Sinistre latinoamericane ad un bivio: Buen Vivir e
democrazia reale o la fine di un sogno?
Paco Martinez
Alternative per il
Socialismo
Ottobre-Novembre 2015
“Mentre noi
progressisti dell’Occidente spesso siamo i più rigorosi nel monitorare o
giudicare i partiti socialdemocratici al governo nei nostri paesi, troppo
spesso idealizziamo le realtà politiche in Bolivia ed altri paesi
latinoamericani, non solo per mancanza di informazioni, ma anche perché abbiamo
bisogno di esempi che diano speranza – e ciò potrebbe portare a conclusioni sbagliate,
strategie sbagliate e campagne di solidarietà fuorvianti da parte della
Sinistra” [1]
Tracciare le coordinate di un bilancio seppur
approssimativo delle Sinistre del XXI
secolo in America Latina è compito complicato, considerando che ogni esperienza nazionale - da quella più o meno “socialdemocratica” a quelle del
Socialismo del XXI Secolo - sfugge a
categorie definitive. Fatto sta che da più parti si tenta, anche da sinistra, di
capire se questo “ciclo” stia volvendo al termine, o se invece si possa aprire
una nuova fase di trasformazione sulla
scorta di ciò che di rivoluzionario ed
irreversibile quelle esperienze hanno
portato dopo decenni di neoliberismo, autoritarismo, ingerenza statunitense,
strapotere delle imprese multinazionali e delle élite. Parlare di America Latina presuppone apertura all’analisi ed alla critica costruttiva,
piuttosto che ideologia. [2] Assumere la complessità significa poi considerare
che le dinamiche attuali sfuggono alla tradizionale contrapposizione
tra rivoluzione e restaurazione guidata o meno da dagli interessi geopolitici
di Washington. Certo sussistono importanti ingerenze degli States , ad esempio in Centroamerica, regione
quasi del tutto caratterizzata dal confitto permanente in Messico. O nella
spinta alla costruzione dell’Alleanza del Pacifico. O nelle sanzioni e nell”executive order” di Barack Obama che definisce il Venezuela come
pericolo per la sicurezza, in un irrigidimento parallelo
all’apertura verso Cuba, che indubbiamente rappresenta una svolta storica. Che ciò possa poi all’abolizione dell’embargo illegale dipenderà
dalla capacità di Obama di far tesoro degli scampoli del suo mandato
presidenziale, o di lasciare questo
percorso da compiere nelle mani del suo successore.
Oggi più che il Pentagono o
la CIA sono principalmente i mercati globali e la
finanza globale, e le élite economico-finanziarie di riferimento ad influenzare i processi politici in America
Latina. Basti pensare al caso della vertenza giudiziaria in corso tra fondo EMC
del miliardario Paul Singer (per inciso il principale finanziatore del partito
repubblicano negli States) ed il governo Kirchner in Argentina, nella quale un
tribunale negli Stati Uniti ha ingiunto all’Argentina il pagamento di 1,7
miliardi di dollari come liquidazione di titoli di credito acquistati a suo
tempo da EMC sui mercati secondari. Buenos Aires giustamente non paga, ma ciò impedisce all’Argentina di accedere ai mercati
finanziari internazionali, con gravi conseguenze per la tenuta economica del
paese. Un altro duro colpo per Cristina Kirchner, a pochi mesi dalle elezioni.
Eppoi gli effetti – attuali e futuri - del crollo del prezzo del
petrolio su economie centrate sulla monocultura petrolifera (Ecuador, Bolivia
ed in minore misura Venezuela, dove la fase di crisi è dovuta anche alle
ricadute delle sanzioni USA, la recrudescenza di tentativi di
destabilizzazione, e la penuria - “pilotata” dalle opposizioni - di beni di prima
necessità) o lo sfruttamento intensivo di altre materie prime. A ciò si
aggiunge la crisi della Cina , cruciale partner commerciale ed industriale e pilastro centrale nelle politiche di
integrazione alternative in America
Latina.
