domenica 10 luglio 2022

ANTROPOCENE, PARLAMENTO GLOBALE E DIRITTI DELLA MADRE TERRA

  


Di Francesco Martone (*) 


(pubblicato su: "Il risveglio del mondo. Testimonianze sul Parlamento Mondiale. A cura di Mario Capanna, MIMESIS, 2022) 

 

Nel suo splendido “ Nel tempo delle catastrofi – resistere alla barbarie a venire”  [1]

Isabelle Stengers sottolinea  come a seguito della crisi ecologica (quella che lei definisce l’irruzione di Gaia) l’umanità si trovi in “tempi strani, sospesi tra due storie che parlano entrambi di un mondo globale”. C’è chi parla di crescita che ha “chiaro ciò che esige” e chi ha chiaro ciò che accade ma è “oscura la risposta da elaborare”. Nella fase attuale, che alcuni definiscono Antropocene, altri Capitalocene per porre enfasi sulla causa madre della crisi ambientale,  siamo probabilmente  già oltre l’inter-regnum di gramsciana memoria, e l’orizzonte appare in parte determinato dalle ricadute nefaste del modello di sviluppo dominante ed in parte da un quadro meno evidente e delineato di resistenza diffusa ed iniziativa “dal basso” che ha in sé i semi di futuri possibili. Ed il tema della crisi attraversa anche i sistemi di governo globale, il multilateralismo ed i suoi simili.  Indubbiamente le questioni urgenti riguardano il cosa, la sfida che ci troviamo dinnanzi, ma anche il tema stesso della rappresentanza, della sua portata e significato, del protagonismo dei popoli che va oltre la cornice tradizionale degli stati-nazione, e che quindi pone in crisi - o per lo meno in discussione - i meccanismi tradizionali di governo , delega, rappresentanza  e  governanceGovernance che ha preso da tempo il sopravvento, sostituendo ai valori alti della politica quelli della “tecnica”.  



In questo contesto si inserisce a mio parere la proposta di un Parlamento globale, che aiuta a fare chiarezza sulla “risposta da elaborare”,  ma che per far ciò non può non fare i conti con la crisi, ecologica, di civiltà, di sistema. E questo a maggior ragione quest’anno nel quale si celebra  il 50esimo anniversario della Conferenza di Stoccolma sullo sviluppo sostenibile e a 30 anni da quella di Rio su Sviluppo ed Ambiente. Due tappe importanti nella costruzione del multilateralismo del secolo scorso, due pietre miliari nella costruzione di un assetto di governo e di partecipazione della società civile nelle questioni ambientali, architettura di gestione e elaborazione, partecipazione degli stati, elaborazione dei global public goods.  Ciononostante, se da una parte le proposte “istituzionali” relative all’ambiente mostrano tutta la loro inadeguatezza, scontrandosi quotidianamente con la prevalenza dell’interesse nazionale o con la primazia del mercato e della crescita, dall’altra questa inadeguatezza è anche e non solo espressione dell’obsolescenza e dell’inadeguatezza dello stesso modello multilaterale. Ne è un esempio la Conferenza ONU sul Clima, invischiata nelle logiche di realpolitik, snaturata nel suo mandato in conferenza sul commercio di tecnologie, carbonio e finanza e dall’altra sempre più chiusa alla partecipazione esterna, dei movimenti e della società civile e “sequestrata”-  come il resto del sistema ONU - dall’agenda delle imprese e del mercato.  


La proposta di Parlamento globale serve indubbiamente a mettere l’accento sul difetto di rappresentanza e rappresentatività delle istituzioni globali, ed allo stesso tempo ad immaginare un nuovo assetto di governo del Pianeta. A tal riguardo giova ricordare come nei dibattiti passati ed attuali su quali possano essere i modelli di governo globali di fronte alla sfida ecologica si contrappongono due approcci. Uno è quello  dei beni pubblici globali che presuppone una sorta di “leviatano” globale dedicato a regolare l’uso e l’accesso a tali beni, e quindi ad avere anche una forte capacità coercitiva. Ad esempio, per quanto riguarda il clima, il compito di questo leviatano sarebbe quello di fungere da autorità sovranazionale con capacità di monitorare e disciplinare in maniera autoritaria la produzione, consumo e scambio di carbonio. 


