mercoledì 29 luglio 2015

I colpevoli silenzi di Renzi in Israele e Palestina


In Israele e Palestina, nel corso del suo recente viaggio, il premier Matteo Renzi avrebbe avuto più volte occasione di riaffermare alcuni punti imprescindibili relativi all'occupazione, all'urgenza di riavviare un processo di negoziato per assicurare il rispetto del diritto internazionale e neppure riferito alla formula rituale dei due stati per due popoli, pur desueta e nei fatti resa oggi impraticabile dai cosiddetti “facts on the ground” ovvero la fitta espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania.

Non è stato così, ed ha fatto bene Pax Christi in un suo comunicato (http://www.paxchristi.it/?p=10694) a stigmatizzare duramente le reticenze del premier ed il suo silenzio in risposta all'appello di Abu Mazen al rispetto della legalità internazionale. Avrebbe avuto dalla sua la forte presa di posizione del Consiglio dei Ministri degli Esteri Europei che proprio qualche giorno prima della sua missione in Medio Oriente, il 20 luglio, ha prodotto una dichiarazione nella quale si riaffermava la condanna dell'occupazione e degli insediamenti, e delle continue violazioni del diritto internazionale, attraverso la costruzione del muro, la demolizione di abitazioni palestinesi, i reinsediamenti forzati, e la violenza dei coloni. (http://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2015/07/20-fac-mepp-conclusions/)

I ministri degli esteri UE hanno poi ricordato la gravissima situazione a Gaza, e invitato Israele ad agevolare l'invio di aiuti umanitari, la ricostruzione e la ripresa economica. Insomma, una presa di posizione - seppur giustamente equilibrata da richieste chiare anche alla controparte palestinese – che non lasciava adito a fraintendimenti e che ribadiva la validità della formula dei due stati per due popoli. Tuttavia nelle dichiarazioni ufficiali del premier in Israele nulla di ciò sembra essere stato evocato. Solo parole di riconoscimento e amicizia con Israele, e un generico appello a non sostenere campagne di boicottaggio. “Chi pensa di boicottare Israele non si rende conto di boicottare se stesso, di tradire il proprio futuro”. E “L’Italia sarà sempre in prima linea nel forum europeo e internazionale contro ogni forma di boicottaggio sterile e stupido”.
A tal riguardo vale la pena di ricordare alcuni fatti. Il primo, è che per Israele qualsiasi strumento di pressione commerciale o finanziaria volto a richiamare il governo israeliano alle sue responsabilità riguardo alla violazione del diritto internazionale attraverso la costruzione di insediamenti è da considerare un boicottaggio, Anche le linee-guida dell'Unione Europea sulla collaborazione nei territori occupati, o le intenzioni più volte annunciate da parte della Commissione di emanare linee-guida sull'etichettatura dei prodotti provenienti dalle colonie.

Le parole del Presidente del Consiglio non sono state forse dette a caso. Nello stesso documento del Consiglio dei Ministri Europei del 20 luglio infatti si riafferma l'impegno della Commissione ad assicurare l'attuazione della legislazione esistente sui prodotti provenienti dalle colonie, in quella che vari osservatori hanno letto come un'accelerazione. Quella del “labeling” è una storia lunga, che da anni si discute a Bruxelles. Nei fatti null'altro si propone se non un'etichettatura differenziata per i prodotti delle colonie israeliani dei Territori Occupati, che al momento vengono vedute in Europa come Made in Israel. Con altra etichetta che ne chiarisca la provenienza da insediamenti illegali si darebbe l'opportunità ai consumatori di discriminare in negativo questi prodotti, e scegliere di non acquistarli per non contribuire economicamente all'occupazione. Nonostante ripetuti annunci, l'ultimo dei quali da parte di Lady Ashton, secondo il quale entro il 2014 si sarebbe provveduto all'emanazione di linee guida sull'etichettatura dei prodotti dalle colonie, le pressioni delle lobby ed il timore di essere accusati di antisemitismo dal governo israeliano hanno sempre rallentato l'adozione di tali linee guida. Nel frattempo però alcuni stati membri decisero di far da soli, iniziando con il Regno Unito nel 2009, seguito poi da Danimarca nel 2012 e Belgio nel 2014. Poi più di recente, ad aprile 2015 ben 16 ministri di stati membri, inclusa l'Italia, hanno scritto alla Commissione per chiedere con forza l'applicazione delle linee guida. Già nell'estate del 2014, alcuni stati membri tra cui l'Italia, avevano avvisato le proprie imprese rispetto alle possibili ricadute di eventuali attività di finanziamento o investimenti nelle colonie israeliane.  