Altra traccia di lettura potrebbe essere la contrapposizione/relazione tra “alto” e basso”, ossia la capacità di movimenti sociali ed indigeni di operare una critica radicale ai
processi di accumulazione di potere politico e economico nelle mani di élites
vecchie e nuove, reazionarie, oligarchiche o supposte rivoluzionarie. Per fare un esempio torniamo a Cuba. Il giorno 30 dicembre 2014 in Plaza
de la Revoluciòn all’Avana l’artista Tania Bruguera aveva convocato una performance per
sottolineare la necessità di aprire un
dibattito pubblico sul nuovo corso a Cuba. Nella sua lettera aperta a Raul
Castro, al Papa ed a Barack Obama, la Bruguera proponeva
il coinvolgimento della
popolazione cubana, per evitare un’accettazione a priori del paradigma economico di mercato e
l’integrazione di Cuba nelle dinamiche del mercato capitalista globale. Nelle parole del critico d’arte messicano
Cuahtemoc Medina l’intenzione era di “trasformare
un processo ulteriore di espropriazione neoliberista, la cosidetta “normalizzazione”
delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti, in un appello a far valere una
rivoluzione cittadina all’interno della rivoluzione cubana”, in poche
parole, “socializzare il socialismo”. [3] La
performance non ebbe mai luogo, e la Bruguera venne dapprima messa agli arresti
domiciliari e poi liberata. Questo
episodio, al di là del carattere
performativo proprio dell’arte contemporanea della cosiddetta “socially
engaged” art - che in America Latina ha tra i suoi più validi esponenti – offre
spunti utili di riflessione. Anzitutto
andrà chiarita la misura in cui i
processi di riappropriazione dal basso
dello spazio pubblico, spesso rischiano di diventare ambivalenti, a
volte ambigui. Troppe volte accanto a forze progressiste e movimenti sociali si
manifesta la presenza opportunistica di
forze reazionarie, oligarchiche e di destra. Ciò comporta la doppia sfida di contrastare
la destra e le sue pulsioni “golpiste” o reazionarie ed alimentare il
protagonismo di soggetti sociali, movimenti e realtà progressiste che non
necessariamente coincidono con il discorso “oficialista” , ma che hanno contribuito non poco
all'avvento di governi progressisti e potranno contribuire in maniera
determinante alla continuazione di quei processi di liberazione ed
emancipazione.
Agitare lo spauracchio della destra, seppur legittimato dall’evidente tentativo spesso
eterodiretto di scalzare i governi progressisti (ad esempio in Venezuela), rischia
di essere strumentalizzato per mettere a tacere qualsiasi forma di dissenso da
“sinistra”. Interessante a tal riguardo lo scambio epistolare tra il
vicepresidente della Bolivia Garcia Linera ed un gruppo
di intellettuali di sinistra tra cui Buenaventura de Souza Santos, Alberto
Acosta, Raul Zibechi, cofirmatari assieme alla sociologa di sinistra argentina
Maristela Svampa di una lettera di
protesta riguardo la decisione del governo Boliviano di chiudere di autorità alcune
ONG di sinistra nel paese. Alla risposta di Garcia Linera la Svampa replica
che l’accusa rituale secondo la quale le ONG critiche nei confronti delle
politiche estrattiviste e sviluppiste del governo siano da considerare come
braccio della destra reazionaria, servirebbe solo ad occultare il vero problema, quello del modello di sviluppo, che
in Bolivia sembra ormai assai lontano da quei diritti
della Madre Terra sanciti a livello costituzionale.[4] Una
faglia aperta con la scelta di aprire una autostrada parco del Tipnis, uno spartiacque nella storia recente della
sinistra in Bolivia, come la mossa di
Correa in Ecuador di delegittimare la “consulta popular” convocata dal
movimento degli Yasunidos per la protezione del parco Yasuni dall’estrazione
petrolifera, o la diga di Belo Monte in Brasile o la decisione del governo di
Ortega in Nicaragua di aprire un canale parallelo al canale di Panama. Che chi
si opponga a questi megaprogetti, all’espansione
dell’agribusiness o ad accordi di libero scambio firmati a vantaggio delle élite
economiche e commerciali di sempre sia ostaggio della destra è tutto da dimostrare.