Per contro,  una visione fondata   sui “commons “ privilegia il decentramento, la partecipazione e protagonismo dei “commoners”,  comunità  che resistono e curano i “commons” intesi anche come ecosistemi con i loro diritti e cicli di riproduzione e rigenerazione. La prima proposta è essenzialmente “stato-centrica” e prefigura una autorità globale, mentre la seconda riprende la visione del Nobel per l’Economia Elinor Ostrom e segue un approccio ecocentrico,  nel quale il sistema di “governo” è definito dall’ecosistema e non dalla comunità politica. Ad un “monocentrismo” contrappone un “policentrismo” nel quale ogni luogo decisionale (ad ogni livello) è autonomo ed indipendente dall’altro, ma entra in cooperazione.  Trasferendo questa dualità tra “centralità” e “decentramento”, e tra “antropocentrismo” ed “ecocentrismo” alla proposta di Parlamento globale risulta evidente come tale proposta non debba fornire occasione per ribadire un concetto antico di delega. E questo anche in considerazione della diffusione ed importanza dei movimenti globali o locali che essi siano, e della loro capacità di incidenza e messa in rete, che costituisce già uno spazio “altro” di rappresentanza e di proposta politica e culturale. 


Questi soggetti transnazionali, movimenti, organizzazioni di base, comunità in resistenza, luoghi di pratica alternativa, di “altra economia” (il cosiddetto “pluriverso” [2]zapatista), praticano l’“obiezione alla crescita”, e popolano spazi di “frizione” dal capitalismo, come li definisce la antropologa statunitense Anna Lowenhaupt Tsing [3]. Ed allora come dar loro rappresentanza, semmai sia ciò di cui sentono la necessità ed il bisogno visto che - in quanto pratiche performative e prefigurative - si rappresentano da sole?  Certo è, per dirla con Stengers,  che “non possiamo lasciare a chi è responsabile dei disastri che si annunciano il compito di rispondervi. Sta a noi creare una maniera di rispondere per noi ma anche per le innumerevoli specie viventi che stiamo trascinando nella catastrofe”.  Già, per noi umani e per le innumerevoli specie viventi che stiamo trascinando nella catastrofe. Ne consegue l’urgenza imprescindibile di passare da una visione antropocentrica ad una ecocentrica che riconosca accanto ai diritti umani anche i diritti della Natura.  


Una visione che può rappresentare la condizione necessaria verso la creazione di un sistema di “istituzioni” del “comune” e del “vivente”, che proceda di pari passo alla rielaborazione del concetto, della portata e della pratica di rappresentanza e delega che sottende alla proposta di un Parlamento mondiale. Ed in ultima istanza di una Costituzione della Terra, che apparrebbe tuttora ancorata ad una centralità dell’essere umano che, come detto in precedenza, rappresenta solo una delle parti della complessità di Gaia, o delle specie animali e vegetali e degli ecosistemi che compongono la Madre Terra.  Movimenti per il riconoscimento dei diritti della natura fioriscono ormai in ogni parte del mondo. [4] Precedenti giurisprudenziali importanti contribuiscono ad elaborare accanto al diritto internazionale dei “popoli” un diritto internazionale della Madre Terra, presupposto essenziale per poter poi ragionare su nuove istituzioni e le strutture di rappresentanza e governo. 


Alcune costituzioni come quella ecuadoriana già riconoscono i diritti della Natura, che diventano così strumento di iniziativa popolare, trasformando la Corte Costituzionale ed i tribunali locali in luoghi dove la Madre Terra trova rappresentanza.  Nel mondo sono almeno 36 i paesi che in un modo o nell’altro  riconoscono o hanno affrontato a livello istituzionale la questione, e decine le cause intentate presso il Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura. Quest’ultimo è un tribunale d’opinione  dove la Madre Terra trova rappresentanza attraverso i rappresentanti di comunità che ne sono guardiane e che chiedono il rispetto dell’integrità di quegli ecosistemi di fronte alle minacce rappresentate dallo sviluppo e dall’estrattivismo.  E così facendo mettono in discussione anche gli assetti istituzionali del governo globale dell’ambiente. 


