lunedì 22 aprile 2013

Siria, un refuso dell’agenda della diplomazia internazionale



Arrivano oggi le notizie tremende, le immagini agghiaccianti di una nuova strage di innocenti in Siria. Una scia infinita di sangue e dolore che ci esorta a non lasciare che la tragedia del popolo siriano torni nel dimenticatoio dopo l’esito felice della liberazione dei quattro giornalisti italiani trattenuti per giorni da alcune milizie antigovernative. Non possiamo restare indifferenti alla sequela insopportabile di sofferenze, morte e distruzione, ai civili presi nel mezzo di una guerra senza esclusione di colpi. 
Sembra che la Siria sia ormai un refuso dell’agenda della diplomazia internazionale, intrappolata tra veti incrociati delle superpotenze, dall’incapacità dell’Europa di prendere una posizione netta per una soluzione politica del confitto, spaccata tra paesi che invece sostengono che l’unica ultima opzione sia quella di invertire l’asimmetria nell’uso della forza armata. Si creano coalizioni con nomi altisonanti, del tipo “Amici della Siria” dove ha spiccato in passato l’attivismo del per nulla rimpianto ministro degli esteri italiano Terzi di Sant’Agata. Coalizioni di paesi che pensano di risolvere la questione magari inviando armi, e sostegno più o meno “letale” a milizie la cui composizione appare tuttora estremamente disomogenea. E così facendo vanificano ogni altra ipotesi di soluzione politica.
Dal punto di vista militare il paese vive in uno stallo, A noi arrivano solo immagini di distruzione. Restano nascosti i tentativi della società civile siriana di ricostruire nessi, luoghi, solidarietà. Non abbiamo occasione di ascoltare la voce del popolo siriano, dei civili, il loro bisogni, il loro dolore. Di chi prova con tenacia e caparbietà a praticare la nonviolenza e la riconciliazione.
Ricordo però qualche giorno fa un articolo-reportage sugli artisti siriani a Damasco. Artisti che usano residui bellici per fare opere d’arte, che dipingono copie di quadri famosi di artisti famosi sulle facciate carbonizzate delle abitazioni civili. Esempi che ci dimostrano il desiderio incessante di tornare a vivere, a farsi sentire, a dire la propria.
Oggi dalla Siria ci arriva disperato un appello ad inviare aiuti umanitari, materiali sanitari, medici, per provare a alleviare per quanto possibile le sofferenze di quel popolo.
Eppure, basta leggere la dichiarazione finale dell’ultimo vertice dei ministri degli esteri del G8, tenutosi giorni or sono in Inghilterra, per avere ulteriore conferma del fatto che ormai il paese, il suo popolo, rischia di rimanere abbandonato a se stesso, con evidenti rischi anche per la stabilità di tutta la regione.
E’ l’eterno conflitto tra sovranità nazionale e responsabilità, tra diritto all’ingerenza umanitaria e rischio di uso strumentale dello stesso. In un certo senso la tragedia siriana è figlia incestuosa dell’intervento internazionale in Libia. Un intervento teso, piuttosto che a proteggere i civili, ad utilizzare quel pretesto per sostenere la rimozione manu militari di un regime, seppur sanguinario quale quello del Colonnello Gheddafi. Allora venne invocato il principo della responsabilità di proteggere, allora Cina e Russia si accodarono, non opposero resistenza. Oggi non è così con la Siria, proprio perché allora di quel principio venne fatto un uso improprio, tutto legato ad interessi geopolitici e geostrategici.
La tragedia siriana interroga quindi il mondo, le Nazioni Unite, la legalità internazionale, gli strumenti a disposizione della comunità internazionale per risolvere con la forza della diplomazia e del negoziato situazioni di conflitto, per proteggere i civili.
Intanto però mentre ci interroghiamo, il popolo siriano continua a morire. Ed allora fa ancor più scalpore l’inedito appello lanciato qualche giorno fa sulle pagine del new York Times da cinque direttori di altrettante agenzie specializzate delle Nazioni Unite, Valerie Amos, sottosegretario delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Ertharin Cousin, direttore esecutivo del Programma Mondiale per l’Alimentazione, Antonio Guterres, Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Anthony Lake , direttore esecutivo del Fondo ONU per l’Infanzia, Margaret Chan direttore generale dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità.
Le loro parole parlano chiaro, e richiamano tutti noi ad un’assunzione di responsabilità, ora, subito. Ciononostante nessuna decisione è stata presa dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quando – la settima scorsa si é  riunito per discutere della Siria, prima sulla situazione umanitaria e poi per ascoltare il rappresentante speciale di ONU e Lega Araba per la Siria Lakdar Brahimi.