Certo è che accanto alla sinistra
“oficialista” del XXI secolo si è andata affermando, come dimostrano anche le recenti mobilitazioni in
Ecuador, una sinistra di base, popolare,
ecologista, indigena e contadina che invece di essere considerata come “linfa
vitale” viene dalla stessa sinistra “oficialista”
bollata come golpista o al soldo della destra e spesso anche trattata con
linguaggi e modalità neocoloniali, Non è un caso che in vari settori del
pensiero critico di sinistra in America Latina, si pensi all’opera di Anibal
Quijano [5], spesso si parla della necessità di
“decolonizzare” il potere. Piuttosto che adottare le categorie di destra e sinistra sarà quindi urgente affrontare il tema della
“colonialidad” e decolonizzazione del potere per una trasformazione radicale delle vecchie strutture economiche, politiche e sociali. Strutture, che a parte
l’eccezione del Venezuela o di Cuba, sono state in minima parte intaccate. Ad
esempio in Brasile l’alleanza tra governo e interessi di élite industriali
vecchie o nuove è resa possibile dal sistema elettorale che permette alle
imprese di finanziare i propri candidati. Non a caso le 10 maggiori imprese
brasiliane hanno eletto il 70% del Parlamento [6].
Questa convergenza di obiettivi si
traduce in programmi neoliberisti, quali Agenda Brasil. [7] Il
Brasile è oggi in preda ad una crisi economica, sociale, politica grave, non
solo riconducibile alle mobilitazioni a seguito dei gravi scandali di corruzione che
avevano dapprima colpito ministri del governo Rousseff ed ora rischiano di travolgere
lei e l’ex Presidente Lula. In realtà il gigante brasiliano è
attraversato anche da una profonda crisi economica, con stagnazione della
crescita industriale, aumento della disoccupazione e da una crisi sociale di
rappresentanza. Nelle grandi città questa si manifesta con la mancanza di
accesso alla casa, ai servizi pubblici, aumento della violenza della polizia
verso i giovani delle periferie e delle favelas, e la difficoltà dei giovani
“scolarizzati” di poter accedere agli studi universitari. La risposta dei movimenti
sociali è quella di una “costituente dal
basso” per cercare di ricostruire una trama di azione politica ed uno spazio
pubblico e di cittadinanza, contrastando i tentativi delle destre. L’altra è la
crisi del modello estrattivista di sfruttamento ed esportazione di risorse
naturali e costruzione di grandi infrastrutture, e che non porta con sé una logica di
redistribuzione dei profitti ed accentua invece le ancora esistenti
diseguaglianze nelle periferie del paese. Il leader del Movimento dei Sem terra
Joao Pedro Stedile, non usa mezzi termini nel definire la questione: “il
neosviluppismo si è esaurito”. [8]
In Cile i ripetuti scandali di
corruzione hanno portato la presidente Bachelet a costituire un nuovo governo, mentre la “longa manus” delle forze armate
riaffiora continuamente nel dibattito pubblico nel paese, a dimostrazione della
persistenza di strutture e centri di interesse mai messi in discussione. L’esclusione
di un’ampia fetta della popolazione dall’economia ha poi contribuito alla
perdita di legittimità del sistema politico. Il tema degli indigeni Mapuche e
della loro marginalità ed esclusione è poi lì a dimostrare come anche in Cile
la sinistra oltre a non smarcarsi dall’imperativo sviluppista, fatica
ad assumere una prospettiva “decolonizzata”. Il movimento inizialmente
studentesco chiedeva accesso all’educazione gratuita ed universale, per poi
allargare la piattaforma al welfare ed alla sanità pubblica e poi in supporto
ad una totale revisione dello stato, attraverso una Assemblea Costituente, cosa
che Michelle Bachelet cerca di evitare, sostenendo invece in alternativa una
strategia più interna alle istituzioni, ed un percorso “parlamentare” per la
stesura della nuova costituzione. [9]
Tutto
ciò autorizza ad affermare che la sinistra latinoamericana è alla fine di un
ciclo? O ad imputare sempre e comunque questa crisi e le mobilitazioni che ne
seguono, al furore reazionario delle destre oligarchiche o di mandanti a stelle
e strisce? O a cercare in tale crisi
tracce di una vera crisi di paradigma?
