mercoledì 4 maggio 2011

Le rivolte arabe, la democrazia, l'Europa

(editoriale per dossier di Mosaico di Pace, Maggio 2011)


Da Piazza Tahrir, alle strade di Tunisi, dalla Siria allo Yemen, alla Libia ed il Marocco milioni di persone, giovani, anziani, donne, disoccupati e lavoratori da mesi si mobilitano per chiedere un cambiamento radicale del sistema politico che per anni ha frustrato ogni loro aspirazione alla libertà ed alla dignità. Parlare di Maghreb oggi, con un dossier scritto quasi interamente al femminile è una sfida ed allo stesso tempo esercizio complesso giacché in questo periodo liminale che intercorre tra la fine dei regimi, e la costruzione di altre ipotesi politiche può succedere di tutto. Si possono accelerare le spinte alla radicalizzazione del conflitto, si può rischiare il ritorno alla normalità, o consolidare le istanze ed i soggetti che oggi chiedono democrazia. Una democrazia sostanziale, che si riappropria degli strumenti della politica della modernità, (il sistema elettorale, i processi costituenti) , ma li trasforma e li rielabora in una visione nuova, non più etero diretta, e nella quale la dignità è il pilastro centrale. Certamente ci sono molte differenze da paese a paese, dovute alla storia ed alla conformazione dei gruppi di potere che per anni hanno inibito ogni prospettiva di cambiamento. Eppoi la presenza dell’Islam (da quello moderato e quello salafita) che ha rappresentato uno dei pretesti centrali delle potenze occidentali per puntellare quei regimi che qualcuno ha definito vittime di un “jetlag storico” o meglio ancora di un “disordine temporale postcoloniale” ancorati com’erano ad una visione assoluta del potere, ad un autoritarismo che ormai nulla ha a che vedere con le aspirazioni legittime di quei popoli. Oltre ai governi autoritari la primavera araba pare essersi portata via anche qualsiasi velleità integralista, il grande piano di Al Qaeda di penetrare il tessuto sociale di quei paesi. Si è detto che la chiave di volta di questo sommovimento va trovata in una complessità di fattori, ed indubbiamente così è. Oggi le politiche di riduzione della spesa pubblica si accompagnano ad un’ ulteriore contrazione del potere di acquisto delle classi popolari, dovuto in primis all’aumento dei prezzi dei generi alimentari, conseguenza delle speculazioni finanziarie sui prodotti agricoli. Aggiungiamo a questo il potere tremendo del web. la sua capacità di permettere la comunicazione oltre la censura ed il controllo di polizia, la possibilità di costruire un sentire collettivo, pratiche e culture politiche tra popoli e generazioni accomunati oggi dalla stessa disperazione e voglia di riappropriarsi di persona del proprio futuro. Le rivolte di oggi non sono solo di carattere economico, ma soprattutto politico. Sono l’esito di un processo di “ebollizione” che per anni covava sotto traccia e che forse oggi ha trovato un suo sbocco naturale nelle crepe aperte dalla nuova amministrazione Obama e dal fallimento delle politiche euro mediterranee dell’Unione Europea. Il discorso di Obama al Cairo, l’invito ai popoli arabi a costruire la democrazia secondo le proprie modalità, l’apertura verso l’Islam, e l’abbandono delle velleità di George Bush di esportare la democrazia nel Grande Medio Oriente hanno segnato indubbiamente un passaggio chiave per comprendere gli sviluppi nell’area. La crisi finanziaria ed economica ha poi portato alla luce l’ ambiguità dell’Unione Europea, di una politica, dal processo di Barcellona all’Unione del Mediterraneo, che sulla carta parla di democrazia e diritti umani ed in realtà cela obiettivi ben differenti di blindatura delle proprie frontiere ai flussi migratori, liberalizzazione degli scambi commerciali, accesso alle risorse naturali ed al mercato del lavoro a basso costo. Un mix micidiale che non ha certo contribuito a costruire le premesse per società più libere e giuste. Anzi. Oggi - in questo periodo liminale tra conservazione e cambiamento, tra stabilità e trasformazione - si gioca il futuro del Mediterraneo e dell’Europa. Con i paesi della sponda Nord che continuano a usare gli strumenti della realpolitik per tentare disperatamente di riconfermare il proprio ruolo centrale nei destini della regione. E non esitano ad usare la forza delle armi, con il pretesto dell’ingerenza umanitaria in Libia per tentare di riaffermare il proprio protagonismo, in un’internazionalizzazione di una guerra civile che può rappresentare un grave rischio per quei processi di trasformazione. Gli eventi del Maghreb assumono pertanto una grande importanza. Ci interrogano sul significato della democrazia, ma anche sul tema della dignità, sulla costruzione partecipata di un nuovo spazio pubblico, su come promuovere i diritti dell’uomo in un mondo ormai post-occidentale. Più in generale su come provare a costruire assieme a quei popoli - con capacità di ascolto e la doverosa umiltà - un’ipotesi di pace e democrazia transnazionale, euro-mediterranea, che dia senso ad una visione cosmopolita che rifugge le tentazioni dell’uso della forza e sia saldamente ancorata al diritto ed ai diritti universali.

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