venerdì 22 agosto 2014

Guerre vere e guerre di parole

Quando rifletto sulla guerra ci sono alcuni testi di riferimento che riaffiorano nella mente. Tra questi due sono imprescindibili, quello di Susan Sontag sul dolore degli altri e quello di Chris Hedges, reporter di guerra, dal titolo “La guerra è una forza che dà significato” “War is a force that gives us meaning”. Da anni ormai, per impegno politico, da nonviolento e pacifista, mi trovo a fare i conti con la guerra, in tutte le sue declinazioni. Umanitaria, asimmetrica, dichiarata o meno, per procura.
E per anni ho assistito a quel mix di propaganda, costruzione del caso, uso strumentale delle vittime, approssimazione o micidiale cinismo che accompagna e precede ogni volta una scelta per l'uso diretto o indiretto delle armi. E' come se saltassero le categorie analitiche. Il ricorso a termini che innescano una reazione quasi pavloviana nel lettore e fruitore per determinarne il posizionamento. Salta la capacità critica di questionare e invocare sempre ed in ogni modo il principio di precauzione. Così se si parla di genocidio, automaticamente si dice che il nemico da combattere è un nazista, e automaticamente si assimila chi lo combatte ai partigiani del “nuovo millennio”. Se si parla di “sterminio di cristiani” si evocano persecuzioni alle quali si deve immediatamente ricorrere con l'uso della spada. Non mi si fraintenda, io credo che oggi ISIS rappresenti qualcosa che deve essere affrontato con determinazione, è una minaccia che va ben oltre l'aspetto religioso, Una minaccia che deve essere neutralizzata. Come. Non certo continuando a discutere in circolo. Si vabbé erano stati armati dagli americani, beh si e allora, c'è sempre di mezzo il petrolio. No però perché i kurdi non hanno l'indipendenza? E torniamo sempre al punto di partenza. Il primo punto che secondo me imprescindibile per affrontare “politicamente” la vicenda è quello di sforzarsi di uscire dalle vecchie categorie di analisi nella consapevolezza che questo fenomeno non rientra in quelle categorie. Secondo, invocare sempre e comunque il principio di precauzione sull'uso della forza, ma non escluderlo a priori. Si vabbé , belle parole mentre la gente viene massacrata. Si vabbé ma quanti poi sono massacrati? E perchè i governi non si indignano per le migliaia di morti a Gaza? Diciamocela tutta: la situazione che si è venuta delineando in Medio Oriente è talmente complessa, intricata, di conflittualità policentrica, che se cerchi di risolvere uno dei conflitti si riaccende l'altro. Per questo c'è bisogno di un lavoro di prospettiva politica, e di elaborazione di una soluzione politica. Si vabbé parli facile, tu, quelli vengono massacrati e c'è bisogno di fare presto. Si però da quando si è iniziato a parlare di mandare armi a quando le armi italiane arriveranno, sono passate almeno due-tre settimane. Lo stesso tempo operativo necessario per proporre - visto che l'Italia sarebbe presidente di turno della UE e ambisce al posto di Alto Commissario - Mr o Mrs PESC a seconda del caso - di far approvare dal Consiglio dei Ministri Europei una proposta di convocazione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza per autorizzare e spostare sotto ombrello ONU alcuni “battle group” europei da schierare a difesa dei civili inermi catturati tra due fuochi. Giorno più giorno meno. Quel che manca nella “soluzione” prospettata dal governo italiano è proprio la politica. Senza la quale non sarà possibile alcuna soluzione effettiva alla questione. Mi sarei aspettato una discussione prima del dibattito parlamentare che potesse prospettare vari scenari ed ipotesi, sulle quali discutere, non un “coniglio uscito dal cilindro” che sembra più informato da criteri di propaganda che altro. E che fa leva sulla nostra giusta indignazione ed orrore per l'operato di ISIS. Fatto sta che si assiste di nuovo ad una discussione virtale o meno tra “interventisti o non interventisti”, gente di sinistra che pensa di rispolverare categorie dell'imperialismo o antiìimperialismo, chi ti accusa di legittimare ISIS se cerchi di comprendere le cause della sua avanzata o chi ti dice che sei imbelle se provi a mettere nella discussione proposte alternative, che non precludono – sia chiaro – l'uso della forza. Ecco vedi allora vuoi la guerra. Ed hai voglia a spiegare che l'uso della forza in determinate condizioni e secondo determinati criteri è l'unica maniera per difendere gente inerme. Si ma che interposizione, per l'interposizione ci vuole il consenso di ambedue le parti in conflitto. Altra confusione, non si parla di interposizione ma di polizia internazionale altra cosa. E così via: io sono per l'indipendenza dei kurdi, quindi si diano le armi ai peshmerga. E si scorda che ormai il tema dell'indipendenza magari è solo nella testa di Barzani e dei suoi che gli altri kurdi parlano di “autonomia” democratica. No così giusto per dire. Quel che davvero mi preoccupa oggi non è solo il modo con il quale – in maniera assai sbrigativa e “arimediata” questo governo sta liquidando la questione contingente. É che la maniera con la quale è stata trattata ed “impacchettata”, accede delle spie di allarme alle quali credo sia necessario prestare attenzione. Che non è mica detto che la prossima mossa non sarà quella di proporre un'intervento internazionale in Libia. Quella Libia insanguinata da milizie che si fanno la guerra tra di loro, magari con armi che anche l'Italia “illo tempore” ha provveduto a fornire sottobanco.
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