Indubbiamente come spiega Immanuel Wallerstein [10],
esistono ormai due sinistre in America Latina, quella che ha usato il potere
per modernizzare lo stato e l’economia ed entrare in competizione con le
economie del cosiddetto Nord, e quelle sinistre “popolari”, che anche grazie
alla “contaminazione” dei movimenti indigeni oggi iniziano a promuovere un
approccio diverso basato sul Buen Vivir, che va ben al di là del riconoscimento
formale fatto in alcune costituzioni quali quella bolivariana e quella
ecuadoriana. Più che interrogarsi però
sull’eventualità che i governi di sinistra si stiano spostando a destra o più
in generale accontentarsi di usare i termini di destra e sinistra intesi in
maniera tradizionale e forse anche troppo eurocentrica, sarà urgente definire nuovi codici di lettura.
Tra questi emerge la contraddizione
nella quale si sono trovati i vari governi di sinistra in
America Latina, tra dovere storico di “restituire” un debito sociale storico a
milioni di poveri ed “esclusi” ed accumulazione di debito ecologico per queste
generazioni e quelle a venire.
E’ l’elemento ecologico che irrompe e delinea
una nuova chiave di lettura dei processi in corso nei paesi del “socialismo del
XXI Secolo” [11],
e che porta molti osservatori , quali Francois Houtart [12], ad
affermare che se da una parte molti di questi governi sono riusciti a
disfarsi dell’armamentario neoliberista dall’altra non hanno ancora superato il capitalismo (seguito in questo anche da
David Harvey [13])
, che nella sua fase “estrattivista”, trasforma le risorse naturali in merci da immettere
nei mercati globali. (neanche l’Uruguay di Pepe Mujica ne è uscito indenne). Pensiamo ad esempio ai processi di
integrazione politica continentale, importanti e fondamentali in un nuovo
assetto globale centrato sul plurilateralismo, la costruzione di una cittadinanza continentale, ed
aggregazioni quali UNASUR, o l’ALBA, o il CELAC. Un processo di emancipazione
contrastato da contro-alleanze quali l’Alleanza del Pacifico che mette insieme
paesi della costa pacifica dal Cile, al Perù, al Messico alla Colombia in un
patto economico, commerciale e politico con Washington, tutta presa dallo di
spostamento del “pivot” dei suoi interessi geopolitici e strategici in Asia e
nel Pacifico. Accanto all’integrazione politica si affianca quella economica,
attraverso l’adozione del “sucre”, ma anche attraverso megaprogetti e programmi di sfruttamento delle risorse
minerarie e petrolifere, agroindustria, come ad esempio l’IIRSA (Iniziativa per
l’integrazione infrastrutturale del Sudamerica).
Obiettivo centrale è quello di
immettere nei mercati asiatici ed europei la maggior quantità di risorse
naturali primarie possibile, per alimentare la crescita del continente. Ci si dovrebbe pertanto interrogare se oltre il post-liberismo ed il neo-sviluppismo, esista a sinistra un’alternativa fondata su
democrazia reale e radicale, decolonizzazione delle strutture di potere, riconoscimento dei beni comuni, autonomia dei movimenti sociali, autogoverno e
riconoscimento del debito ecologico e della giustizia ambientale. Rivendicazioni
e proposte già in gran parte diffuse e agite dal “basso” dai movimenti
latinoamericani. Piuttosto che parlare quindi di “fin del relato progresista en America Latina” [14] sarà
importante definire quali possano essere
gli elementi chiave per un approfondimento del processo di liberazione e
emancipazione di quei popoli dopo una fase più o meno lunga di rottura con
l’ordine precedente. Per quanto riguarda gli aspetti più positivi delle
esperienze del socialismo del XXI, ossia la spesa sociale, la rinegoziazione del debito, il recupero di
sovranità ed i processi di integrazione regionale, tale rottura è irreversibile. Oggi i poveri e gli esclusi in America Latina
