giovedì 6 novembre 2014

Renzi-Juncker: burocrate a chi?

Continua la querelle tra Renzi e Juncker. Uno dà all'altro del burocrate, l'altro ribatte. Non certo un gran spettacolo con il semestre italiano di Presidenza del Consiglio UE agli sgoccioli, con il premier impegnato nella sua corsa sfrenata per le "riforme", la "rottamazione", e lo "sblocco dell'Italia": E dall'altra parte preso a sfoderare una retorica anti-casta verso Bruxelles. Il punto centrale è uno: La Commissione potrebbe chiedere una manovra aggiuntiva di 3 miliardi di euro all'Italia, ed esiste il rischio di una procedura di infrazione. Ci saremmo aspettati qualche mossa più audace, piuttosto che quella di usare un tono suppostamente aggressivo per mitigare l'impatto di scelte di politica economica ed industriale che alla fine rispecchiano per filo e per segno gli ordini di "Bruxelles". Così le parole di Renzi restano sospese nel vuoto, nel tentativo di salvare la faccia dopo una performance "europea" assai scarsa. Nei giorni scorsi come in questi mesi di semestre. In un colpo la Commissione è di burocrati, ed il nostro dimentica di aver fatto il possibile e l'impossibile per conquistare con Federica Mogherini il posto di vicepresidenza e Alto Commissario. Dice bene oggi su un editoriale Antonio Polito, ricordando che se da una parte Renzi non è un leader eletto, dall'altra, volenti o nolenti, se guardiamo alla forma piuttosto che alla sostanza, per la prima volta un presidente della Commissione viene nominato in quanto candidato dello schieramento che ha vinto le EUropee e previo scrutinio e votazione al Parlamento Europeo. Sempre oggi in un'intervista il sottosegretario Gozi tiene a puntualizzare che il governo si aspetta da Junkcer proposte concrete sul piano di investimenti di 300 miliardi di euro, un piano che esiste in teoria ma che sulla carta andrebbe tutto definito. Altro che Green New Deal europeo. Il sottosegretario Gozi sfida Juncker a reperire le risorse, noi lo sappiamo dove andare a trovare i soldi: eurobond BEI, carbon tax, armonizzazione delle politiche fiscali, lotta all'evasione fiscale ed ai paradisi fiscali, tassazione sulle transazioni finanziarie. E sappiamo anche cosa farci: conversione ecologica dell'economia, creazione di posti di lavoro "green", sostegno alla mobilità sostenibile, cura del territorio, risparmio energetico e rinnovabili su picocla scala. Ma questo presuppone da una parte l'abbandono della mistica della "crescita" ed una profonda riforma "politica" dell'Unione, attraverso una revisione dei trattati. Questa resta il vero convitato di pietra di questo semestre italiano che non resterà certo alla storia.

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