Ecco il testo dell’appello:
“Ora basta
Dopo oltre due anni di conflitti, ed oltre 70mila morti, inclusi migliaia di bambini… opo che oltre 5 milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case, incluso un milione e più di rifugiati che vivono in paesi adiacenti in condizioni estreme. Dopo tutte quelle famiglie fatte a pezzi, comunità rase al suolo, scuole ed ospedali distrutti, sistemi idrici devastati. Dopo tutto questo sembra ci sia tuttora uno scarso senso dell’urgenza di agire nei governi e negli attori che potrebbero porre fine alla carneficina ed alla crudeltà in Siria.
Noi, leader delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite incaricate di affrontare i costi umani di questa tragedia, facciamo appello ai leader politici coinvolti affinché si assumano le proprie responsabilità verso il popolo siriano ed i l futuro dei popoli di quella regione.
Chiediamo loro di usare la loro influenza per insistere su una soluzione politica a questa orrenda crisi prima che altre centinaia di migliaia di persone perdano le loro case, le loro vite, ed il loro futuro – in una regione già allo stremo.
Le nostre agenzie ed i nostri partner hanno fatto tutto il possibile, Con il sostegno di governi e persone abbiamo aiutato a dare alloggio ad oltre un milione di rifugiati, Abbiamo aiutato a fornire accesso al cibo ed a soddisfare altri bisogni di base per milioni di persone sfollate, dall’acqua ai servizi sanitari per 5 milioni e mezzo di persone in Siria e nei paesi vicini, a vaccini antipolio e contro il morbillo per oltre 1 milione e mezzo di bambini. Ma chiaramente questo non basta.
Aumentano i bisogni mentre le nostre capacità diminuiscono a causa della situazione di conflitto e per ragioni pratiche, oltre che alla scarsità di fondi. Siamo assai vicini, forse è questioni di poche settimane, alla sospensione parziale del sostegno umanitario.
Oggi non chiediamo più risorse, anche se ne abbiamo bisogno, Chiediamo qualcosa di gran lunga più importante dei fondi. A tutti coloro coinvolti in questo conflitto brutale ed a tutti i governi che possono esercitare influenza su di loro chiediamo:
In nome di tutti coloro che hanno sofferto e dei tanti il cui futuro è a rischio: Basta! Riunitevi, ed usate la vostra influenza, ora, per salvare il popolo siriano e la regione dal disastro.
Questo il testo originale:
“Enough. Enough.
After more than two years of conflict and more than 70,000 deaths, including thousands of children. … After more than five million people have been forced to leave their homes, including over a million refugees living in severely stressed neighboring countries … After so many families torn apart and communities razed, schools and hospitals wrecked and water systems ruined … After all this, there still seems to be an insufficient sense of urgency among the governments and parties that could put a stop to the cruelty and carnage in Syria.
 We, leaders of U.N. agencies charged with dealing with the human costs of this tragedy, appeal to political leaders involved to meet their responsibility to the people of Syria and to the future of the region.
We ask that they use their collective influence to insist on a political solution to this horrendous crisis before hundreds of thousands more people lose their homes and lives and futures — in a region already at the tipping point.
 Our agencies and humanitarian partners have been doing all we can. With the support of many governments and people, we have helped shelter more than a million refugees. We have helped provide access to food and other basic necessities for millions displaced by the conflict, to water and sanitation to over 5.5 million affected people in Syria and in neighboring countries, and to basic health services for millions of Syrians, including vaccinations to over 1.5 million children against measles and polio.
But it has not nearly been enough. The needs are growing while our capacity to do more is diminishing, due to security and other practical limitations within Syria as well as funding constraints. We are precariously close, perhaps within weeks, to suspending some humanitarian support.
 Our appeal today is not for more resources, needed as they are. We are appealing for something more important than funds. To all involved in this brutal conflict and to all governments that can influence them:
 In the name of all those who have so suffered, and the many more whose futures hang in the balance: Enough! Summon and use your influence, now, to save the Syrian people and save the region from disaster.”

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