Ad oggi il percorso è in itinere ed in questa sede basta porre la questione, non solo del come dare rappresentanza, ma del chi o cosa rappresentare. Ossia di come riconoscere la Madre Terra come soggetto di diritto e dove e come rappresentarla, e come   giustamente sottolinea Bruno Latour, quale  politica mettere in atto per poter “ri-presentare”  la questione superando il sistema centrato sullo stato-nazione.[5] Alla luce di ciò un Parlamento globale (non tanto nella struttura ma nella portata delle sue deliberazioni) dovrebbe essere “immateriale”, non solo “umano” ma decentrato, policentrico, rizomatico per dirla in altra maniera.  Parlamento che si compone e si materializza dove umani e Madre Terra rientrano in armonia, dove altri mondi possibili sono in costruzione o già avviati. Non si tratta certamente di provare a tradurre in pratica la fantastica e splendida suggestione dell’Assemblea degli Animali di Filelfo,  anche perché nel nostro contesto il precedente più eclatante di  tale possibilità rischierebbe di evocare  lo scenario rappresentato dal modello distopico della Fattoria degli Animali di George Orwell. E dei pericoli insiti in un nuovo “Leviatano” si è già accennato in precedenza. Semmai si tratterebbe di pensare a quali strumenti “istituzionali” siano necessari per dar corpo ed esigibilità ai diritti della natura e - così facendo - riconoscerla come soggetto plurale di diritto e quindi con diritto di essere rappresentata. 


In questo ci vengono in aiuto i giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura [6]. Questi ultimi, richiamandosi alla dichiarazione adottata alla Conferenza dei Popoli sui Cambiamenti Climatici ed i Diritti della Madre Terra nell’aprile del 2010 (non a caso sullo sfondo dei negoziati dell’UN Framework Convention on Climate Change (UNFCCC) hanno rilanciato l’appello per la creazione di un “organismo legale internazionale che “protegga e sanzioni i crimini climatici ed ambientali che violano i diritti della Madre terra e dell’umanità”, ossia un Tribunale Internazionale per la Giustizia Climatica e la Natura che possa disporre della capacità legale di prevenire, giudicare e sanzionare stati, imprese e persone che per commissione o omissione danneggino i cicli vitali della vita, vilando i diritti umani e quelli della Natura. Una proposta che, come potrebbe rappresentare il primo passo per “dare rappresentanza” alla Madre Terra accanto ad altre proposte che appaiono principalmente centrate sulla rappresentanza dell’ “umano”. In passato ci aveva pensato con lungimiranza il Barone Rampante di Italo Calvino con il suo “Progetto di Costituzione per Città Repubblicana con Dichiarazione dei Diritti degli Uomini, delle Donne, dei Bambini, degli Animali Domestici e Selvatici, compresi Uccelli Pesci e Insetti, e delle Piante sia d’Alto Fusto sia Ortaggi ed Erbe”. Oggi è l’urgenza della sfida a richiederlo. 

 

 

 

 

(*)  membro e coordinatore dell’assemblea dei giudici  del Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura con sede 


[1] Isabelle Stengers, “Nel tempo delle catastrofi. Resistere alla barbarie a venire”, Rosenberg&Sellier, 2021

 

[2]  A. Kothari, A. Salleh, A. Escobar, F. Demaria, A. Acosta , (a cura di), “Pluriverso. Dizionario del post-sviluppo, Ortothes, 2021;

[3] Anna Lowenhapupt Tsing, “Friction, an ethnography of global connection”, Princeton University Press, 2005. Si veda anche il suo più recente lavoro: Feral Atlas, con la Stanford University: https://feralatlas.supdigital.org

[4] www.garn.org – Global Alliance on the Rights of Nature 

[5] “ how do you do politics in a way that leads to a different type of work. How do you re-present the issue? How do you break down the national state system of negotiation so that you can actually build what Carl Schmitt called leagues, or lines, which are different from nations? “ su “Diplomacy in the Face of Gaia. Bruno Latour in conversation with Heather Davies” su “Art in the Anthropocene. Encounters Among Aesthetics Politics Environments and Epistemologies”, edited by Heather Davies and Etienne Turpin, Open Humanities Press, London 2015 

[6] https://www.rightsofnaturetribunal.org/petitions/international-tribunal-for-climate-justice-and-nature/

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