Ciònonostante, come denuncia la campagna italiana BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni) nel dicembre 2013 ACEA aveva già firmato un accordo con la compagnia israeliana Mekrorot mentre l'impresa Pizzarotti partecipa alla costruzione del treno ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv, attraversando per circa 6 kilometri la Cisgiordania. La Commissione aveva anche in passato - precisamente nel luglio 2013- emanato linee guida su finanziamenti e partecipazione in attività nei territori occupati. La Campagna BDS (http://bdsitalia.org) è una campagna nonviolenta che la società civile palestinese ha legittimamente proposto alla comunità internazionale come forma di pressione su Israele, per chiedere il semplice rispetto dei diritti umani e delle risoluzioni ONU.
Di recente il primo ministro israeliano Nethanyahu ha protestato energicamente contro l'Alto Commissario Federica Mogherini bollando come boicottaggio le misure della UE mirate essenzialmente ad assicurare il rispetto dei diritto internazionale violato attraverso l'occupazione dei territori e le politiche di espansione degli insediamenti. Non è una novità. ma  le parole di Matteo Renzi contro il boicottaggio sembrano accogliere questa linea. Ancora, proprio negli stessi giorni nei quali veniva pubblicata la dichiarazione del Consiglio dei Ministri degli Esteri della UE e Matteo Renzi si apprestava a suo viaggio in Medio Oriente, lo European Council for Foreign Relations, ha reso noto un nuovo documento a firma di Mattia Toaldo e Hugh Lovatt, dal titolo “EU differentiation and Israeli settlements” (http://www.ecfr.eu/publications/summary/eu_differentiation_and_israeli_settlements3076) che riprende il tema delle sanzioni, analizza le politiche europee al riguardo e giunge ad una serie di importanti conclusioni. La prima è che la UE, non avendo adottato una chiara posizione di differenziazione tra Israele e territori occupati, rischia di violare le sue stesse leggi, a fronte di un'obbligo legale di attuare tale distinzione. I due ricercatori propongono inoltre di allargare ulteriormente lo spettro di iniziative volte ad assicurare il rispetto del diritto internazionale, la coerenza con le proprie norme, ed esercitare pressione su Israele affinché sostenga convintamente la formula due Stati per due popoli. Insomma, le misure prese dalla UE sono mirate proprio a contribuire a sanare le inaccettabili e protratte violazioni del diritto internazionale. I due autori traggono le logiche conseguenze. La prima è quella di riconoscere il principio della differenziazione anche nel caso di attività di sostegno a banche ed enti di credito israeliani che rendono possibile la costruzione di insediamenti, la seconda è quella di prendere in considerazione anche le normative su prestiti e ipoteche. Ad esempio in caso di cittadini di uno stato membro aventi anche cittadinanza israeliana dovrebbe essere proibito utilizzare proprietà nei territori occupati a garanzia di eventuali prestiti di banche europee. Non dovrebbe essere possibile per la UE riconoscere titoli ed attestati di istituzioni mediche o accademiche israeliane con sede in Cisgiordania, visto che la UE non riconosce e la sovranità israeliana su quei territori. Eppoi per quanto riguarda Gerusalemme Est, visto che la UE non riconosce l'annessione e ritiene illegali gli insediamenti, andrebbe proibita ogni forma di cooperazione o riconoscimento di istituzioni israeliane di stanza a Gerusalemme Est tra cui il ministero di giustizia. 

Insomma, affinché la UE possa svolgere un ruolo di primo piano come attore di mediazione tra Palestina ed Israele, sarà necessario assicurare anzitutto il rispetto delle proprie regole e norme, e poi contribuire a riequilibrare le asimmetrie esistenti nei rapporti di forza tra Tel Aviv e Ramallah. Riconoscere non solo a parole ma anche nei fatti che una cosa è Israele e l'altra sono i territori occupati in violazione del diritto internazionale sarebbe un importante passo in avanti. Non cadere nella trappola mediatica e propagandistica del governo israeliano che invece confonde i livelli sarebbe invece un atto di responsabilità politica, come un atto conseguente sarebbe quello di rappresentare ai più alti livelli le prese di posizione e le decisioni dell'Unione Europea. Elementi evidentemente assenti o latenti nelle dichiarazioni del premier. A questo punto, senza farsi alcuna illusione sulla possibilità di un'adesione del governo italiano o della Commissione alla Campagna BDS, la domanda da porsi è “chi boicotta chi?”

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