venerdì 25 gennaio 2013

Neutralità attiva in Mali


Il Parlamento Italiano in questo stralcio di legislatura ha approvato definitivamente ed in tutta fretta il decreto sulle missioni all’estero, che tra l'altro riguarda la partecipazione italiana ad una serie di missioni europee, tra cui quella di addestramento delle truppe del Mali. E con altrettanta fretta ha approvato un decreto per la fornitura di sostegno logistico all'operazione “Serval”, lanciata nel frattempo in Mali dalla Francia in attesa dell'arrivo di un contingente panafricano dell'ECOWAS. In questo quadro, inizialmente era stato deciso che l'invio di una decina di addestratori italiani nel quadro della missione europea EUTM, per formare le truppe maliane nella loro campagna di riconquista del nord del Mali, in mano a milizie jihadiste e qaediste ed ai movimenti di liberazione dell'Azawad.

L'operazione “Serval” ha però ridefinito i termini del dibattito internazionale e delle modalità d'impegno del nostro Paese, che si vede coinvolto in una vicenda dai tratti incerti e dalle prospettive poco chiare in termini politici e strategici. Oggi in Mali la comunità internazionale si trova a fare i conti anche con gli effetti dell'intervento in Libia, con uno "spillover" dovuto all'affluenza di armi e miliziani nelle zone di frontiera. Una situazione complessa che richiede un approccio ampio, al di là dell’opzione militare, per riportare legalità, risolvere l'emergenza umanitaria, aprire, come anche raccomandato dalla risoluzione 2085 approvata a dicembre dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, la strada a percorsi negoziali tra le varie parti in causa e per la riforma delle istituzioni del Paese.

Vale la pena di ricordare che ad aprile 2013 erano previste elezioni politiche per provare a voltare pagina dopo mesi di instabilità, e di controllo più o meno diretto della vita politica da parte dei militari. L'intervento francese rischia così di allontanare la soluzione politica ad una situazione esplosiva in tutto il Paese, e non solo nel Nord occupato dalle varie formazioni jihadiste e quaediste oltre che dalle milizie tuareg. A Sud, a Bamako, il Mali è uno stato quasi inesistente dopo il colpo di Stato dei militari che più di recente, l’11 dicembre, hanno arrestato il primo ministro Diarra, a capo di un governo civile succeduto alla giunta militare, e che di seguito ha rassegnato le sue dimissioni. Cosa che apre un interrogativo sulla legittimità del governo maliano e sulla legittimità stessa della sua richiesta di aiuto militare esterno.

L’escalation impressa dall'intervento francese rischia così di complicare ancor di più le cose. La situazione in Mali e nel Sahel era da tempo diventata a rischio, e proprio per la sua complessità richiedeva un approccio ad ampio raggio, soprattutto politico come nei fatti declinato nel corso del dibattito svoltosi nel Consiglio di Sicurezza a dicembre, in occasione del quale più volte il Segretario Generale Ban Ki-moon aveva esortato a non far precipitare la situazione attraverso un intervento militare in tempi stretti. Invece con l’accelerazione dell’opzione militare impressa dal governo francese tutta la regione rischia di precipitare in una guerra senza frontiere, ed in un ulteriore compattamento del fronte qaedista e jihadista.

La Francia è entrata in Mali via terra ed aria, in un’avventura ad alto rischio, scavalcando l'Europa, e prendendo da sola l'iniziativa. Le stesse dichiarazioni di Hollande fanno capire che non esiste un termine chiaro per la fine dell’intervento legittimato da un’interpretazione “elastica” del mandato del Consiglio di Sicurezza che invece aveva autorizzato il sostegno ad una forza militare panafricana, che in realtà non è tuttora in grado di intervenire sul terreno. C’è più di qualcosa che non torna in tutta questa vicenda del Mali e nella posizione sviluppata in corso d'opera dal governo Monti. Da una parte il governo rassicura che non ci sarà intervento militare diretto, nessun “boots on the ground” ma solo la concessione di alcuni aerei da trasporto, magari l’uso di qualche base e di un aereo cisterna per rifornire in volo gli aerei da guerra francesi, oltre la decina di addestratori che partiranno nell’ambito della missione UE EUTM.

Per contro negli Stati Uniti si è aperta una serrata discussione sulla legittimità della richiesta di aiuto da parte del governo del Mali, un governo di fatto nelle mani di un gruppo di militari “golpisti”, nonché sull'opportunità di fornire supporto attraverso il rifornimento in volo, giacché l'amministrazione Obama non vuole dar l'impressione che gli Stati Uniti siano considerati “co-belligeranti” in quella che gli osservatori di Washington chiamano “Mission Creep”: definizione in corso d’opera della missione.

Hollande ha già lanciato una nuova modalità, quella dell’intervento unilaterale al quale far seguire la costruzione di una coalizione internazionale, e nel corso delle ore la natura e l’obiettivo stesso dell’intervento sono andate mutando. Da difesa della linea del fronte per tamponare l’avanzata delle armate qaediste verso Bamako, in attesa del contingente panafricano, ad aggressiva campagna di aria e terra. I rischi erano previsti: ritorsioni dei qaedisti a tutto campo - e puntuale è arrivato l’assalto ad un pozzo petrolifero algerino con un drammatico bilancio di vittime, e l’uccisione da parte delle milizie somale Al Shaabab della spia francese da tempo nelle loro mani. Eppoi le notizie di esecuzioni sommarie e crimini di guerra compiuti dall'esercito del Mali. E migliaia e migliaia di profughi - si parla di circa un milione entro i prossimi mesi, con crescenti rischi per le popolazioni civili prese nel mezzo. Eppoi la decisione della Corte Penale Internazionale di aprire un'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani e crimini di guerra compiuti nel Nord. Decisione doverosa ma che allo stesso tempo riapre un interrogativo che già aveva impegnato molti osservatori ed addetti ai lavori nel caso della Libia. Ovvero, quale relazione esiste tra giustizia e pace? Quali i rischi riguardo all'urgenza di assicurare percorsi negoziali per lo meno con alcune delle parti in conflitto? Giacché proprio attraverso il progressivo isolamento delle varie componenti dell'insurgenza nel Nord si potrà riuscire a creare le premesse per un'uscita "politica" alla crisi.

Allora in tutto questo scenario ormai improntato sull’opzione militare (avallata stavolta anche da Russia e Cina) invece di intervenire con i muscoli il nostro Paese farebbe bene a privilegiare un atteggiamento di “neutralità attiva” attraverso il sostegno ad iniziative regionali di dialogo, sostegno a una soluzione “africana” al conflitto, anche attraverso l'invio di istruttori militari nell'ambito di EUTM (che secondo quanto stabilito non saranno inviati in teatro di guerra), rafforzando il sostegno e gli aiuti umanitari ai profughi e contribuendo al Fondo Globale per il Sahel proposto dall’inviato speciale ONU per il Sahel Romano Prodi
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