un approccio fondato sui
diritti fondamentali, sul partenariato ed il protagonismo diretto dei
nuovi soggetti della cooperazione e non sul sostegno al settore
privato ed ai partenariati pubblico-privati come pare emergere dalle
strategie europee verso la Conferenza ONU sulla cooperazione dopo il
2015. Per quanto riguarda la Politica Europa di Difesa, l'Unione
dovrà progressivamente dotarsi di un corpo europeo di polizia
internazionale, integrato, e capace di intervenire per gestire
attraverso gli strumenti della prevenzione pacifica, della tutela dei
diritti umani, e della gestione politica dei conflitti, in aree di
conflitto, sempre e solo sotto l'egida e la legittimazione delle
Nazioni Unite. Accanto ad un impegno forte per la costruzione di una
forza armata europea e di corpi civili di pace, l'Unione Europa dovrà
rafforzare le sue capacità di incidere nelle politiche globali di
riduzione delle spese militari, disarmo nucleare e convenzionale,
controllo del commercio di armi e conversione dell'industria bellica,
e prevenzione e mediazione diplomatica e nonviolenta dei conflitti.
Democrazia
reale, diritti di cittadinanza, giustizia fiscale e sociale,
superamento dell'Europa dell'austerità per l'Europa federale e della
solidarietà, conversione ecologica dell'economia e beni comuni, pace
e solidarietà internazionale. Questi dovranno essere i punti
centrali della proposta di SEL per un'AltraEuropa, sui quali
confrontarsi a tutti i livelli. E sui quali determinare il proprio posizionamento nell'imminente campagna elettorale. Ed oltre, visto che l'impegno politico per l'AltraEuropa non si esaurisce nei giorni delle elezioni a maggio, ma necessiterà di una strategia più di lungo respiro. Una strategia che preveda l'interlocuzione dai movimenti sociali e sindacati su
scala nazionale, ai partiti europei dal PSE e dalle sue
componenti più critiche verso il modello neoliberista, a forze politiche quali Syriza, o i Verdi (ad esempio di
Iniciativa Verts Catalunya e non solo, basti pensare al neonato partito per la sinistra, l'ecologia, l'Europa e la libertà Livre in Portogallo) , o la Linke ed il GUE. Obiettivo quello di costruire
insieme una “roadmap” per l'AltraEuropa che possa essere,
all'indomani delle elezioni europee, base di una collaborazione più
stretta a livello parlamentare e non solo, passando da una fase di contrasto alle politiche ordoliberiste, ed i
suoi corollari “politici” (ossia larghe intese o Grosse
Koalition, a maggior ragione se questa formula prenda piede anche a
livello europeo), ad una fase di costruzione dell'AltraEuropa. Una
fase costituente, che non può e non deve essere lasciata
esclusivamente nelle mani dei partiti politici europei, ma andrà
condivisa con movimenti, sindacati, soggetti sociali e politici
al fine di ricostruire insieme uno spazio comune di cittadinanza,
diritti e dignità.