sono tornati al centro dell’agenda politica, a loro è stata restituita dignità,
basti pensare al Venezuela, che come sottolinea in un interessante articolo
comparso sulla rivista Jacobin, “ha riportato i poveri e gli esclusi al centro
dello spazio pubblico.” [15]
Se da
una parte occorrerà fare fronte comune
contro le destre, e contro gli effetti negativi dei mercati e della finanza
globale, allo stesso tempo si dovrà lavorare anche sugli elementi
portanti di una nuova fase, centrata appunto su “Buen vivir” e democrazia radicale. Ciò
presuppone probabilmente il superamento delle pulsioni “populiste” e
“neocaudilliste” che caratterizzano buona parte di quelle esperienze, anche in
seguito alla mancanza o all’entrata in crisi delle strutture politiche e dei
partiti di riferimento. Insomma, quello
stesso populismo che secondo Ernesto Laclau è un
elemento determinante per l’egemonia dei processi rivoluzionari non rischia forse
di ritorcersi contro la sua stessa base popolare? Resta il fatto che se da un
lato senza un netto cambio di passo le sinistre “oficialiste” rischiano di
avvitarsi in una crisi senza via d’uscita, dall’altro i popoli dell’America
Latina hanno segnato un cambiamento dal quale non si potrà tornare indietro e che sopravviverà alle sorti dei governanti di
ora e di domani. Il punto semmai non sarà il rischio di tornare indietro nella
storia, ma di affrontare un domani che risponda
alle aspettative e le aspirazioni di giustizia di interi popoli. Nelle parole
di Blanca Chancosa leader indigena ecuadoriana in una lettera nella quale
respinge duramente le accuse di Evo
Morales di connivenza con la destra reazionaria: “caro Evo, i presidenti passano noi indigeni rimaniamo e rimarremo,
nella speranza di poterci un giorno reincontrare”.[16]
[1] While we progressives in the West often
apply the most rigorous scrutiny in or judgments of ruling social democratic
parties in our countries, political realities in Bolivia and other Latin
American countries are too often idealized, not only because of lack of
information, but also because we desire beacons of hope – this may lead to
false conclusions, wrong strategies and misguided solidarity campaigns among
the Left”. “Bolivian authoritarianism: not
just a right-wing charge” by ROAR Collective on November 3, 2014 -
http://roarmag.org/2014/11/bolivia-authoritarianism-mas-elections/
[2] Polis 39 (2014) Soledad Stoessel - Giro a la
izquierda en la América Latina del siglo XXI. - Revisitando los debates
académicos -
http://polis.revues.org/10453
[3]
https://cuauhmedina.wordpress.com/2014/12/29/yotambienexijo-la-socializacion-del-socialismo-y-la-exigencia-de-recuperar-el-ser-politico/
[4]
http://www.pueblosencamino.org/index.php/joomla-stuff-mainmenu-26/search-mainmenu-5/1440-poco-serio-decir-que-fuimos-enganados-maristella-svampa-responde-a-garcia-linera
[5]
http://www.vientosur.info/IMG/pdf/VS122_A_Quijano_Bienvivir---.pdf
[6] Raul Zibechi,
“Il Brasile che verrà”, http://comune-info.net/2015/03/il-brasile-che-verra/
[7]
http://congressoemfoco.uol.com.br/noticias/entidade-divulga-manifesto-contra-a-agenda-brasil/
[9] www.opendemocracy.net
/cristobal-escobar/social-movement-in-chile-and-call-for-constitutionalassembly
Cristobal
Escobar
[11] “La nueva gran
transformaciòn” , Raúl Zibechi , 24 de Julio
2015, http://www.jornada.unam.mx/2015/07/24/opinion/017a1pol
[12] www.opendemocracy.net /fran%C3%A7ois-houtart/citizen-revolutions-in-latin-america
[14] “Is this the end of the Latin American 21st
century socialisms?” opendemocracy.net /democraciaabierta/jorge-le%C3%B3n-t/is-this-end-of-latin-american-21stcentury-socialisms.
Jorge León T.
http://kaosenlared.net/el-fin-del-relato-progresista-en-america-latina/
[16] http://www.pueblosencamino.org/index.php/joomla-stuff-mainmenu-26/search-mainmenu-5/1442-blanca-chancosa-responde-a-evo-morales