per il Manifesto, 16 marzo 2016
Il quotidiano “The Reporter” di Addis Abeba riportava qualche giorno fa la notizia del contratto che verrà firmato tra l’Ethiopian Electric Power e Salini Impregilo per la diga di Gibe IV in seguito alla recente decisione della SACE di finanziare l’opera con 1.5 miliardi di euro. Qualche ora dopo sarebbe atterrato ad Addis Abeba il Presidente Sergio Mattarella, nella prima visita mai fatta da un presidente della Repubblica italiano nel paese. Il presidente ha discusso con le autorità etiopi di terrorismo, cooperazione, lotta alla povertà, migranti, energia e investimenti in una capitale abbellita a festa. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che ad Addis, città in grande espansione, pochi mesi fa sono stati massacrati 140 dimostranti scesi in piazza in solidarietà con le popolazioni Oromo che vivono intorno alla capitale. Protestavano contro l’Addis Abeba Master Plan che li avrebbe cacciati dalle loro terre. Il Master Plan venne abbandonato, ma a febbraio di quest’anno le forze di sicurezza continuavano a mietere vittime in Oromia: almeno 200 persone uccise e migliaia detenute senza processo.
Il quotidiano “The Reporter” di Addis Abeba riportava qualche giorno fa la notizia del contratto che verrà firmato tra l’Ethiopian Electric Power e Salini Impregilo per la diga di Gibe IV in seguito alla recente decisione della SACE di finanziare l’opera con 1.5 miliardi di euro. Qualche ora dopo sarebbe atterrato ad Addis Abeba il Presidente Sergio Mattarella, nella prima visita mai fatta da un presidente della Repubblica italiano nel paese. Il presidente ha discusso con le autorità etiopi di terrorismo, cooperazione, lotta alla povertà, migranti, energia e investimenti in una capitale abbellita a festa. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che ad Addis, città in grande espansione, pochi mesi fa sono stati massacrati 140 dimostranti scesi in piazza in solidarietà con le popolazioni Oromo che vivono intorno alla capitale. Protestavano contro l’Addis Abeba Master Plan che li avrebbe cacciati dalle loro terre. Il Master Plan venne abbandonato, ma a febbraio di quest’anno le forze di sicurezza continuavano a mietere vittime in Oromia: almeno 200 persone uccise e migliaia detenute senza processo.
Omo ed
Oromia – da tempo in fermento contro il governo centrale - sono regioni abitate
da popolazioni la cui colpa principale quella
di vivere in terre ambite per progetti di sviluppo, tra cui la diga di Gibe
III. Alla vigilia della visita di Mattarella, Survival International, movimento
mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha comunicato di aver presentato un
ricorso contro Salini-Impregilo al punto di contatto italiano dell’OCSE per le
imprese multinazionali che dovrebbe vigilare sul rispetto delle linee guida
OCSE. Survival punta il dito
sull’impatto che Gibe III avrà sulle popolazioni indigene dell’Omo Valley e
sull’esistenza del Lago Turkana, da cui dipende la
sopravvivenza di almeno 300mila indigeni, cui nessuno ha chiesto il consenso
previo o concesso le compensazioni
promesse.
Di recente la questione delle grandi dighe e delle violazioni dei
diritti umani è tornata alla ribalta con l’omicidio efferato di Berta Caceres
in Honduras, rea di opporsi ad una grande diga nella sua terra inizialmente
sostenuta anche dalla cinese Sinohydro, la stessa che è dietro il mega progetto
di Gibe III e Gibe IV. Salini-Impregilo sta ora terminando la costruzione di una delle
dighe più grandi del mondo, la GERD (Grand Ethiopian Renaissance Dam) la cui
costruzione avrà un impatto grave sull’approvvigionamento delle acque del Nilo
in Egitto. La diga alimentò gravi tensioni tra Etiopia, Egitto e Sudan che
portarono alla conclusione di una dichiarazione di principi nel maggio 2015
nella quale i definivano diritti ed obblighi dei tre stati. Salini-Impregilo
avrebbe ottenuto l’appalto senza gara,
per un progetto che - per l’alto rischio politico - nessun finanziatore si è azzardato a
sostenere, al punto che il governo etiope dovette emettere bond per raccogliere
i fondi necessari.
L’acqua
e la terra d’Etiopia diventano così “commodities”,
da immettere nel mercato globale anche a scapito dei diritti delle popolazioni
che vivono in quelle terre da tempo immemorabile. Acqua e terra per produrre
energia “pulita”. Come nel caso denunciato
nel 2012 da Re:Common, del
coinvolgimento di un’impresa italiana, la Fri-EL Green Power nell’espansione di
una piantagione di palma da olio nella regione della valle dell’Omo, un caso
evidente di “land grabbing” per
alimentare di biofuel la centrale termoelettrica di Acerra. Palma da olio per
ridurre le emissioni di gas serra, e alimentare la “green economy” o l’agribusiness.
Il landgrabbing è un grande
affare in Etiopia, paese che soffre l’impatto della siccità (l’ondata in corso
è la più grave degli ultimo 30 anni) e
della fame. Si calcola che tra il 1995 ed
il 2016 sarà stato trasferito nelle mani di investitori stranieri un totale di
7 milioni di ettari di terre coltivabili. Dal 2010 sono stati espulsi dalle loro terre almeno un milione e
mezzo di indigeni, nelle regioni di Gambella, Afar, Somali,
Lower Omo, Benishangul-Gumuz.
Questo il lato oscuro della luna. In un paese descritto come un “enfant
prodige” della crescita, un alleato essenziale nella lotta al terrorismo, un
partner economico di tutto rispetto da corteggiare e riverire, una realtà che
se guardata in filigrana rivela una serie di contraddizioni e nervi scoperti,
caratteristica prima del paradigma dominante di sviluppo. Contraddizioni anche targate Made in Italy. Forse per questo il
Presidente si sarà guardato bene dal richiamare al rispetto dei diritti umani e
del diritto alla terra dei popoli indigeni le autorità etiopi che per bocca del
presidente Hailemariam Desalegn hanno invitato calorosamente le imprese
italiane ad investire nel paese. “Ci vorrebbero tante Salini in Etiopia” ha
detto.
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