sabato 19 aprile 2008

Ricostruire la sinistra


“Lentius profundius, suavius”
, così diceva un maestro di tutti noi Alex Langer. Così dovremmo imbarcarci nel viaggio nel quale stiamo stati tutti spinti dall’esito del voto delle elezioni politiche. Lentamente, profondamente, e con dolcezza dovremmo porci una serie di domande e interrogativi comuni sui quali ognuno ed ognuna di noi, chi dall’interno di quello che rimane dei partiti tradizionali chi nella sinistra diffusa, quella sociale, proverà a porsi – insieme o su percorsi paralleli - per spiegarsi le ragioni di una disfatta. Per farlo nella maniera migliore si dovranno immaginare alcune ipotesi di lavoro, scenari anche inediti, Anzitutto partire da una prima considerazione e cambiare il punto di partenza. Più che interrogarsi sul perché in molti sono caduti nelle suggestioni del voto utile ed hanno votato il PD, si dovrà partire dalla constatazione che una gran parte del popolo della sinistra diffusa non ha votato a Sinistra. Perché magari il progetto non attirava, perché il programma costruito dalla SA - a parte qualche eccezione è stato redatto a tavolino - mettendo in fila una serie di rivendicazioni e richieste, a mò di lista della spesa. Perché magari quel popolo - che esiste eccome, e continuerà a far politica alla sua maniera - è stanco di deleghe in bianco e ritiene superflua o per lo meno non determinante una rappresentanza istituzionale. Anche su questo si dovrà riflettere, e la domanda da porsi - a mio parere - è la seguente. Una forza che vuole perseguire una trasformazione della società, che vuole contribuire all’affermazione di diritti fondamentali, che vuole costruire una economia di pace e di giustizia, che si propone un progetto di giustizia sociale ed ecologica, ha veramente bisogno di essere rappresentata in parlamento? Sarebbe utile cogliere in questa crisi l’opportunità di ridiscutere anche i luoghi della rappresentanza, facendolo non in maniera autistica, ma con un’analisi strategica degli obiettivi che si intende perseguire. Non tanto concentrandosi su ipotesi di tipo organizzativo, ma riflettere e valutare quanto oggi la rappresentanza parlamentare e/o partitica sia strumentale o meno al perseguimento di quegli obiettivi, o rimanga fine a se stessa. Inoltre la sinistra dovrà svolgere una radiografia di ciò che resta della sfera pubblica, di quella nella quale si vuole incidere, di cosa rimane dopo il ritrarsi dell’onda lunga del neoliberismo, del materiale sul quale provare a ricostruire un’ipotesi postmoderna e postcoloniale di società. Ed in questo percorso di ricerca, la questione dei luoghi e non solo delle modalità di rappresentanza resta centrale. Magari poi si arriverà per forza di cose alla conclusione paradossale che l’unica maniera per provare a ricostruire la rappresentanza a livello nazionale è di rafforzare quella a livello locale, municipale, e quella a livello europeo. Perchè è lì, in quel canale di azione politica tra dimensione locale e di municipalismo solidale, ed europea che si può forse perseguire al meglio il paradigma glocal, (locale-globale) che deve caratterizzare il nostro operato. Ancorato nelle vertenze, nei conflitti (ed anche nella pratica di alternative dal basso) con ricaduta politica ed istituzionale a livello più alto, quello europeo. Detto questo va aggiunto che un passaggio importante - nel percorso di Rifondazione in particolare - è stato quello di assumere il tema dei diritti civili, dei diritti della persona, un salto culturale e politico notevole insieme a quello della nonviolenza, un’evoluzione che porta ad un superamento della centralità della rappresentanza di classe. Credo che un soggetto di sinistra oggi non possa più esclusivamente rappresentare una classe , ma interpretare e saper leggere bisogni diffusi , trasformarli in diritti universali, in pratiche e progettualità che prescindono dalla rappresentanza di classe. Questo perché - come ogni altra forma di identità - anche le classi tradizionali sono ormai liquide, ibride, caratterizzate da dinamiche di inclusione-esclusione non più dalla redistribuzione del capitale o dei fattori di produzione, ma da diritti fondamentali di cittadinanza. Pertanto i percorsi di liberazione non passano più necessariamente attraverso la contraddizione capitale-lavoro, bensì sono caratterizzati dall’esigibilità e accesso a diritti fondamentali per tutti e tutte, sono processi di liberazione dalla paura, dalla precarietà, dall’incubo e dalla pratica della Guerra e della crisi ambientale. Sono pratiche di liberazione per chi rivendica (operaio e borghese, pardone e migrante, studente e disoccupato, pubblico dipendente e pensionato) il diritto alla scelta della propria identità sessuale, che persegue la parità di genere, o la costruzione di una società multiculturale e laica. Insomma una sinistra nuova si interroga non solo sulla crisi della rappresentanza ma anche sui luoghi vecchi e nuovi della stessa, sulla sua trasformazione da rappresentanza di classe a progetto e processo di affermazione di valori e diritti universali per tutti e tutte. Credo che il compito che ci troviamo dinnanzi non sarà facile, anzi. Dovrà essere fatto con grande umiltà, e forse anche in silenzio, superando questa propensione alla verbalizzazione propria della nostra Sinistra tradizionale. Andrà fatto in maniera autenticamente orizzontale, assembleare, in un processo costituente collettivo. C’è però a mio parere un’ulteriore aggravante. Accanto al processo di elaborazione, prima del lutto e poi del futuro, c’è un urgenza sulla quale finora poco si è parlato. Quella di organizzarci rapidamente per difendere quel che resta dei diritti di tutti, accompagnare all’elaborazione la resistenza civile contro i programmi ed il progetto scellerato di società incarnato da chi ora sarà al governo. Non possiamo permetterci il lusso di chiuderci nelle nostre assemblee o nei nostri blog a discutere del domani quando l’oggi rischia di prendere il sopravvento. Che il nostro camminare domandandoci, sia perciò anche ispirato ed alimentato dalle pratiche di resistenza civile e nonviolenta che dovremmo mettere in campo per lasciare aperti spazi necessari per costruire un altra Italia possibile.

Nessun commento: